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Verga - Tutto quello che devi sapere, Dispense di Italiano

Verga: vita, l'ideologia e la poetica, Rosso Malpelo, Il pastore Jeli, Fantasticheria, Il ciclo dei Vinti, Darwin e il verismo, I Malavoglia (Testi: Il mondo arcaico e l’irruzione della storia Capitolo I, I Malavoglia e la comunità del villaggio: valori ideali e interesse economico Capitolo IV, I Malavoglia e la dimensione economica Capitolo VII, La conclusione del romanzo: l’addio al mondo pre-moderno Capitolo XV), Novelle rusticane (La Roba, Libertà), Mastro don Gesualdo e testi, La lupa

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 18/06/2021

sara.la.greca
sara.la.greca 🇮🇹

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Scarica Verga - Tutto quello che devi sapere e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! Verga Vita Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840, figlio di un proprietario terriero piuttosto agiato. Studia privatamente nella prima parte della sua vita giovanile, in particolare presso il maestro Antonio Abate, dal quale assorbe il fervente patriottismo (era sostenitore della spedizione dei mille e aveva sperato nel progresso del Sud Italia e nella repubblica) e il gusto letterario romantico. A diciotto anni si iscrive alla Facoltà di Legge a Catania, ma non si laureerà mai. Si appassiona infatti al giornalismo politico e alla letteratura moderna. Inizia a leggere soprattutto gli scrittori francesi moderni, piuttosto che i classici italiani e latini. Nel 1865 Verga lascia la provincia e si reca per la prima volta a Firenze, dove soggiornerà a lungo a partire dal 1869 per liberarsi dai limiti della sua cultura provinciale e per venire in contatto con la vera società letteraria italiana. Nel 1872 si trasferisce a Milano, che allora era il centro culturale più vivo e più aperto alle sollecitazioni europee. Qui entra a contatto con i circoli letterari del tempo, tra cui Gli Scapigliati, che lo introducono ad un nuovo tipo di letteratura, non più di ambientazione alto-borghese, ma che sia focalizzata anche alle classi sociali più basse. La borghesia ha fame di cultura, ma ciò che veniva letto era letteratura di facile consumo. Le prime prove di Verga si muovono in questa dimensione, ma si percepisce che c’è qualcosa di diverso. Scrive alcuni romanzi: Eva, Eros e Tigre reale, che vengono definiti esempi di “realismo”, di analisi ardita di piaghe psicologiche e sociali. In realtà questi romanzi si iscrivono in un clima ancora tardo-romantico, utilizzano un linguaggio enfatico ed emotivo e sono ben lontani dal Naturalismo francese. Nonostante si sia trasferito a Milano, torna frequentemente in Sicilia e la confronta con ciò che ha visto nel resto d’Italia. Inizia a scrivere opere veriste con Nedda, un bozzetto di ambiente siciliano del 1874. È la storia di una raccoglitrice di olive siciliana. La madre muore di malaria, lei rimane incinta, ma non è sposata. Infine anche lei muore di malaria. Descrive lo sfruttamento della manodopera a basso costo, la situazione di scarsa tutela igienico-sanitaria: le piane siciliane erano infestate dalla malaria, endemica, non curata. Con questa novella, Verga approda al verismo. Si parla di una “conversione”, che si manifesta appieno nel 1878 con la pubblicazione di Rosso Malpelo. Nel 1880 viene pubblicata la raccolta di novella Vita dei campi, in cui sono inserite Nedda, Rosso Malpelo, Fantasticheria, Jeli il pastore, La lupa, L’amante di Gramigna, ossia novelle su cui Verga forma la sua poetica e il suo verismo. Nel 1881 pubblica il primo romanzo del ciclo dei Vinti, I Malavoglia, nel 1883 le Novelle rusticane e Per le vie, nel 1884 il dramma Cavalleria rusticana, nel 1887 le novelle di Vagabondaggio, nel 1889 il secondo volume del ciclo dei Vinti, Mastro don Gesualdo. Negli anni successivi Verga lavora al terzo volume dei Vinti, La duchessa di Leyra, ma senza riuscire a portarlo a termine. Nel 1893 torna in Sicilia, a Catania e a partire dal 1903 Verga si chiude in un silenzio pressoché totale. Le sue posizioni politiche si fanno sempre più chiuse e conservatrici. Durante la Prima guerra mondiale è fervente interventista e nel dopoguerra si schiera sulle posizioni dei nazionalisti. Muore nel gennaio del 1922. La svolta verista Con la pubblicazione di Rosso Malpelo, avviene la “conversione” verista: si discosta dalla materia e dal linguaggio della narrativa anteriore, dagli ambienti mondani, le passioni raffinate e artificiose, il soggettivismo esasperato e melodrammatico per spostarsi verso personaggi più popolari, un linguaggio nudo e scabro che riproduca il modo di raccontare popolare e verso al principio dell’impersonalità. Già nel 1874, con Nedda, Verga introduce alcune caratteristiche veriste, che si possono riscontrare in parte anche nei romanzi Eva, Eros e Tigre reale, in quanto l’autore si proponeva di rappresentare il vero. Ma Verga non possedeva gli strumenti necessari per approdare allo stile verista. La svolta avviene infatti solo dopo la progressiva chiarificazione di propositi già radicati e la conquista di strumenti concettuali e stilistici più maturi quali la concezione materialistica della realtà e l’impersonalità. Inoltre con la conquista del metodo verista Verga non vuole abbandonare gli ambienti dell'alta società per dedicarsi esclusivamente a quelli popolari, ma decide di iniziare lo studio dei meccanismi della società a partire dalle sfere più basse. Egli infatti ritiene che in esse i meccanismi siano meno complessi e possano essere individuati più facilmente. Poetica e tecnica narrativa del Verga verista Secondo la visione di Verga la rappresentazione artistica deve conferire ad un racconto l'impronta di cosa sia realmente accaduto. Non basta che ciò che viene raccontato sia reale e documentato, ma deve essere anche raccontato in modo da porre il lettore “faccia a faccia col fatto nudo e schietto”, in modo che non abbia l'impressione di vederla attraverso la lente dello scrittore. Lo scrittore deve infatti eclissarsi e mettersi nella pelle dei suoi personaggi in modo che sembri che l’opera si sia fatta da sé. Il lettore avrà quindi l'impressione di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. Proprio per questo deve essere introdotto nel mezzo degli avvenimenti, senza che gli siano spiegati gli antefatti e che gli sia tracciato un profilo dei personaggi. I personaggi si fanno infatti conoscere attraverso le loro azioni e le loro parole. Solo in questo modo si può eliminare ogni artificiosità letteraria e si può avere l'illusione completa della realtà. Alla base del verismo di Verga vi è il concetto di impersonalità: l'autore si eclissa per calarsi nella pelle dei personaggi, vedere le cose coi loro occhi ed esprimerle con le loro parole. Infatti non è il narratore onnisciente a raccontare i fatti, ma la voce narrante si colloca all'interno del mondo rappresentato ed è allo stesso livello dei personaggi. Il punto di vista dello scrittore non ti avverte mai, come se a raccontare fosse uno dei personaggi che rimane anonimo. Negli ambienti popolari e rurali, in cui vi sono personaggi incolti e primitivi, la storia viene narrata con una visione e un linguaggio diversi da quelli dello scrittore borghese, la voce narrante commenta e giudica i fatti in base alla visione elementare e rozza della collettività popolare, che non riesce a cogliere le motivazioni psicologiche autentiche delle azioni e deforma straniamento, cioè il sentirsi estranei e chiamati fuori proprio da questo giudizio così discriminante e così denso di superstizione. La novità di questa novella è l’introduzione del narratore anonimo. Verga non interviene per smentire i giudizi popolari ma lascia che siano i fatti a parlare, lo racconta in modo tale che l’opera sembri fatta da sola. Rispetto alla poetica del naturalismo è un’opera diversa perché non c’è un desiderio di analizzare Rosso Malpelo attraverso le leggi dell'ereditarietà. Il verismo pensava che il comportamento degli esseri umani fosse condizionato da una legge dell’ereditarietà, una sorta di meccanicismo. Questo porta un effetto di estraneità nel lettore perché la vicenda viene raccontata in modo scientifico e meccanicistico. Nell’opera di Verga invece percepiamo una profonda umanità di Rosso, non è freddo e rappresentato in modo scientifico, ma noi sentiamo la nostra partecipazione ai dolori di malpelo, al suo sfruttamento alle sue sofferenze, è un personaggio eroico, umano. Anche se è analfabeta, anche se appartiene ai dannati della terra, è un personaggio profondamente umano e saggio, non è ingenuo o primitivo. Questo lo cogliamo soprattutto nel rapporto con il padre e con Ranocchio. Con il padre ha un rapporto privilegiato, un profondo legame affettivo. Ce ne rendiamo conto quando viene dichiarata la morte del padre, quando Malpelo scava nella rena fino a scarnificarsi, e quando poi trattiene le sue cose (piccone, scarpe e pantaloni). Gli altri personaggi sono prettamente utilitaristici: i loro rapporti con Malpelo sono dovuti soltanto all’utilità: la madre e la sorella non si prendono cura di lui, ma lo sfruttano soltanto per il denaro che guadagna lavorando nella miniera. Questo sistema economico e sociale è costruito sull’utilitarismo. C’è un popolo degli sfruttati e un popolo degli sfruttatori, ma alla fine abbiamo la sensazione che gli sfruttati non abbiano la consapevolezza della propria condizione: non si ribellano, ma accettano la loro condizione come se fosse un destino inevitabile. L’unico ad avere coscienza di sé è Rosso Malpelo: ha il desiderio di svelare i meccanismi sociali perché vuole insegnare a Ranocchio come funzionano i rapporti di forza. Non esistono altri valori se non quelli dell’economicità, meglio capirlo fin da subito, imparare a prendere le “busse” da chi gli vuol bene. Rosso picchia Ranocchio perché lo vuole educare, perché deve imparare a capire come reagire alle violenze gratuite. Tutti sono sfruttati e sfruttatori, oppressi e oppressori. La miniera è il modello di un macrocosmo in cui vigono le stesse leggi di violenza, utilitarismo ed economicità. Rosso fa capire a Ranocchio quale deve essere il suo atteggiamento nei confronti degli altri. Rosso è una sorta di educatore perché ha capito come funzionano le leggi del mondo. Sembra però essere l’unico ad averne coscienza. Non si ribella, non c’è alternativa alla sua condizione di sfruttamento, perché l’unico a capirla (personaggio intellettuale). Ci aspetteremmo una condanna, ma non è così perché Verga non racconta una società in cui ci sia spazio per la ribellione e il cambiamento, è una denuncia senza possibilità di riscatto, solo una presa d’atto. Questo non è ciò che pensa solo Rosso Malpelo, ma è ciò che pensa Verga perché ha già preso coscienza di una profonda delusione post-unitaria. La delusione di Verga è molta, tanto che si chiuderà in una ideologia politica molto conservatrice. Rosso Malpelo sembra dichiarare la sua delusione così come Verga dichiara la sua consapevolezza che niente può cambiare, come dirà anche nel ciclo dei vinti. Il narratore si colloca allo stesso livello di Rosso Malpelo. Attraverso l’introduzione del narratore popolare, Verga vuole dare maggiore oggettività e veridicità. Vediamo svolgersi la vicenda così come la vedrebbe un personaggio inserito nella vicenda stessa. Vengono utilizzati il discorso diretto, quello indiretto e l’indiretto libero, che ricorre spesso nelle opere di Verga. Il discorso diretto indica con precisione le parole pronunciate dal personaggio. Attraverso il discorso indiretto libero vengono riportati i pensieri dei personaggi, ma non ci sono evidenze linguistiche. Riproduce le parole e i pensieri del personaggio senza farlo parlare in modo diretto. Viene utilizzato perché riesce ad entrare nel mondo del personaggio, a creare empatia pur rimanendo estraneo. Non fa parlare direttamente i personaggi, ma comunica i suoi pensieri in modo empatico. Lascia comunque la possibilità dell’analisi oggettiva. Il pastore Jeli Jeli è un giovane pastore che passa tutto il tempo pascolando i puledri del padrone nelle pianure e sui monti attorno a Tebiti. Lì intorno lo conoscono tutti e gli vogliono tutti bene, poiché è un ragazzo gentile e disponibile. Un giorno conosce e stringe amicizia con don Alfonso, detto il signorino perché figlio di un ricco signore che si trova lì in villeggiatura. Stanno spesso insieme ed entrambi invidiano qualcosa dell'altro: don Alfonso ama la vita all'aria aperta e vorrebbe poter fare quello che fa il giovane pastore, mentre a Jeli piacerebbe saper scrivere. Parlano spesso assieme e un giorno il pastorello dice al signorino di aver conosciuto tempo addietro una bella ragazza, Mara di massaro Agrippino, che abitava anch'ella a Tebiti. In quel periodo erano morti anche i genitori di Jeli, così Mara e lo sua famiglia lo avevano aiutato ad andare avanti. Poi però si erano spostati in valle a cercare fortuna e lei lo aveva dimenticato. Lui però pensa sempre a lei e ne è ancora innamorato. Arriva il giorno della festa di San Giovanni, in cui Jeli deve vendere i puledri del padrone. Durante il viaggio verso la valle però un cavallo scappa e cade in un burrone, rompendosi le reni. Giunge il fattore e vedendo che il cavallo è ormai carne da macello, lo uccide e consiglia al giovane pastore di non farsi più vedere dal suo padrone. Così Jeli va in città ad assistere ai festeggiamenti e vede anche Mara. Viene a sapere che questa ha intenzione di maritarsi con il figlio del ricco massaro Neri e ne ha conferma quando li vede ballare assieme. L'indomani viene aiutato da massaro Agrippino a trovare un lavoro: viene assunto come pecoraio alla Salonia ed in breve tempo impara bene il mestiere, tanto da prendere quasi quanto prendeva come pastore. Passa il tempo e "appena i baccelli delle fave cominciano a piegare il capo" Mara e la sua famiglia si recano alla Salonia per la raccolta. I due giovani si rincontrano e lei gli racconta che la sua famiglia ha perso tutto e che non ha più sposato il figlio di massaro Neri, poiché credeva che lei lo tradisse con don Alfonso. Dice inoltre che adesso che è così povera che nessuno la vuole più per moglie e così lui dice che "se la piglia volentieri". Dopo il matrimonio vanno a vivere assieme in una bella casa e Jeli lavora sodo tutte le settimane per non far mancare nulla alla sua amata. In paese tutti dicono che lei `se la intende' con don Alfonso alle sue spalle ma a lui "non gliene importa nulla,[...] e ci vive beato e contento nel vituperio" tanto che lo soprannominano "corna d'oro"; "non vuole crederci ancora, perché con don Alfonso erano sempre insieme, quando erano ragazzi." Ma deve ricredersi quando lo rivede: "come s'è fatto grande e bello", pensa tra sé. Durante il periodo della tosatura delle pecore infatti viene a fare una scampagnata con degli amici e invita anche Mara. Jeli le dice di non andare, ma lei non lo ascolta. Così quando vede che don Alfonso la stringe a sé "non ci vede più, e gli taglia la gola di un sol colpo, proprio come un capretto". Jeli sembra trovare un’armonia primigenia con il mondo: non si è modificata con il passare del tempo, Jeli appartiene quasi ad un mondo mitico. Alla fine Alfonso muore come una vittima sacrificale. Jeli non aveva capito fino in fondo il tradimento di Mara, non lo voleva capire. L’omicidio è l’azione più naturale perché niente può essere cambiato e il tradimento di Mara e don Alfonso non può essere accettato. È necessario uccidere don Alfonso per ripristinare l’ordine naturale delle cose, è una minaccia alle sue sicurezze. C’è incomunicabilità tra il mondo della natura di Jeli e il mondo della storia, fatto di vita sociale di relazioni legate all’utilitarismo. Questa novella è più complessa di Rosso Malpelo: il narratore è popolare, ma la focalizzazione non è unicamente su Jeli, ma anche su altri personaggi come Alfonso e Mara. È presente il discorso indiretto libero. Focalizzazione: punto di vista della storia. Fantasticheria Questa novella è scritta sottoforma di lettere ed è un preludio a I Malavoglia. L’autore si rivolge ad una dama dell’alta società che si era fermata ad Aci Trezza, affascinata dal piccolo borgo di pescatori, ma che dopo poco tempo fugge annoiata. Gli uomini di Aci Trezza non possono cambiare niente. I pezzenti paffuti e affamati suscitano curiosità nella giovane donna, quasi un interesse folcloristico, desiderio di conoscere la vita di queste persone, ma in modo piuttosto superficiale. Lei si stufa dopo poco tempo, mentre la gente di Aci Trezza non può non vivere lì. Questo è l’ideale dell’ostrica: la religione della famiglia, l’attaccamento alle proprie origini è l’unica risposta che Verga è in grado di dare in un sistema economico in cui vale la legge dell utilitarismo. La famiglia è rappresentata metaforicamente come una mano in cui tutte le dita sono indispensabili, ma il pollice è più indispensabile delle altre. C’è quindi una gerarchia. La famiglia è attaccata agli ideali, proprio come l’ostrica è attaccata allo scoglio. Si accontentano di poco, e guai a cercare di andare via per far fortuna (Lia e ‘Ntoni): il mondo li divorerà perché hanno abbandonato il loro scoglio rassicurante, hanno tradito il sistema socio economico valoriale in cui erano nati e vissuti. Ritorna l’idea di immobilismo sociale ed economico (dichiarazione di poetica). Caratteristica di Vita dei Campi e dei Malavoglia. disgregazione della famiglia. Mena perde la possibilità di un matrimonio conveniente, Luca perde la vita nella battaglia di Lissa, La Longa muore durante un’epidemia di colera del 1867, Ntoni torna dal servizio militare dopo la morte del padre Bastianazzo e non trova più una sua collocazione all’interno della famiglia. Cerca quindi di trovar fortuna fuori dal paese, ma viene coinvolto nel contrabbando finendo presto in galera. Lia cerca di far fortuna in città, stanca dell'oppressione della famiglia e di una vita di stenti. A Catania però inizia a prostituirsi. Padron Ntoni si ammala in un ospedale in città. Alessi è l’ultimo dei nipoti e decide di seguire le tracce del nonno: lavora duramente e riacquista la casa del nespolo. Mena, che non si era sposata, collabora con Alessi. Quest’ultimo si crea una sua famiglia e alla fine del romanzo c’è anche il ritorno del giovane Ntoni. Ma Antonio ha fatto delle esperienze così diverse da quelle della famiglia che non riesce a rientrarvi. Ntoni è consapevole di essersi escluso dalla comunità di Aci Trezza e dai valori della famiglia e decide quindi di allontanarsi. I Malavoglia rappresentano il mondo rurale arcaico, chiuso in ritmi tradizionali e dominato da una visione della vita anch’essa tradizionale, che si fonda sulla saggezza antica dei proverbi. L’obiettivo di Verga era quello di raccontare in modo realistico e oggettivo il mondo rurale arcaico, immobile, ma non fuori dalla storia. Sono infatti presenti riferimenti a fatti realmente accertati. La Storia modifica i rapporti di forza all’interno della famiglia: l’Unità d’Italia è vista in modo assolutamente negativo perché Ntoni parte per fare il soldato, Luca muore durante la battaglia di Lissa e Lia decide di andare in città per far fortuna ma si prostituisce. La trasformazione della società italiana è dettata dalle leggi dell’utilitarismo e dell’economicità e modifica i valori che aveva tenuto unita la famiglia. Modernità e arcaicità sono due elementi in contrapposizione: il progresso mette in crisi i valori più antichi, la famiglia stessa. La contrapposizione tra queste due sfere è rappresentata nel conflitto tra Padron Ntoni e il giovane Ntoni: il primo rappresenta i valori arcaici, il secondo la modernità. Colui che ha una carica più rivoluzionaria, ma negativa, è Ntoni: è colui che provoca la disgregazione e che ne è anche l’effetto. In lui si incarnano le forze disgregatrici della modernità. Padron Ntoni è invece espressione della tradizione e dell’immobilismo. Quella che vince è l’immobilità, ma non del tutto perché Ntoni torna da Alessi, ma poi riparte e non segna una definita superiorità della tradizione. C’è comunque un desiderio di allontanarsi, di inquietudine che si ritroverà in Gesualdo. Chi se ne va è un vinto, ma non necessariamente chi rimane è un vincitore. Il mondo arcaico non è un idillio, il mito romantico della Natura viene superato. La sconfitta è inevitabile per tutti. Tutti sono costretti a lottare per la sopravvivenza, ma saranno destinati ad essere vinti. Nonostante ciò ci chiediamo se esistesse davvero un mondo come quello dei Malavoglia. Verga forse si allontana un po’ dalla sua visione realistica della realtà e cede alla mitizzazione: abbiamo la sensazione che il personaggio di padron Ntoni non appartenga alla realtà ma al mondo dell’idealizzazione dei valori. Padron Ntoni appartiene ad un mondo che, quando Verga racconta la storia, quasi non esiste più perché il suo sistema di valori non appartiene alla modernità, ma al mondo mitico ed arcaico. Nel resto dei personaggi infatti si ritrovano i valori della modernità: l’avarizia dell’usuraio, l’attaccamento alla proprietà di padron Cipolla, la malignità pettegola della Zuppidda, l’arrivismo cinico di don Silvestro. L’idealizzazione investe quindi solo alcuni personaggi della vicenda, non la totalità del mondo rurale. Ne risulta una costruzione bipolare in cui il coro si divide in due: da un lato ci sono i Malavoglia che rappresentano i valori puri, dall’altro la comunità del paese che è mossa solo dall’interesse personale. Si alternano costantemente i due punti di vista opposti e l’ottica del paese ha il compito di “straniare” i valori ideali dei Malavoglia: i compaesani non riescono a comprendere i comportamenti di padron Ntoni, che viene giudicato stolto proprio perché non applica la legge dell’interesse. Se Verga da un lato non sa rinunciare al vagheggiamento dei valori autentici, dall’altro si rende conto che questi non trovano posto nella realtà e quindi li nega con l’analisi impietosa della realtà do fatto. Inoltre il punto di vista ideale dei Malavoglia viene utilizzato da Verga per fornire un metro di giudizio dei meccanismi spietati che dominano la società, la disumanità della logica dell’interesse e della forza. Per Verga i valori autentici sono quelli dei Malavoglia, anche se sono destinati a soccombere sotto il progresso, all'utilitarismo. La lingua dei Malavoglia è affascinante, ma complessa. Verga fonde il parlato dei personaggi, siciliani e di basso rango culturale, con la lingua della narrazione. Riesce a trovare una via mediana: utilizza non un italiano influenzato dal dialetto, ma una lingua nuova che lui crea e che è definito italiano elementare, in cui vengono inseriti tratti dialettali, spesso affidati a dei proverbi ma che vengono immediatamente tradotti in italiano per poter essere comprensibili a tutti. Esempi di italiano elementare sono: ● “gli” invece di “le”, per caratterizzare i suoi personaggi, ● il “che”, che non è né congiunzione né pronome relativo Questo provoca un abbassamento della lingua al livello culturale dei personaggi. Dal punto di vista della tecnica narrativa sono presenti il discorso diretto, quello indiretto e l’indiretto libero. Il mondo arcaico e l’irruzione della storia - Capitolo I I Malavoglia sono una famiglia numerosa che vive del proprio lavoro, lavora con le barche, vivono ad Aci Trezza e sono soprannominati Malavoglia, ma in realtà si chiamano Toscano. Il fatto che tutti li conoscano per Malavoglia significa che il il soprannome non corrisponde alla realtà delle cose, come Rosso Malpelo, che non è realmente cattivo. I Malavoglia sono una famiglia onesta e unita, in cui le gerarchie vengono rispettate, come voleva la tradizione. La tradizione viene rispettata in particolar modo in Sicilia rispetto che nel resto d’Italia. La famiglia viene paragonata ad una mano, fatte di legno di noce, autoritaria e che rappresenta protezione. Padron ‘Ntoni comanda su tutti, anche sul figlio Bastianazzo, e poi via via su tutti gli altri, La Longa che pensava a tessere, a salare le acciughe e a fare figli, Ntoni, un bighellone di vent’anni, Luca, che aveva più giudizio del grande, Mena soprannominata Sant’Agata perché stava sempre al telaio, Alessi, che era tutto suo nonno e Lia, ancora troppo piccola per avere personalità. La famiglia è l’istituzione fondamentale della società. Qui cerca di individuare tutte le spinte al cambiamento o alla stasi, quelle dinamiche o la staticità all’interno del microcosmo familiare. Padron ‘Ntoni è il personaggio più autorevole e a cui tutti fanno riferimento. Parla attraverso i proverbi, ma non è solo lui, è la saggezza popolare che tutto il paese è capace di mostrare. È presente anche un coro, il popolo di Aci Trezza che si differenzia in coloro che seguono i valori ideali e arcaici e quelli che invece seguono la legge dell’utilitarismo e dell’economicità. La casa del nespolo è il luogo sacro in cui si celebra la religione della famiglia, il luogo in cui la famiglia vive da generazioni. Gli eventi iniziali in cui si imbatte la famiglia li costringeranno ad abbandonare la casa del nespolo. Ntoni è infatti costretto a partire per fare la leva militare, sottraendo forza lavoro alla famiglia. Padron ‘Ntoni decide infatti di fare un salto di qualità che possa cambiare il loro status economico e sociale: acquista un carico di lupini, ma questo tentativo non sarà favorevole. La voce che narra proviene dall’interno del mondo rappresentato e si colloca al livello culturale dei personaggi stessi: vengono utilizzati proverbi, viene dato per scontato che il soprannome della famiglia sia l’opposto delle loro qualità, il linguaggio utilizzato presenta anche errori grammaticali tipici della lingua dialettale. Inoltre i personaggi non vengono presentati, ma si parla di loro come se il lettore li conoscesse di già per evitare ogni artificio letterario e dare l’impressione della realtà. Da queste prime pagine si delineano le tematiche centrali del romanzo: padron Ntoni è il portavoce di una mentalità tradizionalista che concepisce la realtà come qualcosa di immobile e si esprime attraverso la saggezza dei proverbi, ma a lui si oppone la storia che porta trasformazioni sconvolgenti. La storia inizia infatti all’indomani dell’unità d’Italia e viene introdotta la leva obbligatoria. Questo sconvolgerà il mondo arcaico della famiglia. La famiglia è portatrice dei valori tradizionali e si contrappone al resto del villaggio, malevolo e pettegolo I Malavoglia e la comunità del villaggio: valori ideali e interesse economico - Capitolo IV In questo testo viene narrato il momento subito dopo la morte di Bastianazzo: tutti gli abitanti del paese fanno visita alla famiglia dei Malavoglia per dar loro conforto. Gli amici portavano qualcosa da mangiare e chi poteva cercava di imbastire una conversazione. Gli abitanti del villaggio però sono quasi tutti malevoli, gretti e sono mossi soltanto dalla legge dell’utile a della forza: ne scaturiscono conversazioni caratterizzate dalla chiusura mentale, dalla grettezza disinteressata e dall’insensibilità ai limiti della crudeltà. Ad esempio padron Cipolla fa una pessima La roba La roba fu scritta nel 1880 e pubblicata nel 1883 all’interno della raccolta Novelle rusticane. Sembra che ci sia corrispondenza diretta tra la fisicità di Mazzarò e la terra. Mazzarò è descritto subito dopo come un “omiciattolo”. La novella si apre con un tono favolistico e immaginario perché tutto ciò che si incontra in quell’ambiente appartiene a Mazzarò (metamorfosi mitica). Verga utilizza sia la descrizione realistica, sia la mitizzazione favolistica. La vera e propria storia di Mazzarò si apre al rigo 31. Non solo aveva fatto fortuna, ma adesso tutti gli danno dell’eccellenza, tutti devono fare i conti con lui, è diventato così ricco che può prestare denaro a chiunque. Porta ancora il berretto, simbolo dei contadini, ma è di seta, unico lusso che si è preso: rappresenta la sua identità perché è il cappello dell’agricoltore, come le sue origini, ma di seta e quindi lussurioso come è adesso. Non aveva avuto donne, se non sua madre per la quale aveva speso soltanto per il funerale. Il rifiuto di una vita sentimentale è dovuta soprattutto al suo timore di spendere. Le uniche leggi che regolano la vita di Mazzarò sono quelle dell’economicità e dell’utilitarismo. L’obiettivo di Mazzarò è quello di accumulare, di diventare sempre più ricco. La tecnica narrativa è importante perché la prima parte utilizza figure retoriche come similitudini ed iperboli per costruire l’immagine di un personaggio che superi ogni confronto con la realtà. La natura quasi maniacale del possesso fa sì che nemmeno la madre sia amata come dovrebbe, tanto che rimpiange i dodici tarì che ha speso per il suo funerale. Non cerca nemmeno una compagna. Sembra che viva per una volontà di rivalsa nei confronti dello sfruttamento che ha dovuto soffrire. Da povero bracciante è diventato padrone di ricchezze immense. Prima era schiavo del suo lavoro, adesso del suo desiderio di accumulo, che lo ha liberato dal lavoro come sottoposto, ma è comunque una schiavitù. Non riesce a sottrarsi alla legge dell’utilitarismo. È caratterizzato da una mancanza di umanità (pessimismo ancora più radicato): prima rimanevano ancora dei valori a cui fare riferimento, rimaneva un’umanità profonda (primitivismo che lega Jeli agli animali, valore della famiglia dei Malavoglia). Qui tutto si riduce all’economicità, si stravolgono tutti i più semplici valori affettivi. Verga non dà giudizi e riporta quasi esclusivamente l’ottica del protagonista. La conclusione della novella è senza speranza perché, dopo aver descritto la vita di Mazzarò, quando si rende conto di avvicinarsi alla morte è molto rammaricato: deve abbandonare la roba e non ha nessuno a cui lasciarla. Era invidioso dei giovani pur non avendo niente, come se la vita valesse qualcosa soltanto se possediamo e se accumuliamo. Tutto il suo mondo, anche quello sentimentale, è limitato alla roba, al rapporto con la sua roba. Uccide tutto quando sa che la fine è imminente. Vuole distruggere tutta la sua roba per portarla con sé nella tomba perché è l’unica cosa che per lui ha senso. Non c’è la religione della famiglia, ma c’è solo la religione della roba. Conclusione tra il comico e il tragico: omiciattolo malato che prende a bastonate tutto ciò che è intorno a lui. Forza agonistica di Mazzarò incontra l’ultimo suo nemico, la morte e la natura. Se c’è un cambiamento nell’ultima parte è di tipo esistenziale: dalla dimensione economica di tutta la sua vita si passa ad una posizione esistenziale, Mazzarò cerca un senso esistenziale ma non lo trova se non nella roba, che si vuole portare nella tomba. Libertà Libertà è una novella piuttosto famosa e breve in cui si parla anche di politica e in cui Verga esprime una posizione politica abbastanza netta. Dal punto di vista della trama gli avvenimenti sono quelli che accadono a Bronte: nel 1860 si verificò un fatto gravissimo, i Garibaldini stavano avanzando in Sicilia, stavano suscitando passioni rivoluzionarie e aspettative di cambiamento radicale; queste aspettative provocarono delle rivolte, ma alcune furono represse nel sangue. I contadini si aspettavano da Garibaldi e dalla rivoluzione una divisione delle terre demaniali (dello Stato), ma ciò non stava accadendo e nemmeno l'avanzata di garibaldi avea consentito una ridistribuzione. Avviene perciò una repressione nei confronti dei cappelli, la classe dirigente del paese. La città fu messa a ferro e fuoco dai contadini e furono commesse indicibili atrocità da parte dei contadini nei confronti anche di bambini che non avevano alcuna responsabilità. Furono arrestati i capi della rivolta, furono portati in città, processati e condannati a dure pene. Tutto torna alla condizione precedente, all’ordine stabilito. Dopo che i contadini hanno commesso questi crimini, si trovano ad aspettare nella piazza del paese che qualcuno gli offra un lavoro, ma nessuno arriva perché erano stati uccisi o spaventati. Questo ci fa pensare che l’azione violenta da loro esercitata non ha nessun esito positivo perché non hanno le risorse culturali ed economiche, la preparazione necessaria per potersi sostituire ai notabili del paese. La loro violenza è soltanto vendetta, non giustizia, ed è fine a se stessa. Manca la consapevolezza delle azioni giuste da perseguire per cambiare la loro condizione. Tornano quindi ad essere passivi come lo sono sempre stati, il popolo degli sfruttati che hanno tentato di cambiare la loro condizione, ma solo per un giorno. Verga si schiera probabilmente con i garibaldini, con la forza e il ritorno all’ordine, ma da un punto di vista storico forse Garibaldi non avea dato direttamente l’ordine di reprimere la rivolta. Pare che il console inglese avesse espresso con forza la sua condizione favorevole alla repressione perché c’erano alcuni esponenti della famiglia dell’ammiraglio Nelson a Bronte. Il console inglese pare che abbia sollecitato molto Garibaldi, minacciandolo di non dargli sostegno nell’avanzata dei garibaldini in Italia. Le decisioni delle grandi personalità storiche non sono sempre prese in modo autonomo e libero, ma spesso devono rispondere alla ragion di Stato. La posizione di Verga è ambigua: abbiamo la sensazione che voglia mettere in evidenza, condannandola, la violenza dei contadini, che si ponga in una posizione quasi equidistante tra i rivoltosi e le vittime. Leggiamo una condanna nei confronti dei rivoltosi, non c’è una presa di posizione, ma percepiamo una posizione più dura nei confronti dei rivoltosi piuttosto che nei confronti della repressione dura esercitata anche dai garibaldini. Quello che sembra emergere è una sorta di sostegno alle forze che ristabiliscono l’ordine, lo status quo antes. Nino Bixio non si limita a condannare i rivoltosi, ma ricostruisce la gerarchia sociale incaricando nuovi esponenti della classe dirigente. Non vengono presi provvedimenti per pacificare gli animi dei contadini, ma rimane tutto com’era in precedenza. Questo è l’aspetto più importante della novella perché alla fine quello che colpisce è che Verga si schieri a favore con questa posizione. Descrive una situazione movimentata, in medias res, non ci sono spiegazioni che preparino il lettore. Siamo immersi nella violenza, quasi bestiale, una ferocia brutale. Descritto in modo freddo e oggettivo. Il racconto si suddivide in tre sequenze: 1. la sommossa popolare e la carneficina che ne consegue: il narratore appare oscillante tra due atteggiamenti diversi tra loro che si concretano nell’alternanza di due punti di vista, quello dei galantuomini, che condanna la furia irrazionale e devastante della folla attraverso giudizi espliciti e che lascia trasparire l’orrore e la paura mettendo in evidenza particolare patetici, e quello della plebe, sfruttata e affamata, in cui vengono narrate le ragioni della rivolta; 2. le difficoltà degli insorti il giorno successivo: la prospettiva della spartizione delle terre fa emergere nei contadini l’egoismo e la ricerca del proprio interesse; anche fra i contadini si riprodurrebbero inevitabilmente le vecchie classi dominanti, la sopraffazione e l’ingiustizia perché nella visione pessimistica di Verga niente può realmente mutare; 3. la repressione da parte dei garibaldini e il processo: i popolani adesso non rappresentano più una minaccia, ma sono solo delle vittime; Verga descrive questa scena con grande pietà: il processo viene narrata attraverso un punto di vista dal basso. Libertà: l’ideologia prevale sulla fedeltà al vero - Pellini In questo testo il critico sottolinea come nella rappresentazione della sommossa contadina l’ideologia dell’autore prevalga sulla fedeltà al vero: Verga si sofferma a lungo sulle atrocità commesse dai rivoltosi e accenna soltanto alle ingiustizie della classe dirigente che hanno scatenato la rivolta, le azioni della folla sono caratterizzate da un’irrazionalità bestiale, alla classe oppressa non è riconosciuta alcuna capacità di autogoverno, Verga modifica i fatti eliminando la figura dell’avvocato liberale Lombardo, uno dei capi della ribellione, che non poteva essere accusato di selvaggia aggressività. Pellini fa inoltre notare che Verga è spaventato dalla prospettiva della violenza popolare e crede che le gerarchie sociali siano un dato di natura e che non può essere modificato. è presente un’esplicita compassione per gli sconfitti: la vita riprende come prima, la violenza non ha cambiato nulla, trionfa l’immobilismo di una realtà immodificabile. anche se cerca di sistemarli. Anche con loro non ha mai un atteggiamento aperto e ricco, quindi è una caratteristica di Gesualdo. Molti indiretti liberi, più chiari che nelle opere precedenti.Il marito apppartiene ad una famiglia aristocratica economicamente indebolita e anche in questo caso mette in evidenza l’origine aristocratica e quella contadina di Gesualdo “Lui non sa cosa vuol dire” il duro lavoro, proteggerla, difendere la roba. Questo è quello che conta realmente. Gesualdo è uno sconfitto e muore ignorato dal servo che si doveva prendere cura di lui. Tutti i domestici si sentono emotivamente ontani, sono disturbati dalla morte di Gesualdo, che muore da solo. Poco prima di morire si volta verso il muro così come aveva fatto il padre. Anche in questo caso la genetica sembra avere un peso importante, le leggi dell'ereditarietà. Non c’è nessuna possibilità se non quella di chiudersi. Rispetto ai Malavoglia: 1. nei Malavoglia rimaneva l’unità della famiglia, il legame tra i familiari che si ricostituisce nonostante molti muoiano. C’è qualcosa di estraneo alla legge dell’economicità. Gesualdo viene sconfitto dalla vita, una critica alla religione della roba. Sconfitto dal punto di vista umano ed esistenziale. La religione della famiglia invece nei Malavoglia è positiva. Il punto di vista di Verga è critico nei confronti della religione della roba. è una critica anche della modernità? sì, Verga rappresenta i suoi personaggi anche per dimostrare attraverso il ciclo come la modernità stia travolgendo e cambiando totalmente il sistema valoriale, la situazione economica e sociale del meridione in modo particolare. Ci sono anche degli aspetti positivi: Gesualdo è il self-made man, però sia nel micro che nel macrocosmo non c’è nessun aspetto positivo.Tutto sembra travolto dall’incapacità della figlia e del genero di mantenere le ricchezze. I personaggi che Verga descrive non ci danno possibilità di fiducia e ottimismo nel progresso. La Lupa Incesto Il ruolo della lupa, si chiama Gna Pina, all’interno della comunità contadina tradizionale siciliana è esattamente contrapposto al ruolo della madre invece è Donna rivoluzionaria, ma non ha la coscienza di esserlo perché è comunque sottomessa ai suoi impulsi sessuali, ai suoi istinti, non ha l’impulso di cambiare la propria condizione sociale, ma mette in crisi la cultura popolare contadina. La società non capisce da dove venga questo travolgimento dei valori e quindi la descrive come un satanasso. La vicenda si conclude con la sua uccisione da parte dell’uomo. Nei righi precedenti la lupe gli dice di ucciderla perché non ci sarebbe altra soluzione. Narrativa di ambientazione borghese. Vengono descritte in Tigre Reale delle donne con una forte carica di aggressività ed erotica, quasi donne vampiro. Ma se nell'ambientazione borghese poteva non stupire, nel mondo rurale e contadino stupisce molto. La cultura del paese in cui vive la lupa non può integrarla. Addirittura la figlia denuncia l’atteggiamento della madre. I due poli femminili, Maruzza e la madre, sono completamente contrapposti. Maruzza è l’esempio della donna sottomessa, che pur non amando il marito che le propone la madre decide di sposarlo ugualmente e dopo aver dato alla luce alcuni figli si sente emotivamente legata al marido, tanto che non sopporta l’atteggiamento della madre. è una sessualità non permessa, definita peccato dal punto di vista religioso, e non conforme al sistema valoriale accettato normalmente. Ciò che colpisce di più è l’incapacità della lupa e di nanni di sottrarsi ai propri istinti, tanto che alla fine nanni decide di ucciderla. Non c’è possibilità di redenzione se non con la morte. Come se la Lupa andasse alla ricerca della morte, tormenta continuamente Nanni, lo va a cercare nella vigna sotto il sole caldo in mezzo ai papaveri rossi (ricordano il sangue e la passione). Lo tormenta come se volesse mettere fine alla sua sofferenza. Come se lei stessa cercasse la sua morte e fosse una vittima designata del sacrificio per poter salvare la figlia. è un tentativo di restituire pace alla figlia che le aveva sottratto rubandole il marito. Questa “redenzione” avviene soltanto con la morte e nello scontro tra eros e thanatos, le due forze vitali per eccellenza, eros viene sconfitta e thanatos ha la meglio. Ultimo Verga Riscrive la Lupa, la riduce ad opera teatrale che verrà poi rappresentata. Ha avuto un successo molto grande in teatro. È un anticonformismo inconsapevole. È stata anche trasposta in film perché questa donna ha un fascino prorompente. Inizia la Duchessa di Leyra ma non viene portato a compimento. Si interrompe il ciclo dei Vinti. Probabilmente perché la vena creatrice si era interrotta, forse aveva vissuto sulla sua pelle la durezza delle vicende che aveva narrato. Inoltre si stanno logorando anche i tempi e i modi veristi della narrativa. Il verismo era destinato a rimanere ancorato ad un certo periodo storico, quindi quando cambia la realtà non ha più ragion d’essere. Si trasforma in letteratura di denuncia vera e propria, letteratura di politica (es. Il giorno della civetta, evoluzione della tradizione letteraria siciliana e meridionale). Per Verga si esaurisce la vena creatrice perché osserva un mondo che è in rapido cambiamento, nel quale non si riconosce. Inoltre non sa nemmeno indagare con altrettanta profondità il mondo dell’aristocrazia che vorrebbe descrivere. Il mondo che conosceva davvero era quello della media borghesia, quello delle campagne e dei contadini e dei pescatori, quello più ricco di umanità. Non trova umanità in quel mondo, lo conosce di meno e perde quindi l’ispirazione. Inoltre, come è accaduto a Manzoni, che abbandona il romanzo storico perché ritiene che sia una falsificazione della realtà, anche Verga non riesce più a credere nella narrazione oggettiva delle cose. Questo lo notiamo anche nei primi due romanzi del ciclo dei vinti: i malavoglia sono mitizzati e Gesualdo è un anti eroe del mondo dominato dall’economicità, ma ‘è pur sempre umanità. Verga abbandona quindi il ciclo e si dedica alla fotografia. Questo non ci stupisce perché la fotografia è l’arte più veritiera, quella che meglio rappresenta la realtà. Anche la fotografia modifica la realtà così come il nostro sguardo. La realtà non esiste ma esiste la nostra percezione della realtà e del mondo. Come se tentasse un nuovo tipo di focalizzazione. Parlando di Pirandello vedremo un legame strettissimo tra questi due autori. C’è una linea della narrativa siciliana che arriva fino a Camilleri.
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