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Viaggio nella grammatica. Esplorazione e percorsi per i bambini della scuola primaria, Schemi e mappe concettuali di Linguistica

Riassunto di tutti i capitoli tranne i paragrafi da 3.4 a 3.11 e dal 4.5.1 al 4.6

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

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Scarica Viaggio nella grammatica. Esplorazione e percorsi per i bambini della scuola primaria e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Linguistica solo su Docsity! VIAGGIO NELLA GRAMMATICA L'acquisizione del linguaggio da parte del bambino avviene non solo per imitazione del modello adulto ma anche grazie ad un processo di osservazione selezione ed elaborazione dei dati linguistici che il bambino compie in autonomia. L'imitazione riguarda soprattutto certi settori della lingua come, ad esempio, i suoni o le parole soprattutto quando vengono usati nella loro funzione etichetta cioè la mamma mostrando il gatto dice il gatto e il bambino tenta di ripetere gatto; non avviene lo stesso per quanto riguarda l'acquisizione della grammatica, cioè delle molte regole che governano la morfologia (le forme) e la sintassi (le strutture). Ad esempio, la regola per cui i nomi che in italiano terminano in -o hanno generalmente il plurale in -i non si vede da nessuna parte se non nei dati, vale a dire nelle centinaia di migliaia di parole che noi tutti produciamo parlando e scrivendo. È da questo formidabile serbatoio sempre a sua disposizione che il bambino ricava, ricostruisce una regola che sicuramente non sarebbe in grado di capire se qualcuno gliela spiegasse. Dunque, nell'acquisizione del linguaggio giocano un ruolo fondamentale da una parte l'esposizione del bambino alla lingua, l'input che riceve dall'ambiente familiare e sociale nel quale è immerso, dall'altro la datazione biologica di cui il bambino dispone alla nascita: i meccanismi di percezione, analisi degli stimoli ambientali. L'interazione di questi due fattori spiega la rapidità con quel il bambino procede nell'acquisire la sua lingua materna. Nonostante la complessità di ogni sistema linguistico a tre anni di età o poco più il bambino normodotato è già in grado di usare la lingua, o le lingue, a cui è stato esposto per soddisfare i suoi bisogni di comunicazione, e può farlo perché conosce centinaia di parole di cui seleziona la forma adeguata (per genere o per numero) e che sa combinare in sequenze dotate di senso. L'acquisizione del linguaggio è un processo “creativo”, che mette in gioco le abilità intellettuali del bambino, ovvero le sue capacità di osservare la realtà, in questo caso linguistica, che lo circonda; ritagliare e individuare segmenti significativi; scoprire le proprietà di tali segmenti quindi suoni, accenti, struttura, significato, posizione occupata nella catena; fare confronti tra diversi segmenti individuati e notare diversità e differenze fare ipotesi sul loro funzionamento nella sequenza parlata; sperimentare la validità delle ipotesi fatte nell'interazione, e se è il caso, correggere le ipotesi che non reggono la prova dei fatti. Potrà sembrare strano che bambini piccolissimi siano in grado di operare anche inconsapevolmente in questi termini, ma per convincersene basterà analizzare i loro errori di produzione. che rivelano senza ombra di dubbio il percorso mentale che hanno compiuto. È stato notato che bambini molto piccoli producono senza problemi le forme irregolari di alcuni verbi molto frequenti in italiano: dicono aperto, diviso, vado, vengo, ecc. Hanno sentito queste forme, le hanno memorizzate, le riproducono correttamente. A un certo punto però, intorno ai tre anni, cominciano a sbagliare, producendo forme inesistenti nell'italiano ma formalmente abbastanza regolari come aprito, dividito, ando, vieno. Di solito questa fase suscita la preoccupazione dei genitori che vedono regredire il linguaggio del bambino, ma quello che i genitori non sanno è che i bambini davvero incompetenti non fanno questo genere di errori. Cosa è successo allora? è successo che i bambini stanno faticosamente ricostruendo il paradigma dei verbi italiani, notoriamente molto complesso. Inoltre, non è facile nella normale interazione cogliere le sottili differenze concentrate alla fine della parola come vedo vedi vede tra mangiate e mangiato .In questi casi ad una piccola differenza formale corrisponde una grande differenza semantica, di conseguenza il lavoro da fare per mettere insieme tutte le tessere del puzzle è enorme. Proviamo quindi a rifare per intero tutto il percorso mentale del bambino: diciamo che un bambino che dica io ando è un bambino che ha già maturato una competenza linguistica di ottimo livello, che lo mette in grado di selezionare elementi omogenei per forma e per possibilità di variazione. In questo caso i verbi e che quindi è in grado di distinguere rispetto ad altre categorie lessicali ad esempio nomi o articoli, sa che questi elementi che noi adulti chiamiamo verbi designano degli eventi e che la loro forma varia con il variare del protagonista dell'evento. In questo caso il bambino intende parlare di sé e quindi correttamente dice io, quanto alla forma verbale seleziona giustamente la desinenza –o. l'errore, quindi, sta nella prima parte della formazione and- cui il bambino è evidentemente pervenuto applicando le sue recenti scoperte (se andare appartiene allo stesso gruppo di mangiare e giocare, cantare si comporterà nello stesso modo, e se mangiare si forma io mangio da giocare si forma io gioco, da cantare io canto e da andare io ando). Non c'è modo di spiegare questo errore al bambino se non supponendo questo complicato raffinato ragionamento grammaticale. Questo errore, dunque, se correttamente interpretato diventa una prova importante del lavoro mentale raro il caso di docenti molto impegnati sul versante grammaticale che allo stesso tempo denunciano le insufficienze espressive dei loro allievi. in questo caso viene da pensare alle parole della 10 tesi del GISCEL <<pensare che lo studio riflesso di una regola grammaticale ne agevoli il rispetto effettivo è come pensare che chi meglio conosce l'anatomia delle gambe corre più svelto e chi sa meglio l'ottica vede più lontano>>. 3. Dal momento che i bambini conoscono già la grammatica della loro lingua materna è compito altamente formativo per la scuola quello di aiutare il bambino a dare un nome alle sue scoperte, rifacendo tutti insieme il cammino già percorso. Nella pratica si tratterebbe di confrontare i dati, trovare differenze e somiglianze, generalizzare e fare ipotesi sulle regolarità di comportamento delle unità, dei gruppi e dei testi, verificare la correttezza delle ipotesi fatte e introdurre, in caso, gli opportuni correttivi. In questo modo la grammatica abitua al metodo scientifico ed educa al pensiero astratto. 4. Fare grammatica in classe ha che fare con la correzione degli errori, o almeno di quelli più insidiosi. I docenti hanno tra gli altri compiti quello di indurre un uso corretto della lingua. Nel loro lavoro si imbattono di frequente in frequenti usi anomali e ognuno di essi pone il dilemma intervenire? e come farlo? Secondo l'autrice non bisogna intervenire sempre su tutto e con la stessa modalità e intensità ci sono situazioni, come i momenti di scambio orale tra i bambini, in cui interrompere il flusso della comunicazione potrebbe risultare penalizzante. Invece si può decidere di soprassedere, magari prendendo nota dell'errore per una futura occasione. In altri momenti invece l'intervento correttivo è d'obbligo, come quasi sempre il caso della produzione scritta, poiché per sperare in un superamento dell'errore bisogna provare a spiegare in che cosa consiste l'errore e non c'è altra via che è quella di indurre una riflessione sul singolo caso. IL METODO DELLE DOMANDE mmaginiamo di avere di fronte una classe che non ha mai fatto grammatica e questa classe potrebbe essere la prima elementare. Per tastare il terreno basterà fare loro alcune domande del tipo quale differenza c'è tra gatto e gatti? e tra ragazzo e ragazza? e tra dice e disse? E tra cantiamo e cantate? E tra sali e sali? Sempre e comunque sarà bene fare una domanda alla volta o anche più domande correlate che si focalizzino su un solo tema grammaticale, senza fretta. Bisogna lasciare ai bambini il tempo di riflettere di ascoltarsi gli uni con gli altri di fare ipotesi e di sbagliare. Inoltre, sarà opportuno presentare sempre in forma scritta i dati su cui sui quali si vuole sollecitare una riflessione perchè la forma scritta aiuta la messa a fuoco delle parole il ritrovamento delle somiglianze e delle differenze. Via via che l'allievo cresce e si amplia la sua competenza linguistica le nostre domande potranno muoversi su terreni più complessi. La tecnica però potrebbe rimanere la stessa, le domande potrebbero essere ad esempio che differenza c'è tra noi siamo andati e noi andremo? e tra Marco dorme e Marco dormono? a queste domande si potrebbero aggiungere altre domande, ad esempio quale forma useresti? perché ti sembra sbagliata? A partire da queste domande si potrebbero innescare interessanti discussioni che coinvolgono l'intera classe, permettendo a ciascuno di aggiungere, modificare, correggere la risposta dell'altro. Noi dovremmo limitarci a stimolare e coordinare il lavoro astenendoci dalla tentazione di dare la risposta giusta. Semmai dovremmo fare altre domande per aiutare ad orientare la ricerca oppure aggiungere altri esempi mantenendo vivo l'atteggiamento di curiosità. In questo modo i bambini scopriranno cose che già sanno, ad esempio che in italiano esistono categorie come il genere, il numero, il tempo e la persona e che a volte basta cambiare una semplice vocale o consonante o accento per cambiare del tutto il significato di una parola. Naturalmente per parlare di questi concetti avremo bisogno di parole tecniche indispensabili: queste parole saranno introdotte ogni qualvolta sarà necessario e mai in astratto ma sempre collegate oggetti concreti chiaramente identificabili. quindi chiameremo NOME una parola che serve a designare un'entità del mondo, che ha un genere proprio che può essere maschile o femminile e che viene segnalato in genere dalla vocale finale di parola; che può avere un numero che serve indicare la quantità che può essere singolare o plurale, e che di solito viene segnalato dalla vocale finale della parola o desinenza; che può essere accompagnato da altre parole che chiamiamo ARTICOLI e AGGETTIVI e che devono accordarsi con il nome al quale si riferiscono e occupano posizioni abbastanza fisse nella frase. Ognuna di queste proprietà potrebbe essere l'obiettivo di un percorso di scoperta l'oggetto di una lezione di grammatica. Il ruolo dell’insegnante: L'insegnante dovrà attentamente preparare i diversi compiti e strutturarli in base all'età degli allievi e al problema grammaticale sotto osservazione. dovrà pensare alle domande, predisporre i materiali che possono aiutare a trovare la risposta, organizzare il lavoro di classe, indirizzare bambini con leggerezza, cioè senza suggerimenti espliciti ma con sicurezza offrendo il supporto tecnico e gli agganci indispensabili all'esecuzione del compito. Tutte le nostre domande dovrebbero essere attentamente preparate, oppure potrebbero scaturire da un errore, da una lettura, da un idioma diverso presente in classe. Dovremmo anche imparare a valutare se di fronte a domande particolarmente ardue sia meglio soprassedere dichiarando che la questione è troppo complessa per essere affrontata, oppure se invece si possa provare a dare tutti insieme qualche risposta. E se si presenterà il caso non esiteremo a dichiarare la nostra insufficienza e la nostra necessità di andare a cercare le risposte nelle opere che hanno descritto la lingua italiana. Così facendo, trasformandoci noi per primi da maestri in ricercatori, non faremo altro che applicare i suggerimenti indicati nelle indicazioni nazionali, dove si afferma l'obiettivo di favorire l'esplorazione e la scoperta. Fare grammatica nelle classi multilingue La situazione sociolinguistica della comunità classe oggi è più complessa che nel passato. Oltre all'italiano ci sono i dialetti che ancora qualcuno dei nostri allievi conosce e pratica nella vita familiare, ci sono le lingue parlate dai bambini immigrati spesso lontanissime dai suoni dagli alfabeti dalle categorie a cui siamo tutti abituati, ci sono l'inglese e una seconda lingua comunitaria. Tutti questi idiomi hanno status e collocazioni diverse nel repertorio linguistico della classe e di ciascuno dei suoi componenti. Questa casuale compresenza offre una straordinaria opportunità di riflessione collettiva. La presenza in classe di alunni stranieri ha diverso livello di competenze in italiano di solito viene vissuta come un ostacolo grave alla normale svolgimento del lavoro e chiaramente in certe situazioni lo è per davvero ma c'è chi è riuscito a trasformare queste situazioni difficili in opportunità positive per tutti ad esempio wittel e Nuccio hanno provato a creare percorsi grammaticali mirati sugli alunni più deboli ma coinvolgenti e motivanti per tutti. Dopo aver isolato piccoli frammenti grammaticali consideratevi ardui da acquisire le autrici hanno messo a punto una serie di attività mirate che coinvolgevano l'intera classe l'idea è che l'interazione con i compagni di classe svolga un ruolo centrale nell'acquisizione della lingua inoltre i bambini di origine straniera hanno una risorsa in più rispetto ai compagni italofoni esclusivi infatti il bilinguismo comporta una serie di vantaggi e proprio la necessità di le conseguenti classificazioni. Il risultato che viene dato sempre per scontato e che alla fine della scuola primaria il quadro deve essere completato e le caselle dei paradigmi tutte riempite nei libri di testo come nella testa degli allievi. Troppo spesso l'insegnamento grammaticale tradizionale si riduce a far memorizzare definizioni. liste e paradigmi. Ma è così necessario introdurre i bambini a un tema grammaticale attraverso una definizione? Forse recitiamo il bambino la definizione di sedia per aiutarlo a riconoscere l'oggetto circoscriverne le funzioni e ricordarne il nome? ovviamente no, sono l'esperienza ripetuta dell'oggetto e l'incontro ripetuto con la parola che lo denomina a costruire il suo lessico. Perché non potremmo fare altrettanto con le parole della grammatica? sarà invece l'esperienza concreta sulla lingua, l'incontro ripetuto con nomi e pronomi, con tempi presenti passati o future con parole di base e suffissi che metterà i bambini in grado di riconoscere ed eliminare correttamente gli oggetti grammaticali. In questo modo cade forse anche la necessità di far seguire la definizione la lista degli elementi richiamati dalla definizione stessa la necessità di presentare ogni categoria nella sua supposta in interezza e di far memorizzare paradigmi e termini tecnici. Un esercizio di etichettatura e di memoria poco intelligente e poco produttivo perché le etichette assegnate a un certo oggetto linguistico velocemente e approssimativamente definite, sganciate da qualunque ragionamento sugli usi effettivi e sulle funzioni, finiscono per assumere nella testa dei bambini la certezza di un dogma. Secondo l'autrice è assolutamente proibito avere fretta: bisogna dare ai bambini il tempo di pensare e spostare più avanti la sistematizzazione dei concetti grammaticali nei molti anni di scolarità che seguono la scuola primari. La ricerca sperimentale L'autrice, insieme ad alcuni suoi alunni frequentanti i corsi di laurea in lettere e linguistica all'università di Padova, ha condotto una serie di sondaggi nelle classi per capire se certi temi grammaticali fossero plausibili e in quale età, e come dovesse essere impostato il colloquio in grado di stanare la competenza implicita e sollevarla a livello di consapevolezza. Lo scopo era quello di ipotizzare un percorso di ricerca che avesse come obiettivo la definizione di un sillabo grammaticale basato sulle oggettive difficoltà. COME SI è SVOLTO IL LAVORO: il primo passaggio è stato quello di scegliere un tema grammaticale rilevante ritenuto meritevole di insegnamento esplicito ho semplicemente perché previsto dagli ordinamenti scolastici. Su di esso viene condotto una ricerca mirata, ti leggono e si confrontano gli studi, si chiarisce il quadro teorico di riferimento si consultano le grammatiche dell'italiano insieme alla lettura di saggi e studi specifici. questo studio preliminare sfocia nella stesura di uno o più capitoli di stampo grammaticale, in cui il tema selezionato viene presentato nelle sue diverse articolazioni ed eventuali problematicità. Poniamo il caso che la categoria in esame sia l'articolo... nella seconda fase ci si chiederà: come fa un alunno a riconoscere l'articolo rispetto ad altre categorie lessicali? È in grado, e in quale età, di riconoscerne le diverse forme? Al di là delle spiegazioni che ha ricevuto riesce a comprendere la sua funzione? È In grado di comprendere l'obbligatorietà della sua posizione e dell'accordo? e cosa capirà della differenza tra articolo determinativo e articolo indeterminativo? Ecc, ecc... Per cercare risposte a questo tipo di domande sono stati intervistati direttamente gli studenti, più spesso della scuola primaria ma anche più grandi, attraverso colloqui individuali. I colloqui si sono svolti secondo il metodo esposto in campo psicologico da Bombi, Cannoni e Di Norcia e che si ispira direttamente al cosiddetto colloquio clinico di Piaget. Per la forma delle domande ci si è ispirati soprattutto ai test di abilità metalinguistiche messi a punto da Pinto. per la fascia di età coinvolta e per la metodologia utilizzata si è rivelato utile il TAM-2. Esso prevede per ogni tema affrontato una prima domanda linguistica e una seconda domanda metalinguistica che segue immediatamente la prima. Ad esempio, vengono presentate due frasi: la regina baciò la rana, la regina fu cacciata dalla rana, si chiede se le due frasi hanno lo stesso significato, e dopo si chiede che cosa si è guardato per capire se significano o non significano la stessa cosa. Lo scopo dell'indagine, tuttavia, non è mai stato misuratore e di conseguenza non c'è mai stata una risposta attesa né un giudizio finale sulla risposta del bambino punto lo scopo di questi colloqui non era misurare una competenza ma capire - su quali fenomeni la competenza linguistica era già assodata e sicura. - su quali fenomeni fosse possibile innestare una riflessione esplicita e sui quali invece convenisse aspettare una maggiore maturazione. - quali fenomeni operasse già la scuola. il colloquio si sviluppava seguendo una traccia scritta a questa dote il nome improprio di questionario contenente la lista dei dati e delle domande sottoporre all'attenzione degli intervistati. Agli intervistati vengono mostrati in schede appositamente preparate solo le parole i sintagmi le frasi o i testi su cui si chiede una riflessione. È anche possibile che alcuni quesiti non vengano capiti e dunque non suscitino neppure tentativi di risposte, oppure potrebbero esserci risposte tautologiche, ad esempio, <<è scorretto perché suona male>> oppure troppo parziale o troppo fantasiose. Tutto il colloquio che dura tra i 20 e i 40 minuti era costruito in modo che ogni domanda, o gruppo di domande, indirizzasse l'attenzione su uno solo degli aspetti che riguardano un certo tema, in modo da avere informazioni mirate. Come scrivono Bombi, Cannoni e Di Norcia la traccia in questo caso il questionario costituisce un'impalcatura una guida per il pensiero del bambino la traccia deve essere usata in modo flessibile l'intervistatore dovrà toccare tutti gli argomenti previsti ma al tempo stesso essere aperto e disponibile alla comparsa di nuove idee in attese e nel caso adattare la traccia al flusso dei suoi pensieri. Anche per svolgere i colloqui occorre una certa competenza. In assenza di uno specifico addestramento, alcuni intervistatori si sono rivelati troppo timidi e impacciati oppure troppo direttivi, orientando in modo eccessivo il ragionamento, fino a suggerire la risposta attesa. Questa tipologia di interviste di fatto risultata inutilizzabile. I colloqui sono stati individuali ma coinvolgevano gruppi di 10 studenti di una classe, scelti dal docente di italiano sulla base di precise indicazioni: i 2 studenti più bravi, i 2 meno bravi, gli altri 6 di prestazioni scolastiche medie, e tutti aventi l'italiano come madrelingua. In ogni protocollo di ricerca i gruppi erano solitamente due, per un totale di 20 studenti, e le classi coinvolte erano soprattutto la III e la V primaria, in alcuni casi la I e la III media e in un solo caso, sul congiuntivo, anche studenti di II e V delle superiori. I colloqui si sono effettuati durante l'orario scolastico in un'aula vuota messa a disposizione per l'occasione e sono stati integralmente registrati e subito dopo trascritti nel modo più fedele possibile ma senza eccessivi tecnicismi. Infine, ci si e ritrovati ben lontani dall'obiettivo molto ambizioso che era stato posto all'inizio, ovvero individuare un sillabo grammaticale. I risultati ottenuti sono stati parziali e andrebbero verificati su numeri più ampi mentre la metodologia messa a Spadotto: si muove con molta libertà, affrontando solo alcuni dei temi previsti dalle indicazioni nazionali e introducendo riflessioni su aspetti non previsti come, ad esempio, le proposizioni soggettive e oggettive o le funzioni del linguaggio. Spadotto ascolta le domande anche scomode dei bambini, li esorta a cercare da soli le risposte, li sollecita a non demordere di fronte alle difficoltà. Procede anche a costo di stravolgere l'iter previsto dei documenti ufficiali. Egli non è interessato a delineare un sillabo inteso come una lista di contenuti che prescinda dalla classe. Forse potrebbe essere addirittura annoverato tra i fautori dell'inutilità di un sillabo precostituito. ALLA SCOPERTA DELLA SINTASSI Per definire cosa è la frase usa le parole di Prisciano, grammatico latino del V- VI secolo d.c.: combinazione coerente di parole che esprime un senso compiuto. Differenza tra frase ed enunciato: L' enunciato è un frammento di lingua reale che qualcuno ha scritto (di solito compreso fra due segni di interpunzione forte) o detto (in questo caso è compreso tra due pause importanti). Essendo un frammento di lingua reale si colloca in una situazione comunicativa, fa riferimento ai diversi partecipanti dell'atto di comunicazione, alle loro conoscenze pregresse ai loro ruoli al contesto linguistico. Per questo motivo per interpretare correttamente un enunciato abbiamo bisogno di conoscere il contesto nel quale è stato prodotto. Esempi di enunciati potrebbero essere: forse lo compro e a casa di Piero. Essi appunto ricevono significato dal contesto nel quale sono inseriti, ad esempio l'ultimo potrebbe essere la risposta ad una domanda del tipo dove ci troviamo stasera? ma appunto diventa comprensibile solo se inserito in una certa situazione perché avulso dal contesto non significa nulla. La frase in grammatica è invece un modello astratto, una sorta di rappresentazione ideale dell'enunciato che non riguarda in modo specifico questo o quell’ enunciato ma tutti gli enunciati. Essa è un oggetto straordinariamente complesso, fatto di elementi che si percepiscono e di regole di combinazione tra questi elementi. Tali regole non sono immediatamente percepibili eppure ci sono. PAROLE CHE VANNO D’ACORDO Prisciano le chiama combinazioni coerenti di parole ma per i bambini potremmo tradurre con parole che vanno d'accordo. Che cosa si intende con questa dicitura? Si tratta di un richiamo al fatto che le parole di una lingua devono concordare secondo le regole precise e questo fenomeno è evidentissimo in italiano. Quello della concordanza è un tema che ben si presta ad essere affrontato con i bambini. Le prime osservazioni potrebbero riguardare proprio la regola dell'obbligatorietà dell'accordo tra l’articolo e il nome: posso dire il mamma? e la libro? e se dico bambina quale parolina devo mettere prima? e perché devo dire il bambino e non la bambino? Ecc.. potrò dare lunghe liste di sequenze articolo nome, alcune corrette ed altre scorrette, e chiedere ai bambini di individuare e separare le une dalle altre. Potremmo invitare i bambini a individuare queste sequenze nei libri di lettura e a trascriverle nel quaderno in modo che e familiarizzino via via con questi oggetti linguistici. Per parlare di questi oggetti linguistici avrò presto bisogno di dare loro un nome: parlerò quindi di nomi e di articoli, senza però definirli, e farò notare come il nome comanda, decide, sceglie l'articolo. Il nome è il capo o come si dice in linguistica la testa. Basterà presentare liste di nomi maschili e femminili singolari e plurali e chiedere di mettere davanti un articolo che vada bene, e confrontare poi tutti insieme le soluzioni trovate ragionando sul perchè delle diverse scelte. La presenza di più articoli tra cui scegliere condurrà a parlare di genere e di numero; tuttavia, mentre il numero viene assegnato abbastanza naturalmente, la categoria del genere è arbitraria, nel senso che tranne accezioni di pochi casi i nomi hanno genere maschile o femminile indipendentemente dal loro significato. Prima o poi naturalmente incontreranno nomi accompagnati da articoli indeterminativi da aggettivi qualificativi, da aggettivi dimostrativi, possessivi e così via... in tutti questi casi faremo in modo che notino la prominenza del nome, è sempre il nome che decide la forma di questi elementi, dunque dirò questo libro. In tutti questi esempi e in tutti gli altri che si potrebbero fare è sempre il nome la testa del gruppo, e un gruppo ben assortito di parole in sintassi si chiama sintagma e un sintagma che ha come testo un nome si chiama sintagma nominale. È importante anche l'ordine degli elementi nella sequenza. Gli articoli, ad esempio, vanno sempre prima del nome ma per gli aggettivi le cose si complicano perché ci sono vari gruppi di aggettivi che si comportano diversamente. Ad esempio, gli aggettivi dimostrativi, indefiniti, numerali, interrogativi devono precedere i nomi a cui si riferiscono; ma gli oggettivi possessivi possono stare sia prima sia dopo, e lo stesso vale per gli aggettivi qualificativi, o almeno in buona parte di essi. Ci sono poi tanti casi particolari: ad esempio, si dice la seconda strada ma Elisabetta seconda oppure il primo giorno ma Francesco primo si dice una bella gonna e anche una gonna bella ma se devo dire che una gonna è azzurra devo dire per forza una gonna azzurra e non un'azzurra gonna. I bambini scopriranno tutte queste complicazioni che già conoscono in modo implicito e molte altre via via che diventeranno più grandi ma se la loro curiosità e maturità lo permettono ci sono molte articolazioni del tema dell'accordo che potrebbero essere affrontate: ad esempio, l'accordo dell'aggettivo con due nomi di genere uguale olio e aceto italiani o genere diverso pane e pasta italiani con prevalenza in quest'ultimo caso del maschile. Insomma, si può iniziare a riflettere sulla sintassi della lingua parlando di accordo tra elementi e di posizione di elementi nella sequenza e bisogna tenere a mente che ci sono questioni relativamente facili e questioni anche molto difficili e che nel predisporre un programma di riflessione sulla lingua bisogna metterlo in sequenze sulla base di un'attenta pianificazione. Dopo inizierà a parlare della frase si dovrebbe tra le altre cose e continuare a richiamare l'attenzione dei bambini proprio sulle regole dell'accordo, questa volta non solo tra articolo e nome, o tra nome aggettivo, ma anche tra soggetto e predicato. Ma in questo caso come per tutto il resto posta la domanda faremo in modo che siano i bambini a trovare la risposta presentando loro due liste parallele. Guidati e incalzati dalle nostre domande dai molti esempi che potremmo fare i bambini dovrebbero arrivare a scoprire la regola. Già in età prescolare i bambini mostrano di avere introiettato le regole dell'accordo: su 10 bambini di 5 anni intervistati da Vargiu relativamente a 5 diversi fatti grammaticali solo la regola dell'accordo risulta acquisita con sicurezza da tutti i bambini tranne uno, Riccardo, figlio di madre marocchina e padre italiano, che non riesce a svolgere l'esercizio. Dopo due anni di scolarizzazione, a 8 anni, le interviste condotte da Franceschet su alcuni specifici fatti di accordo articolo nome e rispettive posizioni documentano non solo la piena padronanza delle regole, ma anche la capacità di spiegare l'errore dove presente. L'accordo tra il nome e l'aggettivo è stato esplorato in un gruppo di bambini di V classe con i quali i casi più ovvi non hanno posto alcun problema; più complesso invece l'accordo con nomi coordinati di genere diverso un quaderno e una penna rovinata/ un quaderno e una penna rovinati. Su quest'ultima formulazione quattro bambini su 10 hanno trovato da rispetto alle indicazioni del 2007, ma anche rispetto a una tradizione secolare di programmi ministeriali, che aveva posto al centro e all'inizio del curriculum grammaticale l'esercizio dell'analisi grammaticale. Questa sistemazione, tuttavia, non convince l'autrice: essa ritiene infatti che non si tratti di spostare in avanti la riflessione sulla materia ma di individuare per ogni categoria i temi da affrontare, da quelli più centrali a quelli più periferici, selezionando e distribuendo la materia anno dopo anno, possibilmente fino all'ultimo anno delle scuole superiori. La soluzione più praticata rimane quella di affidarsi ai libri di testo in adozione. Ma se si vanno a sfogliare i manuali per la scuola primaria si scopre che il tema della complessità delle categorie lessicali non preoccupa gli autori, difatti si comincia già in classe seconda a parlare di nome, aggettivo, articolo e verbo, dopodichè si passa in rapida successione a tutte le altre categorie e sottocategorie lessicali. Ciò che sembra dominare è la preoccupazione degli autori di fornire una panoramica completa delle diverse categorie senza tralasciare nulla. Ma la domanda è: che cosa rimane nella testa degli studenti dopo queste rapide carrellate? Tornando alle indicazioni nazionali del 2012 si nota anche un'altra cosa: L'indice relativo alle categorie lessicali non sembra dare particolare rilievo a nessuna di esse ponendole tutte sullo stesso piano, ma allo stesso tempo invita a curare il riconoscimento delle congiunzioni di uso più frequente. Ciò che non è chiaro è perché le congiunzioni abbiano ricevuto un trattamento diverso da quello di tutte le altre categorie. ad esempio, è scomparso qualsiasi richiamo esplicito al verbo, che aveva sempre goduto di una considerazione speciale fino alle indicazioni del 2007. Dunque, né le cancellazioni né lo spostamento in avanti della presentazione delle categorie lessicali risolvono il problema della loro complessità. IL NOME Le due classi del NOME e del VERBO vengono generalmente considerate classi basiche: questo perché per parlare di qualunque cosa abbisogno prima di tutto di nomi e di verbi. I nomi hanno il compito di designare le entità in senso lato che popola nel mondo reale, immaginario o mentale; i verbi designano ciò che se ne dice i processi in cui queste entità sono coinvolte. La funzione principale del nome è di tipo referenziale, perché serve a designare e identificare uno o più individui appartenenti ad una classe di referenti concreti (come persone, animali, oggetti, fenomeni,) o astratti (come sentimenti e concetti). Questo criterio di identificazione del nome fa riferimento al contenuto semantico; ma un solo criterio non basta mai per differenziare chiaramente una categoria lessicale dall'altra. Dovremmo anche tenere conto delle proprietà del nome, ad esempio, il fatto che la sua forma possa variare, e infatti si dice che esso è una parte variabile del discorso, perché viene flesso perlopiù per numero, mentre il genere è generalmente dato. Inoltre, il fatto che esso sia solitamente preceduto da altri articoli ed altri determinanti (cioè dimostrativi, numerali, indefiniti, interrogativi ed esclamativi) che assumono lo stesso genere e lo stesso numero del nome che accompagnano. Per questo il nome è anche detto testa del sintagma, secondo appunto un criterio sintattico. Sul piano semantico però non sempre i nomi designano entità ma possono designare anche eventi (partenza, licenziamento) oppure qualità (sincerità, tirchieria). Poi sul piano morfologico ci sono nomi invariabili per numero (città, crisi, nozze) oltre ai nomi prestati da altre lingue e non adattati (film, sport, stage); al contrario ci sono nomi che variano non solo per numero ma anche per genere: sono nomi di esseri animati (ragazzo/a/e/i o maestro/a/e/i) la cui modalità di variazione ricorda quello degli aggettivi. Inoltre, il nome non ha sempre funzione referenziale ma può avere anche funzione attributiva o predicativa, quando delimita e modifica un altro nome, direttamente (donna poliziotto) o attraverso l'intermediazione di un verbo (Maria è un poliziotto). A queste funzioni si aggiunge anche quella locativa, quando il nome separato dal resto della frase da uno stacco, cioè la virgola, serve a richiamare l'attenzione di un interlocutore (bambini, state buoni!). Poi c'è il caso delle conversioni in nomi di elementi appartenenti ad altre classi lessicali: ad esempio gli aggettivi che diventano nomi (i ricchi, il bello, il gotico, il francese, ecc...) oppure i verbi che diventano nomi (il dovere, l'abitato, il pentito, il visto...), oltre i casi più discussi dei nomi deverbali in o (acquisto, parcheggio) o in a (sosta, revoca) o altri casi meno frequenti di conversione in nomi di avverbi (il bene) e di congiunzioni (il perché). Secondo Acquaviva che ha studiato a fondo il nome <<per sapere cos'è un nome non c'è bisogno di studiare essendo sufficiente il ricorso alla propria naturale intuizione.>> Quindi può essere molto semplice identificare i nomi quando questi sono facili o facilissimi come Francesca, Giulio, lavastoviglie, i gatti, scarpe, libro, ecc... ma se ci spostiamo all'estremità opposta troviamo nomi risultati difficili perché in un certo senso non prototipico. Nella scuola primaria la maggiore attenzione dei manuali è per la presentazione delle diverse sottoclassi di nomi. Solitamente compaiono i nomi concreti e astratti; comuni e propri; collettivi; primitivi; alterati e falsi alterati; derivati e falsi derivati; composti e omonimi; sinonimi e contrari. Insomma, l'esercizio preferito dei manuali è quello di invitare i bambini al riconoscimento delle diverse sottoclassi di nomi. Secondo l'autrice questo uso didattico di liste è pessimo. Ad esempio, l'opposizione concreto/astratto, apparentemente facile e intuitiva è una delle prime opposizioni che viene presentata ai bambini. Ma Acquaviva ci ricorda che il confine non è sempre così netto e molte parole potrebbero essere ascritte all'una come all'altra sottoclasse a seconda dell'uso che se ne fa parole come notizia o esperienza. L'auspicio dell'autrice è che sui nomi e sulle loro proprietà si lavori con il metodo già presentato, ovvero facendo domande, cercando assieme delle risposte senza bisogno di incasellare tutto. Così facendo può essere che i bambini scoprano prima o poi l'esistenza di gruppi e sottogruppi. Se poi proviamo a scrivere i nomi delle cose facciamo in modo di farli precedere dall'articolo contando sul fatto che in questo modo i bambini impareranno a riconoscere anche l'articolo senza bisogno di spiegazioni dedicate. Così attraverso molte domande e molti esempi i bambini scopriranno che ci sono i nomi, ci sono gli articoli, che nomi propri sono diversi dai nomi comuni, che esiste un genere maschile e un genere femminile, che esiste un numero singolare o un numero plurale. Su queste basi minime si potrà poi procedere nel corso dei 5 anni previsti ad altre più impegnative scoperte. Parlare del genere dei nomi.... Una volta scoperto che ogni nome ha un genere, che in italiano può essere maschile o femminile e che viene rivelato dall'articolo potremmo condurre i bambini a riflettere sul fatto che con gli esseri animati il genere grammaticale spesso corrisponde al sesso. Infatti, diciamo il papà, il bambino, la mamma, la bambina... Ad un certo punto però scopriranno che ci sono casi di nomi maschili che si riferiscono a persone di sesso femminile (il soprano il mezzosoprano oppure la guardia, la sentinella). Anche gli animali spesso hanno i due generi per i due sessi (il gatto/ la gatta, il cane/ la cagna ecc...) ma ben presto si imbatteranno nei nomi di animali che hanno o solo il genere maschile (il coccodrillo, il ghiro, l'ippopotamo...) o solo il genere femminile (la pantera, la lucertola, la zanzara, la tigre...) non vuol dire che i coccodrilli sono solo maschi e le zebre solo femmine. Ma allora come faccio se voglio parlare di una che sono tutte e due giuste ma diverse perchè nella prima si capisce di chi si sta parlando perché hai una di maestre di italiano non di più, mentre la seconda la puoi usare se hai due maestre di italiano. Insomma, la ricerca dimostrato che tutti i bambini individuano facilmente la funzione dell'articolo determinativo di segnalare che la referenza del nome è già nota, viceversa l'articolo indeterminativo segnala il fatto che il referente del nome è sconosciuto, nuovo, che si tratta di uno fra tanti. Le ricerche dimostrano che alcuni bambini già a 8- 9 anni sono pronti per una riflessione esplicita sulla referenza dei diversi tipi di nomi e sui loro diversi esiti sintattici. Naturalmente però per farne oggetto di attenzione specifica bisognerà valutare il livello e le possibilità della classe. I VERBI Tradizionalmente la presentazione del verbo consiste in una rapida definizione di tipo nozionale cioè il verbo indica l'azione poi generalmente in quarta classe si procede con lo studio delle diverse forme del verbo attraverso tavole dedicate alle tre coniugazioni qui vengono affiancate le tavole dei verbi essere e avere la prima operazione che viene richiesta ai bambini è quella del riconoscimento della categoria rispetto ad altre ma c'è questa operazione preliminare è fonte di non poche difficoltà per gli studenti. Infatti, una ricerca condotta su un totale di 195 ragazzi di prima seconda e terza media documento che solo i tempi semplici provvisti di chiaro affisso verbale vengono facilmente riconosciuti da tutti. Ma i tempi composti, oppure composti con inserzioni, i verbi pronominali, i verbi policromatici, i verbi fraseologici non sono affatto riconosciuti. Pare che in tutto il corto della scuola primaria e addirittura fino alla terza media una quota consistente di studenti tenda a separare l’ausiliare dal participio passato dei tempi composti e quando viene richiesto di denominare alcune forme verbali chiamano presente il passato prossimo e imperfetto il trapassato prossimo. Un altro errore ricorrente riguarda l'attribuzione dei cosiddetti nomi d'azione alla classe dei verbi: parole come svolgimento vengono segnate come verbo dal 53% dei 195 studenti indagati. Nei manuali per la scuola primaria l'identificazione di verbo e azione è incontrastata e ha una ricaduta pesante nei quaderni dei bambini. Nella ricerca condotta da Fiora si documenta che negli esercizi proposti ai bambini il termine azione viene usato molto spesso al posto di verbo: i verbi sono azioni e le azioni sono verbi. Da qui origina molta confusione e molte obiezioni: che azioni sarebbero infatti essere, sembrare, appartenere, oppure perchè spintone, viaggio, spiegazione che sono parole che designano delle azioni non sono verbi? I bambini della terza classe della primaria hanno già imparato che le forme verbali veicolo del tempo e i suoi diversi valori di presente passato e futuro si può restare a lungo fermi su questi concetti di base, senza introdurre ulteriori complicazioni. Anche le categorie della persona e del numero potrebbero essere introdotte in modo lieve facendo leva sulla naturale competenza linguistica dei bambini, ad esempio, una lista già data delle sei persone canoniche a cui bisognerà trovare la persona giusta quella che fa o potrebbe fare l'azione del verbo. *Categoria dell’aspetto: l'aspetto esprime la rappresentazione che il parlante intende dare dell'evento come di un fatto in via di svolgimento o di più fatti ripetuti (aspetto imperfettivo) o come di un fatto già compiuto e isolato (aspetto perfettivo). I due diversi aspetti sono esemplificati nella frase Maria dormiva (aspetto imperfettivo) quando squillò (aspetto perfettivo) il telefono. Prima di avviare qualsiasi percorso di scoperta nelle proprietà del verbo è bene ricordare che in italiano esso esprime i suoi molti valori attraverso un paradigma molto articolato e che questa materia è particolarmente complessa per tre motivi: 1. la molteplicità delle forme: tre classi di coniugazione con uscita flessiva e spesso disomogenee, 7 modi di cui quattro finiti e tre indefiniti, una miriade di tempi tra semplici e composti il cui numero varia nei diversi modi per un totale di 21 tempi diversi cui corrispondono 92 diverse uscite nelle sei persone, una grandissima quantità di forme irregolari che riguardano spesso i verbi più frequentemente usati. 2.la seconda difficoltà riguarda la sfera del significato: purtroppo non esiste tra forma e funzione una corrispondenza biunivoca. Infatti, una caratteristica comune a molti tempi verbali è la loro ambiguità, la loro disponibilità a farsi portatori di significati diversi, non solo temporali ma anche aspettali e modali. 3. la terminologia tradizionale è talvolta trasparente ma fuorviante, talvolta poco trasparente. Si tratta di una terminologia che aumenta le difficoltà di memorizzazione e di interpretazione dei valori dei diversi verbi. Bisognerebbe studiare una progressione più lenta che tenga conto da una parte delle moderne descrizioni del verbo dall'altra delle possibilità dei bambini. OLTRE LA FRASE Siamo abituati da tempo immemorabile a pensare alla grammatica in termini di frasi. Le analisi e gli esempi che si trovano nelle opere grammaticali riguardano per lo più sequenze brevi o brevissime che vanno da un punto fermo all'altro. A partire però dagli anni 80 del secolo scorso si è imposta una nuova prospettiva, la cosiddetta linguistica testuale che va oltre la frase cioè oltre il punto fermo e guarda certi particolari meccanismi linguistici che interessano sequenze più lunghe e anche interi testi. Ogni testo, infatti, si sviluppa in una serie successiva di frasi collegate tra loro sia sul piano semantico la (coerenza di un testo) sia sul piano grammaticale (la coesione). Ogni testo seleziona per la sua stessa natura una serie di tempi verbali che ne costituiscono l'ossatura. Tipi diversi selezionano catene di tempi differenti. L'analisi testuale dei tempi verbali permette di ragionare non solo sulla loro forma ma anche sulla loro funzione, cioè sulla funzione che ciascun tempo e modo svolge sia rispetto al parlante che lo ha selezionato sia rispetto a tutti gli altri tempi con cui è in relazione. In questo modo si supera la presentazione atomistica del paradigma verbale propria dell'approccio morfologico tradizionale. I TEMPI VERBALI NEI TESTI DESCRITTIVI E REGOLATIVI Il testo descrittivo è per questo aspetto il più facile in assoluto. Di solito per descrivere una persona un animale o un paesaggio si usa il presente indicativo. un primo esercizio nella seconda terza classe potrebbe essere quello di sottolineare tutti i verbi utilizzati nel brano e imparare a chiamare questo tempo con il suo nome, presente appunto. Il presente dei testi descrittivi ha una sua chiara motivazione: quando descriviamo qualcuno o qualcosa è come se ci ponessimo di fronte all'oggetto descritto, ne osservassimo e trascrivessimo le caratteristiche spostando il nostro occhio da una parte all'altra dell'oggetto della nostra descrizione appunto. Un esercizio di scrittura sempre valido potrebbe essere quello di descrivere qualcuno o qualcosa che poniamo di fronte a tutti e che proveremo tutti insieme a descrivere. È importante far notare ai bambini che non importa che la persona l'oggetto descritti siano per davvero di fronte a noi basterà richiamarli alla memoria. I testi regolativi, cioè quelli che regolano una sequenza di azioni, ricette, leggi, Anche i testi all'imperfetto passato remoto o imperfetto passato prossimo possono adottare questo schema seguendo nella narrazione quello che viene chiamato l'ordine naturale degli eventi ma non possiamo aspettarci questo dai narratori esperti che possono volutamente alterare l'ordine dei fatti raccontati. In questo caso saranno importanti le spie linguistiche di queste alterazione quindi le espressioni di tempo come precedentemente il giorno o l'anno prima due anni dopo in seguito eccetera per non parlare del valore temporale delle subordinate implicite al gerundio che possono esprimere rispetto al tempo della principale contemporaneità Maria parlava al cellulare camminando anteriorità Sono ingrassata mangiando troppa cioccolata o posteriorità sono rientrato tardi addormentandomi davanti al televisore. L’ANAFORA In campo testuale il termine anafora designa quel fenomeno per cui per interpretare un certo sintagma del testo bisogna risalire a un qualche elemento che compare nella porzione antecedente del tasto stesso e che prende il nome di antecedente. In ieri un ciclista è stato investito da un camion... l'uomo è stato subito trasportato in ospedale, un ciclista è l'antecedente, mentre l'uomo è la ripresa anaforica. I due elementi sono fra loro coreferenti, in quanto si riferiscono alla stessa entità del mondo, in questo caso il ciclista. Se le riprese di uno stesso antecedente sono più di una si parla di catena anafora. Modi in cui si può richiamare un antecedente, cioè attraverso 1. la ripetizione dello stesso sintagma: ieri Maria è stata interrogata in storia... Maria aveva studiato molto. Se l'antecedente è un sintagma indefinito la ripresa anaforica sarà un sintagma definito: un bambino è caduto dalla bicicletta... il bambino non aveva visto la buca. in questo caso è proprio l'uso dell'articolo determinativo nella ripresa anafora a segnalare che il referente è già noto. Al posto dell'articolo determinativo è possibile usare l'aggettivo dimostrativo che rende più forte e trasparente il richiamo questo bambino. 2. Vari tipi di sintagmi nominali, un SINONIMO: l'autista non guidava molto bene... a un certo punto il conducente freno bruscamente. Oppure un SOVRAORDINATO, in cui la ripresa anaforica è espressa da un nome di significato più ampio rispetto all'antecedente: ieri un ciclista è stato investito da un camion... l'uomo è stato subito trasportato in ospedale...; una PERIFRASI: Venezia si sta preparando alla visita del Papa... la città lagunare è in festa. anche in questi casi le riprese anaforiche sono sempre introdotte dall'articolo determinativo. 3. vari tipi di pronomi: ho incontrato Mario... con lui c'erano le sorelle...; se vedi Marta, salutala da parte mia; hanno premiato la terza c che ha vinto la gara. 4. Riprese che non richiamano l'antecedente per coreferenza, ma per contiguità semantica: È ora di portare a passeggio il cane, ma il guinzaglio non si trova da nessuna parte...; la visita al castello era prevista dal programma... la guida è stata bravissima... 5. riprese ellittiche, casi cioè di omissione del soggetto: il presidente ha preso la parola... Ha ricordato ai presenti che... Questa forma di ripresa può essere molto insidiosa, soprattutto nel caso in cui siano presenti nel testo due o più possibili antecedenti. il meccanismo anafora è frequentissimo in tutti i tipi di testi, scritti e orali ed è ovvio che capire un testo significa tra le altre cose ricostruire correttamente i rapporti anaforici che il testo crea. Secondo l'autrice è opportuno che si avvii fin dalla primaria una riflessione esplicita sul meccanismo anaforico, così pervasivo nella lingua. Cominciando con il far notare nelle favole e nei racconti che si leggono in classe, la funzione dell'articolo indeterminativo che introduce un personaggio nuovo, mai sentito prima, mentre il sindaco mi con l'articolo determinativo che fanno da riprese anaforiche che segnalano che il referente è già stato introdotto nel testo, è già noto ai lettori. Nelle prove di comprensione del testo approntate dall'invalsi ci sono molte domande che riguardano proprio la capacità degli studenti di vedere e interpretare correttamente il meccanismo anaforico. Toth ha ragionato sui tipi di antecedenti e sui tipi di riprese presenti nelle domande, mettendoli in relazione con le percentuali di risposte corrette e ricavandone una sorta di scala che va dalle opzioni risultate più facili a quelle risultate più difficili. risultano più facili le domande in cui l'antecedente è in una posizione sintattica forte, essendo ad esempio il soggetto della frase, e rimandi a un'entità facilmente identificabile. Risultano più difficili i casi in cui la ripresa un'africa è costituita da un sinonimo testuale ho su una ripresa pronominale. ovviamente un'attenzione mirata su questi fenomeni non solo nelle ore di grammatica ma in tutte le molte occasioni di lettura che si presentano nella vita di una classe, potrebbe avere ricadute importanti anche nel momento della produzione scritta fornendo allo stesso tempo i docenti mezzi per spiegare certi errori frequenti negli elaborati degli studenti. I PRONOMI Come dice Andorno i pronomi, hanno valore referenziale cioè hanno la funzione di riferirsi alle entità del mondo. ma a differenza dei nomi non hanno la capacità di referenza fuori contesto nel senso che le entità richiamate dei pronomi devono poter essere recuperate o dal contesto linguistico o dal contesto situazionale. Solo il pronome personale di terza persona hanno la doppia possibilità, cioè riferimento deittico e riferimento anaforico. Invece i pronomi di prima e seconda persona non sono mai anaforici ma sono deittici in senso stretto. La riflessione su questa basilare distinzione tra pronomi personali deittici e pronomi personali anaforici è sicuramente accessibile ai bambini della scuola primaria. Poi sui pronomi personali c'è molto da scoprire visto che l'italiano ha una serie libera o tonica molto ricca di forme alcune delle quali poco usate ma che potrebbero occorrere nei testi (esso, essa, ella), È una serie atona (mi, me, ti, te, lo, la, gli, li, la). Queste forme si potrebbe ragionare a lungo: presentando frasi opportunamente selezionate si potrebbe riflettere sulla diversa funzione e posizione e ci si potrebbe chiedere se sia possibile sottintendere gli elementi pronominali nella frase. CONGIUNZIONI E e MA Cominciamo dalla e, guidando i bambini al riconoscimento e alla evidenziazione di questo elemento linguistico nelle frasi nei tasti che leggono. La prima domanda potrebbe essere quante volte compare la in questo testo? Dopo che i bambini avranno imparato a riconoscere la e per averla incontrata più e più volte potremmo fare una seconda domanda: no a che cosa serve? E quando i bambini arriveranno a dire che serve ad aggiungere, congiungere parole, potremmo fornire loro il nome tecnico, congiunzione, necessario per poterne parlare. A questo punto potremmo fare una terza domanda la più impegnativa: Quali sono le parole che la e mette in relazione. i bambini arriveranno a capire che la e congiunge sempre due elementi contigui nomi o aggettivi sintagmi nominali o preposizionale lì e naturalmente anche frasi. Inoltre, potremmo far notare che quando si congiungono più di due elementi si usa la e solo per l'ultimo elemento della catena. gli elementi intermedi nello scritto sono congiunti da virgole. indicazioni del 2012 gli unici due obiettivi di riflessione sulla lingua relativi al lessico riguardano la quinta classe: Conoscere i principali meccanismi di formazione delle parole semplici derivate composte Conoscere le principali relazioni di significato tra le parole LA FORMAZIONE DELLE PAROLE La formazione di nuove parole è avvenuta tramite derivazione, alterazione e composizione. I processi derivativi sono quelli che grazie all'aggiunta di suffissi e prefissi formano:  Nuovi nomi a partire da basi nominali (camion -> camionista, grazia-> disgrazia); verbali (allenare-> allenamento) o aggettivale (ricco-> ricchezza)  Nuovi aggettivi a partire da basi nominali (paura-> pauroso), verbali (mangiare-> mangiabile), aggettivali (misero-> miserevole)  Nuovi verbi a partire da basi nominali (zucchero-> zuccherare), verbali (mangiare-> mangiucchiare), aggettivali (caldo-> caldeggiare). I procedimenti derivativi tramite suffissazione hanno la facoltà di dare in uscita parole di diversa categoria lessicale rispetto alla base. I prefissi invece non alterano la categoria lessicale della base a meno che non si tratti dei cosiddetti procedimenti parasintetici, che formano verbi da nomi e aggettivi grazie all'aggiunta contemporanea di un prefisso di un suffisso (bottone-> ab-botton- are, aspro-> in-aspr-ire, bello-> ab-bell-ire). Come i prefissi, anche i procedimenti alterativi mantengono nelle nuove formazioni la categoria lessicale della base: Essi si applicano perlopiù a nomi per formare altri nomi (mano-> manina) e ad aggettivi per formare altri aggettivi (povero-> poverino, poveraccio). Questi procedimenti aggiungono alla parola di base il tratto della piccolezza/grandezza, cui si accompagnano tratti relativi alla positività/negatività con cui il parlante considera ciò di cui parla (tempo-> tempaccio, giallo-> giallognolo). i procedimenti compositivi non riguardano né prefissi nè suffissi ma parole intere e possono dare in uscita:  nomi formati da due nomi capoclasse, un nome e un aggettivo in posizione variabile cassaforte altopiano, un verbo e un nome schiaccianoci, una preposizione e un nome dopoguerra e persino due verbi saliscendi  Aggettivi, formati da due aggettivi sordomuto  Verbi formati da un nome e un verbo capovolgere. Inoltre va ricordato come questi procedimenti siano ricorsivi, per cui esistono nel lessico delle vere e proprie catene derivative: da un nome si può formare un aggettivo (centro-> centrale) dall'aggettivo che ne è derivato si può formare un verbo (centrale-> centralizzare) dal verbo si può formare un nuovo nome diverso per significato dal nome che ha dato origine alla catena (centralizzare-> centralizzazione) e da questi tramite l'aggiunta di un prefisso si possono formare altri verbi (de-centralizzare) e altri nomi (decentralizzazione). Per un docente può essere utile acquisire i concetti di parole esistenti, parole possibili e parole impossibili, introdotti da alcuni teorici della formazione delle parole. Le parole esistenti sono le parole che esistono, formatesi secondo le regole di formazione; le parole possibili sono parole inesistenti ma possibili, cioè che potrebbero un giorno entrare a far parte del lessico perchè formate secondo le regole della lingua (petalo-> petaloso); le parole impossibili sono le parole che di fatto nessun parlante produce perchè violano le regole della lingua, ad esempio, mangioso dove il soffitto -oso è attaccato ad un verbo, il che non è possibile. l'acquisizione Si potrebbero rivolgere ai bambini decine di centinaia di domande relative alle parole complesse che incontriamo nei testi o che decidiamo di sottoporre alla loro considerazione. Per iniziare potremmo partire da alcuni prefissi molto frequenti e chiedere ad esempio la differenza tra fortuna e sfortuna, fra attento e disattento, tra leggere e rileggere... potremmo iniziare con il separare il prefisso dalla parola di base e chiederci qual é il significato aggiuntivo che ogni singolo prefisso dà alla parola di base. Per aiutare i più piccoli a mettere a fuoco le proprietà formali delle parole potremmo proporre di tagliare le parole, separando con le forbici gli elementi costitutivi individuati per provare poi a ricomporle. Ai più grandi invece potremmo far notare che certi procedimenti cambiano la categoria lessicale della base ad esempio: lavatrice, falciatrice, affettatrice sono nomi che si sono formati da verbi, mentre nazionale, naturale, musicale sono aggettivi che si sono formati da nomi, bellezza, grandezza e magrezza sono nomi che si sono formati da aggettivi e così via. Ci sono però nel lessico migliaia di parole che pur esibendo chiari legami con altre parole rivelano anomalie rispetto alla regola a cui sembrano rifarsi, e queste anomalie spesso non sono facili da capire e da spiegare... ad esempio geloso non vuol dire pieno di gelo e scontrino non vuol dire piccolo scontro. Le risposte a queste domande possono essere molto diverse: a volte le parole si erano già formate in latino e sono penetrate in italiano a processo di formazione già avvenuto, a volte sono state prese in prestito da qualche lingua moderna e adattate alla fonologia dell'italiano, a volte hanno subito processi di deriva semantica di spostamento più o meno importante del significato originario, a volte questi diversi processi di sommano e sono riconoscibili in un'unica formazione. Ma ovviamente non c'è bisogno con i bambini di andare a fondo su questo tipo di problemi. Per formare una sensibilità morfologica basterà scegliere i procedimenti di formazione più semplici e le parole formalmente semanticamente più trasparenti. Gambin oltre ad avere intervistato 20 bambini di III e V classe della primaria ha eseminato anche i testi in adozione nelle rispettive classi e alcuni eserciziari cui attingevano le maestre al momento della rilevazione. A volte si tratta di veri e propri errori che nascono da leggerezza nel trattare una materia probabilmente considerata facile. Ad esempio vengono presentate come parole prefissate i verbi scartare sbucciare spolverare e sbrinare e riscrivere e rileggere ma scartare, sbuciare e spolverare non si sono formati con la semplice aggiunta di un prefisso a un verbo preesistente ma con la contemporanea aggiunta a un nome di base di un prefisso e di un suffisso. Il loro nome tecnico è verbi parasintetici. Dalle interviste condotte sui bambini viene confermato che essi si lasciano andare in prima battuta a considerazioni semantiche e posti di fronte ad un problema linguistico ragionano prima di tutto sul significato. Il questionario proposto da Gambin prevedeva anche parole inesistenti ma possibili perchè costruite rispettando le regole di formazioni relative, e parole inesistenti ma impossibili. In tutti questi casi i bambini hanno una reazione simile per le prime pur dichiarando di non averle mai sentite prima provano a ricostruirne il significato, ad esempio <<uno stradario è quello che fa le strade>>, <<un dormitorio e quello che dorme ogni volta come un bradipo>>, <<un quadernista è quello che fai quaderni>>. Di fronte alle tre parole impossibili i bambini sono più incerti non ritrovando rispettate le regole che hanno già per loro conto individuato.
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