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Veronica e il Diavolo, Dispense di Storia Sociale

Riassunto del libro della professoressa Alfieri: Veronica e il Diavolo. Dettagliato e preciso (anche se praticamente il libro è un romanzetto quindi se fossi in voi lo leggerei)

Tipologia: Dispense

2021/2022
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Caricato il 04/02/2023

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Scarica Veronica e il Diavolo e più Dispense in PDF di Storia Sociale solo su Docsity! VERONICA E IL DIAVOLO Fernanda Alfieri I documenti analizzati per la stesura di questo libro sono sostanzialmente l’Esorcizzazione di Maria Antonina Hamerani (poi l’archivista ha tirato una riga sul nome, sostituendolo con “Veronica”), ritenuta ossessa (1834-35) e il diario personale di Padre Manera. Il 23 dicembre 1834 due gesuiti, Padre Kohlmann e fratel Pietro Bechmans, si recano in via Sant’Anna 52 a per visitare Veronica Amerani, presunta vittima di possessione demoniaca. Ricordiamo che non era permesso ad un gesuita andare in visita da solo, senza aver avvisato il fratello portinaro che segnava partenze ed arrivi nel diario di casa. Padre Francois-Antoine Kohlamm proviene dalla Francia -Alsazia-, mentre Peter Joseph Bockmann dall’Impero germanico. Sappiamo chi viveva nell’appartamento in via Sant’Anna grazie ai registri degli stati d’anime della parrocchia di San Carlo ai Catinari, dove si trovava, conservati nell’archivio del Vicariato di Roma. È da questi documenti che abbiamo conferma che nell’appartamento si trovasse anche Veronica, la nostra protagonista. Il suo nome è riportato nella copertina dell’Esorcizzazione, ma all’interno del documento bisogna scorrere diverse pagine prima di ritrovarlo. Viene chiamata l’inferma, l’ossessa, la giovane, poiché la sua condizione è maggiormente importante della sua identità. Agli occhi di chi scrive è più interessante cosa o chi sia entrato in lei. - riportato nell’Esorcizzazione: Padre Kohlmann dialoga con Giovanni, padre di Veronica. Le sentono il polso, che appare normale. Le chiedono se ha mai pensato di confessarsi e lei risponde che si, ci ha pensato, ma che quando comincia a farlo le sale una rabbia cieca nei confronti del sacerdote e non riesce a proseguire. Veronica racconta la propria vita a padre Kohlmann e lo prega di chiamare il parroco Reverendo Tommaso Manini, curato di San Carlo ai Catinari, per occuparsi della confessione sacramentale. Padre Kohlmann vuole benedirla e prende l’acqua santa, pronunciando alcune parole (ti benedico in nome di Maria); a questo punto Veronica comincia a dimenarsi ed urlare, gridando a gran voce “Infame, che ti importa a te, vattene via”. Padre Kohlmann le mette le stola sul capo. A quel punto Tommaso Manini entra in casa e si pone al fianco di Padre kohlmann, che ordina di al demonio di uscire da Veronica, ma lui rifiuta. I due preti si consultano e decidono di proseguire recitando formule contaminatorie. Finalmente l’insistenza di Kohlmann ha i suoi frutti e il demonio rivela il suo nome: Satanasso. Mettono addosso a Veronica delle reliquie e lei le getta via, continuando a dimenarsi e scuotendo violentemente la testa. Il rituale dura dalle 23 fino ad “un’ora di notte in punto” che nell’orario francese, da noi adottato, significa le sette di sera all’incirca. Veronica si quieta al tocco del De profundis e parla con calma delle sue sofferenze. Padre Kohlmann la benedice e lei gli bacia la mano. Tornato nella propria dimora -convento dei gesuiti?- egli conferma che l’ossessione è fuori dubbio. Quando rientra dai suoi confratelli padre Kohlmann racconta dell’accaduto e qualcuno prende nota sia del suo racconto che dei sentimenti da lui provati. Infatti, la regola dei gesuiti prescriveva di guardarsi dentro due volte al giorno. Egli era intenerito ed inorridito al tempo stesso, di quanto aveva visto. Non era una novità, erano sentimenti che aveva in comune anche con il suo confratello Jean Joseph Surin, che si era occupato delle possessioni di massa in una cittadella della Francia occidentale nel 1634, dove decine di suore erano già state liberate e il responsabile della fattura era stato bruciato sul rogo (esorcismo di Ludana), ma la superiora, Giovanna degli Angeli, ancora piena di demoni era rimasta a lungo in preda alle crisi. Nel vedere quelle donne sconvolte, Surin era stato invaso dalla “tenerezza verso di esse”. Allo stesso modo, Kohlmann non poteva sottrarsi al dovere di soccorrere la ragazza, invasa dal demonio. Doveva recuperarla, riportarla nelle mani della chiesa e a sé stessa, a cui era stata sottratta. - Esorcizzazione: il 29 ottobre 1834 fu eletto Provicario Monsignor Vigerente Antonio Pitti che non credeva nella possessione della giovane Veronica e non diede aiuto alla famiglia. A fine dicembre fu invece eletto Vicario, il cardinale Carlo Odescalchi, che invece aveva sentito parlare di Veronica e vi credeva. Dunque, era stata a lungo una questione di colloqui, di suppliche inascoltate e attenzioni non concesse. Il papa era ovviamente vescovo della diocesi di Roma, ma essendo padre della Chiesa nella sua interezza, ad assumere questa funziona era il cardinale vicario e il vicegerente, con l’aiuto del segretario. Erano proprio questi ultimi due che filtravano le richieste e le suppliche delle anime della città (più di 150.000 persone). Il segretario, Vincenzo Martini, si era dovuto adoperare a lungo prima che la richiesta degli Amerani fosse ascoltata. Era riuscito a convincere una persona fidata parlasse al cardinale vicario del Papa, Placido Zurla, che però non aveva prestato attenzione. Una volta morto Zurla, fu eletto il sopracitato Pitti, anch’egli non aveva creduto alla situazione di Veronica. Dopo Pitti, alla fine di dicembre, fu eletto Odescalchi, che aveva finalmente promesso di occuparsene, parlando in prima persona con nientemeno che Papa Gregorio XVI che aveva dato la propria approvazione. Il cardinale aveva dunque conferito con il generale dei Gesuiti, Jan Philip Roothan, che aveva accettato di farsi carico della faccenda, mandando uno dei suoi. In questo modo padre Kohlmann era arrivato ad occuparsi di veronica. Kohlmann aveva, all’epoca, 63 anni. Nato nel 1771 a Kayesberg, un antico borgo di Alsazia, tedesco per cuore e per lingua abitato da famiglie di vignaioli e bottai -di cui egli faceva parte-. Il borgo un luogo tranquillo, ma circondato da boschi che potevano essere pericolosi, dove si erano più di una volta verificati episodi di violenza (lo stupro di una donna, il ritrovamento di un cadavere mangiato dai corvi). La sua infanzia aveva cominciato a tramontare alla morte di suo padre, quando aveva nove anni, quando la madre e il fratello maggiore si trovarono schiacciati dalla responsabilità di mantenere l’intera famiglia. Lui, Francois-Antoine, fu mandato in collegio a Colmar. - Esorcizzazione: Il 24 Dicembre padre Kohlmann si reca nuovamente dall’ossessa portando con sé Padre Manera, suo confratello. Una volta arrivati egli esorta l’ossessa a confidare in Dio e comincia subito con gli esorcismi: il diavolo si scatena improvvisamente e dice mille insolenze al padre e al cardinale che lo ha mandato. Alla domanda del padre “cosa ho in petto?” il diavolo risponde intendendo cosa avesse in petto Veronica (il diavolo finge di non aver capito la domanda? Non ha capito davvero?), ovvero spille, capelli, sapone, -dunque una fattura- rivela inoltre che l’artefice della fattura alla povera Veronica è una certa Francesca, marchigiana, partita da un paio di mesi da Genzano, di cui però non rivela il cognome. Fino a questo momento nessuno ha preso nota di tutto quel che accadeva ma Padre Manera decide di chiedere allo zio di Veronica, Giovanni de Gasparis, di annotare tutto da quel momento in poi. Padre Manera era solito annotare i propri pensieri in quaderni, ed aveva 36 anni. Nato a Napoli, si chiamava Francesco. Conosciamo queste informazioni grazie ad una Vita pubblicata da un suo confratello dopo la sua morte. Per gli esorcisti, era prassi annotare ciò che accadeva, soprattutto in funzione di altri esorcismi futuri, ma Padre Manera aveva uno scopo diverso. Non era del tutto convinto che si trattasse di ossessione, poteva essere malattia oppure addirittura finzione. Alcuni elementi non lo convincevano: innanzitutto il fatto che il diavolo avesse confuso la domanda di padre Kohlman “cosa ho in petto?”, essendo il maestro dell’astuzia era difficilissimo trarlo in inganno. Chi era poi questa Francesca artefice della fattura? Nonostante dunque una prima vittoria dell’esorcista, ovvero l’estorsione del nome del diavolo, Satanasso, prendere nota di ciò che accadeva avrebbe aiutato a fare chiarezza. -Esorcizzazione: I padri la visitano il 25 dicembre, raccogliendo notizie sia sull’ossessione che sulla famiglia. Della storia della famiglia Amerani conosciamo molto grazie alle enciclopedie, ai libri di numismatica, ai cataloghi di mostre. Purtroppo nelle biografie ufficiali non abbiamo notizie della povera Veronica, anche se conosciamo il suo antenato, Johann Andreas Hermannskircher, fuggito da Monaco di Baviera dopo aver assassinato un uomo in un duello per amore. Egli giunse in Italia da fuggitivo e prese a farsi chiamare Giovanni Andrea Hamerani. Suo figlio, Alberto, aprì una bottega ai Coronari, dove si coniavano piccoli oggetti di ogni tipo. Tutti gli stranieri d’oltralpe si fermavano alla bottega “All’insegna della lupa” durante il loro pellegrinaggio a Roma. Poco più di un secolo dopo l’arrivo di Giovanni rivoluzionarie, questi venivano fatti studiare tutti teologia. Venivano costretti ad esercizi spirituali, ad uscite con cadenza regolare e sorvegliate che non permettevano a nessuno di infilarsi nei caffè a discutere di politica, di riunirsi in associazione e di incontrare donne. La sera dovevano rientrare tutti nel Collegio di San Francesco da Paola. Una delle funzioni dei gesuiti era quella di analizzare la letteratura moderna italiana ed europea, espugnandola dalle idee liberal-rivoluzionarie, attaccandola dove fosse dannosa - quando promuoveva libertà ed individualismo- e invece diffondendola quando poteva essere utile a inculcare i valori dell’obbedienza a Dio e al Re. Vi era una vera e propria rete di uomini che si occupava della conquista delle anime attraverso i buoni libri. Padre Manera lo faceva insegnando la Divina Commedia all’Università regia, che offriva una perfetta sintesi del tutto, dalla letteratura alla teologia, dalle virtù cristiane a quelle civili. -Esorcizzazione, in data 1 gennaio 1835. Il primo dell’anno Veronica viene esorcizzata. Si recitano le litanie dei Santi che provocano risa simulate, convulsioni, vomito, impulsi di soffocamento. Padre Kohlmann le mette addosso l’immagine di Maria e lei urla “vattene, mi hai rotto il cazzo”. Dopo qualche tempo torna in sé e ringrazia con candore chi si sta adoperando per il suo bene. Bacia il crocifisso di Padre Kohlmann e se lo pone nella parte destra sotto il petto, dove prova i dolori più forti. Se si indaga nella vita di padre Kohlmann, sembra che non sia mai stato esorcista prima di ora, ma in questa circostanza viene pienamente riconosciuto come tale. Innanzitutto, sembra sapere ciò che fa dalla prima richieste che fa al diavolo, ovvero quella di uscire dal corpo della ragazza. Seguono poi nel susseguirsi dei giorni centinaia di brevi battute, di litanie, di passi del Rituale della Chiesa, dei Vangeli, frasi latine inventate sul momento dello stesso Kohlmann. In risposta, il diavolo parla in volgare, una lingua gretta e bassa. È un diavolo che agisce, però, soprattutto nel corpo e nella sua sofferenza. Sono esperienze che Kohlmann ha già vissuto. Di corpi sofferenti ne ha visti a centinaia. Quando aveva meno di trent’anni, si era unito ad un gruppo di uomini, soprattutto preti fuggiti dalla rivoluzione, guidati dall’ex soldato Nicolò Paccanari, sotto il nome di Compagna della fede di Gesù. Si spostavano per l’Europa predicando ed assistendo soldati feriti, accompagnandoli alla morte. Verso la fine del XVIII secolo ad esempio era giunto a Padova, dove tutti gli esseri viventi soffrivano del ristagno delle acque e degli umori, gli animali come i soldati, costipati dai catarri. Migliaia di soldati provenivano dalle città lombarde e venete che si stavano lentamente strappando ai francesi. Quando erano arrivati gli austriaci, poi, il popolo li aveva accolti come liberatori ma si erano dimostrati uguali agli altri, avevano portato via tutto, lenzuola, materassi, animali, in cambio di privilegi mai concessi e soldi mai forniti. Poi erano passati i cosacchi, che facevano terrore solo a guardarli. Kohlmann e i suoi compagni erano stati accolti all’ospedale civile, dove avevano potuto dedicarsi alla propria opera e raccogliere le confessioni dei morenti. Dopo quel soggiorno, era ripartito per Pavia dove aveva trovato più di diecimila soldati negli ospedali militari, da ogni parte d’Europa. Se non si riusciva a indurli a sconfessare la loro fede eretica bisognava quantomeno convincerli ad un mea culpa. Bastava un piccolo cenno o un pianto di pentimento. Questa vita non aveva più importanza, bisognava pensare a quella successiva. Kolhmann riuscì a convertire più di quaranta protestanti. L’opera del suo gruppo divenne così al servizio dell’imperatore Francesco II d’Asburgo-Lorena. Nell’1800, dopo essersi ammalato di scabbia, il nostro prete ripartì per la Prussia. -Esorcizzazione, in data 2 gennaio 1835, si scopre che in un'altra casa di buona famiglia vi è una giovane, di 18 anni, maritata da quattro mesi, che fa gesti stravaganti. Sembra ossessa anche lei perché quando le hanno portato l’acqua santa ha urlato “portate via quell’acquaccia!”. Vengono mandati sempre padre Manera e Kohlmann per verificarne lo stato. È una chiara conferma che il male sia tra loro. Bisogna continuare a esorcizzare la giovane Amerani. -Diario di Padre Manera, in data 4 gennaio 1835. Scrive di varie domande e risposte. Veronica avrebbe detto “sento dentro di me come se ci fosse una persona fina fina che mi batte per ogni parte”. Scrive poi che l’anima superiore è intatta. Padre Manera chiede a Veronica di interpellarsi e di indagare sé stessa, di narrare di quando si è spezzata nella sua interezza, di trovare la parte complice e quella innocente all’interno di sé. Ma come può farlo una ragazza di 19 anni? Questo tipo di indagine è tipica del modus gesuitico. Anche la modalità con cui Manera riporta la risposta di Veronica “sento un persona fina fina”, risulta guidata. Non è il modo di descriversi di una giovane donna. È la lingua di un maschio gesuita, possessore di una cultura antica. Sono gli strumenti utilizzati dagli stessi padri. Lo abbiamo detto, era fondamentale scrutarsi e raccontare di sé, per i gesuiti. E a loro venivano forniti gli strumenti per farlo. C’erano mappe dell’anima, parole, immagini, preparate dal lavoro di uomini su loro stessi per imparare a leggersi. Si pensava che ci fossero due anime, una superiore, dove risiedeva l’intelletto, ovvero la parte realmente umana della persona, ed una inferiore, sede del desiderare e del respingere, del soffrire e del godere, del percepire. L’anima inferiore necessita del corpo per agire, è il suo strumento per ricevere conoscenza del mondo. A seconda degli stati d’animo, nel corpo succedono cose diverse. Si tratta degli affetti: forze invisibili che si muovono nel corpo, inafferrabili ma capaci di sconvolgerne l’equilibrio. I teologi erano consci che da tali forze si poteva essere trascinati completamente, fino a rimanerne preda, per questo bisognava conoscerne i sintomi, studiarne le cause e gli effetti, i rimedi e le cure, per riportare l’essere umano che ne fosse preda al dominio della ragione. Gli affetti si generavano quando una cosa si offriva ai sensi e all’immaginazione: partivano dal cuore, centro pulsante di tutto il corpo, e si muovevano per il corpo attraverso le arterie e il sangue, che li portava ovunque, comportando diverse reazioni del corpo: il cuore si dilatava e scioglieva per la letizia e il desiderio, si contraeva per il dolore, si raffreddava per la paura e si infiammava per l’ira. È su questa immagine dell’uomo che i gesuiti avevano costruito per secoli la loro disciplina, dove medicina e filosofia dell’antichità, che essi avevano compendiato accuratamente nelle Summe costituivano la base inattaccabile. La medicina moderna, però, cominciava a porre dei dubbi, mettendo al centro di quelle sensibilità spiegate finora col subbuglio degli umori e del sangue i nervi e il cervello e certo non l’azione dell’anima inferiore. Si cominciava a pensare che l’essere umano fosse tenuto insieme da un fascio fittissimo di fibre, sempre pronte ad eccitarsi per gli stimoli del mondo esterno. Sembrava che nessuno volesse più parlare di anima: il corpo e la nuda materia erano diventati sovrani. Non a caso i censori avevano messo all’Indice i nuovi libri di fisiologia, principalmente francesi. Padre Manera lo sapeva perché era solito tenersi aggiornato, leggendo i giornali che davano informazioni sui progressi scientifici, trascrivendo parti di articoli. Era una prassi che aveva imparato dal suo maestro, Juan Andres y Morell. Andrès era arrivato in Italia prima della nascita di Manera, quando i gesuiti erano stati espulsi dai domini della monarchia spagnola. Sarebbe stato, in Italia, precettore, letterato e bibliotecario viaggiando fra Mantova, Ferrara, Venezia e Pavia. Si dedicò ad un’importante opera, in competizione con quella di Diderot e d’Alambert: produsse sette tomi intitolati Dell’origine, progressi e stato attuale di ogni letteratura, che si prefiguravano di compendiare tutto lo scibile umano. La Rivoluzione francese aveva tolto Dio dal sapere, ma Andres era convinto che non potesse esserci pensiero umano senza la scintilla di Dio. Recensiva inoltre volumi sulle Efemeridi letterarie e scriveva per le Novelle letterarie, convinto che così facendo si sarebbero potute arginare le dottrine illuministe. All’inizio dell’Ottocento, Andres era approdato a Napoli. Quando Ferdinando IV nel 1804 restaurò la monarchia, richiamò i gesuiti perché lo aiutassero a ristabilire l’ordine. Questi si portarono dietro tanti volumi da poter mettere insieme la biblioteca dei gesuiti, di cui Andres divenne presto prefetto. Inoltre, poco dopo divenne anche responsabile della biblioteca reale, che gli fu consegnata da Giuseppe Bonaparte. Seppur Napoleone, dopo aver preso Napoli nel 1806, sciolse nuovamente l’ordine gesuitico cacciando dall’Italia i suoi membri stranieri, Andres rappresentò un’eccezione. Manera entrò nel circolo di Andres a circa otto anni, affidato dal suo tutore a due precettori che frequentavano assiduamente le biblioteche e i cenacoli del gesuita. Dal suo maestro aveva imparato molto, ad esempio che la scienza moderna non era da temere, ma da conoscere, e forse per questo Manera glossava e trascriveva anche gli autori dannati, da Boccaccio a Machiavelli, e forse per lo stesso motivo, portò un medico a visitare Veronica. D’altronde, il suo maestro aveva addirittura sperato che lo studio del cervello permettesse di conoscere sempre meglio l’uomo, i meccanismi che ne regolano l’intelligenza e la memoria, riportando che anche fra i gesuiti vi erano stati degli episodi di pazzia. Il confratello Bosovich ad esempio, celebre matematico, era morto in preda alla pazzia. Andres si chiedeva se il suo cervello avesse riportato delle malformazioni (come aveva studiato il piemontese Vincenzo Malcarne, che sezionando il cervello di malati di cretinismo aveva notato alcune deformità). Forse anche Veronica era pazza. -Esorcizzazione: in data 9 gennaio 1835. Visita alla giovane, Padre Manera porta con sé il Dottor Andrea Belli affinchè vedesse la giovane in stato naturale prima che vederla in ossessione. Andrea Belli era il chirurgo dei gesuiti. Possiamo descriverlo nel corpo grazie ai numerosi scritti che ha lasciato di sé stesso, dove si descrive con minuzia (le carte sono sparse fra biblioteche e archivi romani). Si osservava con grande attenzione, quotidianamente, esprimendo nei suoi scritti da un lato la propria mortificata fragilità e dall’altro l’esaltazione della sua eroica virtù, seguendo forse l’esempio di Gerolamo Cardano, medico, filosofo, matematico, che nel XVI secolo aveva celebrato la forza della materia ed al contempo, scritto di sé. Sappiamo che a sette anni Belli era stato colpito dal vaiolo che gli aveva sfigurato il volto e provocato la calvizie. Per nasconderla, gli avevano messo una parrucca e lui aveva provato grande vergogna, tanto da scrivere una barzelletta amara e buffa al contempo. La vocazione per la medicina e la chirurgia era emersa quando suo padre Filippo lo aveva portato a sentire la storia della passione di Cristo ed Andrea si era commosso a sentire nominare i ventricoli del cuore, le arterie, i muscoli ed i nervi del figlio di Dio. Il padre gli aveva poi suggerito di annotare tutti i termini su tante piccole schede, e così Belli aveva fatto: era iniziata forse qui la volontà di scrivere una grande raccolta di letteratura ed erudizione, che compilava ancora da adulto . Era entrato alla Sapienza di Roma a diciannove anni, da studente e vi era rimasto tre anni. Dopo il primo, si otteneva il titolo di baccelliere, dopo il terzo, quello di licenziato e solo dopo una pubblica incisione anatomica e una dissertazione il titolo di dottore. Per esercitare in piena regola entrambi i mestieri, di medico e di chirurgo, aveva preso la matricola che si otteneva con la pratica, da lui fatta negli ospedali romani e soprattutto in quello della Consolazione, che curava contusi, fratturati ed escoriati. Col tempo, aveva fatto di quell’ospedale la sua casa: non solo ne era il chirurgo primario, ma e teneva l’archivio e la biblioteca, ci dormiva e ci mangiava. Nel 1814 era entrato in Arcadia, col nome di Liso Samiense, dando sfogo alla sua passione letteraria. Dopo di che, era stato assunto come chirurgo dei gesuiti, un incarico che, insieme a quello che continuava a tenere a Santa Maria della Consolazione, gli garantiva un reddito dignitoso che gli permetteva di dedicarsi alle sue passioni: quella letteraria, espressa con le spese pazze per la sua biblioteca sull’antico Lazio, da cui traeva ispirazione per i suoi componimenti, e la collezione di monete e medaglie. Nello stesso giorno, 9 gennaio, Padre Manera appuntava nel suo diario: Visita col Dottor Belli, Falsità smentite dell’avere la giovane studiato teologia e dell’esser morta matta la sorella in Campo Marzio. -Processus per la causa di beatificazione e canonizzazione del venerabile servo di Dio Francesco Saverio Maria Bianchi, datato gennaio 1827. Si tratta della testimonianza della sorella di Veronica, Maria Antonina Hamerani, di anni venti non compiuti, che in seguito al miracolo di guarigione decise di farsi monaca. È proprio la sorella di cui parla Manera, che si sospettava essere morta Matta. Il processus è conservato in un corposo volume situato all’Archivio apostolico Vaticano. Maria Antonina vuole farsi benedettina e racconta di come sia guarita per miracolo del venerabile Bianchi barnabita. In quegli anni infatti le guarigioni miracolose a lui attribuite fra Roma e Napoli erano tante che si cominciarono a raccogliere testimonianze sui suoi miracoli, per renderlo beato e poi santo. Le sofferenze di Antonina erano state atroci tanto quanto era stata la gioia nel vederla tornata in lei. La casa di via Sant’anna aveva dunque da tempo visto entrare dottori e sacerdoti, chinati su giovani donne fra salassi e benedizioni. Ascoltando le dichiarazioni di Maria Antonina e dei famigliari, i consultori della Congregazione dei Riti avevano il compito di cogliere ciò che più difficile vi era da cogliere al mondo: il miracolo. Argomentazioni a favore e sfavore, confutazioni, dimostrazioni, tutte operazioni volte ad accertare l’inaccertabile. Il corpo di Antonina era martoriato: il fegato e la milza erano tanto ostruiti da superare in dimensione tutti gli altri organi. Le terzane (febbre che compare a giorni alterni) erano cominciate a 14 anni, e, secondo le testimonianze della Madre e della zia Anna Maria, in seguito ad una “forte paura” (dice la madre). È chiaro che ad Antonina fosse successo qualcosa, ed è altrettanto chiaro che non sapremmo mai di cosa si tratta, ma tutti lo sapevano. Un pomeriggio la madre si era recata al capezzale di Antonina che, anche allo stremo delle forze, reggeva sempre un santino di Francesco Saverio Maria. Quel giorno se lo appoggiò sul ventre, Negli anni di permanenza a Torino, inoltre, l’amico di Manera Agostino Gervasio gli aveva scritto raccomandandosi di non eccedere negli sforzi intellettuali. Era antica la tradizione che associava la malattia e lo studioso. L’idea dell’intellettuale malinconico, segnato dalla solitudine era sopravvissuta anche quando la medicina aveva cominciato ad assegnare grande rilevanza ai nervi ed al cervello. Nell’opera di Tissot “Della Salute del Letterati”, che veniva inviata a Manera da Gervasio, trattava proprio di questo argomento. Il pensiero era il prodotto di un’azione dell’anima sul cervello, che generava uno scuotimento tale che il cervello si metteva a produrre immagini senza più smettere, rendendo lo studioso incapace di liberarsene, come Pascal che credeva di avere sempre una voragine di fuoco al suo fianco. Oppure, l’uso troppo intenso del cervello comportava un eccessivo affluire ad esso del sangue, era dimostrato dal caso di uno studioso bolognese che, alzandosi la mattina dopo intense meditazioni, ne perdeva sempre dal naso. Oppure ancora si potevano perdere tutte le forze lasciandone privo il corpo, come era successo ad un Francese che era rimasto con la penna in mano, immobile per giorni! Oppure ancora il sonnambulismo o la perdita di memoria. Inoltre, il corpo veniva danneggiato dalla vita sedentaria e dalla malcuranza di sé stessi. Che queste fossero reali preoccupazioni lo conferma il successo grandioso dell’opera di Tissot in tutta Europa. Anche padre Roothan dimostrava le proprie preoccupazioni per padre Manera, dimostrando un atteggiamento a metà fra la fierezza di un padre, che si può notare dalle sue lettere torinesi (1824) dove riporta che nell’insegnamento e nell’esircitazione dello stilo egli fa meraviglia e le sue lezioni sono frequentatissime, e la preoccupazione per la sua natura malinconica e solitaria, espressa in un’altra lettera (1825). Ad un certo punto anche Roothan fu colto da vomiti e svenimenti durante il suo soggiorno torinese, così i medici consigliarono ad entrambi di stare lontani dalle aule ed immersi nelle acque e nella natura. Una volta guariti, Roothan lasciò Manera con un confratello, ma continuò a scrivergli ogni giorno per sapere come stesse. Dieci anni dopo, a Roma, ritrovava le sue antiche inquietudini. -Appunti notturni di Maria Vittoria hamerani, Esorcizzazione: in data 16-17 gennaio. Il maligno spirito ha cominciato a parlare verso le 8.30, cantando “quella piattola di Padre Manera qua più non verrà, al convento suo starà, il diavolo riderà, Talitalera tarilalà”. -Esorcizzazione: in data 17 gennaio. Padre Massa scopre da Padre Kohlmann di essere il suo nuovo compagno per assisterlo nell’esorcismo della giovane Amerani. La visitano il giorno stesso. -Fascicolo personale di padre Tommaso Massa: senza data. Egli era, non so se per natura o malattia, privo di un occhio. Se possiamo conoscere qualcosa di padre massa è perché una mano anonima ha scritto di lui su un foglio volante rimasto separato dalle Summaria vitae, ovvero dai riassunti di vita dei gesuiti conservati nel loro archivio generale di Roma. Per sapere qualcosa in più Alfieri è andata a Bologna, dove la famiglia Massa lavorava. La casa dove era nato Tommaso Maria Camillo era tra le più affollate ed era segnata sul registro parrocchiale come “Casa Massa”. Solo da parte del padre, Giuseppe, erano in sette tra fratelli e sorelle. La ditta di famiglia aveva una sede a Parma, una ad Imola ed una a Genova, città di origine, ed era stata fondata dal nonno. Erano partiti da lì, spostandosi a Bologna. In via Pietrafitta viveva il capostipite con i due figli, Giuseppe e Francesco, e nella stessa casa era nato anche Tommaso, omonimo del nonno. Possiamo intuire qualcosa della loro condizione, sapendo che Tommaso -nonno- era stato convocato per andare a Lione alla Consulta straordinaria Cisalpina voluta da Napoleone, ma non c’era andato forse per l’età. Era stato anche fra i ricchi bolognesi costretti ad acquistare azioni dal governo per estinguerne il debito. Nel 1796. Napoleone aveva preso Bologna e affidato il potere in città al Senato, a dicembre si votava la Costituzione, mai divenuta legge. La città aveva visto un continuo via vai di stranieri invasori, prima francesi e poi austriaci, insieme a promesse di libertà mai mantenute. Sul Prato di San Francesco venivano fucilati i briganti, ma portavano questo nome anche i contadini che si rifiutavano di pagare l’ennesima tassa sul macinato o i giovani che si sottraevano alla leva militare. Il nonno Tommaso morì a causa della febbre, mentre i genitori lo seguirono ad inizio secolo. Nel 1802 la Ditta si trovava all’improvviso senza fondatore ed un socio, e costretta a pagare una cifra ingente alla sua discendenza. Tommaso ricevette infatti sedici mila lire. In quel periodo inoltre, qualcosa lo allontanò dalla famiglia e scomparve dai registri degli stati d’anime della parrocchia dei Santi Fabiano e Sebastiano. Il manoscritto dell’’Esorcizzazione riporta quasi interamente la sua scrittura, perché ad un certo punto è proprio lui che si è preso la briga di riscriverlo e ordinarlo da capo. -Esorcizzazione: in data 18 gennaio. I padri Kholmann e Massa vanno nuovamente a casa Hamerani. Sono presenti anche il Monsiglior Wisman e il Signor Knight, famoso medico inglese, oltre che il curato dell’Anima reverendo Ehrenhoefer e il sacerdote irlandese Miles. L’ossessione scoppia come al solito con grida e urli, il medico inglese assiste a tutti gli esorcismi e si trattiene fino a quando Veronica non orna in sé. Riesce anche a sentirle il polso rimanendo alla sponda del suo letto per un’ora e mezza e osservandone i moti violentissimi. Quando Veronica si riprende si dimostra tanto sorpreso di vederla tranquilla e si offre poi con i gesuiti di dare il proprio giudizio. Sir Arnold James Knight veniva da Sheffield. Aveva studiato medicina ad Edimburgo ed aveva vent’anni d’esperienza alla Royal Infimary dove curava soprattutto i corpi consunti dal respirare polveri dei molatori. Delle donne conosceva il colorito verdognolo da limatura o da manifattura di sedie e sofà. Aveva anche scritto una relazione sulle condizioni dei lavoratori nella sua città, ma in Senato non era stata ascoltata. Neanche i lavoratori l’avevano accolta bene, poiché essi volevano morire presto. Vivere più a lungo significava necessariamente lavorare più a lungo: avevano davanti un destino di sola fatica. L’isteria, dunque, non ciò di cui si occupava principalmente, ma ne aveva letto da studente grazie all’insegnamento - ad Edimburgo- del professor William Cullen che nel 1769 aveva pubblicato una classificazione di tutte le malattie conosciute, dando dell’isteria un elenco variegato di sintomi: brontolio della pancia, sensazione di una palla che rotola nello stomaca, convulsioni, mente instabile, crisi, urine molto chiare. La novità della classificazione di Cullen era l’attribuzione della malattia alla sfera neurologica quando era tipicamente stata associata all’utero, organo fragilissimo che poteva ribellarsi se non nutrito correttamente da gravidanze e rapporti sessuali. Per Cullen invece era il sistema nervoso che poteva causare cambi di sensibilità, cosa che avveniva a chi viveva nella raffinatezza (e dunque anche gli uomini potevano soffrirne!). Successivamente, Cullen aveva ritrattato le proprie tesi attribuendo l’isteria all’utero troppo ricolmo di sangue e confermandola come una patologia unicamente femminile, dai sintomi enormemente variegati. Nel 1780 l’isteria era stata addirittura protagonista della dissertazione inaugurale dell’anno accademico, a causa della sua gravissima incidenza. Le cause qui vennero considerate sia nervose che uterine e potevano essere moltissime: ira, gioia, idee sessuali, odori forti e gradevoli o disgustosi, esposizione al calore, vita sedentaria, troppo cibo, assenza delle mestruazioni ecc.. La compostezza che doveva essere propria della donna veniva continuamente messa a dura prova dalla sua predisposizione alla scompostezza. Tornato a Sheffield nel 1835 sarebbe stato proprio lui a tenere la lezione inaugurale dell’anno accademico dello Sheffield Mechanic’s Institute, tessendo le lodi dei gesuiti romani davanti ad un pubblico di protestanti, sostenendo che nella cattolica città di Roma le famiglie non sottostavano al regime di terrore dei padri devastati dal gioco e dall’alcolismo, e provocando numerosissime polemiche a causa del suo filopapismo. Non parlò di Veronica, a coloro che lo avevano chiamato per osservarla, bastava che sostenesse l’impotenza della sua disciplina. Allo stesso scopo era presente anche Nicholas Wiseman, nato a Siviglia e presto giunto a Portsmouth dove aveva passato un’infelice infanzia, nel collegio cattolico di Durham. Fin da bambino aveva cominciato ad imparare le lingue antiche e conosceva a memoria la mappa di Roma già a dodici anni, dove sarebbe giunto solo nel 1818, dove sarebbe però stato rinchiuso in un altro collegio, quello di via del Corso. Sarebbe uscito dalla sua gabbia di disciplina solo al finire degli studi, quando aveva potuto camminare fra le strade della sua amatissima città e passare intere giornate nella Biblioteca Vaticana a studiare i codici siriaci. A Ventiquattro anni aveva già pubblicato Horae Syriacae, che facevano luce sul codex vaticano che riportava l’antico testamento in siriano. Il successo era stato tale che lo avevano fatto subito professore alla sapienza. Poco più tardi, il Papa gli aveva ordinato di predicare agli inglesi in via del Corso, incarico che non aveva potuto rifiutare, diventando rettore del collegio che lo aveva ospitato. -Diario di padre Manera, in data 19 gennaio: dopo la messa lo va a chiamare il Signor N.N (?) che gli racconta degli esorcismi avvenuti negli ultimi giorni e lo informa che sta cercando di convincere anche padre Kohlmann della falsità dell’ossessione. Inoltre, egli ha saputo da una penitente che il C.N.N. (non ne conosciamo l’identità) si è intrattenuto con Veronica dal Natale del 1833 fino all’epifania in pratiche disoneste. Visto che il C.N.N. è come un lupo in mezzo alle pecore non ci sarebbe da sorprendersi se avesse convinto la giovane a fingere la possessione. Inoltre, riceve visita anche da Gioazzini -anche di lui non sappiamo niente- che conforta i suoi sospetti riferendogli il giudizio del medico Belli. L’ordine del padre di non assistere agli esorcismi non aveva calmato padre Manera. Mettere nero su bianco queste vicende non aveva solo la funzione di fare chiarezza e letteratura, ma anche di lasciare tracce di un sospetto che, se scoperto, avrebbe completamente travolto con la potenza di un ciclone tutti quanti: Veronica, che avrebbe perso per sempre il suo onore e quello della sua famiglia, e anche la Compagnia di Gesù, che si era fatta abbindolare dall’inganno di una ragazzina per mesi. -Diario di padre Manera, in data 20 gennaio: Veronica ha raccontato ha padre Kohlmann di un sogno terrificante che ha fatto stanotte. Se ne stava a letto e alle sue spalle sentiva come tre persone che la immobilizzavano, mentre davanti a sé stava un uomo di forma gigantesca tutto nudo che voleva violentarla. Per quanto ella cercasse di invocare il nome di Maria, non ci riusciva. Solo nel momento in cui lui le si fionda addosso, riesce a pronunciare il nome della vergine e la figura mostruosa svanisce. Negli scritti di padre Kohlmann non ci sono riferimenti a fiamme provocate dal corpo delle donne, ma è difficile credere che non ne avesse alcuna esperienza. Era diventato prete a Friburgo in mezzo agli emigrati che fuggivano dalla rivoluzione. Nel 1796 poi, era partito per seguire altri due giovani preti di passaggio, diretti a Torino, dove speravano di ottenere i passaporti per Roma. L’obbiettivo era convincere il papa ad ottenere il riconoscimento del loro piccolo gruppo di uomini come ordine religioso. La disciplina che si erano imposti era ferrea, educavano loro stessi a rinunciare ad un mondo che non li voleva perseguendo il loro sogno: restaurare in terra il regno di Dio. I due giovani si chiamavano Francois-Leonor de Tournely e Charles de Broglie. Il padre di quest’ultimo era il maresciallo di Francia ed istruiva a Coblenza, una piccola città sulle rive del Reno dove si erano radunati gli emigrati altolocati francesi in fuga dai rivoluzionari, che continuavano a vivere in una sorta di Versailles fuori da ogni tempo, convinti che il peggio sarebbe passato e sarebbero presto rientrati in Francia. Il gruppo di asceti a cui si era unito padre Kohlmann si sarebbe chiamato Società del sacro cuore di Gesù, e presto avrebbero incontrato quello di Niccolò Paccanari, che li avrebbe inglobati divenendone il leader. Da Friburgo il gruppo migrò nel villaggio di Goggingen, sotto la protezione di Clemente Venceslao, figlio del re di Polonia che allo scoppio della rivoluzione aveva offerto asilo a Coblenza ai fratelli di Luigi XVI, che rappresentava l’altra faccia della rivoluzione. Gli uomini del gruppo erano stremati, dei loro corpi rimaneva pochissimo: mangiavano un pezzo di pane una volta al giorno ed una birra. Ogni venerdì, ognuno accusava se stesso di fronte agli altri e scriveva un biglietto con le colpe dell’altro, poi letti pubblicamente. Nel settembre del 1796 quel rifugio dovette essere lasciato poiché l’invasione della Lombardia aveva fatto chiudere agli stranieri francesi le frontiere di Boemia, Austria e Baviera. Gli asceti avrebbero trascorso sette settimane a Passau, ma, incalzati dalle truppe di Moreau, sarebbero stati costretti a giungere fino a Vienna. Con le truppe imperiali che invadevano la città pronte a difenderla da Bonaparte, ancora una volta gli esuli stranieri vennero cacciati, ma questa volta fu l’imperatore in persona ad offrire asilo al gruppo di Kohlmann, ad Hagenbrunn. -Diario di padre Manera, in data 24 gennaio 1835: Visita di Gioazzini che mi narra falsità attorno alla famiglia Hamerani, inoltre riceve una lettera del dottor Belli che lo esorta da allontanarsi da quella casa. Sul diario del dottor Belli purtroppo non abbiamo nessuna nota riguardo l’uomo misterioso e il suo supposto amore con Veronica. In realtà, l’amore era argomento che il dottor Belli aveva deciso di negarsi se non come protagonista di dissertazione. Il suo aspetto butterato dal vaiolo infatti lo aveva isolato dalle attenzioni amorose, e presto lui aveva imparato a convivere con i rifiuti costanti e il continuo ignorarlo delle sue amate. Una volta addirittura si fece prendere dalla rabbia, urlando con i suoi a casa e anche in ospedale, dando fuoco alle sue carte. Era stato proprio da quel momento che aveva deciso che l’amore sarebbe stata, per lui, solo che una malattia capace di prostrare il corpo fino alla morte. Questa dissertazione uscì nel 1817. Nel Dialogo fra Andrea Belli ed un’ombra parlante, egli chiede a sé stesso:” Dunque farai l’amore?” e si risponde “Puffe, lo feci una volta sola e fu un delirio fugace che si risolse in un lampo”. -Diario di Padre Manera, in data 28 gennaio 1835: Giovanni Amerani lo visita e gli racconta della perfetta gruppo, schiamazzando, e se non li facevano entrare buttavano giù la porta e si prendevano le ragazze. C’erano poi quelle donne che, secondo il commissario della polizia, non potevano proprio definirsi “meretrici”, perché facevano l’elemosina e solo dopo, adescavano. In questo mondo, nel 1812, Tommaso completava il suo corso di studi e diventava avvocato. Quando, 24 anni dopo, venne mandato ad esorcizzare Veronica, non doveva essergli affatto chiaro come fare per liberarla. L’esorcismo da solo era evidentemente insufficiente, era necessario agire su tutta la persona, spezzare ogni complicità con il maligno, piegare ogni forma di amor proprio ed al contempo tenerla viva e in forze. Veronica non esisteva in autonomia, ma era totalmente sottomessa alla volontà dei suoi liberatori. Una volta ricevuto il mandato dal padre Generale, padre Massa si era messo a trascrivere l’opera di un confratello, Antonio Baldinucci, che gli era stata fornita dallo stesso Roothan come supporto al caso della giovane Amerani: il De Energumenis, ovvero l’esperienza di Baldinucci in un esorcismo durato cento giorni, di una suora di Viterbo. Baldinucci aveva cominciato a combattere i demoni quando era entrato nel convento delle francescane di Borgo di San Pietro, vicino Rieti, e vi aveva trovato una monaca che non mangiava da giorni, poteva passare ore in vasca, immersa fino alla gola, e un attimo dopo arrampicarsi in cima ad un solario impossibile da raggiungere. Era stata liberata invocando Sant’Ignazio, e poi era toccato anche alle sue sorelle, alcune delle quali erano piene di spiriti che le facevano grugnire e muggire come animali. Era stato un combattimento tanto duro che Antonio aveva pensato di morire, ma dopo quell’esperienza era diventato sapientissimo negli esorcismi, e gli bastava parlare agli spiritati per guarirli. Il suo manoscritto era divenuto una guida da seguire, così come lo sarebbe stata la Vicenda di Veronica: il male non aveva tempo e si riproponeva nelle sue esagerazioni e deformità, sempre allo stesso modo nei secoli. A partire dal Quattrocento infatti, gli esorcisti avevano cominciato a scrivere e l’invenzione della stampa aveva moltiplicato i testi a dismisura, con scongiuri e benedizioni, rimedi spirituali e materiali. Girolamo Menghi ad esempio, che aveva passato la vita ad esorcizzare, aveva indicato quali erbe e suffumigi utilizzare a questo scopo. Questo fenomeno continuò anche dopo la pubblicazione del Rituale romanum di Paolo V, nel Seicento, come se il testo ufficiale della Chiesa cattolica non fosse sufficiente. In quel mare di esperienze però, come si poteva giudicare ciò che era ortodosso da ciò che non lo era? Chi controllava gli esorcisti? Certo, il rituale indicava che l’esorcista dovesse essere pio, integro e di età matura, ma certo non vi era un curriculum di studi da seguire. L’esorcista si trovava solo di fronte al nemico, protagonista di un combattimento che avrebbe poi raccontato: la vittoria doveva per forza essere narrata, bisognava che tutti sapessero. Nei secoli passati i focolai di possessione, soprattutto nei monasteri femminili, erano stati moltissimi in tutta Italia: a Bologna a Santa Margherita, a Sant’Anna di Pisa, Santa Grata a Bergamo ecc.. Il diavolo nei loro corpi poteva essere sia segno della loro santità che della loro debolezza, poteva esservi entrato con la loro complicità o a causa di un maleficio esterno. Questo si si indagava anche nel caso di Veronica, bisognava scoprirne l’autore e per farlo, interrogare il diavolo ancora e ancora fin quando non avrebbe rivelato un nome. Nome sul quale il Sant’uffizio avrebbe indagato, che avrebbe scovato e messo a processo (nel caso di Veronica, Francesca da Genzano, Marchigiana, mai trovata). Le autorità ecclesiastiche si erano anche preoccupate, però, che quel proliferare di convulsioni e deformità fosse anche influenzato dalla presenza dei sacerdoti stessi, che eccitavano devozioni accendendo la fantasia, già esasperata dalla clausura. Per questo motivo nel Seicento le congregazioni romane avevano cominciato a controllare i comportamenti degli esorcisti e fissare regole più precise, riguardo il tempo (quante ore doveva durare la pratica?), lo spazio (andava eseguita all’esterno o all’interno? In luoghi sacri?) e ai rapporti con le esorcizzate, poiché il timore che si sfociasse in rapporti di natura sessuale era ben alto. Molti manuali per gli esorcismi finirono, nel Settecento, all’Indice, e si tentò di imporre il Rituale come autorità esclusiva. Verrebbe da domandarsi quali esperienze conoscessero i padri che stavano esorcizzando Veronica, probabilmente quella di Jean-Joseph Surin che aveva liberato la badessa di Loudun dai diavoli venendone a sua volta invaso (gli avevano provocato un mutismo di 17 anni), oppure dei loro confratelli olandesi che liberavano interi villaggi con le reliquie di Sant’Ignazio. -Esorcizzazione, in data 29 gennaio 1835. In questo giorno si decise di cominciare gli esorcismi alle 21. Un servitore venne a chiamare i padri per aiutarlo a tirare fuori Veronica da sotto il letto, dove si era rintanata da più di un giorno. Infatti ella si era alzata la mattina, aveva preso un libro e lo aveva distrutto, tirato una sedia contro la madre e rovesciato la scrivania. Poi si era infilata sotto il letto e aveva cominciato a battersi forte il petto con i pungi delle mani, sbattere violentemente la testa sul pavimento e talvolta picchiare con le mani a palmi aperti sul pavimento. Quando i padri giunsero in camera, lei si coprì con un lenzuolo come meglio poteva, fu presa per le braccia e con fatica la tirarono fuori da sotto il letto, mentre si dimenava ed urlava. Non sappiamo bene quando Padre Massa decise di diventare sacerdote, ma possiamo immaginare che ad un certo punto a Bologna possa aver udito accenti castigliani e aragonesi, mischiati al bolognese. Le lingue dei vecchi gesuiti sopravvissuti all’espulsione nelle terre della monarchia di Spagna. Erano arrivati quasi in mille a Bologna: alcuni avevano continuato a fare i preti, altri avevano cercato di adattarsi al mondo come meglio potevano, dedicandosi alla scrittura di opere lunghissime come aveva fatto Juan Andreas y Morell, o diventando avvocati, precettori, commercianti. Quando alla fine del secolo, le autorità spagnole avevano concesso la possibilità di rientrare nelle loro famiglie, molti erano comunque rimasti nelle parrocchie della città, nonostante il sospetto che aleggiava sui religiosi in quel periodo. Per predicare nelle piazze era obbligatoria una licenza, concessa solo a chi poteva esibire il certificato di civilismo, ma come potevano le autorità controllare il dialogo segreto, il confessionale? L’ostilità delle autorità per la dimensione più riservata della religione è dimostrata anche dal divieto di svolgere processioni nelle ore notturne, nella chiusura delle Chiese una volta calato il sole. La religione sopravviveva così, in quel periodo. Quando nel 1814 il Papa decretò nuovamente la legittimità dell’ordine della Compagnia di Gesù, per i gesuiti bolognesi era altrettanto impensabile rimettersi in cammino verso le terre di origine -ormai erano troppo vecchi- e scelsero, ancora una volta, di restare. È probabile che proprio fra questi Massa avesse trovato un maestro, anche se, qui, l’ingresso alla Compagnia gli era ancora precluso, a causa dell’occhio mancante. Ritroviamo però Tommaso, nel settembre del 1818, in una stanza del noviziato dei gesuiti d Madrid! Ce lo racconta un atto notarile di quell’anno in cui dichiarava di voler donare tutti i suoi beni al fratello Agostino, a condizione che li spartisse equamente con gli altri e che celebrasse mille messe in suffragio alle anime del purgatorio. In questo modo, Tommaso lasciava la professione di avvocato e i suoi legami Bolognesi. Era stato iniziato all’avvocatura da un famoso legale di quel tempo, Berni degli Antoni, forse lo stesso uomo che lo aveva condotto verso la poesia, di cui riusciamo anche ad intravedere un brandello, archiviato nella Biblioteca Comunale di Bologna, un piccolo opuscolo dato alle stampe. Nel 1815 inoltre, la Gazzetta di Bologna dichiarava fallita la ditta Massa, e lo zio Gioacchino e sua moglie Livia dovevano accettare l’intrusione del cancelliere del Tribunale di Commercio, che entrava in casa e metteva i sigilli sui mobili, sui cassetti, inventariando stanza per stanza. Gioacchino sarebbe morto poco dopo e per saldare tutti i debiti della famiglia ci sarebbero voluti anni. L’unica cosa che sappiamo di Tommaso, in quell’arco di tempo, è che vivesse nel quadrilatero accanto a Piazza Maggiore, in un palazzo di via delle Drapperie, in affitto presso il signor Gaetano Capelli, che fu a lungo portiere del tribunale -che Tommaso doveva aver molto frequentato-. -Appunti di Maria Vittoria Hamerani, Esorcizzazione: in data 30-31 gennaio. Alla solita ora il diavolo comincia a parlare dicendo “Accidenti a te”. Nuovamente, alle ore sei dice che “quel guerciaccio di padre Massa si è rimesso a fare l’avvocato, sta a scrivere. Sta scrivendo la causa per la cliente e quando avrà finito le chiederà un centinaio di scudi”. I liberatori di Veronica avevano scelto di cambiare metodologia. Innanzitutto avevano predisposto una cappella in casa Hamerani dove sangue e corpo di cristo erano sempre a disposizione e dove si sarebbe celebrata la messa ogni giorno. Fino a quel momento avevano portato il tabernacolo dalla Chiesa di San Carlo ai Catinari, con una piccola processione, ma i vicini si erano lamentati del continuo via vai, così, i padri se n’erano procurato uno per sé, trovandolo da Salvatore Grandoni e dalla marchesa Teresa Andosilla, vedova pia e benefattrice che finanziava i monasteri e le case dei gesuiti, specialmente quelle dirette da padre Massa dove venivano battezzate le donne ebree, a cui veniva fornito anche un nuovo nome. Questa donna viene menzionata nell’Esorcizzazione, in una lettera a lei destinata, che fa credere che anche Veronica venisse da lei considerata una giovane anima da salvare. Teresa poteva aiutarla unendosi in preghiera agli altri uomini suoi salvatori, ai quali però si aggiunge un nome: Bernardo Maria Clausi. -Esorcizzazione, in data 5 febbraio 1835. Poco prima che giungessero i Padri era andato a trovarla Padre Bernardo paolotto, che l’aveva consolata dicendole “non è ancora andato in Piazza Navona questo birbone, ma voi siete di buon animo e vi manca poco a liberarvene”, sostenendo che non solo lo sperava ma lo credeva fermamente. Padre Bernardo era l’esorcista ufficiale del Vicariato di Roma e apparteneva all’ordine dei paolotti, i minimi di San Francesco da Paola, che facevano voto di castità, povertà ed obbedienza. Non mangiavano carne, latte e uova. I racconti che ci narrano della sua vita sono raccolti nei fascicoli del suo processo di beatificazione, dove decine di occhi scrutano i suoi virtuosi eccessi e la sua sregolata devozione. La conquista delle anime, per lui, avveniva anche attraverso il disgusto: si infilava le dita nel naso quando era in casa di gran signori, aveva convinto la monaca Maria Luigia a bere dal suo stesso bicchiere dove aveva lasciato residui di saliva, oppure ancora portando un pettine pieno di sporcizia ad una sua consorella perché vincesse sé stessa, usandolo sui suoi capelli. Era uno dei pochissimi ad avere licenza di entrare in quei recinti di donne. Quando giunse da Veronica si sentì chiaramente il suo odore: santità sporca e profumo d’arancia, proveniente dai portogalli che aveva raccolto da un albero Santo, piantato secoli prima dal beato confratello Nicola. -Diario di Padre Manera, in data 18 febbraio: la madre di Veronica le passò sotto il naso il portogallo e la giovane pregò Gesù Cristo, Maria e i santi (fra cui il beato Nicola) che non le si impedisse di fare la comunione la mattina successiva. Dapprima succhiò qualche goccia di succo del frutto, poi, con coraggio, lo mangiò tutto. Seguono descrizioni dei pasti. La scrittura di Manera comincia a farsi meno letteraria ed elegante. Era infatti un periodo impegnativo per lui, perché il padre Generale insisteva perché si dedicasse alla predicazione, quando lui avrebbe preferito insegnare, un’operazione quotidiana che avrebbe allenato il suo ingegno. Da questo momento però non avrebbe più riportato i suoi dubbi su Veronica. Alla fine di febbraio terminano anche le annotazioni notturne di Maria Vittoria, e anche la scrittura ordinata di Padre Massa dell’Esorcizzazione subisce degli scossoni. Infatti, egli cerca di stare dietro al susseguirsi degli eventi, ma lo fa con una scrittura privata, non ufficiale. Era troppo impegnato come esorcista per riuscire ad ordinare quel fascicolo, le crisi di Veronica erano ogni giorno più violente, i padri le stavano cercando tutte per sottomettere il diavolo e costringerlo a rivelare loro come fosse entrato nella ragazza, usando tutte le lingue che conoscevano. Riprendendo la storia di padre Kohlman che avevamo lasciato alle porte di Vienna, dobbiamo dire che egli era partito per Dillingen, in Baviera, dove aveva diretto un collegio presto occupato dalle ruppe francesi. Si era dunque spostato a Berlino, dove aveva aperto una scuola poi chiusa dalle autorità prussiane. A questo punto, egli scrisse al generale dei gesuiti a San Pietro Burgo, chiedendo di poter entrare nella Compagnia, ed egli gli rispose di recarsi ad Amsterdam, dove un tale Beckers esaminava i candidati. Vi arrivò nel 1803, ripartendo pochi mesi dopo per Londra. Finalmente qui, nel 1805, venne esaminato da un altro ex-gesuita per provarne la vocazione. Così, sempre quell’anno, sbarcò a Riga: la sua destinazione era Dunabrug. Era una regione storica della Letgallia, estremità orientale della Lettonia. Nel 1773 Caterina II aveva preso possesso di quella zona, che comprendeva la cosiddetta Russia Bianca, acquisendo anche quattro collegi e quattordici missioni. Il numero dei gesuiti inizialmente si aggirava sui 200 uomini, ma andò lentamente aumentando. Dopo la soppressione dell’ordine, nel 1773, i membri ne attendevano il ritorno e molti di questi tentarono di raggiungere coloro che erano sopravvissuti, laggiù. All’inizio del nuovo secolo, Paolo I, figlio di Caterina, aveva loro garantito la possibilità di aprire scuole e il papa aveva restituito ufficialità all’esistenza del gruppo. Da quel momento i tentativi di raggiungerli si erano moltiplicati! Padre Kohlman giunse a Dunebrug nel 1805, dopo tre giorni di viaggio in diligenza. Lì vi era il noviziato che quell’anno contava circa sessanta uomini. Intorno al collegio le anime semplici dei contadini, seppur le molte mietiture ottenute da confessioni e predicazioni, malsopportavano la presenza dei religiosi. La loro semplicità però infondeva nel cuore dei gesuiti un tale desiderio di pietà che i superiori dovettero limitare le ore che i confratelli dedicavano alle confessioni. Anche padre Roothan aveva visitato quelle terre, in missione. Non queste terre vivevano di grano, di olive e fagioli: non c’era opulenza ma neanche la fame. A Graus i gesuiti avevano già un collegio, fondato verso la metà del Seicento, abbandonato nel 1767. Cinquant’anni dopo erano arrivati in città tre vecchi spagnoli della vecchia guardia, accolti dalla folla con festeggiamenti incredibili, balli nelle piazze e gigantes, ovvero due figure enormi di cartapesta chiamate “La Giganta y el Ministro” che terrorizzavano i bambini. I tre vecchi avevano subito scritto ai confratelli della capitale e al segretario della Real Junta, raccontando della povertà, della salute precaria, dei tetti che marcivano e dei soffitti che si sgretolavano. L’archivio di Loyola, nelle montagne basche, conserva le loro lettere che mescolano italiano e castigliano. Una volta giunsero due ottuagenari che volevano entrare nella compagnia, ma uno era tanto sfinito dal viaggio che dovettero metterlo a letto nutrendolo a latte e biscotti. Ogni tanto il vescovo metteva una pezza devolvendo loro le magre offerte ricevute, ma i soldi mancavano sempre. I confratelli speravano di raccimolarne abbastanza da mettere su una biblioteca, anche se ci si chiede chi avrebbe mai letto libri in un luogo dove a malapena si aveva qualcosa da mangiare. Era meglio insegnare i rudimenti, leggere e scrivere il necessario. In tutte queste testimonianze non vi è neanche una presenza femminile. Tommaso arrivava dunque a Graus, e ancora una volta non abbiamo racconti né sul suo viaggio né sulla sua vita, a parte una traccia della sua grafia. Scriveva per il superiore del collegio alla Real Hunta a Madrid, che i gesuiti a Graus facevano ciò che era stato loro detto di fare, dicevano la messa e assistevano i malati, insegnavano. A lui, spettava occuparsi delle primeras letras: una classe di cinquanta bambini da togliere all’ignoranza più completa ed un’altra di un centinaio a cui insegnare a leggere e scrivere. Quando Alfieri è andata a cercare quel luogo, dichiarando che stava cercando un gesuita bolognese che c’era stato, le hanno detto che doveva averne combinata qualcuna di grossa se lo avevano mandato lì: essere a Graus era dunque una punizione? La situazione nel 1820 si faceva di nuovo incandescente e ricominciavano i moti di ribellione. Nei pressi di Siviglia il popolo si era ribellato sotto il comando del battaglione delle Austrie, contro Ferdinando VII, che si era ancora rifiutato di ristabilire la costituzione liberale del 1812. Inoltre, nel 1820, Ferdinando VII aboliva nuovamente la Compagna di Gesù, in tutto il regno, dopo averla così insistentemente voluta al proprio fianco. Tutte le diciassette case gesuitiche scrivevano al rettore del Collegio di Madrid per essere mandati in Italia, ma solo i membri più meritevoli potevano ottenere la licenza per andare. Molti partivano senza, come Lascado, che era entrato ed uscito dalla compagnia già due volte. Certamente, il giovane Bosch che aveva lavorato con Tommaso a Graus non era degno, visto che era stato sgamato a dire messa senza essere sacerdote. Tommaso venne raccomandato dallo stesso vescovo di Barbastro, che scrisse al padre Generale della Compagnia che “padre Masa” aveva tutte le carte in regola per diventare un buon gesuita, gli bastava studiare ancora un po’ di teologia e restare in forze. Tommaso dunque giunse a Ferrara, e poi a Roma, nella stanza della nostra Veronica, dove lo troviamo a spaventare i diavoli minacciandoli con la frusta. -Esorcizzazione, in data 22 giugno 1835. Padre Kohlman parla al Cardinale Vicario della situazione di Veronica, portandogli all’attenzione i suoi peggioramenti. La ragazza poteva infatti cadere per ore in uno stato di torpore che nessuno riusciva a rompere, poi esplodeva improvvisamente in canti riguardanti quella Francesca di Genzano, la marchigiana che le aveva fatto il maleficio, e un patto d’amore siglato fra lei e il diavolo. Ovviamente, qualcuno aveva indagato su chi fosse questa Francesca, accusata dal Sant’Uffizio del crimine di maleficio, tant’è che nell’Esorcizazione figura un racconto, scritto da mano ignora e incolta, che narra proprio di questa indagine. L’indagatore chiese ad una certa Marconi, maritata a Moretti, abitante a Genzano, se vi fossero streghe in città e lei rispose che persone tali non ce n’erano. Ma quando egli chiese come mai allora alle tre figlie Hamerani fosse stato fatto un maleficio proprio in quella città, la donna ritrattò. Disse che era vero, che il maleficio lo aveva fatto una parente della loro custode, ma che questa era marchigiana, di nome Francesca, ed era partita da Genzano lasciando sua figlia! Purtroppo non è mai stata trovata. Intanto gli esorcismi su Veronica si facevano sempre più violenti, la colpivano con la frusta, la legavano, la inseguivano per casa e trascinavano per le gambe. La ragazza aveva detto di aver vomitato capelli e fili di spaghetto, due piccole piume e una più grande, paglia, carta sottile, ma i padri volevano vederla espellere gli elementi del maleficio con i propri occhi. Era già successo qualche anno prima: di fronte ad un’immagine di Maria un giovane aveva vomitato un grumo di fili di seta tenuti insieme da un archetto di metallo e così era guarito dal suo tormento. Dopo sei mesi però, padre Roothan diede l’ordine di sospendere gli esorcismi. Da quel giorno la porta di casa in via Sant’anna non si apre più per noi, ma la vicenda è ancora tutta aperta! Padre Massa fu il primo a scrivere una lettera al suo superiore per esprimere il suo disappunto per quella decisione, individuando un colpevole sopra gli altri: padre Manera. Era stato lui a dubitare, lui a convincere tutti che la ragazza stesse fingendo. Il tutto con la complicità del chirurgo Belli. E adesso era sotto gli occhi di tutti l’impotenza degli esorcisti e dell’intera Compagnia di Gesù. Massa non si azzardava a scriverlo, ma era chiaro che lo pensava: il maligno era entrato anche in padre Manera, lo stesso che abitava Veronica. La sua protesta però non fu ascoltata ed egli finì a predicare nell’Oratorio del Caravita, dietro al Collegio romano, dove si tenevano esercizi spirituali esclusivi per le donne. Era la cloaca massima della città, dove andavano a ripulirsi le zozzure più torbide. Il venerdì si spegnevano i lumi e nel tempo di un Miserere si sollevavano mulinelli di frustate che picchiavano le spalle nude dei penitenti. Nel mese di giugno Andrea Belli annotava nel suo diario di essere consapevole che ad alcuni dei gesuiti non andasse a genio la sua opinione sull’ossessione della giovane Amerani, ma che alla fine avevano dovuto fare i conti con la realtà e sospendere gli esorcismi: non si trattava di nulla di soprannaturale. Padre Kohlmann fu il più accanito nello scagliarsi contro la decisione di Roothan, scrivendo una accorata dissertazione che dimostrasse l’enormità dell’errore. La Disquisitio non si trova nel fascicolo dell’Esorcizzazione ma in un incartamento che raccoglie carte di varia natura sull’attività dei padri residenti in quella casa. In primo luogo, Kohlman mette in chiaro di aver agito solo dopo aver visto, e di aver combattuto perché si conoscesse la vera natura di quel fatto. Inoltre, sottolinea che si sarebbe ritenuto colpevole solo se avesse abbandonato la ragazza al demonio sottraendola dalle mani della chiesa cattolica. Kohlman sosteneva che interrompendo gli esorcismi si decretava la fine della ragazza. Se fosse stata pazza, come dichiaravano i medici, non avrebbe mai trovato marito, visto che tutta Roma conosceva ormai la sua storia, sarebbe stata rovinata per sempre. E con lei pienamente screditati anche i gesuiti, che sarebbero passati come un manipolo di creduloni. Com’era possibile che il padre generale non riuscisse a vedere che era in atto un piano per distruggere la Compagnia e la stessa Chiesa, e che quell’esorcismo e quel corpo straziato di donna erano campi di battaglia dove combattere fino all’ultimo? I nemici più accaniti erano i medici, convinti che gli ossessi fossero non altro che malati. Pochi anni prima, Philipe Pinel e Dominique Esquirol, ritenuti oggi i padri della psichiatria, avevano proprio studiato diversi casi di possessione sostenendo che dovessero essere classificati come malati. Possedevano patologie, dovute a cause fisiche come l’assunzione di sostanze, o il clima, o forte scuotimenti emotivi come la vedovanza. E inoltre, avevano anche sostenuto che la suggestione religiosa giocasse un ruolo fondamentale, agendo su soggetti deboli ed incolti (soprattutto le donne). Frequentemente quindi la presenza dei preti non faceva che peggiorare la situazione. Eppure, era soprattutto contro il chirurgo Andrea Belli che Kohlman si scagliava, che non solo aveva negato l’ossessione di Veronica, ma era anche responsabile della morte delle sue sorelle! Le aveva affaticate e stremate a furia di senapismi e bagni bollenti, credendo di riuscire a farle rinvenire dai loro torpori, quando né lui né i suoi colleghi avevano realmente compreso che il male venisse da altrove, che le giovani Hamerani erano vittime di un maleficio. I medici continuavano ad insinuare che la loro fosse voglia di marito, anche se tutte loro volevano in realtà votarsi a Dio! Se anche avessero voluto entrare in monastero, si era messo loro in testa che volevano il matrimonio… una via ormai preclusa per la povera Veronica. Filippo Leonardi, il medico della famiglia Amerani, era complice di Belli, nonostante fosse un rinomato cattolico, che aveva addirittura affermato nelle “Riflessioni sul temperamenteo dell’animazione del feto umano” che fosse necessario squarciare il ventre della madre per poter battezzare il piccolo e dargli vita eterna. Invece il professore di botanica Michelangelo Poggioli, chiamato dallo scrupolo di Padre Manera -medico dei papi Leone XII e Gregorio XVI- optava per l’ossessione. L’aveva capito quando aveva segnato con la croce un piede di Veronica e lei lo aveva cacciato chiamandolo “Vassallo infame”, lo stesso insulto che lui rifilava ai suoi figli nelle mura domestiche. La colpa era anche della lunga tradizione che vedeva il corpo femminile in balia dell’utero, un organo capriccioso in grado di ribellarsi fino a far morire la donna. Ma, si chiedeva Kohlman, non è un insulto alla natura umana pensare che Dio facesse persistere quello che nella medicina veniva chiamato “furore uterino”? Se davvero ci si poteva ammalare a causa della prolungata castità, allora bisognava far sposare tutti, come facevano i protestanti? Accettare che veronica fosse nient’altro che un’isterica significava ammettere che il corpo potesse soccombere al desiderio. Sul corpo di quella giovane ci si giocava la sorte della Chiesa di Roma. Padre Kolhman aveva esperienza di corpi di donne. Dieci anni prima a Whasington era stato al capezzale di Ann Mattingly, malata di tumore al seno e che sembrava spacciata. Le aveva detto che il suo dolore sarebbe servito per il trionfo della fede, e il giorno del 10 marzo aveva fatto in modo che un suo confratello celebrasse messa a Saint Patrick mentre lui lo aveva fatto a George Town ed ancora il sacerdote Alexander con Hohenlohe pregava in Europa, contemporaneamente, era riuscito a far cantare un coro di duecento voci devote. La mattina dopo Ann aveva mangiato l’ostia ed era completamente guarita. Padre Kohlman sapeva anche di essere un ottimo oratore. Negli USA si era parlato a lungo del “The Kohlman case”. Nel 1813, un marinaio irlandese, James Keating, aveva denunciato un furto, ma poi gli era tornata indietro la refurtiva e si era rifiutato, inizialmente, di spiegare come. Gliel’aveva restituita padre Kohlman, che aveva convinto il colpevole a rendergliela, in confessione. Chiamato a testimoniare contro l’accusato, egli rifiutò. Il caso giunse fino alla presenza del sindaco di New York e l’ostinazione di Kohlman fu fondamentale per sancire uno dei principi della libertà religiosa negli USA: l’inviolabilità del segreto della confessione. Era stato fatto anche Vicario di New York in attesa che giungesse il vescovo da Napoli. L’unica chiesa cattolica di New York, St. Peter, era diventata casa sua (lo chiamavano Father Antony), e aveva combattuto per costruirne un’altra in vista dell’arrivo del vescovo: si sarebbe chiamata St. Patrick, visto che la maggioranza dei fedeli era irlandese. Aveva poi aperto una scuola, la New York Literary, insieme a quattro confratelli, dove badava una trentina di scolari che in fretta si erano più che duplicati. Come poteva fallire ora? Aveva addirittura gestito una piantagione nel Maryland, quella ai piedi della collina di White Marsh, dove si coltivava tabacco che rendeva pochissimo e c’era a malapena il minimo da mangiare (solo il sidro era abbondantissimo). Aveva visto la schiavitù con i suoi occhi. Per i confratelli venuti prima di lui, la schiavitù non era né un bene né un male, esisteva per servire Dio come tutte le altre cose. Ma anche tra gli schiavi potevano capitare cose mirabolanti. Una ragazza brasiliana una volta si era consacrata e messa al collo un crocefisso per indicare la propria verginità perpetua. Quando il suo padreone aveva cercato ti violentarla gli aveva indicato il crocefisso e gli aveva detto di guardare bene il prezzo che LUI aveva pagato per redimere gli uomini. Era una schiava per sfortuna della vita, ma una vera eroina di fede. Kohlman si ammalò nel 1836, chi annotava il Diario della Casa professa dei gesuiti scrisse che arrivava in infermeria con la gola infiammata, febbre e debolezza. Un salasso non aveva giovato abbastanza, quindi se n’era fatto un altro, il 10 aprile. Era morto dopo le dieci di sera. Augustine Theiner ne aveva scritto una biografia edificante, in cui però aveva omesso le sue mancanze. Non vi era scritto che aveva fallito con Veronica Amerani, e neanche con il filosofo Thomas Paine, padre costituente degli USA, che in punto di morte sembrava volersi redimere con Dio. Kohlman lo aveva raggiunto al suo capezzale, giurando a sé stesso e al suo compagno che non lo avrebbero lasciato fin quando non avessero conquistato l’anima di Paine. Ma il colloquio non era andato come speravano e avevano dovuto mollare la presa davanti alla totale testardaggine e negazione del sacro del filosofo. -Esorcizzazione: in data 23 aprile 1836. Lettera di Veronica a padre Massa, gli comunica che ha saputo che non possono più andarla a trovare e confessarla, cosa che la rattrista moltissimo. Si è ritrovata nella massima “devoluzione” mentre il diavolo la tentava alle cose più terribili. Si rammarica moltissimo per la morte di padre Kohlman e dice che ha preso come temporaneo confessore un padre barnabita. Spera che possano tornare a curare la sua anima e ringrazia moltissimo il padre e i suoi colleghi per averla assistita. è l’unica traccia di suo pugno che si trova nell’Esorcizzazione. -Da Senigallia, inviata al cardinale vicario dall’inquisitore, contro il Papa:
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