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Verità e Finzione. Vico e un problema dantesco, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto del saggio relativo all’esegesi dantesca secondo Vico

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 12/01/2023

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Scarica Verità e Finzione. Vico e un problema dantesco e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Massimiliano Milone VERITÀ E FINZIONE VICO E UN PROBLEMA DANTESCO Sergio Cristaldi Università degli studi di Catania Abstract L’esegesi dantesca, sin dal trecento ha visto il viaggio oltremondano come una fictio letteriaria volta a trasmettere una riposta verità. Il filosofo Napoletano Giambattista Vico propone un approccio diverso: parte dalla dottrina sottesa alle favole antiche e la contesta. Secondo lui i poeti antichi, rozzi e incolti, non intendevano veicolare questo o quel significato, bensì, grazie alla fervida immaginazione di cui erano dotati, partecipavano alle vicende fantasiose di volta in volta plasmate. 1. La verità che giace al fondo Nella Commedia convivono senz’altro verità e finzione. L’esegesi dantesca ha proposto diversi modelli interpretativi: 1. Commentatori del XIV secolo: intraprendono la strada dell’allegoria, rivedendo nell viaggio oltremondano una fictio con un senso riposto equivalente ad una lezione morale sul peccato e la virtù. Questa chiave di lettura cade in disuso nel Cinque-Seicento per poi essere ripresa a cavallo tra Sei e Settecento 2. Gian Vincenzo Gravina: proprio in suddetto periodo elabora una riflessione sul valore della poesia e sulla plausibilità delle sue finzioni nelle opere Discorso sopra l’Endimione e Della ragione poetica. Egli attribuisce al poeta un potere civilizzante, con lo scopo di trasporre in immagini le acquisizioni dell’intelletto, in maniera tale da veicolare ad un ampio ventaglio di uditori degli insegnamenti. La favola non è un esercizio autoreferenziale, bensì un artificio propedeutico a mediare la verità ad una platea di destinatari intellettualmente poco attrezzati. Entro questa corrente rientra Omero, consapevole del vero Dio, ma intento a riversare le conquiste dell’intelletto all’interno della favola per persuadere al bene i suoi incolti interlocutori. Nell’ambito della letteratura italiana, il capostipite è Dante, che converte la sua cognizione di cose umane e divine in immagini allegoriche. Nonostante ciò, la Commedia non ricade interamente nella favola: l’escatologia dei tre regni assolve ad un duplice ruolo, funge da “verità” e al tempo stesso da “immagine”, vale come “significato” e come “significante”. Massimiliano Milone 2. Fingono e credono Gravina e Vico furono stretti da un rapporto di frequentazione e dialogo che cessò con la morte del primo, di poco più anziano. Le tesi di Vico sulla dottrina degli antichi poeti sono in netto contrasto con quella del sodale. Il suo pensiero maturo ribadisce l’identificazione della poesia con la favola ma secondo il filosofo occorre restituire all’enunciato poetico ciò che è autenticamente suo, scartando ciò che appartiene ad interpretazioni fuorvianti, che sovraccaricano i dati, falsandoli. Non ci sono allegorie filosofiche nelle favole antiche, né sensi che i poeti arcaici intesero né poterono intendere. Poesia e filosofia sono incompatibili, anzi, si respingono a vicenda, poiché la prima immerge la mente nei sensi, mentre la seconda astrae la mente dai sensi. Vico confuta l’immagine di una nazione-pilota popolo felice che diffondendo le favole trasmette realtà avanzate. Egli si attesta su una bipartizione tra storia sacra e storia profana: da una parte un gruppo che custodisce un bagaglio di verità ineccepibili, di cui non è partecipe, dall’altro un insieme di identità nazionali frammentate che non possiedono questa abilità e che procedono nel tentativo di una graduale evoluzione. Il filosofo, inoltre, scinde la cultura biblica dal processo di formazione delle culture gentili, senza però che ciò impedisca alla Scienza Nuova di utilizzare la Bibbia come chiave di lettura di eventi e processi. Vico afferma che la concezione evoluzionistica che fa partire l’umanità da un grado zero, anteriore alla fase poetica, con un’assenza totale di civiltà, non può sfociare nel diagramma di Lucrezio e di Hobbes (materialismo e Natura matrigna, meccanicismo). Nel De Genesi, Agostino pone l’alternativa tra natura instituta e natura lapsa (peccati di ignoranza), ma l’umanità affetta dalla Caduta non è animalesca o ferina. Nelle Sacre Scritture non v’è traccia di tutto ciò. Vico parla di giganti-fiere situandoli all’indomani del diluvio universale: tali bestioni non rappresentano l’umanità al suo primo apparire, bensì sono il risultato finale di un processo di deterioramento. Resta indubbio che il mito-poesia non ha nessi immediati con l’esegesi biblica, perché espressività senza input dottrinali. Ciò sarà poi compito di quelli che egli definisce poeti- teologi, ben diversi dai giovanissimi artefici di miti vichiani, guidati solo dalla fantasia. Nonostante siano appena emerse dallo stato ferino, tali giovani menti sono ancora soggette all’errore, superato felicemente dall’avvento della ragione. Riesce perciò sbagliato accostare Vico alla concezione romantica dell’umanità abbandonata dalla Natura. Originalità della proposta di Vico: ricondurre il regime della fantasia alla fanciullezza umana. La differenza tra i poeti-teologi e i primitivi sta nel fatto che i primi favoleggiano in tutta serietà, riconoscono nei fenomeni naturali le volontà di un dio da onorare con un culto dedicato, mentre i secondi non colgono la metafora, traggono il dato oggettivo dalla loro interpretazione soggettiva, accostando ad esempio il tuono alla minaccia di un dio-cielo incombente. Fingunt simul creduntque (Tacito), una mitopoiesi che si risolve in chiave religiosa. Mitopoiesi che ha risvolti inscindibili dalla civilizzazione, in un’umanità che si assoggetta al metus numinis. Per Vico, l’evoluzione inizia da un “grado zero” identificato con un’epoca felice, dei Gentili, essendo influenzato dal culto cattolico, e non con uno stato bestiale (come in Lucrezio e Hobbes). Massimiliano Milone disposizione un bagaglio sostanzialmente povero, una lingua definita pari a quella dei muti, frutto della corruzione del latino e dell’incomunicabilità tra popoli latini e invasori barbari. Una lingua che, però, nella sua apparente semplicità, è rafforzata dall’incredibile somiglianza tra significante e significato, che la rende aderente più che mai al referente. Un altro paragone è tematico: entrambi i poeti hanno un “gusto per spettacoli fieri e atroci” (Iliade = Inferno). Omero non è solo furore epico, è mitopoiesi: la sua produzione è immediata perché priva del filtro della filosofia. Le divinità omeriche sono immorali. È una poesia che crede ciecamente alla favola, che nasce dall’immedesimazione totale nella religione. L’esempio dantesco si può leggere, secondo Vico, nella chiave del rapporto tra Bibbia e poesia, ammettendo che “quest’ultima era stata la lingua comune a tutte le nazioni, anche a quella Ebrea”. Qualcuno aveva ipotizzato che Mosè fosse un poeta. A questo punto vengono a congiungersi le figure del vate Omero e dei profeti biblici, non per Vico, ma nel pensiero diffusosi in Europa a partire dall’ipoteca di Spinoza. La tesi razionalistica di Spinoza vede la Scrittura come uno strumento di ammaestramento di massa: i profeti ebraici godono di una fervida immaginazione e avvertono il divino in prima persona, infiammando la fantasia degli uditori. In Vico, tuttavia, il valore attribuito ai primitivi è positivo, mentre esso è mortificato in Spinoza. Per il filosofo napoletano i profeti biblici, attraverso la pratica della visione credono a ciò che dicono, quindi non si tratta di menzogna, e prende come esempio il popolo ebraico, che ha respinto le influenze esterne più di tutti (ad esepio i culti idolatri). 4. I primi storiografi Nel passaggio dalla Scienza nuova prima alle edizioni successive vengono semplificate le complicazioni tra ambito sacro e profano e viene eliminata la figura di Mosè come poeta. La trattazione vichiana esclude l’ipotesi che assimila Dante ai profeti biblici, la Commedia non può essere la trascrizione di una visione sacra a cui l’autore crede. Vico ripensa alla posizione da assegnare alla Commedia : trasferisce il poema in una sfera documentaria. A partire dalla seconda redazione della Scienza nuova, cambia il giudizio su Omero e vengono superate le affinità tra Dante e il poeta greco analizzate in precedenza, lasciando il posto a nuove ipotesi. Nell’opera Discoverta del vero Omero, il filosofo abbandona la valutazione del poeta come individuo particolare a favore di una sorta di “collettivismo gnoseologico”, operando una precisa scelta filologica e anticipando le tesi di Friederich August Wolf. Sono le caste (virtuose o deteriori), le formazioni collettive a determinare il passo in avanti nel progresso e Omero smette di essere un unico artista, diventando altresì il riflesso della comune energia di un popolo. Ecco che il paragone iniziale non regge più: Dante, il più grande fiorentino, e Omero, figura mitica ed eterea, senza una patria certa. A questo punto, si trova in crisi anche la tesi graviniana, avallata dallo stesso Vico, che paragonava Omero e Dante nella scelta di un linguaggio che raccogliesse varie parlate o dialetti. Lingua Omerica: frutto della tessitura popolare Lingua di Dante: per i lettori cinquecenteschi è frutto di un lavoro di raccolta, in quanto presenta espressioni riscontrabili solo al di fuori di Firenze; per Vico è il riflesso della parlata di firenze dei suoi tempi, quei termini erano ancora a Massimiliano Milone sua disposizione ed è inverosimile che egli abbia avuto accesso a così tanti favellari. Eppure, il parallelo viene ripreso in una nuova stagione, nella Nuova scienza del ’30 e del ’44, allorquando il filosofo scrive il Giudizio sopra Dante e parte da uno spunto ampiamente trattato nelle precedenti redazioni: i poemi omerici sono la testimonianza della loro epoca, identificata sì con l’aurora della civiltà, ma più in particolare con la fase immediatamente successiva all’età degli dei, in cui il metus numinis fa da padrone e gli esseri umani vivono in ossequio di un’arcana volontà, ovvero l’età degli eroi, in cui i protagonisti del riscatto umano sono gli optimi che compiono le loro imprese sotto il favore di una volontà soprannaturale. Tuttavia, il confine tra le due età non è così marcato, al contrario ammette una compenetrazione per cui l’elemento nuovo coesiste con quello passato. Età dei poeti-teologi Poeti alteratori di favole Omero Trasmettono la dottrina travestendola da favola Fase successiva Scorcio finale dell’età degli eroi, egli è teologo e storico Omero è lo storico dei tempi eroici, che riporta con attenzione le res gestae, immerse nelle favole degli dèi. Ancora una volta è opportuno non ragionare per compartimenti stagni: fantasia e memoria sono collegate per Vico. Le favole sono alla base della nascita delle Nazioni Gentili, in quanto il metus numinis è ciò che ha dato avvio alle loro vicende, ma, al contempo, le favole degli eroi costituiscono una rielaborazione mitica delle imprese celebrate. Scienza nuova prima Omero è il “padre di tutta la greca erudizione” Scienza nuova ed. 1730 Omero è il “primo Storico di tutta la Gentilità” Ricordiamo le affermazioni sulle caste: le prime comunità sono state create dagli eroi, ma poi sono subentrati uomini che non hanno avvertito il metus numinis e che si sono aggregati alle precedenti famiglie per scopi di utilitarismo, al costo di accettare mansioni servili. Questi servi hanno determinato delle perturbazioni per le famiglie, logorando la supremazia della classe dominante. La discendenza degli eroi è danneggiata, essi contraggono matrimoni con donne “istraniere” e generano “bastardi” destinati a determinare le dinastie delle classi dirigenti. Omero si fa cantore dell’urto tra i popoli. La comparazione tra Omero e Dante si sposta totalmente in questo terreno, con le dovute differenze di proporzioni: da un lato tutte le popolazioni gentili dall’altro la sola Italia, per cui Dante ottiene definitivamente il distintivo di “Toscano Omero”, come Ennio lo fu per i Latini, e non Virgilio (da questo si evince il mutamento di prospettiva rispetto alle precedenti analisi, il poeta Virgilio è lontano dal presente). Egli “non cantò altro che storie vere”. Con questa terna (Omero, Ennio, Dante) si apre il Discorso sopra Dante, consolidando definitivamente la dimensione storiografica dell’epos. Per Vico l’epica è attinente ai conflitti: Omero Ennio Dante Scontri dei Greci contro i Barbari Romani contro i Cartaginesi Scontri dei popoli italiani Massimiliano Milone Proprio dai conflitti e dalla barbarie si evince la verità, perché essi sono determinati dalla spontaneità e non sono filtrati dalla riflessione, madre della menzogna. La barbarie non sa fingere grazie all’adesione agli eventi storici tesaurizzata dalla memoria del poeta. Tuttavia, nonostante la sua aderenza ai fatti storici, la Commedia dantesca va inquadrata, con la sua ambientazione nei tre regni escatologici, nell’intersecarsi tra regni terreni e ultraterreni. Dante rimane comunque poeta, rappresentando l’altro rispetto alla storia, coltivando magistralmente questo status. L’aldilà corrisponde alla finzione, o, meglio la rielaborazione fantastica di un nucleo vero, l’incastro tra fatti veri e invenzione è perfettamente lucido, secondo il precetto oraziano presente nell’Ars Poëtica di alternare il vero e il falso (“veris falsa remiscet”). ORAZIO Veris falsa remiscet OMERO Presuppone un lettore evoluto ENNIO Presuppone un lettore evoluto DANTE Mescolanza trasparente Bisogna distinguere tra l’intregrale fideismo dei primi pagani dalla lucidità di uno scrittore cristiano. Nonostante ciò, nella riflessione vichiana il poema dantesco è, da un lato, radicato nella barbarie del suo tempo, dall’altro esonerato dal paragone con la mitopoiesi primordiale. La risoluzione del rapporto tra componente escatologica e componente storica si rintraccia nel fatto che la seconda pone la prima in maggiore evidenza: nell’alternarsi tra l’ottica verso la storia e quella libera dal vincolo referenziale. 5. Precauzioni e derive In conclusione, la posizione di Vico si imposta su un terreno inconsueto. Dall’iniziale rapporto con l’esegesi biblica, nella maturità egli ha modificato il proprio approccio. Di fatto, l’ultima parola del filosofo mira a stabilire un rapporto di maggiore simmetria tra Omero e Dante, spostandosi appunto sulla misura epico-storica. Ugo Foscolo, vichiano non ortodosso, nella sua visione che cuce poesia e mito, religione e civiltà, si discosta da un dogma cruciale della Scienza Nuova, assimilando la storia sacra e la storia profana, abbracciando tutte le nazioni, non solo le “Gentili”, compresi gli Ebrei. Nella stesura del Discorso sul testo della “Commedia” di Dante, Foscolo delinea un Dante profeta, determinato a mostrare le sue rivelazioni come vere. Un Dante diverso da quello vichiano.
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