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Verga, contesto storico, culturale e opere, Appunti di Italiano

21 pagine di puro approfondimento scritto in modo semplice, chiaro e anche colorato ☺️. Giovanni Verga: vita, Nedda, Vita dei campi, il ciclo dei vinti, I malavoglia, Mastro don Gesualdo, confronto tra mastro don Gesualdo e i Malavoglia, la morte di Gesualdo, storia di una capinera, Rosso Malpelo, La lupa, stile linguistico di verga, Naturalismo e Verismo, confronto tra naturalismo e verismo, confronto tra i promessi sposi e i malavoglia.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 26/01/2023

valentinadangelo15
valentinadangelo15 🇮🇹

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Scarica Verga, contesto storico, culturale e opere e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Giovanni Vga Giovanni Verga nacque il 31 agosto 1840 (periodo della Spedizione dei Mille a cui lui stesso partecipa) a Catania da una famiglia di nobili origini. La sua formazione scolastica venne affidata a un suo parente, Antonino Abate, poeta e patriota che sarà il primo a incoraggiarlo sulla letteratura. Tra il 1856 e il 1857 scrisse il suo primo romanzo storico “Amore e Patria”, pieno di romanticismo e amore per la sua patria. Successivamente, si iscrive alla Facoltà di giurisprudenza che però abbandonerà in seguito. Il primo romanzo pubblicato di Verga fu nel 1862, ed è “I carbonari della montagna” Durante il suo primo viaggio a Firenze, nel 1865 - 1866, Verga compone “Una peccatrice”, romanzo di non molto successo che lo spinge a frequentare salotti mondani della letteratura e dell’editoria .Nel 1869 si stabilisce a Firenze dove frequenta l’ambiente letterario e compone: “Storia di una capinera”, di grande successo, ed “Eva”. Stringe amicizia con Luigi Capuana (teorico del Verismo). Quest’incontro sarà di importante impatto sulla vita di Verga. Un significativo cambiamento nella vita di Verga avviene nel 1872, quando si trasferisce a Milano per circa 15 anni, e l’amico siciliano Salvatore Farina lo introduce nei salotti letterari più importanti della città. Qui verga incontra abitualmente gli scrittori “scapigliati” (essi erano degli scrittori che scendevano in piazza e protestavano contro la letteratura classica, quindi Foscolo, Manzoni, Leopardi, loro volevano rinnovare). Frequenta l’editore Treves, che nel 1873, pubblicherà “Eva” e successivamente “Eros” e “Tigre Reale”. Nel 1874 Verga scrive “Nedda”; ED È DA QUESTO MOMENTO CHE INIZIA IL VERISMO PER VERGA, INIZIANDO ANCHE A SCRIVERE IN DIALETTO. “Nedda” è una novella, anzi, un “bozzetto siciliano” completamente diverso dalle opere precedenti, perché è ambientata in Sicilia e perché vuole raccontare la povertà di vita della sua gente. Pochi mesi dopo una volta tornato a Catania, comincia a ideare il “bozzetto marinaresco” (racconto di vita di mare) “Padron ‘Ntoni”, che si amplierà fino a diventare “I Malavoglia”. Nel 1878 esce su un settimanale politico-letterario il racconto “Rosso Malpelo” Nel 1880 escono nel novelle “Vita dei campi”, e intanto continua a lavorare sui “Malavoglia” (che uscirà nel 1881 ma senza successo). Successivamente comincia la stesura di una nuova opera “Mastro-don Gesualdo” ( 2ª opera del Ciclo dei vinti) Nel 1883 escono in stampa le “Novelle rusticane”. Successivamente in Francia, Verga incontra Émile Zola. Nel 1884 esordisce con un successo sulle scene teatrali con la Cavalleria rusticana (dramma musica e parole che viene ancora oggi rappresentato in teatro) che fa riferimento a una precedente novella di Verga. Nel 1888 esce a puntate sulla rivista letteraria “Nuova Antologia” il “Mastro don-Gesualdo”, sottoposto a lunghe revisioni e pubblicato poi nel 1889 da Treves. ULTIMO CAPOLAVORO DI VERGA. Nel 1893 Verga rientra definitivamente a Catania. In questo periodo, Verga scrive la “Duchessa di Leyra”, 3º romanzo del ciclo dei vinti, ma non scriverà oltre il 1º capitolo. Dalle ultime opere si capisce benissimo che Verga ormai era uno scrittore isolato, che si occupa perlopiù della famiglia. Ormai il distacco dalla letteratura è definitivo; Verga capisce di aver dato ormai il meglio di sé. Nel 1920 Verga riceve uno degli ultimi riconoscimenti; viene nominato senatore del Regno d’Italia. Giovanni verga muore a Catania il 27 Gennaio 1922. La cvsie al Vismo: “Nedda” Nel 1874 inizia il vero e proprio Verismo per Verga quando pubblica su un periodico milanese la novella “Nedda”. La protagonista di “Nedda” è un’umile raccoglitrice di olive, Bastianedda detta “Nedda”. Verga cercava anche una connessione linguistica all’ambiente di vita e di lavoro del personaggio, ed è per questo che nelle sue opere troviamo delle espressioni in dialetto siciliano. La “conversione” di Verga al Verismo era influenzata anche dalle letture dei naturalisti francesi e dagli amici letterati Luigi Capuana e Felice Cameroni. I racc di “Va dei campi” Dopo alcune novelle pubblicate nel 1876, Verga iniziò a coltivare lo stile siciliano utilizzato in “Nedda”. Compose dei racconti della raccolta “Vita dei campi” e contemporaneamente iniziò a elaborare un abbozzo dei “Malavoglia”. Per Verga era molto importante non ripetere l’errore commesso dal suo amico Luigi Capuana cioè di soddisfare solo superficialmente la curiosità dei lettori verso i personaggi siciliani. Verga si impegnò quindi a: - ripudiare il gusto per l’aneddoto folkloristico, per il “colore locale”; - rinunciare a commentare e a impietosire il suo pubblico. Con queste accortezze la poetica del Verismo superava di gran lunga il livello raggiunto in “Nedda” in quanto cadeva ogni ricercatezza letteraria nelle descrizioni paesaggistiche e scomparivano anche alcuni elementi superflui presenti in “Nedda”. Le 8 novelle di “Vita dei Campi”, pubblicate nel 1880, non sono semplicemente “letteratura”, ma raccontano da vicino la vita nella sua più cruda verità. Quindi, in queste novelle, c’è una vera e propria rivoluzione: - i personaggi sono colti al grado più basso della vita sociale; - scompaiono quasi del tutto i commenti da parte dell’autore; - gli eventi sono presentati in modo netto e crudo; - si riducono al minimo descrizioni e antefatti; - non c’è una caratterizzazione diretta dei personaggi, che Verga invece rappresenta nel vivo dell’azione; - i dialoghi sono concisi, privi di formalità; - riguardo i temi, i racconti di “Vita dei Campi” narrano vicende cupe e tragiche, che finiscono sempre in soluzioni emotive e psicologiche estreme. Ma la maggiore novità dei primi racconti veristi di Verga è la creazione di un narratore popolare, appartenente al mondo in cui viene ambientato il racconto. Verga narra quindi, attraverso una “voce fuori campo”, oggettiva, senza giudizi né opinioni personali. Si limita a riferire i fatti dal punto di vista della comunità del villaggio, gente umile che vive in piccoli paesi. Gesualdo non è un eroe, ma perlopiù un antieroe, simile ai grandi protagonisti delle narrativa del ‘900. Nella prima parte del romanzo dominava ancora l’intento “verista” (cioè di rappresentare realisticamente l’ambiente), mentre continuando, questa cosa viene meno a causa della percezione sempre più soggettiva di Gesualdo. Qui Verga, sembra superare il Verismo: negli ultimi capitoli c’è un realismo del tutto psicologico, soprattutto nelle ultime pagine del romanzo, dove si racconta il delirio e l’agonia di Gesualdo. La morte nel romanzo, non riguarda solo Gesualdo bensì ogni cosa. Tutto muore nel “Mastro-don Gesualdo”: la casa, la “roba”, gli uomini, ecc… La malattia di Gesualdo come quella dei 2 fratelli di Bianca, per esempio, sono la rappresentazione di un male che è “nel vivere” e “del vivere”, sintomo di una sconfitta generale. Molti romanzi si chiudono con la morte del protagonista ma in pochi essa giunge così dall’interno, così fatale. Il male inguaribile di Gesualdo è il cancro, usato per la prima volta nella letteratura. Trama Il protagonista è Gesualdo Motta, un muratore (Mastro), che grazie al lavoro intenso, alla sua determinazione, al suo spirito di sacrificio, riesce ad accumulare una grande quantità di denaro, al punto tale da diventare borghese (don). Egli però non si accontenta di aver migliorato la propria condizione economica, vorrebbe tentare l’ascesa sociale, entrare a far parte della nobiltà, e ritiene di poterlo fare solo attraverso il matrimonio. Ecco perché rinuncia all’affetto di Diodata, una serva che gli è fedele e che lo ama in maniera sincera, con cui lui ha avuto una relazione e dei figli, e decide di sposare Bianca Trao, una donna che appartiene ad una nobiltà in decadenza. Bianca Trao è una donna che nessun’altro sarebbe disposto a sposare perché si è scoperto, durante un incendio nel palazzo paterno, che aveva una relazione con il cugino, Ninì Rubiera. Poiché ha avuto un amante prima del matrimonio, nessuno sarebbe disposto a sposarla, motivo per cui Bianca Trao accetta di sposare Gesualdo, pur non essendo innamorata di lui. Gesualdo inoltre non viene neanche accettato dalla famiglia di Bianca Trao a causa delle sue umili origini. Durante la propria vita Gesualdo non riceve l’affetto sincero di Bianca Trao, né quello di Isabella, che egli crede essere sua figlia, ma che in realtà era stata già concepita durante quella relazione che aveva preceduto il matrimonio. Gesualdo fa di tutto per dare a sua figlia la vita migliore che possa avere: la fa andare in collegio per darle un’educazione e un’istruzione, ma la ragazza, proprio nel periodo in cui si trova al collegio, stringe una relazione con il cugino Corrado La Gurna. Mastro don Gesualdo costringe la figlia ad interrompere la relazione, perché vuole farla sposare con un uomo nobile, ovvero con il duca di Leyra. Il duca di Leyra è un uomo molto più grande di Isabella che non è innamorato di lei, ma accetta perché sa che erediterà il patrimonio paterno, particolarmente ricco e ingente. I due dunque si sposano. Nel romanzo si susseguono diversi avvenimenti: Bianca Trao muore e verso la fine del romanzo anche Mastro don Gesualdo, ormai anziano, si ammala di un cancro allo stomaco. Il genero e la figlia lo invitano a trascorrere il periodo della malattia nel loro palazzo di Palermo. Mastro don Gesualdo vi si reca, ma si sente un estraneo: egli infatti, che è anziano e malato, vive un periodo di debolezza, di fragilità, e quindi sente fortemente il bisogno di affetti sinceri. Vorrebbe l’affetto del genero ma, soprattutto, quello di sua figlia. In realtà non ottiene quello di nessuno dei due: il genero è solo interessato all’eredità e la figlia serba un rancore per quella relazione che egli l’ha costretta ad interrompere e per il suo matrimonio infelice, rancore che cela dietro le buone maniere, l’educazione e i modi garbati che ha imparato in collegio. Don Gesualdo muore in solitudine. Il primo che si accorge che Mastro don Gesualdo è morto è un servo che era stato messo nella camera accanto, proprio per badare al malato. Nel momento in cui egli emette l’ultimo respiro, vicino al suo capezzale non c’è nessuno. Non c’è sua figlia che egli avrebbe desiderato avere accanto. Muore da solo tra le chiacchiere malevole dei servi. Bianca Trao non rivela che Isabella non è figlia di Mastro don Gesualdo, dunque Mastro don Gesualdo muore con il sospetto che lei non sia sua figlia, ma non ne ha la certezza. Cfrto a “Maso-d Gesualdo” e “I Malavoglia” t l l l Se facciamo un confronto tra i due romanzi di Verga, “I Malavoglia” e “Mastro Don Gesualdo”, possiamo sicuramente dire che “I Malavoglia” sono un romanzo corale, nel senso che non c’è un protagonista che spicchi nelle vicende, ma ci sono tutta una serie di personaggi che contribuiscono più o meno allo stesso modo, allo svolgimento delle vicende. Questo non succede nel “Mastro don Gesualdo”. Nel “Mastro don Gesualdo”, infatti, abbiamo un protagonista, Gesualdo Motta, e tutta una serie di altri personaggi che rimangono sullo sfondo, sono personaggi secondari. È chiaro che a questa centralità dell’eroe, vanno ad adeguarsi le tecniche e i procedimenti narrativi di Verga. Infatti, anche in questo caso, le vicende vengono raccontate da una voce narrante che si esprime in terza persona. Non è Mastro don Gesualdo che parla in prima persona di sé e dei suoi eventi, ma c’è un’altra voce anonima, interna al mondo narrato, che racconta le vicende. Questa lo fa assumendo quasi sempre il punto di vista di Gesualdo Motta e solo di tanto in tanto viene centrato su altri personaggi. I pensieri di Mastro don Gesualdo vengono riportati sempre secondo la tecnica del discorso indiretto libero. Ne “I Malavoglia” Verga crea una contrapposizione tra quelli che egli considera dei valori nobili, ideali, che attribuisce ad un mondo arcaico e che va a rappresentare attraverso la famiglia Malavoglia e quelli che sono i meccanismi spietati che sono alla base della lotta della vita, rappresentati dagli abitanti di Aci Trezza. Nel “Mastro don Gesualdo” questa contrapposizione si interiorizza e si verifica all’interno del protagonista. Mastro don Gesualdo da una parte sente il bisogno di migliorare la propria condizione economica e sociale e fa tutto il possibile per riuscire a raggiungere i suoi scopi, ma dall’altra parte avverte il bisogno anche di valori come l’affetto, soprattutto nella seconda parte della sua vita. Egli cerca in tutti i modi di ottenere l’affetto della figlia e di avere un dialogo con lei, ma finisce per morire in solitudine. Questo significa che se Mastro don Gesualdo è un vincitore dal punto di vista economico, è uno sconfitto dal punto di vista affettivo. Ma questa sconfitta deriva fondamentalmente dall’atteggiamento che egli ha assunto: pur di tentare la scalata sociale, egli ha sacrificato i veri affetti della sua vita. Aveva una donna, una serva che lo amava in maniera sincera, da cui aveva avuto dei figli che erano suoi figli legittimi. Ha rinunciato all’amore di Diodata, ad essere un padre per i suoi figli, proprio perché voleva sposare una donna nobile. In questo senso è stato sconfitto: quando capisce di avere bisogno di affetto, comprende che non ha nessuno che gli voglia bene e che le persone che gli stanno attorno sono solo interessate a ciò che lui ha guadagnato in tutta la sua vita. Verga, per mantenersi fedele ai principi della impersonalità della narrazione, non può esprimere dei giudizi personali. Infatti nel romanzo non abbiamo mai un giudizio personale sul protagonista, però il lettore riesce a percepire e comprendere quale sia il punto di vista di Verga. Verga da una parte prova ammirazione per lo sforzo che Mastro don Gesualdo ha portato avanti per tutta la sua vita, uno sforzo finalizzato a raggiungere obiettivi sempre più elevati, per poi mostrare l’altro risvolto della vicenda. Egli lo giudica anche in maniera negativa per aver sacrificato gli affetti alla roba, al denaro. La morte di Gesualdo Mastro don Gesualdo muore solo, abbandonato da tutti. Il brano può essere diviso in alcune sequenze: • La visita dei medici che si consultano sull’andamento della malattia e constatano che per Don Gesualdo non c’è più nulla da fare; • La reazione di Don Gesualdo al responso medico; • Don Gesualdo si chiude in sé stesso e non vuole parlare con nessuno; • Il dialogo con la figlia Isabella a cui dà raccomandazione a proposito delle proprietà che lascerà da morto. Dopo qualche momento iniziale di commozione e di tenerezza, Don Gesualdo si rende conto che ogni contatto con la figlia è impossibile. • L’agonia e la morte del protagonista nella più totale solitudine e la reazione di indifferenza di tutta la servitù; • Il consulto medico e la reazione di Mastro Don Gesualdo. Il testo inizia con il consulto dei medici: dalle loro parole, pronunciate sottovoce, si capisce che ormai non esiste più alcun rimedio. Mastro Don Gesualdo capisce che ormai è giunto il momento di dettare le ultime volontà. Pensa subito alle sue proprietà e sollecita il genero affinché faccia venire un notaio per poter fare testamento. La figlia Isabella non fa che piangere e il genero cerca di calmarlo dicendo che la sua volontà sarà fatta, ma che per il momento non c’è nessuna urgenza. Da allora in poi, Don Gesualdo si fa taciturno e si chiude in un mutismo più completo, tutto preso dai suoi pensieri, convinto anche che la figlia gli dimostri affetto solo perché teme che nel testamento il padre non le voglia lasciare nulla. In seguito, l’uomo chiama al suo capezzale la figlia; dopo qualche istante di commozione, egli passa in rassegna le sue proprietà di cui è tanto orgoglioso perché avevano sempre dato tanti frutti; raccomanda alla figlia di proteggere tutti questi averi e soprattutto di non cederli mai a nessuno. Nel ricordare i poderi, Don Gesualdo si commuove e inizia piangere. Vedendo che tra lui e la figlia è come se ci fosse un muro, è impossibile comunicare, Gesualdo chiede l’intervento di un prete per fornirgli l’estrema unzione. Nei giorni successivi, l’uomo alterna momenti di miglioramento ad altri di peggioramento, finché non arriva il momento dell’agonia e una notte la situazione si aggrava notevolmente. Il servitore che dorme nella sua stessa camera per assisterlo, fa finta di non udire il respiro del vecchio che si fa sempre più affannoso. Mastro Don Gesualdo gli chiede di far venire la figlia, il servitore gli risponde che va a chiamarla, ma in realtà si infila di nuovo a letto e nemmeno questo suo estremo desiderio viene esaudito. Un ultimo rantolo, il respiro sempre più corto e gli occhi fissi e sbarrati indicano che l’agonia è ormai finita e che l’uomo è morto. La morte di don Gesualdo non crea dispiacere nella servitù ed ognuno continua come se nulla fosse a badare alle proprie faccende. Qualche cameriere e la guardarobiera si affacciano nella camera del morto, solo per curiosità e alcuni si lasciano andare a dei commenti poco rispettosi. Il testo ci fa capire come la vita di Don Gesualdo sia stata un fallimento completo su due piani: sul piano affettivo e sul piano delle ricchezze personali accumulate con tanti anni di dura fatica. • Con la figlia non riesce a comunicare; • Durante la sua vita, l’uomo ha accumulato tante ricchezze ma tutto questo, al momento della morte, non serve a nulla. Va dei campi Dopo il successo di Nedda, Verga ricevette molte richieste di racconti da parte degli editori. Così, Verga iniziò contemporaneamente a lavorare sui racconti destinati a “Vita dei campi” e sul romanzo “I Malavoglia” Gli 8 racconti furono composti tra il 1878 e il 1880 e uscirono su diverse riviste, prima di essere raccolti nel volume “Vita dei campi”, e stampati dall’editore Emilio Treves. Dopo la prima stampa, Verga sottopose le novelle ad una profonda e attenta revisione lessicale, così da eliminare le imprecisioni. Il libro riscosse interesse e apprezzamento anche grazie a una recensione fatta da Luigi Capuana sul “Corriere della Sera”. Proseguendo sulla scia di Nedda, Verga assume definitivamente come argomento della propria narrativa i ceti sociali più bassi. Nel primo testo Fantasticheria, che narra il ritorno dell’autore in Sicilia e il desiderio di raccontare come si svolge la vita tra la povera gente, Verga usa la tecnica dell’intervista cioè decide di andare in mezzo alla gente e intervistarle, infatti le storie che racconterà saranno veritiere. Tra le novelle con una trama “amore-passione” con una conclusione drammatica o violenta troviamo: - Cavalleria rusticana: Alfio sfida a duello e uccide Turiddu, poiché egli ha osato riavvicinarsi a Lola, ora sua moglie ma già amante di Turiddu; - La lupa: la protagonista è una donna molto affascinante che si concede a diversi amanti, finché il genero per liberarsi del suo malefico carisma, la uccide; - L’amante di gramigna: la protagonista Peppa si trasforma in “lupa” assecondando l’istinto che la porta ad amare un bandito, Gramigna (chiamato così dal nome di un’erbaccia), e a seguirlo anche dopo la cattura e la prigionia; Infine, tra i pochi racconti rimasti, c’è Rosso Malpelo. Il protagonista è un giovane minatore che si perde nella miniera per seguire il fantasma del padre defunto. Rosso Malpelo Rosso Malpelo è la storia di un ragazzo orfano, povero e ignorante, abbruttito dal lavoro pesante, maltrattato dai compagni e dal padrone a cui nessuno concede affetto e comprensione. Rosso Malpelo veniva chiamato così per i suoi capelli rossi, che a quei tempi rappresentavano un’indole malvagia e ribelle, il figlio del diavolo. La sua famiglia non era molto affettuosa nei suoi confronti, infatti il padre lo chiamava “bestia”. Rosso Malpelo lavorava in una cava di sabbia, lo stesso luogo dove suo padre, Mastro Misciu, lavorando era morto colpito da un pilastro che gli cadette addosso. Fu Malpelo a trovare il corpo del padre. Dopo la sua morte, il comportamento di Rosso Malpelo peggiorò sempre di più; era crudele e ribelle, infatti per ogni cosa che accadeva nella cava davano la colpa a lui. Un giorno arrivò alla cava Ranocchio (chiamato così perché era zoppo e quindi il suo modo di camminare ricordava una rana). Malpelo tormentava continuamente Ranocchio alcune volte anche picchiandolo, poiché voleva che si abituasse fin da subito alla vita che si viveva nella cava. Malpelo paragonava spesso Ranocchio a un asino. Nei confronti di Ranocchio Malpelo ha un atteggiamento un po' ambiguo perché se da una parte lo maltratta, lo picchia, si rivolge a lui in maniera brusca se non addirittura violenta; dall'altra lo aiuta, gli cede parte del suo pranzo, cerca di svolgere al posto suo le mansioni più dure. Ranocchio era anche fortunato poiché lavorava sui ponti in mezzo al cielo azzurro, mentre Malpelo svolgeva lo stesso lavoro del padre. Non aveva paura a lavorare sotto terra, infatti fin da bambino era stato lì sotto affianco al padre, e adesso lavorava con le sue stesse attrezzature: piccone e zappa. Ranocchio e Malpelo erano molto diversi tra loro: Ranocchio aveva paura di tutto, era debole, infatti Malpelo lo prendeva in giro dicendo che portava la “gonnella”; mentre Malpelo si sente superiore, lui non aveva paura di niente. Infatti il suo capo, lo mandava sempre nei punti più oscuri e lontani della cava, poiché non aveva niente da perdere. Con il passare del tempo Ranocchio si ammalò a causa dell’aria malsana della cava e dopo qualche giorno Malpelo scoprì che il suo amico era morto. Poco dopo, anche Malpelo morì; gli venne chiesto di esplorare un passaggio molto pericoloso dove era molto probabile smarrirsi e non tornare più. Ovviamente nessun padre di famiglia voleva avventurarsi lì, per questo fu scelto Malpelo, proprio perché non aveva più nulla da perdere. Purtroppo non tornò più indietro lasciando ai ragazzi rimasti la paura che il suo fantasma si aggiri per la cava “coi capelli rossi e gli occhiacci grigi”. E anche dopo la sua morte, Rosso Malpelo era ancora considerato figlio del diavolo. La Lupa Nel villaggio dove viveva ‘gna Pina, la chiamavano “la Lupa” perché ella non era mai sazia delle relazioni che aveva con gli uomini. A causa di questo suo vizio, le altre donne la temevano e la odiavano perché ella attirava con la sua bellezza i loro mariti e i loro figli anche solo guardandoli. Di ciò soffriva la figlia, Maricchia, che era emarginata per il comportamento della madre e nessuno la voleva in sposa. Un giorno la Lupa si innamorò di un giovane, Nanni, che mieteva il grano con lei, e lo guardava avidamente e lo seguiva; una sera gli dichiarò il suo amore ma lui rispose piuttosto che voleva in sposa Maricchia, interessato alla buona dote. La donna se ne andò via, ma si ripresentò a ottobre per la spremitura delle olive, offrendogli in sposa Maricchia . Nanni accettò, anche se la ragazza non ne voleva sapere di sposarlo, ma la madre la costrinse con le minacce. Maricchia diede dei figli a Nanni, così la Lupa aveva deciso di non farsi più vedere, anche perché lavorava molto durante la giornata. Un pomeriggio caldo, però, svegliò Nanni che dormiva in un fosso e gli offrì del vino, ma egli la pregò di andarsene via, ma lei tornò altre volte incurante dei divieti di Nanni dando il via ad una relazione incestuosa. Maricchia era disperata e accusava al madre di volerle rubare il marito e andò anche dal brigadiere e Nanni lo supplicò di metterlo in prigione pur di non rivedere la Lupa, ma ella non lo lasciava in pace. Una volta Nanni prese un calcio al petto da un asino e stava sul punto di morire, il prete si rifiutò di confessarlo se la Lupa fosse stata là, ella se ne andò ma, visto che Nanni sopravvisse ella continuò a tormentarlo e lui alla fine la minacciò di ucciderla. La Lupa gli si presentò ancora davanti e Nanni la uccise, senza che lei opponesse resistenza. “La Lupa” rappresenta una novella contenuta nella raccolta Vita dei campi, in realtà però venne pubblicata già prima nel 1880 sulla “Rivista italiana di scienze, lettere ed arti”. In questa raccolta, Verga descrive il mondo rurale e la scelta di avere come protagonisti i contadini, i minatori e più in generale, gli uomini della campagna siciliana. La trama si focalizza sul personaggio di una contadina che viene descritta come una vera e propria “femme fatale” con un insaziabile desiderio per gli uomini, denominata in paese "La Lupa" proprio per il suo vizio di sedurli voracemente. La protagonista viene infatti descritta con il rosso dei papaveri e gli occhi neri, colori che rappresentano il sangue e la morte oppure la passione. È la mentalità popolare a prevalere nei testi di Verga, infatti lui usa la tecnica della regressione, per cui l'autore si mimetizza nei personaggi stessi, adotta il loro mondo di pensare e lo mette su carta. Dal punto di vista narrativo, Verga presenta subito i personaggi con pochissime parole: La Lupa infatti, veniva descritta come “alta, magra, con un seno vigoroso” […] Di fronte al “nuovo” che avanza abbiamo 2 possibili reazioni: - La fedeltà verso la tradizione rappresentata da Padron ‘Ntoni; - La ribellione rappresenta da Zio Crocifisso e dal giovane ‘Ntoni (nipote di Padron ‘Ntoni). Padron ‘Ntoni sa che “il mondo va così e non dobbiamo lagnarcene”, sa che “bisogna vivere come siamo nati”. Il suo, è l’ideale dell’ostrica, cioè “finché l’ostrica rimane attaccata allo scoglio va tutto bene, ma se si stacca la marea la porta via e muore”, come dire che chi appartiene alle fasce sociali più deboli resta attaccato alla famiglia, alle tradizioni riesce a sopravvivere, ma se “si stacca” da questi valori, c’è il rischio che il “mondo” lo divori. E sarà il giovane ‘Ntoni a “staccarsi” e fuggire in cerca di fortuna e nuove esperienze. Il significato generale del romanzo illustra “il vago desiderio dell’ignoto” cioè l’accorgersi che non si sta bene o che si potrebbe stare meglio. Ovviamente, l’esito di tutto questo è tragico rappresentato dal perfetto pessimismo verghiano. La spimentazie linguisca di Vgai t i li i i Sul piano narrativo, il romanzo di Verga è caratterizzato soprattutto per la novità del linguaggio. La lingua dei Malavoglia non è il dialetto siciliano, ma una sorta di “italiano dialettizzato”. Cioè una lingua che in realtà non esiste, ed è stata scritta dallo stesso Verga. Essa rappresenta al 100% la vita popolare: i proverbi, i modi di dire, ecc… In particolare Verga utilizza il discorso indiretto libero, una tecnica già utilizzata dai romanzieri dell’800 ma mai in maniera così precisa come fa Verga. Egli infatti, fa parlare i personaggi senza introdurli e senza riferire quello che dicono. In questo modo, Verga annulla completamente la distanza che lo separa dai personaggi. Vengono riprodotte le frasi esattamente come escono dalla bocca di chi parla. Utilizzando questa tecnica, Verga tiene fede all’oggettività, infatti possiamo dire che è l’aspetto corale il vero protagonista-narratore del romanzo. Tuttavia il narratore non scompare mai completamente, egli indossa di volta in volta la maschera del personaggio che gli interessa, assumendo i pensieri e le parole del personaggio stesso. Sta e ama In questo romanzo viene presentata la famiglia Toscano chiamata da tutti “I Malavoglia” perché un loro antenato non era un gran lavoratore e quindi gli è rimasto questo soprannome addosso nonostante loro fossero dei gran lavoratori. La famiglia dei Malavoglia è una famiglia patriarcale cioè caratterizzata dal patriarca, il più anziano cioè il nonno, famiglia ancora legata ai valori. È formata da Padron ‘Ntoni il nonno, il figlio Bastianazzo e la moglie Maruzza detta “la Longa” e i 5 nipoti: giovane ‘Ntoni, Luca, Lia, Alessi e Mena. Tutti abitano nella “casa del nespolo” chiamata così per l’albero che le cresceva accanto, e sono pescatori. Successivamente il giovane ‘Ntoni, il maggiore, parte soldato e questo lascerà la famiglia senza una forza lavoro. Ciò spinge Padron ‘Ntoni a decidere di prendere a credito, presso lo Zio Crocifisso, l’usuraio del paese e tramite l’aiuto di Piedipapera, un carico di lupini da mandare con Bastianazzo sulla loro barca “La Provvidenza” (*omaggio a Manzoni che è stato il primo a parlare degli umili ne “I Promessi Sposi”) per venderli. Ma la partenza della nave scatena una serie di chiacchiere del paese, e così Verga ci presenta gli altri personaggi e inquadra un po’ la situazione. Ai Malavoglia la vendita del carico dei lupini frutterà abbastanza soldi per far sì che Mena possa sposarsi con Brasi Cipolla che è una delle persone più ricche e benestanti del villaggio. In realtà però Mena non è contenta di questo, perché lei è innamorata di Alfio Mosca. Purtroppo però una tempesta “manda in fumo” tutti i piani dei Malavoglia; “La Provvidenza” affonda e Bestianazzo muore. Tutto il racconto di questa grande disgrazia dei Malavoglia viene fatto da Verga tramite i commenti dei personaggi del villaggio, quindi c’è un vero e proprio “coro popolare” che ci racconta questa storia. Quindi, nel frattempo c’è la commemorazione di Bastianazzo e il giovane ‘Ntoni ritorna a casa dalla leva militare e al suo posto parte suo fratello Luca. Intanto la barca, “La Provvidenza”, viene ritrovata è messa apposto. I Malavoglia, che sono dei grandi lavoratori, iniziano quindi a lavorare duramente per poter ripagare il prestito ricevuto, ma le cose non sono così semplici… Infatti, lo Zio Crocifisso dice che qualora il prestito non venisse restituito, lui si impossesserebbe sia della barca che della “casa del Nespolo”. In realtà però Zio Crocifisso finge di passare il credito a compare Piedipapera perché ha paura del giudizio delle persone del villaggio. Così, I Malavoglia si rivolgono ad un avvocato, il quale spiega loro che non essendoci nessuna carta che testimonia il prestito, Zio Crocifisso non può pretendere nulla da Padron ‘Ntoni e tralaltro “la casa del Nespolo” appartiene a Maruzza (la Longa), alla sua dote che ha portato nella famiglia quindi non può essere minimamente toccata. Ma siccome Padron ‘Ntoni ha dato la sua parola d’onore, farà di tutto per ripagare il debito fino all’ultima moneta. In realtà però, la Longa viene poi ingannata da don Silvestro e rinuncia alla propria dote. Ciononostante il tempo passa, i Malavoglia continuano a lavorare e le cose sembrano andare meglio: il prestito sta per essere del tutto ripagato e quindi Mena potrà sposarsi anche se lei non è contenta di questo visto che è innamorata di Alfio Mosca. Finalmente arriva il giorno del matrimonio di Mena che però viene interrotto da una brutta notizia: Luca è morto in battaglia. Questo avvenimento apre ai Malavoglia un nuovo capitolo di disgrazia. La famiglia infatti, è costretta a cedere “La casa del Nespolo” visto che il matrimonio è stato annullato, e anche la situazione sentimentale di ‘Ntoni peggiora visto che Barbara Zuppidda, la ragazza che gli piaceva, non ricambia. Nel frattempo i Malavoglia non si danno per vinti. Continuano a lavorare nella speranza di poter riacquistare la casa e ripagare definitivamente il loro debito. Un giorno però, mentre Padron ‘Ntoni e Alessi sono in mare con “la Provvidenza” li coglie all’improvviso una tempesta e Padron ‘Ntoni rimane ferito alla testa ma riesce a guarire. A questo punto, anche la barca viene ceduta e i Malavoglia decidono che lavoreranno sulle navi di Cipolla cercando sempre e comunque di ripagare il loro debito. L’unico che inizia a dare segni di cedimento è il giovane ‘Ntoni che vorrebbe partire, ma “la longa” cerca di fargli cambiare idea e all’inizio ci riesce, solo che poi “la longa” si ammala di colera e muore. Quindi ‘Ntoni è libero di partire, è il primo che decide di andare in cerca di avventura contro l’ignoto, il primo che si ribella alla famiglia. Poco dopo ‘Ntoni ritorna senza aver fatto alcuna fortuna anzi la sua vita aveva preso una piega peggiore: infatti passa molto tempo nell’osteria della Santuzza, con cui ‘Ntoni ha anche una relazione. Nel frattempo Lia è cresciuta, è diventata una bella ragazza e il brigadiere don Michele si è innamorato di lei. Così don Michele inizia a frequentare più spesso la casa dei Malavoglia, e durante le sue visite informa Mena di un pericolo: ‘Ntoni non solo stava avendo una relazione con Santuzza (ex amante di don Michele) ma si era dato anche al contrabbando. Il testo è formato da 15 capitoli. Poco dopo infatti durante uno scontro con la polizia, ‘Ntoni pugnala don Michele al cuore fortunatamente non uccidendolo. N’toni viene però arrestato e a quel punto Padron ‘Ntoni, per provare a salvarlo, spende tutti i suoi risparmi per pagargli un avvocato. Adesso però possiamo dire che i Malavoglia sono di nuovo in crisi: perché se da una parte ‘Ntoni riesce a salvarsi facendo solo pochi anni di carcere, dall’altra per salvarlo viene detto che lui non ha ferito don Michele per via del contrabbando ma perché c’era una lite dovuta al fatto che don Michele avesse una relazione d’amore illecita con Lia. Lia non si riprenderà mai dalla vergogna di questa cosa è scapperà a Catania dove farà la prostituita e non tornerà più indietro. Così il nucleo familiare dei Malavoglia si fa sempre più piccolo. Gli anni passano, la famiglia continua a lavorare per poter finalmente riacquistare la “casa del Nespolo”, Padron ‘Ntoni è malato e viene assistito solo da Mena e Alessi, che non vogliono che muoia da solo in ospedale. Per i siciliani, a quei tempi, morire in ospedale era un disonore, voleva dire che a nessuno importava di te. Padron ‘Ntoni però decide di non pesare su questi due ragazzi che si stanno prendendo cura di lui e quindi chiede ad Alfio Mosca di portarlo in ospedale. Successivamente Alessi si sposa e dopo tanti sacrifici finalmente riesce a riacquistare la “casa del Nespolo”. A questo punto, Alfio Mosca chiede a Mena di sposarlo, la ragazza però rifiuta dicendo che ormai era troppo vecchia perché aveva ben 26 anni e che la vicenda della povera Lia aveva gettato già abbastanza disonore sulla famiglia e quindi preferisce non sposarsi. E quando finalmente ‘Ntoni una volta uscito dal carcere tornerà alla casa del Nespolo, Alessi dopo un lungo momento di silenzio e turbamento gli chiederà di rimanere ma ‘Ntoni rifiuterà. Arriviamo quindi al momento dell’ultimo addio di ‘Ntoni al proprio mondo e al proprio passato. Rimasto solo nella notte, si trattiene fino all’alba. Mentre tutti gli abitanti sono chiusi nell’intimità delle proprie case, egli si trova solo nelle piazza scura e deserta seduto sul muricciòlo a pensare a tutta la sua storia prima di un nuovo inizio. Temi La famiglia: simboleggiata dal Nespolo; L’ideale dell’ostrica: quando la famiglia resta unita va tutto bene, ma da quando la barca affonda iniziano tutti a separarsi; Elementi dei Malavoglia 1º: il mare: “il mare dà, il mare toglie”. Essendo dei pescatori il mare è un elemento fondamentale dei Malavoglia perché dà la pesca, e dipende proprio da questo elemento il profitto dei Malavoglia perché se il mare è in tempesta non si può fare nulla; 2º: l’etna; È come se questi elementi naturali incombessero sempre sui personaggi. Per Verga sono molto importanti questi elementi perché sottolineano la fatalità (il mare e l’etna). Deus ex machina (quando inizia l’azione): - Il nonno decide di fare un investimento: acquistare dei lupini. Nella storia della letteratura italiana, il Verismo è riuscito a rinnovare i temi del linguaggio: promuovendo una semplicità d’espressione, temi più concreti e personaggi tratti dalla vita quotidiana Gli scrittori adottarono quindi, uno stile narrativo più vicino al parlato e generi nuovi come il “bozzetto”, cioè una novella che coglie la verità del personaggio nel suo ambiente di vita. Un difetto dei veristi italiani fu però la caduta nel tono paternalistico, cioè un tono di superiorità senza una vera comprensione fino in fondo degli avvenimenti. Da questo seppero tenersi lo tanto solo gli scrittori maggiori, in particolare Verga. Cfrto a “I pressi sposi” e “I Malavoglia” Manzoni VergaDeterminazione del tempo C’è una data precisa 7 Novembre 1628 C’è una data precisa Nel dicembre 1863 Romanzo storico Romanzo storico Determinazione del luogo L’ambiente esterno viene descritto dettagliatamente “Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno”… Dell’ambiente esterno si parla come se il lettore lo conoscesse già. Non viene descritto in modo dettagliato Il racconto si svolge in una precisa cornice geografica I lettori comprendono man mano dove si svolge il racconto Ritratto dei personaggi Vengono descritti in modo oggettivo Il narratore racconta il passato e il carattere del personaggio Vengono descritti dall’aspetto corale I fatti sono sempre raccontati con pareri e giudizi della gente Funzione del narratore Narratore onnisciente (il narratore sa tutto fin dall’inizio) Fornisce ai lettori informazioni su personaggi, luoghi e fatti Procede nella narrazione con commenti e giudizi Narratore popolare (la voce del popolo) Non fornisce informazioni o chiarimenti su personaggi, luoghi e fatti. Si confonde tra i personaggi assumendo il loro punto di vista “La Provvidenza” Occhio benevolo di Dio che guarda gli umili garantendo loro un posto in Paradiso Il nome della barca
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