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Vico: De nostri temporis studiorum ratione/Scienza Nuova/ De Antiquissima, Sbobinature di Filosofia Teoretica

Giambattista Vico: vita e opere nel dettaglio. De nostri temporis studiorum ratione/Scienza Nuova/ De Antiquissima

Tipologia: Sbobinature

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Scarica Vico: De nostri temporis studiorum ratione/Scienza Nuova/ De Antiquissima e più Sbobinature in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! FILOSOFIA TEORETICA Lezione n.1 Data: 15/10/2020 ILLUSTRAZIONE DEL PROGRAMMA: questo è un corso su Vico. Allora che cosa fare per superare bene l’esame? Imparando ad ascoltare le lezioni e a prendere appunti, ascoltarmi Io vi ho anche dato come libro adottato il volume introduttivo a Vico (l’ultimo che è uscito) di Manuela Sanna (una studiosa di storia della filosofia moderna napolitana, che dirige il centro studio vichiani del CNR) che ha scritto una bella introduzine a Vico che ve la consiglio come approfondimemto e strumento di contestualizzazione. Che cosa voglio dire ? Laddove magari il mio discorso potrà sembrarvi un po’ astratto voi in quel libro trovate delle coordinate anche geografiche per esempio, grazie alle quali voi potete storicizzare meglio i concetti. Ma come vi ho scritto sulla pagina docente pubblica il grosso dell’esame verterà oltre che sulle mie lezioni, su dei passi (brani) di Vico in latino tradotti in italiano, perché Vico scriveva anche in latino + brani di Vico scritti in prosa, in volgare italiano, dalla sua opera maggiore: “la scienza nuova’’che ebbe 3 edizioni (1725-1730-1744) “scienza nuova’’ seconda che uscì postuma perché VICO non fece in tempo a vedere la stampa del suo capolavoro. Vico—> filosofo teoretico che si pone il problema dell’educazione (che è il nostro problema). Quindi cosa più importante è la massima centralià che noi dobbiamo dare al testo di Vico, perché ce un grande rischio negli studi umanistici e qual è questo rischio? Questo rischio è di studiare di più la letteratura secondaria di quella primaria, più i testi critici che le fonti. Invece la scomessa da molti anni dei miei corsi è quella di mettere al centro le fonti, di mettere al centro i testi. Quidi mettere al centro del nostro lavoro il testo, io lavorerò molto sui testi insieme a voi,commenterò i testi anche perché il latino di Vico è molto chiaro,Vico tradotto in italiano è molto chiaro, il volgare di Vico è una lingua barocca, meravigliosa ma estremamente complessa. Le strutture anche sintattiche di Vico sono complesse e allora questo barocchismo letterario va commentato, decifrato, decodificato ha bisogno, pultroppo nel 2020, visto che il nostro italiano si è impoverito, ha bisogno di interpretazione, commento, prima ancora che di ermeneutica, noi dobbiamo decifrare il senso letterale del testo. Ripeto uno dei grandi problemi delle facoltà umanistiche, dei dipartimenti umanistici di tutto Europa,di tutto il mondo è stato, invece, quello di aver messo a bando i testi classici, le fonti e in compenso aver rovesciato sugli studenti un’orgia di letteratura critica. Per cui si può arrivare al paradosso di laurearsi su Dante, in un Universitá americana, sapendo tutto quello che è stato scritto su Dante (cosa che è impossibile, sto usando un’iperbole) ma ignorando poi il testo di Dante, il che è assolutamente contraddittorio. Quindi adesso studierò il modo migliore per condividere con voi strada facendo questi testi di Vico che io andrò a commentare e quei testi uniti ai miei commenti, alla mie lezioni che voi ascolterete, rispetto alle quali prenderete appunti e facendoli poggiare poi su alcuni passaggi importanti anche del libro della “Sanna” vi daranno quella formazione necessaria a superare bene questo esame. Quindi mettiamo al centro il testo, un grande critico letterario e storico della letteratura Giorgio Steiner (si legge: Giorgio Stainer) parlava di vere presenze, cioè le vere presenze sono le fonti, i classici, di tutto il resto si può fare a meno. Di cosa non si può fare a meno? trasgressione di un limite, superamento di un limite, arroganza; se la scienza non è arrogante rispetto a quella che l’ha preceduta non si va avanti, ma si va avanti anche perché qualcuno non accetta di stare al proprio posto all’interno di un confine disciplinare rigidamente assegnatogli e va oltre, passa avanti, sconfina i terreni, i domini che appartengono ad altri, in nome di che cosa? In nome dell’unità umanistica del sapere. Se il sapere è uno non ha senso alzare barriere fra i saperi. Per questo dico noi dovremmo impedire a un retore di parlare di filosofia, a un filosofo di parlare di retorica. 2 citazione): Nel primo Fausto di Gueten un che ne capiva metistofare (il diavolo) dice una cosa terribile alla scienza moderna che vale ancora oggi: <<chi vuol conoscere e descrivere qualcosa di vivente cerca prima di tutto di cacciarne via lo spirito, così ha in pugno le parti peccato soltanto che venga a mancare il legame vitale>>. Noi prendiamo qualcosa di vivo e la materia con la quale voi vi misurate è una materia viva gli altri e noi la tagliamo e adottando delle formulette pensiamo di aver risolto il problema. Invece, noi prendiamo qualcosa di vivo, un soggetto vivente e lo devitalizziamo e pensiamo che in questo modo abbiamo raggiunto il rigore scientifico, nessun rigore scientifico, non è affatto un rigore scientifico quello al quale facciamo riferimento, abbiamo devitalizzato l’oggetto della nostra conoscenza. Ecco Vico, che scrive prima di Gueten ma dopo Quintiliano, ragiona esattamente in questo modo,cioè la critica di Vico del ‘’dei nostri tempi studiorum orazione’’ è una critica che ha come obiettivo: l’unità del sapere e soprattutto in questo dialogo il De Orazione, Vico ha come obiettivo: la restituzione di dignità all’eloquenza, il saper parlare qualifica il soggetto come ‘’vir bonus dicenti peritus’’ come un uomo buono esperto nel parlare. Per la grande retorica moderna (pensiamo a Pietro Ramo, pensiamo a Filippo Melantone ) per la grande tradizione umanistico- retorico moderna la retorica non è soltanto “raz bene dicendi’’ non è soltanto una tecnica del parlare bene, in maniera persuasiva ma è anche ‘’un ars bene docenti’’ è un’arte dell’insegnamento. Non si può essere un buon insegnante, qualunque sia la disciplina che insegni, se tu non sei “dicendi peritus’’(esperto nel dire). Ragazze vi siete mai chieste perché la stragrande maggioranza di voi probabilmente ha odiato la matematica e magari a intrapreso una carriera umanistica per paura della matematica? Perché molto spesso il professore di matematica non sapeva parlare in italiano, non sapeva spiegare, non era chiaro nell’esposizione, non si poneva il problema linguistico nella trasmissione di un sapere, nella trasmissione di strumenti del sapere, quindi non era in grado di usare la maieutica, ma per usare la maieutica tu devi essere “bene dicenti peritus ” (capace di parlare bene) e bene non significa elegantemente, non significa ricorrere a effetti speciali, ma significa far capire, far comprendere. Allora quando il grande ingegnere dice: ma io sono un ingegnere non devo saper parlare,vi sta dicendo una sciocchezza in termini umanistici e in termini di Vichiani, perché la lingua è il denominatore comune di tutte le discipline. C’è un principio comune che è la filosofia, ma c’è un denominatore comune che è la lingua (la prosa, il dettato). Io non posso pretendere di fare una lezione di fisica e di farvela capire se non adotto una lingua, delle strategie linguistiche, anche delle strategie persuasive che siano efficaci. Il saper parlar bene fa tutt’uno con la lezione (questo è un punto fondamentale), il sapiente deve anche essere eloquente, se non è eloquente non è sapiente. La scissione tra sapienza ed eloquenza è esiziale per Vico, ma la scissione tra sapienza ed eloqueza che ha retto tutto l’Umanesimo europeo che è un etas ciceroniana dice MARC FIAEURI,questa congiunzione di sapienza ed eloquenza viene scissa, separata dai moderni (non a tutti i moderni, ma i filosofi programmaticamente moderni), perché guai a parlare di recupero dell’antica eloquenza,perchè la scienza deve andare avanti, non ha bisogno dell’eloquenza, l’eloquenza è un di più, è un ornamento. L’Eloquenza è la cosa stessa, non c’è distinzione in filosofia tra quello che dici e come lo dici (in greco: la qualità della comunicazione e il che cosa il ‘’ti’’ in greco della comunicazione, la cosa si risolve nella comunicazione). Ecco perché è fondamentale la questione di una eloquenzia cum sapienza con umtia- di un eloquenza congiunta alla sapienza). Tutto il seicento fu un’età ciceroniana. Però c’è una linea della modernità, vi ho detto quella cartesiana, che invece guarda con insofferenza all’eloquenzia, che bisogna abbiamo di saper parlare, le cose stesse parlano da sole e invece DE CART è un grande mentitore perché scrive divinamente. La prosa di De Cart non è soltanto una prosa intrisa di classicità, ma è anche una prosa nella quale lo ha dimostrato un grande storico della filosofia francese Antre Robine: una prosa nella quale la tradizione dell’eloquenza, la tradizione di Pietro Ramo è una tradizione umanistica della quale De Cart fa tesoro solo che non c’è lo dice questa è la differenza con Vico. Vico fa i conti con quella tradizione e la recupera, De Cart si serve di quella tradizione (la metabolizza, la fa propria) ma dissimula (significa nascondere la verità)questo lascito. De Cart nasconde la verità, che cosa ci fa vedere? Ci fa vedere l’animale sul tavolo settorio, l’animale aperto dicendo una bugia. Ricordatevi anche l’esame questo problema: Vico se la prende con la parcellizzazione dei saperi e soprattutto con una divisione tra i sapere che devitalizza l’oggetto. Vico in un’altra pagina dice ma l’uomo di De Cart, così come lo pensa De Cart gli anatomisti non l’hanno trovato da nessuna parte, è un uomo tutto invitro è un uomo macchina si potrà dire nome di un obiettivo finale: noi forniamo il giovane alla vita civile, dobbiamo destinare il nostro progetto educativo alla vita civile, l’obiettivo è la vita civile (cioè preparare il vir bonus dicendi peritus alla vita civile, cioè rendere questa sua abilità retorica, questa sua competenza retorica spendibile in un contesto operativo e questo contesto operativo è la Polis (la comunità politica e la vita pubblica) non la chiusura monastica dei solitari (di quelli che lui chiama i filosofi epicurei) ma l’apertura. Quindi la costituzione di un sapere ispirato da un principio unico che congiunga sapienza ed eloquenza e che abbia come obiettivo la vita pubblica, l’operare, l’agire, nell’agorà (nella pubblica piazza), nel tribunale. Questo è l’obiettivo dell’insegnamento e a questa dimensione retorica non si sottrae nessuna forma di sapere e tutti i saperi sono riconducibili ad un principio unitario che li tiene insieme , questo principio unitario è la filosofia. La domanda che vi pongo se tutto questo è antiquario o se invece ha a che fare con una domanda che ancora adesso sollecita il nostro tempo, il nostro presente? Lezione filosofia teoretica 19-10-2020 Bisogna inseguire la natura. Allora bisogna partire da quelle scienze che non si possono intendere senza la facultas imaginandi, cioè l’attitudine a formare immagine. Se noi partiamo dall’immagine possiamo arrivare al linguaggio senza figura. Questa è la grande lezione che ci fa Vico. Mostrate la figura per poi arrivare al linguaggio dell’astrazione logica. Facciamo discorsi che sappiano parlare al corpo prima ancora che alla mente. Vico vuole formare dei giuristi. L'obiettivo di Vico è il mondo dell’esperienza giuridica che è un’esperienza pratica. Vico dice ‘oggi si celebra soltanto la critica e la topica resta indietro’. Critica=metodo cartesiano, la topica=è l’arte della scoperta degli argomenti. Se ad esempio dobbiamo fare una tesi di laurea troviamo prima gli argomenti e poi li mettiamo in ordine, ponendoci sempre il problema del contesto. In un discorso noi non ci limitiamo solo ad ascoltare, ma lo vediamo, conta molto il tono, il registro, la postura. Importante la messa in scena della parola. La parola viene agita, si parla di azione scenica, Il parlante è un attore, colui che mette in scena la parola. Vico dunque ci dice che il [prius[, l’elemento primario della discussione è la topica, la scoperta degli argomenti. La scoperta degli argomenti viene prima del giudizio della verità. Invece i nostri critici la escludono. Ma Vico dice ‘siamo proprio sicuri che gli uomini possono scoprire la verità in maniera immediata, senza mediazione? Invece i grandi oratori sono quelli che sanno trovare il medium=argomento. Trovare il medium vuol dire trovare l’argomento, che mi consente di mediare. Chi riesce a trovare il medio è colui il quale riesce più facilmente a convincere. Chi riesce a trovare il medio è colui il quale riesce ad entrare in relazione con l’altro e persuaderlo. I moderni critici quando si presenta loro qualche dubbio rispondono “fammici pensare”. Ma c’è la possibilità che io debba rispondere nell’immediato e lì c’è il medium. L’eloquenza ha senso sull’uditiorum, cioè su chi ascolta, sugli uditori. Qui Vico si fa erede della sofistica sacra gesuitica. Vico dice che l’oratore deve conoscere le opinioni. Vico dice: ‘perché io vi persuada devo conoscere le vostre opinioni, perché chi sembra irremovibile da pareri forti, viene smosso da lievi argomenti’. Lieve, ma efficace. Ancora una volta la dimensione della retorica è la dimensione della persuasione. Dunque a volte un lieve argomento può essere molto efficace. Facciamo riferimento all’argomento vero. Quando costruiamo un discorso pubblico dobbiamo sempre tener presente dell’opinione dell’uditorium, di colui che ci ascolta. Esempio prof. :Se io voglio convincervi devo titillare la corda narcisistica delle vostre opinioni alle quali tenete tanto. Devo assecondare un po’ la vostra opinione. Se io simulando e dissimulando riesco a portarvi a me, sono stato un buon oratore, ma per sedurvi devo tener conto della vostra opinione. Oggi c’è tutto un filone cartesiano che mette a bando la topica, vedendola come un vecchio sussidio aristotelico. Dunque questa polemica del metodo cartesiano è una polemica condotta alla topica di una certa tradizione umanistica retorica, e soprattutto è una polemica che si capisce se si riflette il contesto di cui Vico ci parla: contesto giuridico. Questa tradizione della retorica classica trova una rifioritura tra 5 e 600 chiamata retorica sacra da [Max Fiumarolì[ (così pronunciato), grande accademico francese. Può la ratio studiorum gesuitica restare indifferente a questa insistenza estrema sulla dimensione retorica? Assolutamente no. Questa è un’altra grande fonte. In questa lezione mettiamo dunque in evidenza l’anticartesianesimo di Vico, anche se molto parziale, perché Vico non dice di espellere, per Vico, la retorica, il giudizio di verità è fondamentale. Dice PRIMA trovo gli argomenti e poi li sottopongo a verifica. Attenzione: quando l’obiettivo è persuadere il giudice, lì non conta il giudizio di verità, quanto la capacità sofistica di entrare in sintonia con colui che ascolta, assecondandole la (docsa), assecondandole l’opinione, il che presuppone la conoscenza. Il grande oratore è colui che conosce la comunità, è colui che si radica nella comunità. Conoscendola riesce ad attivare il senso comune della comunità, altrimenti venendo meno il senso comune l’effetto sperato non si presenta, mai LEZIONE N3 DATA 22 OTTOBRE. Vico fa una sorta di riflessione su tutti i saperi, su tutte le discipline del proprio tempo, ponendosi costantemente la stessa domanda, siamo migliori noi? O sono migliori gli antichi? , in che cosa siamo migliori noi moderni? , in che cosa erano migliori gli antichi? In che cosa l’impianto degli studi formativi antichi formava l’educando meglio del modo in cui lo formiamo noi?. Vico nonostante fosse un pensatore moderno problematico, resta un moderno, cioè non butta a mare tutte le grandi scoperte e conquiste moderne, però si rende conto che nel sistema formativo c’è qualche problema. Vico si misura e recupera la grande tradizione della retorica antica, la recupera in chiave filosofica, ma soprattutto in chiave polemica nei confronti di alcune esagerazioni del pensiero moderno, di quel pensiero che ha come esempio più cospicuo Cartesio, cioè quando Vico pensa al pensiero moderno da un lato pensa sicuramente a Bacone ma dall’altro e soprattutto pensa a Cartesio, che non butta completamente a mare, per cui c’è un forte Cartesianesimo anche di Vico, man mano però questo rapporto diventa sempre più problematico, questa originaria adesione si converte in un rigetto, però questo rigetto non è mai totale, perché Cartesio e Vico in un certo senso parlano la stessa lingua, ovvero usano lo stesso vocabolario filosofico, che è un vocabolario filosofico ancora legato alla traduzione latina di Aristotele, ancora legato alla tradizione scolastica rispetto alla quale Cartesio porta delle innovazioni straordinarie. IMPORTENTE DA SAPERE SECONDO IL PROF=Questa piena appropriazione da parte di Vico della tradizione retorica passa per Aristotele, Cicerone e la grande ripresa della retorica, della dialettica e della topica anticha da parte dell’ Umanesimo. Quindi l’Umanesimo è tra i momenti del pensiero moderno (Quello che recupera a pieno il valore della retorica antica). Sappiamo che l’umanesimo ha nei confronti dell’antico un rapporto straordinario, non ci sarebbe l’umanesimo senza una ripresa dell’antico, anche se l’umanesimo si caratterizza proprio per avere nei confronti dell’antico un atteggiamento critico, critico nel senso proprio scientifico e filologico. L’umanesimo per esempio ristabilisce i testi antichi della loro dimensione originale, e questo è il carattere fondamentale della ripresa dell’antico da parte dell’umanesimo. Il prof ci dice queste cose, perché Vico è intimamente, schiettamente Aristotelico. Il corpus delle opere di Aristotele è un mondo, cui ha cercato di trattare in maniera magistrale tutti i saperi del suo tempo. Di questo immenso corpus, Vico recupera oltre al lessico (linguaggio), recupera proprio la dimensione della filosofia pratica. Aristotele all’inizio di un’opera fondamentale dedicata a suo figlio Nicomaco, l’etica Nicomachea o etica Nicomaco, Aristotele ci dice che esistono degli ambiti del sapere nei quali è vano, è inutile se non dannoso perseguire, cercare di raggiungere un livello di esattezza assoluto. ESEMPIO: la risposta alla domanda quanto fa 3x3 è inevitabilmente 9. La risposta alla domanda, come devo comportarmi?, Chi devo votare?. Queste domande per Aristotele consentono una risposta certa ? Assoluta? Data una volta per tutte?, oppure esistono degli ambiti della vita, quelli che Aristotele chiama praxis= prassi nei quali non possiamo anzi non dobbiamo assolutamente cercare l’esattezza assoluta, per un motivo molto semplice, non c’è, perché l’oggetto di questi ambiti, La materia di questi saperi è la vita stessa con la sua irregolarità, col suo movimento che Montaigne (grande filosofo moderno) chiamerà irregolare e multiforme. La vita ha un movimento irregolare, i contorni della vita non sono mai definiti, l’oggetto della prassi cioè l’agire non è definito una volta PRUDENZIA= phronesis. Su questo si gioca tutta la partita tra Aristotele e Platone, vuol dire che per Platone la politica è oggetto di episteme, cioè per lui anche nella prassi noi possiamo raggiungere il livello più alto di verità , perché per Platone il bene è l’oggetto supremo della conoscenza. Quindi per Platone tutto quello detto per Aristotele, non funziona, perché appunto per Platone quando dobbiamo prendere una decisione politica, dobbiamo cogliere l’essere, la sola decisone politica buona è quella presa dal filosofo perché il filosofo a differenza dei comuni mortali è l’unico che conosce, l’oggetto conoscitivo più alto, cioè il bene e quando il filosofo è chiamato come dovrebbe essere chiamato in una polis giusta a prendere le decisioni di governo, egli tradurrà in decisione di governo il bene che lui soltanto conosce, per cui se a governare chiamiamo tre filosofi dice Platone, questi tre non potranno litigare, perché conosceranno tutti e tre il bene, lo stesso bene, perché è unico e pochissime sono le persone (Filosofi) che possono conoscerlo e tradurlo in pratica in una città giusta. Quindi per Platone il metro per governare la prassi è epistemico, meglio chiamata come scienza del bene. Platone ha torto. Non è vero che più filosofi vedono la stessa idea del bene, non è vero che esiste una sola idea del bene. Dobbiamo amaramente constatare che probabilmente la dimensione del bene non è una dimensione oggettiva di cui si ha un sapere oggettivo, ma è una dimensione soggettiva rispetto alla quale non c’è episteme, ma c’è opinione e una sfera dominata dall’opinione è una sfera incerta, quindi non funziona il sapere epistemico di Platone, ma dobbiamo accontentarci della phronesis aristotelica, cioè di una saggezza più debole capace tuttavia di dare efficacemente l’agire, consentendoci di prendere non la migliore decisione possibile in assoluto, ma quella che permette di avere quella migliore tra le possibili. QUESTO CONCETTO DOVRBBE ESSERE IMPARATO A MEMORIA COSì= procedono erroneamente coloro che adottano la prassi della vita, il metodo di giudicare proprio della scienza. Perché c’è un elemento che non è stato ancora considerato un’ulteriore variabile che avrà un ruolo decisivo quando a breve si studierà la scienza nuova (grande capolavoro di Vico), ovvero la dimensione del corpo, la dimensione del desiderio. Vico dice, parliamo al corpo di chi ci ascolta. C’è una dimensione corporea della comunicazione pubblica, una dimensione corporea che è tanto più decisiva quanto più il nostro intento e la persuasione di chi ci ascolta . Inoltre dice Vico che quando si parla devo essere consapevole che il discorso più efficace presuppone che esso si rivolga al copro di chi ascolta. La parola prima ancora di essere logos è voce animale. C’è una dimensione percettiva che precede la logica ed è condizionante. Bisogna pensare non con la mente, ma con l’animo che ha a che far con il copro, perché la mente si lascia sedurre da ragionamenti, mentre l’anima non si lascia ne vincere e ne debellare. Dice Vico, il grande oratore che voglia parlare al corpo è capace di evocare dei corpi di far vedere dei copri con le parole. L’oratore che legge è un cattivo oratore. Il discorso non va semplicemente detto, il discorso va agito. Quando l’oratore si rivolge al volgo, deve essere consapevole che il volgo è il copro, non si smuove se non mediante le cose corporee. ESEMPIO : il volgo è come un bambino che non sa e la cui ignoranza ci obbliga a smuoverlo a metterlo in moto mediante cose corporee, perché per Vico, l’astrazione è un punto d’arrivo.. Ecco perché Vico è molto caro all’epistemologia genetica di Piaget. Per Vico ogni epoca, ogni età la mente non è sempre uguale ma subisce delle modificazioni per cui noi, chi vuole parlare deve tener conto del fatto che in alcuni, il volgo , i bambini, la mente nella sua dimensione originaria è copro. Un’altra parola chiave per capire Vico è ingenium. Ingenium vuol dire ingegno, ingegnere, ingegnoso. Ingenium è la virtù della mente di connettere cose diverse. Gli italiani secondo Vico sono ingegnosi i francesi molto meno. Noi italiani siamo dopo gli spagnoli il popolo più ricco di ingegno perché più ricco di acune. L’acune è la punta che penetra nell’oggetto, è la nostra capacità di penetrare, è l’intelligenza , capacità di penetrare nell’oggetto . Ma l’oratore acuto è anche l’oratore che ha il pungiglione che gli consente di entrare nell’animus dell’uditorio. LEZIONE N2 DATA 22 OTTOBRE. Vico fa una sorta di riflessione su tutti i saperi, su tutte le discipline del proprio tempo, ponendosi costantemente la stessa domanda, siamo migliori noi? O sono migliori gli antichi? , in che cosa siamo migliori noi moderni? , in che cosa erano migliori gli antichi? In che cosa l’impianto degli studi formativi antichi formava l’educando meglio del modo in cui lo formiamo noi?. Vico nonostante fosse un pensatore moderno problematico, resta un moderno, cioè non butta a mare tutte le grandi scoperte e conquiste moderne, però si rende conto che nel sistema formativo c’è qualche problema. Vico si misura e recupera la grande tradizione della retorica antica, la recupera in chiave filosofica, ma soprattutto in chiave polemica nei confronti di alcune esagerazioni del pensiero moderno, di quel pensiero che ha come esempio più cospicuo Cartesio, cioè quando Vico pensa al pensiero moderno da un lato pensa sicuramente a Bacone ma dall’altro e soprattutto pensa a Cartesio, che non butta completamente a mare, per cui c’è un forte Cartesianesimo anche di Vico, man mano però questo rapporto diventa sempre più problematico, questa originaria adesione si converte in un rigetto, però questo rigetto non è mai totale, perché Cartesio e Vico in un certo senso parlano la stessa lingua, ovvero usano lo stesso vocabolario filosofico, che è un vocabolario filosofico ancora legato alla traduzione latina di Aristotele, ancora legato alla tradizione scolastica rispetto alla quale Cartesio porta delle innovazioni straordinarie. IMPORTENTE DA SAPERE SECONDO IL PROF=Questa piena appropriazione da parte di Vico della tradizione retorica passa per Aristotele, Cicerone e la grande ripresa della retorica, della dialettica e della topica anticha da parte dell’ Umanesimo. Quindi l’Umanesimo è tra i momenti del pensiero moderno (Quello che recupera a pieno il valore della retorica antica). Sappiamo che l’umanesimo ha nei confronti dell’antico un rapporto straordinario, non ci sarebbe l’umanesimo senza una ripresa dell’antico, anche se l’umanesimo si caratterizza proprio per avere nei confronti dell’antico un atteggiamento critico, critico nel senso proprio scientifico e filologico. L’umanesimo per esempio ristabilisce i testi antichi della loro dimensione originale, e questo è il carattere fondamentale della ripresa dell’antico da parte dell’umanesimo. Il prof ci dice queste cose, perché Vico è intimamente, schiettamente Aristotelico. Il corpus delle opere di Aristotele è un mondo, cui ha cercato di trattare in maniera magistrale tutti i saperi del suo tempo. Di questo immenso corpus, Vico recupera oltre al lessico (linguaggio), recupera proprio la dimensione della filosofia pratica. Aristotele all’inizio di un’opera fondamentale dedicata a suo figlio Nicomaco, l’etica Nicomachea o etica Nicomaco, Aristotele ci dice che esistono degli ambiti del sapere nei quali è vano, è inutile se non dannoso perseguire, cercare di raggiungere un livello di esattezza assoluto. ESEMPIO: la risposta alla domanda quanto fa 3x3 è inevitabilmente 9. La risposta alla domanda, come devo comportarmi?, Chi devo votare?. Queste domande per Aristotele consentono una risposta certa ? Assoluta? Data una volta per tutte?, oppure esistono degli ambiti della vita, quelli che Aristotele chiama praxis= prassi nei quali non possiamo anzi non dobbiamo assolutamente cercare l’esattezza assoluta, per un motivo molto semplice, non c’è, perché l’oggetto di questi ambiti, La materia di questi saperi è la vita stessa con la sua irregolarità, col suo movimento che Montaigne (grande filosofo moderno) chiamerà irregolare e multiforme. La vita ha un movimento irregolare, i contorni della vita non sono mai definiti, l’oggetto della prassi cioè l’agire non è definito una volta PRUDENZIA= phronesis. Su questo si gioca tutta la partita tra Aristotele e Platone, vuol dire che per Platone la politica è oggetto di episteme, cioè per lui anche nella prassi noi possiamo raggiungere il livello più alto di verità , perché per Platone il bene è l’oggetto supremo della conoscenza. Quindi per Platone tutto quello detto per Aristotele, non funziona, perché appunto per Platone quando dobbiamo prendere una decisione politica, dobbiamo cogliere l’essere, la sola decisone politica buona è quella presa dal filosofo perché il filosofo a differenza dei comuni mortali è l’unico che conosce, l’oggetto conoscitivo più alto, cioè il bene e quando il filosofo è chiamato come dovrebbe essere chiamato in una polis giusta a prendere le decisioni di governo, egli tradurrà in decisione di governo il bene che lui soltanto conosce, per cui se a governare chiamiamo tre filosofi dice Platone, questi tre non potranno litigare, perché conosceranno tutti e tre il bene, lo stesso bene, perché è unico e pochissime sono le persone (Filosofi) che possono conoscerlo e tradurlo in pratica in una città giusta. Quindi per Platone il metro per governare la prassi è epistemico, meglio chiamata come scienza del bene. Platone ha torto. Non è vero che più filosofi vedono la stessa idea del bene, non è vero che esiste una sola idea del bene. Dobbiamo amaramente constatare che probabilmente la dimensione del bene non è una dimensione oggettiva di cui si ha un sapere oggettivo, ma è una dimensione soggettiva rispetto alla quale non c’è episteme, ma c’è opinione e una sfera dominata dall’opinione è una sfera incerta, quindi non funziona il sapere epistemico di Platone, ma dobbiamo accontentarci della phronesis aristotelica, cioè di una saggezza più debole capace tuttavia di dare efficacemente l’agire, consentendoci di prendere non la migliore decisione possibile in assoluto, ma quella che permette di avere quella migliore tra le possibili. QUESTO CONCETTO DOVRBBE ESSERE IMPARATO A MEMORIA COSì= procedono erroneamente coloro che adottano la prassi della vita, il metodo di giudicare proprio della scienza. Perché c’è un elemento che non è stato ancora considerato un’ulteriore variabile che avrà un ruolo decisivo quando a breve si studierà la scienza nuova (grande capolavoro di Vico), ovvero la dimensione del corpo, la dimensione del desiderio. Vico dice, parliamo al corpo di chi ci ascolta. C’è una dimensione corporea della comunicazione pubblica, una dimensione corporea che è tanto più decisiva quanto più il nostro intento e la persuasione di chi ci ascolta . Inoltre dice Vico che quando si parla devo essere consapevole che il discorso più efficace presuppone che esso si rivolga al copro di chi ascolta. La parola prima ancora di essere logos è voce animale. C’è una dimensione percettiva che precede la logica ed è condizionante. Bisogna pensare non con la mente, ma con l’animo che ha a che far con il copro, perché la mente si lascia sedurre da ragionamenti, mentre l’anima non si lascia ne vincere e ne debellare. Dice Vico, il grande oratore che voglia parlare al corpo è capace di evocare dei corpi di far vedere dei copri con le parole. L’oratore che legge è un cattivo oratore. Il discorso non va semplicemente detto, il discorso va agito. Quando l’oratore si rivolge al volgo, deve essere consapevole che il volgo è il copro, non si smuove se non mediante le cose corporee. ESEMPIO : il volgo è come un bambino che non sa e la cui ignoranza ci obbliga a smuoverlo a metterlo in moto mediante cose corporee, perché per Vico, l’astrazione è un punto d’arrivo.. Ecco perché Vico è molto caro all’epistemologia genetica di Piaget. Per Vico ogni epoca, ogni età la mente non è sempre uguale ma subisce delle modificazioni per cui noi, chi vuole parlare deve tener conto del fatto che in alcuni, il volgo , i bambini, la mente nella sua dimensione originaria è copro. Un’altra parola chiave per capire Vico è ingenium. Ingenium vuol dire ingegno, ingegnere, ingegnoso. Ingenium è la virtù della mente di connettere cose diverse. Gli italiani secondo Vico sono ingegnosi i francesi molto meno. Noi italiani siamo dopo gli spagnoli il popolo più ricco di ingegno perché più ricco di acune. L’acune è la punta che penetra nell’oggetto, è la nostra capacità di penetrare, è l’intelligenza , capacità di penetrare nell’oggetto . Ma l’oratore acuto è anche l’oratore che ha il pungiglione che gli consente di entrare nell’animus dell’uditorio. LEZIONE DEL 26/10/2020.Numero 4. Nel 2018 rincorrevano i 250 dalla nascita di Vico. Un’opera di Vico molto ambiziosa alla quale Vico teneva molto ma che rimase incompiuta, Vico riuscì a pubblicare soltanto il Primo libro di quest’opera nelle cui intenzioni avrebbe dovuto pubblicare altri due libri, L’opera si chiama in italiano dell’antichissima sapienza degli italici “de antiquissima italorum sapientia” , Avrebbe dovuto articolarsi in tre libri, il primo metafisicus “metafisico”, il secondo fisicus “fisico” e il terzo moralis “morale” . Vico riesce a scrivere soltanto il primo libro, non sappiamo se riesce a scrivere un abbozzo del libro fisico magari può essere chi lo avrà steso ma noi non abbiamo il libro nella sua totalità, è un’opera di grande importanza perché è del 1710 dedicato a Paolo Mattia Doria che era un importante pensatore intellettuale genovese trasferitosi a Napoli di ispirazione neoplatonica, È un’opera importante perché non soltanto dal punto di vista cronologico si colloca tra i due capolavori di Vico cioè tra il de ratione 1708 e la scienza nuova 1725 ma anche perché è un’opera proprio di trasmissione, di mediazione, che funge proprio da volano appunto con il de ratione che ha Un impianto umanistico retorico, anche se con forti ambizioni polemiche e filosofiche,e la scienza nuova che è il capolavoro, una grande opera di filosofia, è un’opera diciamo inclassificabile ma nella quale il binomio filosofia filologia gioca un ruolo importantissimo.È molto importante chiarire come il Vico della scienza nuova, cioè il Vico che va verso la maturità guardi al de antiquissima italorum sapientia in senso anche un po’ autocantico nonostante alcuni assunti metafisici tornino estremamente utili per comprendere il profilo teoretico della scienza nuova, consideriamo il titolo de antiquissima italorum sapientia in cui Vico in questo libro metafisico che dovrebbe costituire il primo capitolo di quest’opera indaga, ricerca, attraverso le origini della lingua latina, una dottrina riposta , Dei contenuti filosofici, una sapienza riposta Che noi in un certo senso richiamiamo dalle origini della lingua latina.quindi le origini della lingua latina ci dimostrano che c’è stata una sapienza degli italici nascosta e che si manifesta nell’etimologia delle parole, il modello di Vico in quest’opera è il Platone del cratilo, il cratilo è un grande dialogo sulle etimologie, sulle origini, sul significato originario del Platone, risalendo con un’operazione che guarda da un lato in Grecia a Platone, in ambito latino al de lingua latina di Varrone , Vico facendo questa operazione pretende di scoprire delle origini, una sapienza una sorta di sapienza nascosta, di deposito sapienziali delle origini, in cui in fondo la lingua delle origini è una lingua filosofica, una lingua di sapienti. La tesi di Vico è che alle origini ci sarebbe una sapienza, e che compito del metafisico, dell’indagine andare a vedere quali sono queste origini, in cui i latini hanno parlato una lingua profondamente filosofica, piena di locuzioni filosofiche. In estrema sintesi si può affermare che il Vico del de antiquissima italorum sapientia pone all’origine del linguaggio una sapienza, ed è una sapienza ricca di filosofia quindi l’origine che noi dobbiamo andare a ricercare nel de antiquissima italorum sapientia è questa sapienza nascosta. L’operazione della scienza nuova è un tentativo affascinante perché è opposto a questo, cioè se qui Vico pone all’origine una sapienza e la filosofia, nella scienza nuova, noi avremo un Grandioso tentativo di porre all’origine della cultura umana non una sapienza ma all’opposto, una ignoranza, la scienza nuova presuppone Che le origini delle cose tutte debbano per natura essere rozze, scrive Vico. C’è una degnità nella scienza nuova che recita Che le origini delle cose per natura devono necessariamente essere rozze , Significa che noi non possiamo postulare all’origine dell’umanità dei sapienti, noi non possiamo postulare , Presupporre che l’origine sia un’origine sapiente, che l’uomo sappia fin dall’origine e che sia naturalmente filosofo, questa Vico la chiama boria dei dotti presupporre che le origini del campo di osservazione e la sapienza noi siamo in grado di cogliere l’origine, ma se noi attribuiamo alle origini la nostra sapienza, se noi guardiamo all’origini da sapienti noi non vediamo nulla quindi dobbiamo ridurci, svestire la nostra natura, vestire la natura degli uomini delle origini e ridurci a loro, pensare come se fossimo loro. Superstizione per Vico significa “penso di essere sovrastati da qualcuno o qualcosa, sentire qualcuno o qualcosa che mi sovrasta, sovrastandoci risuscita reverenza”. Per Vico la superstizione non è il negativo del pensiero ma è la forma originaria della sapienza, se noi all’origine siamo solo corpo, un corpo incapace di astrazione e non siamo mente, la prima forma del pensiero è superstiziosa. Uno di quei principi ai quali Vico non derogherà mai , Risalendo alle origini della lingua latina e ai prestiti filosofici che questa lingua avrebbe ricevuto da quella greca e da quella etrusca,Vico, conclude che il latino delle origini riprendendo la parola verum e la parola Factum affermando che il vero è il fatto sono uno è il reciproco dell’altro, oppure il vero e il fatto si convertono l’uno nell’altro, significa, che noi conosciamo ciò che facciamo, soltanto ciò che noi facciamo è conosciuto. L’uomo non può conoscere la natura perché l’autore della natura, l’artefice della natura, non è l’uomo ma è Dio, Dio fa la natura, soltanto Dio può conoscere ciò che fa perché questo principio verum Factum reciprocantur vale universalmente sia per Dio sia per gli uomini, solo che mentre Dio è artefice della natura, l’uomo che non ha fatto la natura non può conoscerla. Soltanto in Dio la conoscenza della verità, del vero è infinita perché la potenza creativa di Dio è infinita, Dio è onnipotente, significa che può fare tutte le cose invece l’uomo non essendo ogni potente non può fare tutte le cose quindi la sua conoscenza è limitata quindi ciò che resta fuori al dominio dell’uomo è proprio la natura. La natura di cui l’uomo non è l’artefice e resta oscura, nascosta. Sapere e scienza vuol dire comporre gli elementi delle cose, questi elementi Dio li contiene tutti quanti in sé, lo sciire di Dio è infinitum perché Dio contiene in sé intrinsecamente tutti gli elementi , Dio è onnisciente perché possiede tutti i rerum elementa e possedendoli in grado di comporli e in lui l’identità tra il vero e il fatto è perfetta. Sapere significa conoscere il genere, la forma o il modo attraverso il quale si fa la cosa e così la scienza è la conoscenza del Genere O modo in cui la cosa si fa, per mezzo di esso la mente al tempo stesso in cui viene a conoscenza di conoscere quel modo in cui di comporre gli elementi fa la cosa ma questa cosa è solida per Dio che comprende tutto mentre è piana per l’uomo che comprende soltanto gli elementi estrinseci , Il vero divino è una solida immagine delle cose dice Vico , Una specie di plasma, mentre quello umano è a un’immagine piatta,un dipinto,una pittura, mentre il vero divino e quello che Dio dispone genera nel momento stesso in cui lo conosce, il vero umano e quello che l’uomo compone e fa nel momento stesso in cui lo apprende. Io posso conoscere soltanto le cose che faccio, avere scienza significa sapere, conoscere la forma, il modo attraverso cui la cosa si fa quindi io posso avere scienza soltanto di ciò che faccio perché soltanto ciò che faccio io conosco il modo in cui si fa. Secondo Vico non posso conoscere l’origine dell’universo perché questo mondo, questo universo non l’ho fatto io, c’è un altro facitore, fattore. L’uomo deve essere consapevole che la conoscenza della natura è limitata, è finita perché l’unico sapere infinito della natura e quello di Dio, soltanto Dio può conoscere fino in fondo la natura.Vico vuole fugare da sé il rischio di essere bollato di ateismo, il quale sa perfettamente che sta toccando un argomento molto importante infatti ebbe problemi con la censura ecclesiastica. C’è dunque una divinità nell’uomo ma questa divinità dell’uomo non si manifesta nel dominio scientifico della natura bensì nella sua (dell’uomo) attitudine, attitudine a costruire artifici dei quali ed io.l’uomo a differenza degli altri viventi non è vincolato da una natura, l’essenza dell’uomo sta nel non avere un’essenza la quale sia vincolato, essendo nato privo di una dotazione che gli consenta di stare efficacemente al mondo, l’uomo che è più debole dal punto di vista adattativo , Adatta al mondo a se stesso, Cioè lo trasforma rendendolo funzionale a se stesso questo vuol dire artificiorum deus, L’uomo tutto quello che non trova in natura, lo costruisce, lo fabbrica quindi c’è una dimensione fabrile tipica dell’umanesimo che Vico recupera in pieno e in giordano Bruno è fortissima questa che è consapevolezza dell’uomo come creatore di mondo, costruttore di mondi in terra quindi tutto quello che Dio non fa è nelle mani dell’uomo, e l’uomo lo conosce perché lo fa.Vico Ritiene che tutto quello che noi riteniamo accadere a caso, per caso in realtà risponde a un disegno provvidenziale che resta ignota agli uomini ma tendenzialmente l’uomo conosce quello che fa il che significa che l’uomo può conoscere la storia per quanto ci sia un residuo di inconoscibilità. È compito della filosofia trovare questo senso, trovare un ordine tra i fatti storici che apparentemente accadono in maniera disordinata e insensata. Vico riabilita la storia facendone materia di scienza , Si può fare scienza anche nella storia perché la storia l’abbiamo fatta noi e dunque noi possiamo andare a ritrovare le modificazioni della mente umana per quanto possibile, la storia la facciamo noi ma alla storia imprime un senso cioè c’è una struttura ideale eterna cioè la provvidenza di Dio ecco perché la scienza nuova sarà definita da Vico teologia ragionata della provvedenza divina cioè vedere un senso dove altri (non filosofi) vedono solo disordine. La potenza dell’uomo è infinita come quella di Dio? Assolutamente no poiché l’uomo non è onnipotente non è nemmeno onnisciente gli resta precluso tutto ciò che non fa, non può diventare oggetto conoscitivo ciò che non è affatto dal momento che si può conoscere soltanto ciò che si fa dal momento che scienza significa cognizione del genere o del modo in cui si fa la cosa, ma Genus È legato alla generazione, c’è dunque un rapporto tra natura, nascita e forma, attraverso questo principio del conoscere e del fare come l’uno è reciproco dell’altro noi scopriamo che avere scienza di una cosa oltre a significare comporre gli elementi significa anche sapere in che modo qual è il modo attraverso il quale la res,la cosa, Viene a esistenza e io posso sapere come la cosa viene a esistenza soltanto se io la cosa la faccio ecco perché la natura mi resta ampiamente preclusa perché non ne sono io l’artefice, l’artefice è Dio la cui potenza è illimitata. Vico fa molte concezioni alla scienza moderna, dice che le nostre conoscenze in ambito naturale sono andati avanti, c’è stato un progresso scientifico tuttavia noi dobbiamo essere consapevoli che la verità scientifica alla quale possiamo attingere in ambito naturale non è infinita cioè il primo vero non è infinito, è infinito soltanto in Dio, perché soltanto Dio è uno perché è infinito e perché quello che per noi è soltanto raziocinio In Vico è opera. Noi possiamo cogliere col ragionamento ciò che accade in natura, possiamo comprenderlo e le nostre cognizioni procederanno per accumulo cresceranno ma quello che è in noi è raziocinio,Quello che per noi costituisce soltanto oggetto di ragionamento per Dio è opera cioè Dio lo può fare. La nostra conoscenza è limitata. Mentre per giordano Bruno la curiositas È l’emblema della scienza moderna per cui l’uomo di scienza è curioso, perché ha un desiderio pressante di infinito tuttavia la curiositas è un bene per gli apologeti della scienza moderna,Vico Quindi aveva teorizzato la curiositas Mentre il pensiero cristiano aveva ritenuto che la curiositas non fosse affatto una virtù ma un peccato, un vizio.Ci sono degli ambiti in cui Vico è più vicina giordano Bruno nei quali l’uomo e Dio e sono quegli ambiti nei quali in nobis sunt opera , Tutti gli ambiti nei quali l’uomo ha in sé gli elementi, la geometria, quando l’uomo disegna una figura, un triangolo, sta disegnando un qualcosa di cui possiede lui gli elementi e di cui è Dio, crea Un altro mondo, un mondo fatto di superfici, di numeri, l’uomo tende a creare altri mondi sottoforma di figura e di numero, di quei mondi l’uomo e Dio perché l’uomo in grado di componere all’ infinito gli elementi di cui predispone ma dove l’uomo non dispone di questi elementi si accorge di non poterla in nessun modo raggiungere perché non ha dentro di sé gli elementi di cui sono costituiti le cose e comprende che questo dipende dai limiti della sua mente perché tutte le cose sono fuori di lui, utilizza allora questo difetto della sua mente per i propri usi e per mezzo della cosiddetta astrazione immagina delle cose. L’uomo non è in grado di conoscere fino in fondo la natura delle cose perché non è in sé gli elementi di cui le cose consistono e allora costruisce un mondo di finzione, di queste finzioni l’uomo è Dio, è creatore. L’uomo crea un mondo di forme di numeri che abbraccerebbe dentro di sé l’universo e allungando, accorciando, componendo le line e i numeri compie infinite operazioni come chi conosca dentro di sé verità infinite. L’uomo non crea la natura ma facendo leva su questo suo limite operativo, e conoscitivo, sul presupposto di tutte queste sue conoscenze limitate crea un mondo di numeri un mondo di forme che non esistono in natura e Che sono totalmente creati da lui mentre il fisico non può definire le cose in base al vero perché non può veramente fare le cose perché questo è possibile soltanto a Dio ma è impossibile all’uomo, quindi l’uomo non è in grado di conoscere fino in fondo le cose della natura perché gli elementi di cui sono composte queste cose sono fuori di lui soltanto Dio li conosce perché questi elementi sono in lui ma facendo leva su questo deficit cognitivo l’uomo costruisce dal nulla come se fossero cose e non sono cose il punto, la linea e la superficie che non hanno nessun presupposto corporeo, Non hanno nessun presupposto naturale sono pure astrazioni, pure finzioni ma di questo universo di finzioni al qui interno l’uomo può compiere operazioni infinite è come se l’uomo fosse Dio, quindi come Dio può compiere operazioni infinite nel mondo naturale di cui è l’unica artefice allo stesso modo l’uomo può compiere operazioni infinite Nel mondo finto che l’uomo si crea senza alcun strato materiale. La scienza umana è nata dunque da un difetto della nostra mente ossia dalla sua estrema limitatezza per cui è fuori da tutte le cose, non contiene le cose che aspira a conoscere, e poiché non li contiene non traduce le cose vere che si sforza di raggiungere, quindi le scienze certe imitano l’agire divino, il conoscere e il fare divino. La nostra mente è difettosa perché la nostra conoscenza è limitata poiché non è in grado di fare tutto dunque non è in grado di conoscere tutto, da tutto questo si può concludere che il criterio è la regola del vero consiste nell’averlo fatto, Essendo la scienza umana fondata sull’astrazione, le scienze sono tanto meno certe quanto più esse si immergono nella corposità della materia, così la meccanica È meno cerca dell’aritmetica poiché si occupa del moto ma con l’aiuto delle macchine e la fisica e meno certa della meccanica perché la meccanica studia il moto esterno delle circonferenze, la fisica in modo interno dei centri, la morale è meno certa della fisica perché la fisica studia i moti interni dei corpi pertinenti alla natura che è certa mentre la morale esclude I moti dell’animo che sono intimi e perlopiù scaturiscono dalla libidine che è infinita. La morale e meno certa della fisica vuol dire che mentre gli oggetti della fisica sono in un certo senso interne ai corpi che attengono alla natura che è certa, la morale si occupa dei moti dell’animo che sono intimi e provengono dalla libidine che è infinita. Vico aggiunge che in fisica vengono approvate quelle teorie alle quali corrisponde per similitudine qualche nostra operazione, raggiungono la massima celebrità e consenso quelle idee sulla natura che abbiano il conforto di esperimenti mediante i quali noi facciamo qualcosa di simile alla natura.La scienza sperimentale è una scienza è una scienza incerta, in perfetta, la nostra conoscenza della natura per via sperimentale è imperfetta perché l’esperimento presuppone la prova, la verifica, l’esposizione al fallimento.Matematica e geometria che implicano astrazione, finzione, sono le più prossima al divino perché in ambito matematico e geometrico l’operare del Matematico e del geometrico imitano l’operare di Dio poiché creata dal nulla. Vico fa un elogio della scienza di sperimentale perché dice che attraverso L’esperimento l’uomo ripete un gesto qualcosa che essa è simile alla natura, come se l’uomo riproducesse il fenomeno l’oggetto, i fatti storici e per il metodo attraverso il quale si guarda a questi fatti, I quali se guardate in maniera superficiale appariranno del tutto caotici, disordinati, se guardate invece dalla prospettiva giusta prenderanno forma e quindi diventeranno oggetto scientifico, quest’operazione nuova finora non l’ha tentata nessuno.Quindi Cartesio bandisce la storia dal metodo scientifico invece Vico la riconduce a un metodo,Ritiene di parlare di una scienza completamente nuova per metodo di indagine.Perché la storia diventi una scienza sarà necessario adottare delle mosse metodiche molto precise e questa è la grande operazione che farà Vico della scienza nuova. LEZIONE DEL 29/10/2020 N5 Oltre ad essere molto breve può accompagnare le nostre lezioni sulla scienza nuova che cominceremo stamattina, il capolavoro di VICO , io lavorerò per semplificarci la vita fondamentalmente sull'edizione ultima quella del 44 che è un punto d'arrivo. Quel testo pur essendo molto difficile molto complicato quanto per le citazioni da vico, il volgare italiano di vico è una lingua molto complessa. Avete il testo vichiano classico è la fonte il testo più assoluto più importante. Oggi iniziamo a lavorare entriamo nel vivo del nostro corso. Oggi introduciamo la scienza nuova, cerchiamo di spiegare perché questo titolo , perché il nostro corso si chiama una filosofia dell’immagine e perché l'immagine gioca un ruolo così importante, per vico per il nostro corso, per il pensiero moderno. Partiamo dall'ultimo punto che abbiamo affrontato la volta scorsa, la grande filosofia moderna vi ricordate decart, schal , hobbes ha nei confronti della storia, ecco vorrei partire da questo. A nei confronti della storia quello che Vico chiama nella spiegazione della dipintura proposta al frontespizio della scienza nuova, poi dopo vi dirò che cosa significa tutto questo, una sorta di orrore. C’è un orrore della modernità, della filosofia moderna, della scienza moderna nei confronti della storia. È come se la storia suscitasse orrore. Ma la storia non suscita orrore perché è piena di macelli, di mattanze, piena di morti, piena di guerre ma la storia suscita orrore a un livello più profondo, suscita orrore dal punto di vista scientifico perché noi della storia non possiamo fare scienza, la storia non è un problema di scienza non è materia di scienza, la storia è tuttalpiù materia di memoria questo ritengono i moderni quindi la storia può servire per come exemplum ovvero come esempio per ricordarci qualcosa, la storia puo servire ad ornare un discorso politico a renderlo più profondo attraverso esempi appunto storici ma la storia non è un oggetto conoscibile. La storia non è un oggetto di scienza, la storia secondo la stragrande maggioranza del pensiero moderno è irriducibile alla scienza. Non può essere ridotta in forma di scienza. Usiamo un bell'aggettivo che vi chiarisce le idee, da questo punto di vista la storia è intrattabile quindi chi si rivolga alla storia vi ricordate quella bella espressione del grande scettico sesto empirico chi si rivolga alla storia dovrà inoltrarsi in una selva senza sentiero, e che cosa succede se entriamo in un bosco senza avere la diritta via, che si smarrisce, capite l’immagine della selva che è oggettivazione del male, a chi ci rimanda ci rimanda a dante, la selva metaforizza l'abbandono, lo smarrimento della via diritta, quando io smarrisco la via diritta mi addentro in una selva ovvero in uno spazio nel quale ci si può smarrire, non ci si può che perdere non si può che errare in una selva dove erramento per Vico significa sia di vagamento sia di errore, la selva è un errore quindi chi voglia addentrarsi nella materia storica ne resterà soffocato entrerà in una dimensione da cui non si riesce ad uscire perché non c’è metodo che tenga non c'è metodo per la storia. Orrore nei confronti della storia, essa è una materia sporca che non può essere trattata in maniera di scienza. Ha a che fare con la dimensione dell’estetico e non con la dimensione del noretico, con la percezione ingannatoria e non con la noetica dell intelletto della scienza. Per il pensiero moderno la scienza e la storia stanno su due piani completamente diversi e non compatibili. Orrore moderno nei confronti della storia c’è proprio questa espressione in Vico, finora ci si è guardati alla storia con orrore come se la storia fosse un punto soltanto una selva, il che non significa che il nostro passato non sia una selva, è una selva di fatti come la storia che è composta di fatti accadimenti e ha uno sguardo superficiale, questi accanimenti saranno estremamente confusi, frammentati. Vico dice frantumi, monchi , sparti e slogati questi sono i frantumi della storia come l'archeologo che non trova la statua ma trova una mano. Pensate ai corpi spezzati di cui è fatta la storia, quindi hanno ragione quando dicono che la storia sono tutti frantumi che si presentano nella loro immediatezza, nessuno di questi frantumi è al proprio posto, frantumi significa che non sono parti perché non c’è un intero al quale ricondurli, se c’è un intero io capisco dove attaccate quella mano a quale polso attaccarla, slogati significa che questi frammenti non trovano una collocazione, l’orrore della scienza moderna nei confronti della storia è una sorta di resa nei confronti dell informe, il tempo storico è un tempo oscuro nel quale meglio non addentrarsi. Vico propone invece una scienza nuova che ci fa riflettere( ripetetelo all'esame una tipica espressione che mi piacerebbe ascoltare da voi è il novum, la novitas, la novità) il nuovo di questa scienza sta nell'oggetto e sta nel metodo. L’obiettivo di Vico consiste nel risalire o meglio ancora lui usa l’espressione di scendere che è molto più interessante katabasis significa discesa(catabasi) ci propone questa discesa non agli inferi ma in un tempo lontanissimo dal nostro, l'obiettivo di vico nella scienza nuova è quello di scendere dalle nostre nature che vico chiama ingentilite, vico scrive nel 1725 al 1744 questo è il periodo, la prima scienza nuova esce nel 1725 quindi vico è come se ci dicesse che noi siamo svantaggiati perché c’è uno scarto tra il posto in cui noi siamo adesso da questa dimensione noi dobbiamo invece discendere in una dimensione originaria che è l’esatto opposto di quella che stiamo vivendo adesso , questa operazione persegue come obiettivo la scoperta per approssimazione del primo pensiero dell’umanità, quindi dobbiamo discendere in un tempo che non è nostro ed entrare in una dimensione che non è la nostra e provare a intendere a concepire il modo in cui gli uomini hanno pensato umanamente la prima volta. Risalire al primo pensiero dell’umanità questo significa. Risalire alla prima volta in cui l’uomo è diventato veramente uomo al momento in cui è cominciata l antropogenesi in un senso culturale, discendere al momento in cui è avvenuta la rottura tra l’uomo la cultura e una dimensione felina animale, in che momento si è spezzata l’unità con la natura e l’uomo è diventato un soggetto culturale in quale momento e come è avvenuta dal come eravamo e come siamo diventati, che cosa è successo questo è il problema di vico, vico per fare tutto questo abbandona il linguaggio della formalizzazione logica, il registro che vico adotta di più è il registro mitologico, la filosofia prende forma di mito (racconto), la straordinarietà di vico il cui primo autore è platone non a caso, la straordinarietà di vico è questa ciò che rende unica la prosa scrittura di vico è questa osmosi tra ciò che è logico e ciò che è mitologico ma che fa tutt’uno con la filosofia, fare filosofia in forma di mito, vico si rende conto che per rendere credibile questa discesa deve costruire una sorta di grande scenografia, deve raccontare una scena antropologo direbbe Vico ma tu ci sei andato li? Li hai visti? Ci hai parlato? E vico risponderebbe: no, intanto posso farvi questo racconto quanto l’ho concepito, l'ho fantastico ma l ho fantasticato tenendo conto di una tavola di assiomi di principi che mi hanno orientato in questa discesa verso il tempo oscuro e verso il tempo favoloso anzi verso un tempo che non è ancora un tempo perché è una dimensione in cui noi non ci misuriamo con degli uomini fatti e finiti ma ci misuriamo con la nostra versione bestiale, con quello che noi siamo, con quello che noi saremmo qualora fossimo poco piu di bestie. Dal punto di vista morale i bestioni che cosa fanno? Come si comporterebbero? In modo violento, agiscono solamente d’impulso, agiscono in maniera istintiva senza nessun freno morale, senza pudore perché non c’è nessuna auctoritas, non riconoscono nessuna autorità, quindi fanno tutto. Seguire l’istinto significa errare. Dice vico la loro venere era una venere bestiale, i loro amori erano bestiali (es. i padri si accoppiavano con i figli,le madri con i fratelli) senza nessun freno dal punto di vista morale, seguono l’istinto senza alcuna regola. Ma non sono ne buoni ne cattivi perché non esiste ancora il giusto e l’ingiusto perché ci troviamo in una dimensione che vico definisce ​ES LEGES = FUORI LEGGE. ​Se noi ci poniamo al di fuori della legge, tutto è lecito. Si misura proprio con lo stato di natura di hobbes ma ci sono delle enormi differenze, la prima differenza è che vico si rifiuta nella scienza nuova non nel diritto universale, si rifiuta di chiamare stato di natura questa condizione, perché vico dice che in questa condizione la natura umana non c’è ancora, non si è ancora fatta, l’uomo non si è ancora fatto uomo, lo stato es leges non è uno stato naturale ma è uno stato contro natura mentre per hobbes questo è lo stato di natura, uno stato caratterizzato dal timore reciproco della morte violenta, uno stato caratterizzato dalla guerra di tutti contro tutti. La differenza è che nello stato di natura hobbesiano l’uomo pur vivendo in una dimensione extra civitatem ovvero senza stato è pienamente uomo pur essendo lupus per l’altro uomo è pienamente uomo ovvero che è capace di prendere una decisione razionale, è capace di pianificare razionalmente la propria uscita dallo stato di natura e il proprio ingresso dallo stato civile, per hobbes gli uomini stipulano un patto che è un patto attraverso il quale la moltitudine indistinta degli uomini si unisce soggettandosi ad un sovrano che li rappresenterà tutti. Ricordatevi il frontespizio della head edition della vaiatan di hobbes nel 1651, c’è un grande uomo, il macroantropo che ha una corona e che ha in una mano la spada e nell’altra il pastorale; potere spirituale e potere temporale, quest’uomo è composto di tanti piccoli uomini che siamo noi che questo macroantropo trasforma il corpo politico, il sovrano ci da corpo ma siamo noi a stipulare un patto c’è un artificio razionale che ci consente di lasciarci alle spalle lo stato di natura ed entrare allo stato civile, rinunciando razionalmente mossi da una passione che è il timore della morte ma usando la ragione, usando tutto questo lo rientriamo attraverso un binomio la passione la paura della morte ragione noi usciamo dallo stato di natura ma usciamo sulla base di una scelta razionale, strategica. L’uomo in Hobbes esce dallo stato di natura perché decide di uscire dallo stato di natura, perché ragiona, calcola la propria condizione naturale avendo paura di fare una brutta fine perché l’altro uomo che è esattamente uguale a me può fare a me quello che io posso fare a lui cioè darmi la morte esattamente come io posso darla a lui, quindi gli uomini resisi conto della indesiderabilità di uno stato di libertà e di uguaglianza assolute qual è lo stato naturale gli uomini lo abbandonano mediante una decisione costitutiva dell’ordine politico alla quale concorrono una paura e una passione. Hobbes dice che gli uomini escono dallo stato di natura in parte attraverso una passione e attraverso la ragione, quindi combinato tra ragione e passione. Ma Vico che non si è misurato solo con hobbes, pone una questione fondamentale cioè secondo lui se l’uomo è fatto in quel modo, se l’uomo si trova a vivere quella condizione può avere la struttura mentale per elaborare un ragionamento così raffinato come quello che gli consente intenzionalmente di uscire dallo stato di natura e di costruire artificialmente lo stato civile? O hobbes sta proiettando sull’origine il nostro tempo , il nostro stadio di modificazione della mente, cioè sta facendo ragionare l’uomo di natura come se fosse un filosofo, come se fosse un uomo capace di straordinaria penetrazione razionale, capace di ragionamenti sottilissimi, ma se noi lo abbiamo dipinto come un bestione ovvero tutto corpo, è capace di sottilizzare ? No. Perché seguono gli impulsi. Questa parte di ragione dov’è nel bestione? Dunque il primo pensiero umano non può essere un pensiero pensato, l’uomo non esce dalla condizione ES LEGES intenzionalmente, hobbes costruisce uno straordinario rapporto filosofico ma questo racconto è una grande astrazione o è un racconto capace effettivamente di cogliere quello che noi siamo stati veramente in origine? Se è una grande astrazione funziona, ma vico non vuole fare astrazione, vico vuole scendere il più possibile in concreto, vuole raccontarci della maniera più plausibile quello che noi eravamo in origine cioè bestie. E un bestione post diluviano se lo abbiamo descritto smisurato nel corpo, nei sensi ma incapace di ragione non può pensare da uomo raffinato, perché non può elaborare un pensiero. Vico dice quanto più problematico è stato l’inizio tanto più dobbiamo essere gratificati, felici di vendicare con orgoglio le conquiste della tecnica della quale siamo arrivati. Noi non possiamo retrodatare il nostro modo di pensare attuale. Non sarebbe più un bestione capace di fare un ragionamento tale da consentire di costruire razionalmente lo stato civile. In hobbes la paura è razionale, il METUS è una paura alleata della buona azione. Il TERROR porta a paralizzare. (Es. vedo la pinna di uno squalo spuntare, al posto di andarmene, resto fermo perché il terrore mi paralizza.) IL terrore è una paura irrazionale che non è una nostra buona alleata. Ma il Metus nei confronti dell’esame di filosofia teoretica è razionale perché mi induce a studiare, mi induce a essere molto attento, a prendere appunti, è una paura positiva. È una passione d’ordine perché è una passione elaborata razionalmente, passione positiva. (In questo momento si può avere TERROR nei confronti della pandemia e il terror mi porta a fare delle scelte irrazionali, ma posso avere anche METUS cioè una paura che diventa alleata della prudenza, mascherina è sintomo di Metus.) L’obiettivo di hobbes è la conservazione della vita, tutto ciò che è passione ma che viene messo al servizio della conservazione della vita è produttivo. In vico tutto questo non c'è, noi non siamo capaci in origine di questo tipo di ragionamento, ma se lo fossimo stati capaci noi non saremmo stati bestioni. Bisogna andare al di sotto dello stato di natura di hobbes, oltre lo stato di natura, in uno stato dove la natura umana è sepolta e ha bisogno dunque di un TRAUMA PSICHICO profondo per risvegliarsi. C’è bisogno di un evento traumatico che alteri questa normalità abnorme.   Platone deve rifondare l’uomo per formare la polis giusta, perché l’uomo in questo modo non va bene, poiché porta a guerre civili e quindi bisogna educare l’uomo sulla base di una norma. La filosofia deve misurarsi con l’uomo caduto e debole, dobbiamo misurarci con l’uomo nello sua corruzione, l’uomo con la sua corruzione deve essere oggetto di una filosofia utile alla legislazione. Se la filosofia considera l’uomo quale deve essere nella dignità successiva cioè la settima la legislazione ci dice che considera l’uomo il quale esso è. Binomio: filosofia e legislazione, filosofia senza legislazione sarebbe irrealistica. La legislazione considera l’uomo quale esso è. Il fine della legislazione è fare buoni usi dell’umana società. Il compito della legislazione è trasformare il vizio in virtù. Tutti gli uomini sono avari, ambiziosi e feroci, sono i vizi a causare conflitti tra gli uomini. Attraverso la legislazione la ferocia diventa fortezza; avarizia diventa opulenza; ambizione diventa sapienza. Gli ambiti dove avviene la trasformazione sono la milizia, l’esercito, la guerra,il commercio e la corte. Questi vizi privati diventano pubbliche virtù. Trasforma i vizi in virtù facendo leva sulle passioni umane. Questo significa che ci sta una Provvidenza Divina,una divina mente legislatrice che trasforma le passioni degli uomini che perseguono le utilità private in ordini civili funzionali all’umana società. Se questo non accade gli uomini sarebbero delle bestie. Ecco perche la ferocia è il primo vizio (Hobbes), ma intervengono gli ordini civili grazie alla Provvidenza. Intervengono perché i primi bestioni hanno alzato gli occhi al cielo e hanno percepito in quel fulmine il segno di un superiore divino che li ha disciplinati. Per Vico le dignità sono l’equivalente di quello che per il corpo animato è il sangue, scorrono nel libro, nella scienza, sono gli elementi della scienza nuova. (Vico: elemento mitologico e geometrico). Prima dignità: l’uomo per la natura della mente umana, ove questa si rovesci nell’ignoranza egli fa si regola dell’universo. Significa che l’uomo è portato ad attribuire alle cose che non conosce un carattere proprio che l’uomo quando non conosce una cosa è portato a regolarla facendo se stesso regola dell’universo. Quando una cosa è presente la fama cresce, anche le cose sconosciute accrescono la fame poiché la desideriamo. La natura umana è portata ad ingrandire le cose che non conosciamo. Conoscere è inquadrare, ridimensionare. Seconda dignità: come gli uomini delle cose lontane non conosciute non possono fare un’idea le stimano dalle cose loro conosciute e presenti. Significa: che l’uomo quando non conosce una cosa, si fa un’ idea partendo dalle cose che conosce, partendo da se stesso. Gli uomini piccoli e rozzi hanno una considerazione della natura rozza. Esempio: bestione/l’uomo non avendo l’idea del fulmine, non sapendo che deriva dallo scontro delle nuvole, dalla pressione atmosferica.. associa al fulmine ad un corpo passionale, un corpo più grande del suo, più violento del suo, che si esprime mediante rappresentazione ipertrofiche. Potenza superione che ci fa segno anche se non significa niente. LEZIONE N7 DATA 09/11/2020 Libro primo della scienza nuova e lavoriamo in particolare su alcune degnità, e poi passeremo ai due grandi paragrafi, quello dedicato al metodo e prima ancora quello dedicato allo stabilimento dei principi. Le degnità costituiscono la parte degli elementi, e la parola elemento va intesa nel senso proprio euclideo del termine, geometria euclidea quindi degli elementi, stabilimento dei principi, metodo. Questo fa capire quanto Vico abbia una precisa intenzione metafisica, cioè voglia fondare in maniera metafisicamente, ontologicamente stabile la sua scienza. Il cui oggetto tuttavia è il più impuro possibile, la cui materia è la più impura possibile, perché è il mondo civile, a partire dai suoi oscurissimi principi. Ora ragioniamo su un gruppo di degnità, a partire dall’ottava, “le cose fuori del loro stato naturale né vi si adagiano né vi durano” Vico intende che natura ha a che fare con nascita, quando Vico usa il termine “natura”, quando usa l’aggettivo “naturale”, fa riferimento alla nascita. Quindi la parola natura è una parola latina che va ricondotta etimologicamente al verbo nascere, ma la natura va sempre intesa in un senso anche normativo, cioè la natura è “ordo nascendi seu natura”, ordine del modo in cui le cose nascono ossia natura. Quindi quando diciamo natura indico la nascita di una cosa che viene all’esistenza ma anche il modo in cui nasce, l’ordine in cui nasce. La natura è dunque ciò che deve essere, quindi quando diciamo “stato naturale” dobbiamo intenderlo proprio nel senso aristotelico del termine. Stato naturale è la condizione della cosa così come si conviene alla natura della cosa stessa. Lo stato ex lege non è uno stato naturale, Vico è molto attento, mentre nel diritto universale faceva ancora confusione tra stato di natura e stato ex lege, qui ci dice che nello stato ex lege la natura umana è addormentata, sepolta nei sensi, nella materia. Quindi lo stato ex lege non è uno stato naturale, perché è uno stato nel quale l’uomo non si è ancora conciliato con la sua propria natura che non è quella ex lege ma è un’altra, la natura umana è socievole. Quindi nello stato ex lege si ha una condizione contro natura, si ha una condizione che non può durare, perché se durasse noi non staremmo qui a parlarne, dice Vico, perché saremmo rimasti in una condizione di divagamento ferino per la grande selva della Terra. Non a caso in quella condizione contro natura non abbiamo uomini ma bestioni, le nostre corporature dice Vico non sono giuste, ma sono fuori misura, l’enormità di quella corporatura significa innaturalità enormità, ex è un prefisso separante, vuol dire fuori norma, il gigante ha una complessione fisica non normale, che eccede la norma, quindi nello stato ex lege le cose umane non stanno nella propria condizione naturale ma sono contro natura, non a caso lo stato ex lege non è uno stato naturale ma è uno stato per retribuzione, che equivale a una condanna, che equivale alla caduta dell’uomo. Quindi non c’è natura dello stato ex lege, la natura ci sarà dopo quell’evento fondativo del mondo civile che è il fulmine. Prima del fulmine e prima della risposta al fulmine dei pochi giganti che si fanno sollecitare, provocare dal fulmine, noi rimaniamo in una condizione contro natura. Dalla citazione di prima Vico deriva alla conseguenza che nello stato naturale l’uomo è socievole, vive confortevolmente in società, la natura umana è socievole, ma contrario noi inferiamo che se la natura umana è socievole nella condizione naturale, nella condizione ex lege la natura non è socievole, ma la condizione ex lege proprio perché è fuori legge è contraddistinta da risse, da violenze, dalla guerra di tutti contro tutti (Bellum omnium contra omnes) di cui parla Hobbes, solo che mentre Hobbes fa della guerra di tutti contro tutti una condizione naturale dell’uomo, uno stato naturale dell’uomo, per Vico la guerra di tutti contro tutti nello stato ex lege senziente, è un animale il cui senso trascorre in senso comune, cioè in giudizio, il cui senso è giudizio. Quel sentire è già giudicare, perché è anche una mera paura sentita col corpo ma vi si aggiunge qualcosa di più. L’elaborazione immediata di un pensiero, di un concetto, concepisce l’idea del divino sentendola nel corpo, esattamente come l’uomo ha concepito se stesso, ha sentito se stesso diventando proprietario di se stesso, quindi ha percepito la prima auctoritas da autòs, se stesso, incontrando il colpo dell’assolutamente altro. Il senso comune è un giudizio, senza alcuna riflessione che viene sentito comunemente da tutto un ordine e il primo ordine è costituito dai pochi bestioni amati da dio che si risvegliano dal torpore del corpo ad opera del fulmine, ma non è un semplice risvegliarsi è un attribuire un senso a quel fenomeno, che viene percepito da tanti altri viventi, ma solo l’uomo attribuisce a quel fenomeno un senso, lo interpreta e lo trasforma da mero fatto ad evento, in qualcosa che sta accadendo per me e che quindi mi si indirizza, mi parla mi dice qualcosa, e quel cosa è qualcosa di tremendo ( non puoi continuare cosi, non puoi usare la venere bestiale, non puoi accoppiarti con chi vuoi davanti a dio, non puoi lasciare insepolti i cadaveri, non puoi andare dappertutto senza porre un limite alla tua liberta di movimento). Tutto questo nasce dall’incontro con questo assolutamente altro. L’inizio della natura umana e l’inizio della cultura umana coincidono, perché l’uomo è un animale culturale. Perché l’essenza del uomo, da Sofacle in avanti, consiste nel non avere un essenza naturale che lo vincoli, ma nel poter essere tutto inteso come animale culturale. Il bestione ha già in se l’idea del divino, secondo vico, ma questa idea è stata completamente resettata dal diluvio, ma l’ uomo è un animale ferocissimo e sbagliando interpretazione (il fulmine non è dio) l’uomo diventa se stesso. L’idea del divino, impensabile è un idea che giace sepolta nella materia, però viene risvegliata questa idea dalla paura del diversamente altro. In altri libri vichiani si parla di semina, di semi nell’uomo che per essere risvegliati hanno bisogno come dice Landucci di un trauma psichico psicologico, se non ce questo trauma non vengono mai fuori. Nel momento in cui io postulo l’esistenza di semi, mi sto riconciliando con la tradizione. Accanto a questa ipotesi ce quella che fa del idea del divino un senso a sua volta, un filosofo sensista direbbe che l’idea del divino, e che noi pensiamo essere un pensiero in realtà non è pensiero ma è un prolungamento della passione, perché comunque noi ci muoviamo in un momento del quale pensieri e passioni, cio che è logos e cio che è patos coincidono. Nel momento in cui io identifico il primo pensiero con il patos è evidente che noi non sappiamo quanto di questa attribuzione di senso, che è soltanto dell’uomo, sia qualcosa di altro rispetto alla paura. È come se Vico dicesse cerchiamo discendere ad una dimensione nella quale non ce distinzione netta tra cio che è sensazione, passione e ciò che è pensiero. Il senso comune è giudizio senza alcuna riflessione, nel momento in cui più bestioni sentono la stessa e la interpretano nello stesso modo, se ne lasciano condizionare allo stesso modo. Perché in fondo eteronomia significa condizionamento, il primo pensiero è condizionamento, è dal condizionamento che nasce l’arbitrio umano. Questo è paradossale perché per noi l’arbitrio è l’opposto del condizionamento, qui invece siamo di fronte ad una identificazione tra condizionamento e arbitrio ( io posso esercitare una volontà in quanto sono condizionato da un superiore divino). Il primo pensiero dice Vico è un pensare da bestie è una contradiction in terminis, perché se noi abbiamo legato il pensiero alle bestie, pensare da bestie è qualcosa di inquietante, se noi siamo bestie allora non pensiamo, allora l’idea del dio non è un pensiero cosi come noi lo intendiamo, è un pensiero da bestie, si confonde con il senso esattamente come all’inizio la voce dell’uomo è pura fone (grido animale), non è ancora logos. Però poi ce un momento nella quale quel suono significa, diventa logos. La dignità 13°: i bestioni dopo il diluvio, sono dispersi nella gran serva della terra. I bestioni stanno distanti gli uni dagli altri, abbiamo gruppi di bestioni in un posto, altri in un altro e questi posti non confinano, non comunicano e pure bestioni che sono in gruppi lontani hanno fatto la stessa esperienza del fulmine, maturano la idea in tempi e spazi diversi, ed ne traggono la stessa conclusione errata dal punto di vista sostanziale, ma giusta dal punto di vista formale. La riteniamo giusta guardandola dalla visuale di adesso. 13° degnità è il gran principio che stabilisce il senso comune del genere umano: “idee uniformi nate appo, presso, intieri popoli tra esso loro non conosciuti debbono avere un motivo comune di vero”, significa se senza comunicare noi sentiamo la stessa cosa vuol dire che questa idea per quanto falsa nella sostanza presenta motivi comuni di vero. C’è una verità nel fulmine per cui chiunque tra i pochi dispersi nel mondo, in mondo, senta il fulmine e lo interpreta come il segno di un’autorità divina che poi rivelerà la mia autorità e poi su gli altri, vuol dire che c’è un motivo comune di vero, c’è una verità obiettiva. Se in più di noi dispersi nel mondo hanno la stessa idea, significa che quell’idea ha una sostanza ontologicamente stabile. Quell’idea corrisponde ad una verità, e quella verità è oggettiva, la retorica di questo discorso è platonica, vuol dire che quell’oggetto conoscitivo è lo stesso per tutti i pochi, perché la grande maggioranza dei bestioni insiste, persiste nello stato ex lege, ma se più bestioni distanti a livello spazio-temporale esperiscono la stessa idea del divino vuol dire che quell’idea ha una sua verità. Questo ci spiega perché tante nazioni dell’antichità, ogni nazione dell’antichità ha il suo Giove, significa che l’idea di Giove, Zeus, che non a caso per Vico è un’onomatopea perché Zeus è il nome che graficamente oggettiva traduce il fulmine, quella Z è il fulmine, se ogni nazione ha la sua idea di Giove vuol dire che quel idea è vera, e vuol dire che il principio della scienza è la religione , è la cognizione di dio. Se dalla cognizione di Dio deriva la religione, e se religio significa rilegare, vuol dire che la storia umana nasce a seguito di questo evento, se idee uniformi nascono tra popoli non conosciuti vuol dire condividono motivi di vero. Da tutto questo deriva una conseguenza per Vico, una conseguenza che qualifica la scienza nuova, se da uniformi nate appo, presso, intieri popoli tra esso loro non conosciuti debbono avere un motivo comune di vero”, ne deriva che è possibile concepire un dizionario mentale che ci consenta di dare le origini a tutte le lingue articolate diverse. Dizionario della mente dalla quale deriveranno poi tutte le lingue, ma tutte le lingue in origine avranno un motivo comune di vero. Se tutte le nazioni civili sono nate da una cognizione di Dio, nata a seguito di un trauma profondo, vuol dire che questa idea del dio, oltre che il primo principio dell’umanità è anche la prima voce di un dizionario mentale. Se il dizionario mentale che gli uomini hanno pensato allo stesso modo, senza mettersi d’accordo, tutto questo lo possiamo trasporre in ambito morale, giuridico. Se queste idee sono nate senza che gli uomini se le sono scambiate, vuol dire che sono nate naturalmente, senza alcuna riflessione. Tutto ciò significa che come esiste un dizionario mentale cosi esiste un diritto naturale delle genti, che nacque privatamente presso i popoli, senza sapere nulla gli uni degli altri. Poi quando i popoli si sono fatti la guerra, si sono scambiati i beni con i commerci se lo sono comunicato, ma prima no. Ciò ci fa capire che i costumi sono gli stessi, ma se sono gli stessi vuol dire che sono stati dettati dalla natura. Il diritto naturale significa un diritto che non sorge perché posto da un’autorità giuridico- politica, ma è un diritto che deriva dalla natura stessa, il che significa prodottosi, ordinatosi naturalmente dalla divina provvidenza in tutte le nazioni. Vuol dire che la natura è una, le cose che sono secondo natura e i comportamenti che vanno evitati perché contro natura poggiano sulla stessa idea di natura. La natura accomuna popoli diversi che non comunicano tra di loro, e se questi popoli maturano gli stessi costumi umani, vuol dire che il fondamento di questi costumi non è la convenzione dei popoli, ma è la natura che è comune. La degnità 14esima è stata ritenuta la più importante della scienza nuova e dice “ Natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascono le cose.” La natura è nascita, ma è un nascimento in certi tempi e in certi modi, essa ha a che fare con il tempo e con la forma. Ciò significa che noi non possiamo, non dobbiamo proiettare la nostra natura sulla natura dei bestioni. Vico dice che la natura è un concetto che ci mette in relazione al tempo e al modo, la natura va calata nel tempo ed a ogni natura corrisponde una forma. Quindi se noi vogliamo compiere quella grande operazione mentale della scienza che consiste nella discesa al tempo primo dell’umanità, noi dobbiamo fare i conti con questa idea della natura come nascimento in certi tempi e in certe guise ( forme). Questa degnità ci fa capire che la cognizione del dio, che nasce da un errore di in interpretazione, tuttavia è perfettamente naturale, perfettamente vera, perché la guisa di quel pensiero è assolutamente vero, quel pensiero che è falso nella sostanza è vero nella guisa,( falso realite vero formalite). Significa che è conforme alla natura nascimento nel tempo e nella forma dei bestioni. Dignità 15esima: verità nella forma significa conformità,tale e non altra poteva essere la natura per primo pensiero. Il primo pensiero per esser coerente con la natura non poteva non assumere quella guisa. Il primo pensiero era la superstizione davanti a spaventotissime religioni, ciò farà ridere gli illuministi, non fa nulla che fa ridere questo primo pensiero. Gli spiriti forti, i quali ritengono che in fondo sapiens non potes esser religiosus per Vico sapiens debet esser religiosus ( deve essere religioso), perche se non ce religio non ce sapientia essendo la religio la prima forma della sapienza, che si confonde con l’ignoranza. Se è valida la dignità 14esima il primo pensiero confina con l’ignoranza, si confonde con la superstizione. Ma l’ignoranza per Vico è produttiva, perché suscita la curiosità, la meraviglia ( che Aristotele definisce thauma che è l’inizio della filosofia per Aristotele). Se non ci fosse il trauma iniziale non ci fosse la meraviglia e quel trauma che suscitano l’ilarità di un filosofo moderno, in realtà devono suscitare l’interesse della nostra scienza, perché sono stati il nostro primo pensiero che non si sarebbe potuto produrre altrimenti e che non avrebbe potuto avere altra forma, dato quel tempo e quella natura. Natura è sempre un principio per Vico, ma principio (primum capere) non designa soltanto l’inizio, l’avvio di un processo, un percorso, il principio è la norma, è il criterio che lo orienta, è l’ordine (la parola archè significa queste due cose,quando Aristotele definisce la natura archè, il principio del movimento e della trasformazione). Ciò che è naturale è un principio che ha a che fare con qualcosa che è cosi e non altrimenti e in quanto tale è principio della scienza. Per Vico Hobbes, Pufendorf, Grozio, hanno tutti sbagliato, perché hanno posto all’origine un uomo capace di pianificazione razionale, capace di giudizio con riflessione, Vico ci domanda se è naturale un uomo fatto in questo modo, noi possiamo dire che un bestione che divaga per la gran serva della terra sia capace di un pensiero razionale, che gli permette di uscire dalla condizione naturale entrando nella condizione civile? Tutto questo per Vico non è realistico. Hobbes ci dice che l’uomo esce dalla condizione naturale, che per Vico non è naturale ma è la condizione contro natura, usando la propria ragione alleata della passione e della paura, perché anche in Hobbes la paura è una paura razionale, è paura del altro è paura orizzontale, qui invece stiamo di fronte ad una paura spaventosa, l’uomo non può avere paura del fulmine, perché non sa che cosa sia, ed ignorando che cosa sia il fulmine, l’uomo lo magnifica, ma ingrandire oltre misura il fulmine significa averne paura, cioè un terrore e quello spavento non è razionale e soprattutto il terrore è una forma di paura asimmetrica, che postula una gerarchia, una polarità. Per Hobbes ho paura del altro in quanto è identico a me. In Hobbes ho paura dell’uguale, in Vico ho terrore dell’assolutamente alto. I grandi giusnaturalisti agli occhi di Vico non storicizzano la natura Lezione del 12/11/2020 - N°8 Ci soffermiamo su alcune dignità particolarmente importanti. Nel costruire,nell’elaborare questa scena Barocca straordinaria della terra post-diluviana colma di una selva spaventosa, che Vico chiama INGENS SYLVA rincorrendo ad un’immagine di Virgilio, Vico si serve di una molteplicità di fonti per costruire questa scena,sono fonti di sparate molto eterogenee ed eterodosse, cioè Vico si serve di una fonte come il DE RERUM NATURA di Lucrezio , usate già prima da Machiavelli e poi Giordano Bruno (che sono due autori eretici e passano per eretici, sappiamo che Giordano Bruno fu arrostito al campo del fiori il 17 Febbraio 1600 proprio per l’eresia che lui personificava) Vico si serve di un autore etico messo all’indice come Lucrezio per costruire questa scena, ma si serve anche di Cicerone(con l’opera De invenzione), si serve di Platone perche con un dialogo platonico accademico come LE LEGGI ci parla di un diluvio universale, si serve delle SCRITTURE cioè si serve della GENESI (bibbia),si serve delle descrizioni dello stato di natura in quanto se ne serve criticamente ma se ne serve. Quindi nella costruzione di questa scena Vico rincorre a una molteplicità di materiali, di fonti come abbiamo già detto di fonti sia eterogenee sia eterodosse. ETERODOSSE SIGNIFICA CHE E’ L’OPPOSTO DI ORDODOSSO,SIGNIFICA AVERE UN’OPIONIONE INGIUSTA/PERICOLOSA RISPETTO ALL’UFFICILIALITA’. ORTODOSSIA SAREBBE LA CORRETTEZZA, ESPRESSIONE DI UN’OPIONIONE CORRETTA. Vico oltre a queste fonti si serve anche,e non potrebbe fare altrimenti, di resoconti etnografici cioè di grandi materiali etnografici che i grandi viaggiatori moderni forniscono: ad esempio noi abbiamo riflettuto molto sui giganti (ad esempio la figura di Nimrod nella Bibbia,nelle scritture) trovano un’ascendente nobilissimo se pur pagano, cioè Tacito il quale scrive “De origine et situ Germanorum” in cui ,con grande ammirazione, guarda i costumi dei Germani e vede che questi Barbari( sarebbero i Germani), mentre i Romani sono nel pieno del loro fugore/raffinatezza della propria cultura, i Germani sono in una dimensione di arretratezza barbara e Tacito li ammira. Cosa ammira Tacito nei Germani? Ammira la freschezza cioè l’ingenuità di questi costumi feroci e barbari. Vico prende come modello Tacito perché capisce con lui che nei momenti aurorali/originali nei quali l uomo è più prossimo alla dimensione ferina si sprigiona la massima energia,l’uomo è più forte e ha una forza maggiore verso quello che noi chiameremo il progresso, è più attrezzato sul punto di vista morale a far fronte alle difficoltà. La povertà, la scarsità dei bene, la semplicità de costumi rafforzano l’uomo. Ciò che fortemente indebolisce l’uomo nei momenti in cui una civiltà tocca il suo vertice , il livello più alto dei propri costumi e della propria cultura e della propria elaborazione intellettuale, dobbiamo preoccuparci perché lì comincia la decadenza, inizia la peggiore forma che Vico definisce “barbarie della riflessione” : barbarie distruttive del mondo. Tacito nell’esaltare i costumi del nemico( non dobbiamo dimenticare che i GERMANI,OVVERO I BARBARI,SONO DEI NEMICI CHE PORTERANNO LA NASCITA D’INVASIONI COME LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO LEGATA ALLA VIOLENZA DEI BARBARI), Tacito ritiene che i Romani dell’impero siano viziati dal dulcedo inerzia (la dolcezza del non far niente) cioè sono rammolliti dall’eccessivo benessere, dalla filosofia, dall’arte, dalla moda, spettacoli. Tacito ammira nei Germani la semplicità dei costumi e ritiene che quella feroce barbara, quelle severità estrema/feroce dei costumi sia produttiva per il mondo. Vico, quindi, ci parla di una BARBARIA DEL SENSO cioè una barbaria positiva, produttiva che da inizio a un processo generativo di un mondo civile; mentre LA BARBARIA DELLE RIFLESSIONI ( che dipende dal dulcedo inezie) dissolve un mondo. La decadenza di Roma inizia quando i romani perdono la serenità dei costumi. Quindi Vico, nel pensare i bestioni, si serve di Tacito e della letturatura etnografica, cioè dei viaggiatori moderni i quali compiono viaggi intorno al mondo scoprendo terre nuove(terre incognite) e riportano i loro resoconti, cioè riferiscono all’Europa MONDO ALTRO ( vuol dire mondo nel quale l uomo è diverso in molti casi, non solo nei costumi e quindi sul punto di vista di morale ma anche corporatura). Allora i viaggiatori vanno in America cioè vanno in PATAGONIA che vedono i Los Patagones che vedono i patagonici che sono giganti, goffi e fierissimi. La Patagonia è una terra del fuoco, propaggine più Meridionale dell’America del Sud, li scopriamo delle popolazioni gigantesche. Quello che scoprono i viaggiatori moderni, andando in questi “mondi altri” ,è la scoperta di fossili dell’esistenza eslege, cioè di persone/uomini che vivono fuori tempo una dismisura che in Europa si è vissuta nello stato eslege è come se la dimensione eslege potesse essere esperita/conosciuta dai viaggiatori in piena età moderna, quindi abbiamo una distonia tra l’Europa che viaggia velocissima verso il progresso tecnico-scientifico invece questi mondi che appaiono agli occhi dei viaggiatori dei mondi ancora barbari,selvaggi,acerbi,goffi e tutto questo appare da un lato negativo,invece altri affermano che questi mondi appaiono ancora ingenui,incorrotti. Vediamo quindi che la scoperta del selvaggio produce quella che Paul Hazad definisce “crisi della coscienza europea” affermando che questi anche se sono barbari sono ingenui e sono migliori di noi proprio perché sono corrotti,e qui ci colleghiamo a molti discorsi che farà Rousseau nell’Emilio che contrappone il ragazzino viziato,soggetto del tutto costruito e no un soggetto naturale. I giganti,quindi, fanno scoprire agli etnografi che esistono forme di vita ancora barbare se comparate alla corruzione della società moderna ci fanno riflettere, pensiamo alla grande riflessione di Leopardi quando dice che la ragione è già barbarie . E’ interessante questa molteplicità di fonti che Vico,che con un colpo di genio degno di Platone, rielabora in maniera originale queste fonti di sparate e produce un racconto importante. E’ importante riflettere sull’importanza di questo mondo selvaggio per il pensiero Europeo da Montaigne a Vico. Monteigne nello scrivere i suoi saggi sui cannibali capiamo che è uno che sente il contatto con questi “mondi altri” come una radicale messa in crisi dei pregiudizi positivi delle convinzioni della civiltà Europea, in quanto tale civiltà appare presuntuosa in quanto si sente superiore ai cannibali ma non è cosi. Montaigne è un autore fondamentale, cioè scoprire che c’è un altro mondo al di là del nostro, il nostro mondo non è considerato per l’autore il migliore anzi noi, in moltissimi casi, siamo moralmente i cannibali peggiori rispetto agli altri. Vico ci dice che un formidabile strumento per capire le diverse età della storia è la lingua, cioè una spia rivelatrice che ci permette di capire i nostri pensieri, la nostra mente. Dalla lingua noi capiamo in quale epoca ci troviamo, ogni età/tempo ha la sua lingua che ci consente di compiere quella discesa verso l’origine del pensiero e poi di procedere verso la costruzione della storia universale. Ogni modificazione della mente parla la sua lingua, c’è un rapporto stretto tra lo stato mentale e lo stato della lingua. La dignità 28 (la chiede) è molto utile per il pensiero pedagogico perché appunto presuppone il pensiero pedagogico cioè il bambino che non parli la stessa lingua dell’adulto e l’adolescente non parli la stessa lingua del bambino perché la mente non è sempre identica a se stessa,ma la natura della mente cambia lo stato della mente e questo porta il cambiamento della spia rivelatrice cioè la lingua. Vito identifica 3 età: prima età è quella degli dei(la chiamiamo cosi perché sono gli dei regnano il mondo), la seconda età è quella degli eroi(in cui abbiamo una concezione aristocratica della struttura sociale) e la terza età degli uomini. L’età degli uomini interessa poco a Vico, in quanto pur vivendo in quest’età cioè in piena età moderna, si esprime in maniera critica come se stesse male in questo mondo, come se non sentisse questo tempo. Invece nelle prima due età Vico dedica la massima attenzione, si sente a suo agio. Tra le prime due età c’è una vera continuità. E’ importante dire che noi pensiamo all’età degli dei e degli eroi stando nell’età degli uomini, non dobbiamo dimenticarlo. Ad ogni età corrisponde una lingua. L’età degli dei anche la lingua è sacra,cioè una lingua GEROGLIFICA(Vico cosi la definisce), cioè una lingua nella quale noi non abbiamo ancora un linguaggio articolato ma i segni imitano dei referenti reali, nella lingua sacra noi abbiamo una perfetta corrispondenza tra le parole e le cose, anzi la parola stessa si riduce a cose. Nella lingua geroglifica non c’è il morfema ma è una lingua nella quale io faccio vedere le cose, queste immagino sono dei geroglifici cioè segni che rimandano alle cose imitandole, o sono delle cose significanti. Una lingua tutta costruita di cose-segni, una lingua gestuale dove noi non possiamo fingere perche c’è una perfetta realtà della vita, ogni segno ha il suo preciso referente reale, cioè un perfetto riscontro tra il segno e la cosa. Poi abbiamo una seconda lingua cioè la lingua SIMBOLICA, conserva elementi del sacro. Nella prima lingua noi abbiamo un’identità ora abbiamo una somiglianza, mette in connessione per somiglianze. Quindi per lingua geroglifica(o lingua sacra) intendiamo parola-cosa,cioè parliamo attraverso le cose,le cose hanno un senso mentre per lingua simbolica intendiamo un livello di allusione cioè parola che fa segno a qualcos’altro. La terza lingua è quella PISTOLARE (lingua fatta per segni convenuti dice Vico, l’elemento convenzionale è assoluto) nella quale c’è una differenza tra il verbo,la parola, le cose e i referenti reali. La lingua geroglifica e un po’ meno la lingua simbolica sono lingue naturali che ci vengono spontanee come se fossero dettate dalla natura stessa, la lingua pistolare è la lingua che parliamo noi, che è una lingua convenzionale nella quale il significato lo conveniamo , che nasce tra una convenzione tra gli uomini, non è naturale ma convenzionale. L’origine della lingua geroglifica (o sacra) è naturale, quando evolve cioè quando la mente si modifica ed entriamo nell’età degli uomini sono talmente raffinati che possono stipulare il significato delle cose, è meraviglioso che gli uomini possano creare una lingua , creare un mondo parallelo fatto tutto quanto di segni. Si perde oppure no il referente reale? Le nostre parole conservano sempre un rapporto con le cose? O ci sono parole che rinviano soltanto al linguaggio stesso che sono del tutto auto-referenziale? C’è il rischio che la parola non dica più la cosa per cui noi perdiamo con il linguaggio la presa sulle cose? Il linguaggio diventa totalmente contro natura? dell’esperienza umana, è pantoporos (multi forme-cambia) passa per legenda per la sua astuzia ma è pur sempre un eroe secondo un sistema di valori diverso dal sistema di valori che invece reggeva L’Iliade. Due sistemi di valore cosi diversi non sono compatibili in un solo autore, in un solo poeta. Paradosso Vico se dovesse buttare giù dalla torre il ciclope/Polifemo e Odissea butterebbe Odissea , perché nel Ciclope Vico vede una ferocia e dismisura ma vede anche una sorta di stupidità,superstizione , di barbarie di senso mentre in Odissea vede la preistoria la prefigurazione di tutti quelli che saranno i vizi propri dell’uomo del suo (suo: di Vico) tempo. Achille va incontro alla morte uccidendo Ettore e sapendo perfettamente che uccidendo Ettore significa abbreviare il corso della propria vita per un destino già brevissimo, è il più mortale degli eroi perché è l’eroe cosciente della fine,l’eroe che sa di essere nato a vita breve. Quindi dice Vico le mani che hanno scritto questi due poemi non possono appartenere agli stessi poeti, perché sono poemi che noi leggiamo insieme di seguito l’uno all’altro per un motivo di continuità tematica. L’Iliade -> conquista di Ilio le gesta complicata che porta la distruzione di Ilio( Ilio è Troia) L’odissea -> è il grande problema del ritorno di Odissea a Itaca, il periplo di Odissea nel Mediterraneo per ritornare a Itaca dopo la guerra di Troia vinta grazie all’invenzione di Odissea cioè il cavallo di legno, ebbe un colpo di genio infatti lui ha continui colpi di genio di uno che inganna e quindi non può essere un eroe, è un uomo che inganna. Quindi per Vico non possono essere stati scritti nello stesso tempo e dallo stesso autore, l’Odissea appartiene a un tempo successivo. Questo è per farci capire che Vico adotti lo stesso metodo anche sulla questione Omerica visto che la natura umana descritta nell’Odissea e una natura rammollita, una natura che vince il confronto con la bestialità dei Ciclopi, e visto che il sistema di valori è la menzogna che è rivendicata come esperienze , e visto che la lingua cambia cioè perde naturalità a quel punto siamo in un tempo diverso cioè in un tempo di decadenza ecco perché Vico tra Achille e Odisseo preferisce Achille. L’Odissea non è altro che la prefigurazione dell’età degli uomini mentre L’Iliade è l’età degli eroi, l’eroe non sa mentire se è davvero un eroe. Tutto questo discorso per farci capire quanto la lingua sia importante. Le Degnità o assiomi non sono soltanto principi,premesse, presupposti dello sviluppo successivo ma anche sintesi degli sviluppi successivi. Vico è diversamente moderno ma lui sceglie il modo più critico per essere moderno misurandosi con il proprio tempo ma anche con altri mondi cercando di tenere tutto insieme,operazione molto difficile che non sempre gli riesce ovviamente, per questo lo definiamo l’ultimo grande umanista perché è capace in piena modernità di una riflessione critica molto profonda nei confronti del pensiero classico. Filosofia Teoretica 9 lezione 16/11 Dignità: quelle che presentano il profilo teoretico più solido, più importante. Sono le più costitutive dell’impianto teorico di Vico. Quest’ultimo le paragona al sangue che scorre nelle vene, quindi sono il “sistema venoso della scienza nuova”. dignità 67: In cui si dice che la mente umana è naturalmente portata a dilettarsi dell’uniforme. Cosa vuol dire? Vuol dire che, sempre andando indietro, discendendo come dice Vico al pensiero delle origini, al primo pensiero dell’umanità che è un pensare da bestie, che chiamiamo “pensiero pigrizia” un qualcosa che si situa sul crinale tra pensiero e non pensiero. Tornando indietro abbiamo colto con Vico un aspetto di questa psicologia primitiva o “della nascita della cultura”. Questo aspetto è che essendo incapaci di concepire quello che Vico chiama i “generi intelligibili” ovvero essendo incapaci di procedere per astrazione, essendo incapaci di concepire l’astratto proprio perché sono troppo immersi nel corpo, i bestioni post-diluviani che si sono appena umanizzati a causa della paura (evento di Zeus fulminante) ragionano attraverso quelli che Vico chiama “universali fantastici”. L’universo e fantastico è in un certo senso il genere sotto il quale questi bestioni riuniscono più cose che si somigliano. L’universale fantastico è dunque figlio del fantasticare, figlio della meraviglia degli uomini, figlio dello stupore, e questi uomini in un certo senso formano degli universali per esempio l’idea di Dio, a partire da segni che riconducono allo stesso genere ad esempio il fulmine. Dio è il primo universale fantastico. Cioè l’uomo non concepisce l’idea di Dio in astratto, ma la prima metafisica umana, è evidente che l’idea di Dio è metafisica, cioè va al di là della natura, ha una sua soprannaturalità, ma quest’ultima l’uomo non la scopre attraverso la metafisica che Vico chiamo “ragionata” cioè astratta, non la scopre con un’intelligenza finissima, ma la scopre all’opposto, cioè fantasticando, con la propria robustissima fantasia, la scopre reagendo paticamente, subendo il colpo di questo Dio fulminante. Questa quindi è la prima metafisica ragionevole che è l’opposto di una metafisica astratta, è ispirata a una logica del concreto, non c’è nulla di più concreto di questo fulmine che mi fa paura, questa paura è molto concreta. La mia reazione a questo fulmine è il primo pensiero dell’umanità, tant’è che tutta la civiltà comincia con la cognizione di Dio, ci ha detto Vico, di un Dio qualsiasi, ovviamente di un Dio falso dal punto di vista sostanziale ma assolutamente vero dal punto di vista formale. Quando comincia la cultura, quando si avvia la cultura gli uomini cominciano a concepire dei modelli, dei caratteri, dei paradigmi, degli universali, per esempio Vico che ritiene che in un certo senso il medioevo rappresenti il corrispettivo Cristiano della prima barbarie del senso, egli sa perfettamente che sotto lo stesso carattere gli individui collocano più situazioni, più cose che si somigliano. Qui possiamo citare Torquato Tasso. Quest’ultimo è un autore moderno ma è un autore, poeta che in un certo senso riscrive un’epica, egli pur essendo un autore moderno coglie, come farà Vico, un aspetto essenziale, cioè nel personaggio di Golfredo di Guglione, Torquato Tasso finge tutti i capitani raccolti sotto L’epigrafe di Golfredo. Quindi Golfredo non è soltanto un personaggio singolare ma è un universale esattamente come Zeus è un universale. Tant’è che tutti i popoli, tutte le nazioni civili si fingono alla loro origine uno Zeus, tutte le nazioni civili si fingono un Eracle, un ercole. Quindi abbiamo tanti Eracle quanti ne sono le nazioni civili, (dove per Eracle intendiamo eroe culturale) tanti Golfredo quanti sono gli eserciti delle nazioni civili, tanti Zeus e potremmo continuare. Questo paragone con Tasso è dovuto a stabilire che la mente umana si diletta in uniforme, gli uomini pensano per somiglianza. Chiamano Golfredo tutti i capitani, chiama Zeus tutti gli Dei fulminanti, chiamano Eracle tutti gli eroi culturali che usano violenza la natura che portano la natura a cultura. (perché la nascita della cultura è violenta). Se mettiamo a paragone due ragazze ad esempio Angela e Simona, possiamo dire che sono due donne, cioè appartengono ad un genere femminile, ma l’uomo, cioè la mente umana, non pensa il genere femminile come genere astratto, all’inizio come il bambino chiamerà Angela tutte donne. Qui entra in gioco la dignità 68: Questa dignità ci dice che la parola “mamma” è una delle prime parole che il bambino pronuncia essendo molto semplice perché è un bisillabo, di una semplicità estrema, ma poi il bambino chiamerà mamma per somiglianza tutte le persone dipedi, tutti gli umani, maschio o femmina che siano, li chiamerà mamma. Che cosa significa? Il bambino ricondurrà sotto il genere mamma, sotto l’uniforme mamma, tutti i soggetti che si conformano all’uniforme, questo vuol dire dilettarsi per uniforme, tutti coloro i quali si conformano, cioè sono coerenti rispetto al modello, cioè all’uniforme, sono chiamati in quel modo, quindi apprendono e nominano i fanciulli esattamente a partire dalla somiglianza, per analogia. Vico ci vuole dire che il pensiero umano nasce come pensiero analogico, e poi ovviamente anche come pensiero metaforico, metominico, e catacretico. Quindi dobbiamo capire che la mente umana per natura si diletta nell’uniforme e di conseguenza i bambini chiamano mamma tutte le persone che assomigliano alla possiamo vedere come un segno, che percepisce il bestione con i sensi, con questo spazio sensorio smisurato che è il corpo, porta a fantasticare, questo segno rinvia a un referente, che il bestione pensa sia ideale ma in realtà non è reale. Così funziona una metafisica del concreto, una metafisica fantasticata come quella dei primi uomini e non una metafisica ragionata. Quindi il Dio viene contemplato non in forma d’idea, ma viene prima percepito dai sensi che sviano l’interpretazione, per cui grazie ad un errore di interpretazione che noi concepiamo l’idea del divino. Quindi l’idea del divino che è un’idea metafisica noi la concepiamo grazie ad un errore di interpretazione, sbagliando, cioè all’origine della scienza c’è l’errore di un ignorante. Questo arriva a dire Vico che nessun filosofo dell’umanità della storia del pensiero umano ed arrivato a dire una cosa così profonda su questo punto. C’è un’immagine che per noi è banalissima “il fulmine, il lampo, il tuono”, quest’immagine suscitando paura, diventa segno che fa riferimento sempre a qualcos’altro. Il diluvio per Vico svolge una funzione di cancellazione, di reset totale della memoria, il diluvio fa del bestione una tabula rasa, tutto il suo corredo cognitivo, tutto il suo sistema cognitivo, tutto quello che sapeva, tutte le sue memorie sono cancellate. Quindi il bestione che non sa più niente, di cui la natura è caduta e debole, in questa dimensione il bestione non ha altra via di accesso all’idea fondati a della civiltà che è la cognizione di Dio che non sia il suo corpo dotato di robustissima fantasia, capace soltanto di fantasticare, il suo corpo che lo induce in errore. Però Vico dice che in quei sensi che sono corpo c’è una verità, in quei sensi che ingannano c’è tuttavia una verità perché l’idea del Dio è un’idea vera dal punto di vista formale (formaliter vera/ realiter falsa) non c’è un referente reale, non c’è un Dio persona in alto che ci fulmina perché c’è l’ha a morte con noi bestioni, non ha una realtà fisica quel Dio, ma per un pensatore cattolico quale è Vico è anche per molti versi tradizionalista, l’idea del Dio è vera, perché altrimenti noi dovremmo dare ragione ad un filosofo come Pier Bail (non so come si scrive) il quale riteneva che potesse esistere tranquillamente una repubblica di atei, cioè che l’uomo non ha bisogno dell’idea di Dio per vivere in società. Dello stesso pensiero è anche Un autore come Ugo Grozio, che afferma che il suo sistema di diritto naturale reggerebbe anche se noi ipotizzassimo che Dio non c’è o che comunque non si occupa degli affari umani. Vico dice che tutto questo non è accettabile perché se noi togliamo al nostro sistema l’idea di Dio, il sistema collassa, non c’è nessun sistema di diritto naturale che possa tenere per Vico senza lode di Dio, ma non è un Dio vero sei cristiani, è l’idea di Dio che si manifesta nella forma più falsa possibile. “Gli uomini come fanciulli del genere umano, non essendo capaci di formare generi intelligibili delle cose, ebbero naturale necessità di fingersi i caratteri poetici, che sono generi o universali fantastici da ridurvi come a certi modelli oppure ritratti ideali di tutte le specie particolari a ciascun suo genere somiglianti” questa però dice Vico è una funzione di fingere con decoro, ossia significa senza impostura, è una finzione naturale. Quella di Dio è una finzione con decoro, cioè una finzione non accompagnata da impostura, una funzione sincera, onesta. Come ci dice Tacito, che è un Tacito molto usato da Vico, la caratteristica fondamentale è che i primi uomini credono alle proprie finzioni. I bestioni fingono, ma non sanno di fingere. Fingono ignorando di fingere. Dunque credono ai propri miti, pensano che il proprio mito sia reale. Nel momento in cui il bestione attribuisce al fulmine quella natura di segno, hanno ragione i libertini a dire che il “timor fa il Dio” ma non hanno capito che questo timor è un atto creativo, quel produrre gli dei è un inizio di sapienza, se pure sotto forma di superstizione, e soprattutto la finzione del fingitore del poeta di accompagna la sua stessa credulità, ecco perché si parla di poesia di teologia naturale. Naturale significa che non c’è nessuna convenzione, nessuna deliberazione, nessuna volontà di ingannare ne tanto meno di ingannarsi, c’è una credulità naturale, credono alle proprie finzioni, ma il fictum è il factum. Qui non c’è nessuno che inganna. Quindi Vico dice che sa perfettamente che è il timore a fare il Dio ma l’interpretazione che Vico ne trae, o meglio ancore le conclusioni che Vico ne trae sono opposte alle conclusioni libertine, perché quel timore è una forma di pensiero, è una forma di sapienza che produce gli dei, è una sapienza ignoranza, ma è la prima forma di sapienza e soprattutto a differenza di quello che pensano I libertini e prima ancora di loro Machiavelli, i primi a credere alle proprie finzioni sono i fingitori “fingud creautud” dice Tacito “ credono a quello che fingono”, “fingono quello che crederanno”. Noi dobbiamo uscire dal dualismo rigido mente-copro, e capire in origine il corpo è mente. A questo proposito nominiamo Antonio S. Damiaso, (grande neurologo di origini portoghese) che ha scritto un libro che si chiama “l’errore di cartesio”, “ alla ricerca di Spinoza” il quale afferma che il dualismo mente-corpo non ci porta molto lontano, perché anche la mente è corpo. Per cui forse sarebbe il caso di uscire, dice Damiaso, dal dualismo ed entrare in una dimensione monistica nella quale restituiamo alla mente il suo statuto corporeo, la mente è corpo e quando io sento penso, e quando penso sento. In origine Vico, che non è affatto un monista, fa coincidere il sentire e il pensare, il primo pensiero dell’umanità, il pensiero che da avvio all’umanità non è un pensiero pensato ma è un pensiero sentito, non è un pensiero pensato con la mente, ma è un pensiero sentito con il corpo. Per chi la storia della natura umana sarà segnata da un progressiva ascissione che ciò che in origine è uno, il binomio mente-corpo. Oggi c’è tutto un filone di intelligenza delle emozioni, c’è tutto un filone di studi nel quale le emozioni e le passioni non sono affatto relegate a una dimensione subordinata perché corporea, ma sono forse di conoscenza. Io posso accedere alla relatà mediante gli universali o genere intellegibile, ma posso accedere alla relatà anche mediante gli universali fantastici, anche quest’ultimi sono una forma di pensiero ma, anzi sono una prima forma di pensiero, la forma di pensiero che logicamente precede l’avvento degli universali intelligibili i quali presuppongono una mente umana che sempre si diletta per uniforme ma capace di astrazione. E una mente umana in origine non è capace di astrazione, dunque l’universale fantastico è già un primo livello di astrazione, chiaramente barbaro, ma è fantastico è ancora immerso nel corpo, è legato a ciò che si vede e ancora legato a somiglianze che sono rapporti naturali tra cose simili. Per cui io vedo le somiglianze e sulla base di queste istituisco una analogia e quest’ultima evolve in un genius, in un genere al quale io riduco tutte le spezie particolari. Per Vico il primo pensiero dell’umanità non è altro che la risposta a uno stimolo visivo. Il bestione risponde ad uno stimolo visivo, questa risposta ad uno stimolo visivo è il primo pensiero. Torniamo alla primissima dignità “ “ cioè l’uomo è portato ad attribuire se stesso all’altro, a farsi regola dell’universo, a ridurre l’incognito al conosciuto, altrimenti va in corto circuito. Ecco perché il primo pensiero dell’umanità, cioè la cognizione del Dio fulminante, è la risposta allo stimolo visivo, perché l’uomo, il bestione riceve lo stimolo visivo e lo riproduce in se stesso, lo riflette in se stesso e non può che decodificarlo a partire da se stesso, cioè attribuisce una propria passione, l’ira, al fulmine. I neuroni specchio, scoperti nel 1992, ci fanno capire che se io vedo Angela o Simona ( sono nomi delle ragazze in lezione) concentrare, quelle espressioni di concentrazione che si vede diventa un potente stimolo visivo che attiva nel cervello del prof neuroni che riflettono la loro azione, per cui lui (prof) si specchia in ciò che vede, questo vuol dire neuroni specchio, mi specchio in ciò che vedo, rifletto ciò che vedo. Quindi le ragazze sono concentrate e lo è anche il professore. Questa teoria ci spiega, che tra l’altro è anche la teoria che spiega l’empatia, che noi possiamo sentire il dolore dell’altro. L’empatia presuppone secondo questa teoria bambini che prendono tutto alla lettera e poi con l’evoluzione della mente, verso un un livello di raffinatezza più alta attribuiamo al significato letterale un significato invece traslato. Questa è l’attrazione. Per cui in origine tutti i vocaboli hanno avuto un significato corporeo, poi in un secondo momento vengono trasportati dai corpi alla mente e all’animo. Gli ignoranti, dice Vico, non sono capaci di astrazione, parlano per cose, prendono tutto alla lettera. Il linguaggio diventa poi un grande sostituto delle cose, diventa un modo alternativo nel quale i referenti sono altri, quindi attraverso il linguaggio noi possiamo creare un mondo, ma per arrivare alla modificazione della mente capace di creare un mondo ce ne vuole. Prima tutte le parole del nostro linguaggio fanno riferimento al corpo, vanno interpretate nel loro significato letterale e corporale. George Lakoff, grande linguista, studioso del rapporto tra metafore e vita quotidiana ci fa degli esempi molto volgari, ma molto efficaci come ad esempio “ ragazze alzate le chiappe” , che significa “ ragazze andiamocene”. A Napoli usiamo l’espressione “buttate le mani” per dire “muovetevi” e in questo caso quest’espressione ha un valore traslato. Quindi il linguaggio è per Vico il passaggio da medium corporeo al medium incorporio. Da un’origine nella quale tutte le cose sono rozze, quindi compreso le parole, a un tempo nel quale le parole perdono il riferimento alle cose e assumono un valore traslato. Li è l’inizio della crisi del linguaggio, perché li la lingua può perdere il proprio referente reale, e quando si perde quest’ultimo noi parliamo senza dire niente, anzi dicendo il niente, perché abbiamo costruito un universo linguistico del tutto autoreferenziale che non ha più nulla a che fare con il mondo, ma soltanto con noi stesso. Comincia un tempo di pura riflessione della parola su se stessa. Quando la parola fa segno soltanto alla parola e il linguaggio fa segno soltanto al linguaggio non c’è un fuori, non c’è un modo altro, non c’è un ente che la parola deve dire. Allora ci troviamo nell’ipotesi Nichilistica di Gorgia per il quale appunto niente è e se pure fosse non sarebbe comunicabile, perché la lingua comunica soltanto se stessa, non comunica enti che siano al di fuori di se stessi. Questo per Vico rappresenta una chiusura del pensiero su se stesso, una chiusura al mondo. Il linguaggio deve aprire al mondo. Tutti i significati in origine per Vico sono significati corporei, materiali e diretti, poi il trasporto avviene in un secondo momento, quando la mente è in grado di trasportare. Esempio Fratelli Marx al college: sono stati una famiglia di attori comici straordinari negli anni 30. Uno di loro era muto, e allora in un film che si chiama “ i fratelli Marx al college” a un certo punto questi fratelli devono entrare in una locanda, per entrare però c’è bisogno della parola d’ordine. Questa parola era “ pesce spada”. Quando arriva il turno del muto, questo ragazzo non si perde d’animo, non potendo pronunciare la parola, apre l’impermeabile dove spunta un pesce spada, quindi lo fa vedere ed entra. Ecco è una scena incantevole dal punto di vista della filosofia del linguaggio. Il bestione è muto e allora le parole, i vocaboli della nostra lingua devono comunque rinviare un riferente reale. Un muto non può che parlare se non attraverso segni corporei. In origine ti porti appresso le cose, ma poi il linguaggio si evolve e allora ci sarà quindi bisogno ancora di parole che rinviano alle cose, che facciano segno alle cose. Quindi i primi vocaboli vengono trasportati dai corpi nei quali stanno in origine a significare le cose della mente. Dignità 64 È una vera è propria parafrasi della proposizione settima della seconda parte dell’etica di Spinoza. Vico afferma: l’ordine dell’idea deve procedere secondo l’ordine delle cose. Questa dignità è la dignità più importante della scienza nuova. E infondo contiene la sintesi di tutti i discorsi fatti. Se si capisce quest dignità si capisce tutto Vico. E come se Vico zippasse tutta la scienza nuova in questa dignità 64. È la parafrasi di Spinoza letta però in un senso che soltanto in parte può essere definito spinozista. C’è un “ordorerum” che l’ordine delle cose non può scavalcare. Quando Vico dice l’ordine dell’idea deve procedere secondo l’ordine delle cose significa che l’ordorerum sorregge l’ordorearum. Esempio: Se io ho iniziato adesso a suonare il pianoforte, non si può pretendere che suoni un brano difficilissimo, perché l’ordorerum è il Presupposto sostanziale dell’ordine ideale. Quindi le idee non galleggiano nell’iperuranio ma sono situate, per Vico, quando corrono in tempo le idee. Se noi vogliamo fare una storia delle idee, noi dobbiamo considerare che a ogni modificazione della mente corrisponde uno stato di maturità dell’idea o di immaturità dell’idea. Non possiamo attribuire a un momento particolare dell’orrore rum un ordoreraum diverso. Ci deve essere coerenza nel rapporto tra questi due ordini. Differenze con Spinoza: Vico parafrasa Spinoza ma L’essere di Spinoza diventa “dover essere.” Vico introduce il fattore tempo nella dignità, il correre in tempo. Dignità 65 “L’ordine delle cose umane” Spinoza non direbbe mai umane, per lui l’uomo è parte della natura. Con Spinoza l’uomo perde completamente il proprio primato nel cosmo. Spinoza è il critico radicale di ogni antropocentrismo, l’uomo non ha nessun primato, non è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Quindi Spinoza parla di un ordorerum non ha bisogno di aggiungere “umane”. Potrebbe dire suine, vegetali, non cambierebbe nulla.Invece Vico a cosa è interessato? Qual’e l’oggetto della scienza nuova? La natura o la cultura? L’oggetto della scienza nuova è il passaggio dalla natura alla cultura, dalla natura alla storia. Il soggetto del passaggio è il bestione che si fa uomo. Quindi a Vico interessano le cose umane, perché Vico non concepisce nessuna idea al di fuori dell’ordorerum umano. L’ordine delle cose umane procedette in questo modo: -Prima furono le selve, ciò da cui noi proveniamo in questo processo che è la storia dell’uomo, della cultura umana è la selva. Non a caso i nostri corpi sono ingenti, come è ingente la Silva. Proveniamo da uno spazio nel quale la natura umana non è ancora umana ma è in natura caduta debole. -dopo furono i tuguri, le capanne cioè postacci di fortuna nei quali ripararci dall’aperto, perché è diventata intollerabile la visione dell’aperto. Cioè l’idea che un occhio dal cielo possa vedere il congiungimento con il proprio simile è un’idea intollerabile. è dettato dall’utilità, dalla convenienza, mente sul legame nei confronti di un superiore divino è legato alla superstizione. Dignità 66 Gli uomini prima sentono il necessario, poi badano all’utile, appresso avvertono il comodo. Cioè Nel momento in cui gli uomini passano dall’utile al comodo, già in un senso profondamente tacitiano, stiamo mirando verso quella dolcedo inerzie di cui parla Tacito che è all’origine morale della decadenza, della caduta dell’Impero Romano. Più il ci allontaniamo dalla forma di vita frugale più ci avviamo verso la decadenza. Questo è un passaggio fondamentale, ecco perché Vico è attratto dalle origini, perché è un tempo nel quale la decadenza non ha avuto luogo, non è ancora cominciata. Una volta poi che gli uomini abbandonano il necessario, per il superfluo, si ha l’inizio della fine, perché quando avrò ottenuto tutto il superfluo avremmo una dissoluzione del lusso e poi avremmo la dissipazione delle sostanze. Dignità 67 “La natura dei popoli prima è cruda, di poi severa, appresso delicata, finalmente dissoluta”. la benignità è lo spartiacque, dalla benignità si decade verso la delicatezza che è fragilità morale, e si conclude la natura dell’uomo nella dissolutezza che anche dissoluzione. Dissolutezza è la sfrenatezza dei costumi, assenza di un principio d’ordine che ti contenga. Dignità 68 In questa dignità Vico fa una storia tra mito e storia del genere umano, cercando di applicare la dignità precedente. Lui comincia dai Polifemi, perché Polifemo è un universale fantastico di carattere poetico e poi arrivare ai Caligola, Neurone e a Domiziano. Fa una storia in cui passa da polifemi che sono crudi, poi passa agli Achilli che rappresentano la personificazione più alta dell’ideale eroico, ma anche Achille aveva una sua crudezza, tante’ che viene definito “divoratore di carne cruda”, e poi passa ad un misto di virtù e vizio: Giulio Cesare e Alessandro Magno, e poi quelli che sono solo viziati come Tiberio, e poi finalmente alla fine passa ai furiosi dissoluti ovvero il “pazzo”. E li comincia la fine di Roma. Roma finisce con la dissolutezza che provoca la dissoluzione dell’Impero degli imperatori. Gli ultimi imperatori sono i più dissolutici, sono quelli che per un eccesso di vizio devastano la città, portando l’impero alla fine. LEZIONE VICO N.10, DATA 19 NOVEMBRE Questione: vico sostiene che l’inizio di una civiltà compresa quella romana fosse un inizio violento,ferino, e i costumi di ogni civiltà decadono nella dissolutezza e della quindi dissoluzione della civitas vuol dire che al termine di questo corso storico a conclusione di questa catastrofe ci sta un punto di caduta, dopo questa caduta c’è un ritorno allo stato ex leges (uno stato ferino)? Vico dice che dopo la dissoluzione è causata dalla barbaria della riflessione che è la dissoluzione dello stato civile che è la conseguenza di una barbarie x eccesso di ragione,in quel momento si assiste ad una scissione tra le res e verba che si decade inevitabilmente perche è un linguaggio privo di riferimenti reali e porta inevitabilmente alla corruzione dei costumi. Quindi la barbaria della riflessione provoca solo dissoluzione mentre la barbaria del senso (che è la prima barbaria) è una barbaria che coincide con il principio/cominciamento di un mondo , lo fonda,mentre la barbaria della riflessione lo distrugge. Dopo questa dissoluzione risponde VICO (nel libro primo della scienza nuova): la scienza nuova è una storia degli ordini , questi nei quali si articola l’ordine sono posti dalla provvidenza e sono universali ed eterni, quindi Vico intende che dopo la caduta provocata dalla barbaria della riflessione avremo bisogno di una nuova barbaria di senso, abbiamo bisogno che gli ordini ripartano per cui l’ordine provvidenziale farà si che dopo la caduta il linguaggio tornerà ad avere dei referenti reali . Esempio:caduta dell’impero romano :c’è poi il medioevo,Roma si rigenera da questa barbaria perche è il trauma(violenza) che produce l’ordine (dei corsi storici),dopo la barbaria della riflessione ci deve essere una seconda barbaria ovvero la barbaria del senso: abbiamo bisogno di trovare la fanciullezza delle origini. Per tornare all’esempio il medioevo è l’equivalente di quello che è stato il mondo omerico x i greci : abbiamo bisogno di un nuovo ideale eroico e di un uomo vero che l’europa e l’italia lo troveranno in Dante. Vico ci vuole dire che dopo la catastrofe in cui l ‘uomo metaforicamente si rinselvi nel primo caso la selva (nel diluvio universale) non è una metafora ma è reale che spunta sulla terra dopo il diluvio (è storica), ma nel secondo caso la selva,quando la riflessione fa decadere le città in selva è metaforica vuol dire che la riflessione perverte il linguaggio perche l’eccesso di raffinatezza sconfina nella ferinità si puo diventare barbari x eccesso di raffinatezza. La razionalizzazione spinta alle estreme conseguenze può portare al massimo della barbaria/ferocia/distruzione. ESEMPIO: LO STERMINIO DEGLI EBREI NEI CAMPI di concentramento non dobbiamo etichettarlo come una follia ma bensi è stato un evento storicico pianificato e quindi razionalizzato che la ragione umana è servita a pianificare ai campi di sterminio come l’uomo con la sua ragione può arrivare ad esempio sulla luna:l’uomo è meraviglioso ma pericoloso, e in entrambi i casi siamo davanti ad un uso della ragione,questa può sconfinare in una perversione dei costumi,può produrre un esito devastante. Quindi che cosa ci sta dopo la barbaria della riflessione ovvero dopo la dissolutezza che produce dissoluzione? Non c’è la ripartenza da una prestoria ma c’è la ripartenza dal margine estremo ma ancora interno alla storia ovvero da una nuova barbaria del senso (risposta alla domanda d’esame). X vico la storia bisogna immaginarla come uno spazio: il tempo storico come uno spazio e il tempo non storico lo stato ex leges è il fuori è l’esterno di questo spazio mentre la barbaria del senso è il confine sta li ed è posto su una linea tra l’aldiqua del tempo storico e l’aldilà,la barbaria è qualcosa che delimita il dentro dal fuori perciò è posta al confine , è una linea ideale che tracciamo per distinguere il dentro dal fuori,il tempo storico da cio che non è storia ma è natura come la selva dei giganti non possiamo immaginare ciò che succede li dentro ma possiamo intenderlo x sforzarci di capire cosa succedeva nel tempo non storico prima del corso storico. Le nazioni hanno un corso ma poi completato il corso storico arrivati al punto di catastrofe occorre che il tempo storico è necessario dal momento che gli ordini sono eterni saraà necessario che la storia ricorra una seconda volta e ripercorre (barbaria del senso: barbaria seconda)le stazioni che hanno corso le nazioni e questo in eterno all’infinito sempre restando nel limite storico senza sconfinare al di fuori,nella barbaria seconda non stiamo nello stato ex leges ma siamo tornati all’origine in cui l’ambiamo,è il bordo esterno sono il confine che delimita , ma ci sarà bisogno per ripartire di tornare all’origine : questa deve riccorrere. La sua è una concezione ciclica della storia resa possibile dall’eternità (dall’universalità degli ordini). Quindi vico definisce la storia nella scienza nuova oltre che teologia ragionata nella provvidenza divina oltre che storia degli ordini vico definisce questa storia degli ordini ideale eterna sopra la quale corrono il tempo e la storia delle nazioni , è lo spazio,il piano di scorrimento,cio che sostiene,è uno scenario immutabile eterno. La barbaria del senso si colloca più avanti del tempo dei giganti (il fulmine) dove i costumi sono originari,freschi,ingenui, dove l’eroismo,la superstizione,la religione si diffonde di nuovo e lui auspica (non come un fenomeno fisico) come la manifestazione (epifania) di un Dio violento come loro,prestano la loro natura al Dio fulminante tutto questo x Vico è poesia,questa nasce dalla sapienza e questa nasce a sua volta dal senso: la paura è un senso,una passione che produce involontariamente la creazione di un Dio. Ecco perché i primi poeti furono teologi:la loro prima parola poietica è Dio , è il fulmine : è LA prima creazione poietica ma è una creazione intenzionale che non nasce dalla volontà come la scienza ma è un poeta che finge il Dio credendo x primo alla sua stessa finzione lo dice anche tacito (uno dei maestri di vico): GLI uomini si spaventano delle loro stesse finzioni e questo spaventarsi è poesia. Sapienza-teologia-poesia rappresentano x Vico un trinomio perfetto. Il bestione è capace di metafisica volgare,violenta,rozza non quella ragionata c’è quindi una rottura dal mondo sensibile , questa avviene attraverso un trauma psichico profondo prodotto stesso dal fulmine, i bestioni soni portati al di la della fiusis , si proiettano al di la di se stessi perciò sono sapienti- teologici-poeti. L’unico medium tra se e il mondo che possiede il bestione è il suo corpo (NATURA) perché è tutto corpo animato da passioni violentissime,alimentando e proiettando fuori di se il suo senso di paura questo consente il salto al di là della natura e la nascita violenta della cultura,questa nasce in questo preciso momento e modo. Vico spiega che esiste un paradosso: i bestioni avvertono il cielo con i sensi e questi stessi sensi proiettano i bestioni al di la della natura stessa perché l’idea del fulmine è un’idea sovrannaturale, loro concepiscono la dimensione ultra sensibile : l’esistenza di una sopra natura con i sensi che sono natura stessa. I bestioni non hanno niente nell’intelletto ma tutto in senso, hanno solo i sensi per compiere questa frattura: proiezione al di là della fiusis cioè la metafisica ovvero andare al di la del dato naturale immediato. C’è un conferimento di senso al fulmine, in quel momento si apre la cultura attraverso i sensi, tutto questo è sapienza poetica. Vico dice niente è nell’intelletto che prima sia stato nel senso. La sapienza degli antichi fu quella dei poeti teologi, questi fingono gli dei con un atto involontario e vanno oltre la fisica con i sensi perché hanno una potenza sensibile mostruosa, una potenza passiva di amplificazione di cio che sentono : questa è metafisica rozza con il corpo. Dice Vico che la sapienza degli antichi fu quella dei poeti teologici i quali senza contrasto furono i primi sapienti e le origini per natura devono esser rozze dobbiamo dare incominciamento ad una sapienza poetica da una loro rozza metafisica. Il mito dell’origine serve proprio a spiegare come nasca una rozza metafisica, vico è il primo che associa il rozzo alla metafisica. La scienza comincia dall’origine del tempo storico (è un suo principio) ma se vogliamo cominciare coerentemente da qui non possiamo attribuire al bestione una metafisica ragionata ma poetica cioè rozza: Immerso nei sensi (Prima ancora di essere pensato nell’intelletto) crea atti non intenzionali. Vico ha sempre avuto questa ossessione ovvero quella di cominciare dalle immagini sensibili (concetto espresso inizialmente anche nel de Ratione) Libro secondo della scienza nuova -Lezione del 23/11/2020 prima parte n• 11 Paragrafo :della metafisica poetica Vico fa un attacco alla metafisica poetica. La sapienza degli antichi gentili ,sulla quale avrebbero dovuto ragionare la propria scienza ,quanto i filosofi e quanto i filologi ,doveva partire da questi primi uomini bestie, stupidi , orribili e insensati . Questo sarebbe stato l’inizio della sapienza.bisogna partire da qui se vogliamo fare una scienza nuova. È proprietà della natura umana, in comune con le bestie, che i sensi siano le sole vie attraverso le quali l’uomo conosce le cose.noi conosciamo le cose attraverso i sensi.c’è una parte animale che abbiamo in comune con le bestie (esempio: l’urlo del bimbo neonata che piange ,urla, grida perché ha fame è solo phoné (puro suono identico a quello degli animali )non è logos ,Quando quel suono acquista significato ,è intenzionalmente diretto a un referente reale, A quel punto quel suono smette di essere soltanto phoné e raggiunge quel plusvalore che è il logos). Il bestione che non è ancora uomo non possiede il logos e le cose le conosce attraverso i sensi , attraverso la mediazione del corpo .Vico in maniera del tutto implicita pensa che nel momento in cui noi sentiamo le cose ,conosciamo le cose sentendole ,conosciamo le cose attraverso i sensi grazie alla mediazione del corpo, essendo i sensi per definizione ingannatori, Fallaci, coloro i quali conoscono le cose solo mediante i sensi sono esposti all’errore. Non è un caso L’inizio della sapienza per questi uomini stupidi, insensati, orribili bestioni coincida con l’errore ovvero con una falsa rappresentazione della realtà, vale a dire uno scambio con l’equivoco che porta questi uomini a scambiare un mero fatto della realtà fenomenica per un segno, per un messaggio A loro indirizzato. Se il primo pensiero dell’umanità è un pensiero sentito ,non può che essere un atto conoscitivo mediante i sensi, ovvero noi conosciamo con il corpo e questa conoscenza è un atto poetico , ovviamente la nostra metafisica, la sapienza poetica ,ossia la prima sapienza dell’oggettività non può che cominciare dalla metafisica . Dunque questa scienza, essendo una scienza che ha come oggetto e si pone come problema la risposta alla domanda da dove abbiamo cominciato a pensare, come abbiamo cominciato a pensare, quando abbiamo cominciato a pensare, a seguito di quale evento traumatico abbiamo cominciato a pensare, risponde Vico la prima forma di sapienza è stata una sapienza poetica e questa sapienza poetica cominciò da una metafisica , ma questa metafisica volgare non fu una metafisica ragionata( ovvero la metafisica dei filosofi, delle nazioni colte, delle nazioni già arrivate ad uno stato avanzato delle modificazioni della mente) ma una metafisica sentita e immaginata( ovvero la metafisica dei primi uomini che non avendo la ragione avevano soltanto i sensi e le fantasie ) . Vico nel secondo libro vuole mettere alla prova ,cioè verificare sperimentalmente quanto premesso nelle dignità. La metafisica dei primi uomini la chiamiamo metafisica ma è qualcosa che ha a che fare con il corpo, le passioni più profonde. Noi conosciamo Dio , facciamo esperienza di questa idea falsa nella sostanza ma vera nella forma , attraverso il desiderio. Vico usa questa espressione affermando che l’uomo per natura desidera qualcosa che sia superiore, un desiderio innato. Il desiderio ha a che fare con la parte sentita e immaginata. caratteristica è la credulità e non possiede una volontà di esercitare uno scetticismo nei confronti di questa tematica. Per Vico l’origine della poesia è sublime perché nasce da un difetto d’umano raziocinio e tutti quelli che pensano che la poesia sia frutto di razionalità, trascurano la sua origine poiché alla sua origine per il filosofo, c’è il bestione e la poesia delle origini deve riprodurre la sublimità del bestione e della scena che lui interpreta e riproduce è come se il bestione attribuisse se stesso alla materia esterna riferendosi alla storia del fulmine e al significato attribuitogli. Quella del Dio era una potenza normativa perché il fulmine era in grado di contenere e tenere sotto controllo i bestioni così da poterli fermare e fare in modo che abbandonino la infirmitas e rientrino nella dimensione umana. La prima sapienza fu una sapienza volgare di legislatura cioè L’idea della divinità fulminante agisce come una norma, disciplinando i bestioni, interrompendo in alcuni il loro divagamento felino. Il fulmine è il Dio che si fa norma in quanto c’è qualcuno, ovvero il poeta teologo, che lo ha interpretato in quel senso, conferendo ad un mero fatto lo statuto di segno e attribuendo a questo segno l’ira di un superiore divino. I poeti sono legislatori perché portano la legge e la legge è l’interpretazione del fulmine, che Zeus sia fulminante e che rappresenta l’ira del Dio alle quali vanno condotte delle conseguenze e per questo che è definito “Zeus stator” ovvero colui che si fa norma, colui che porta la dismisura dell’ingens del gigante alla misura giusta e la misura fisica in base a questo argomento, rappresenta l’oggettivazione di una misura morale e quindi per tale motivo occorre un Dio che fermi il corpo e la morale che agiscono in maniera trasgressiva e che li regoli in maniera tale da garantire il rispetto delle norme. Vico dopo i diversi fallimenti non si sentiva a proprio agio in quel periodo in cui viveva infatti è come se sentisse la seduzione nei confronti della tematica della sublimità, tema che verrà riscontrato nel romanticismo ed inoltre è affascinato dal limite che c’è tra uomo e natura perché rappresenta la potenza dell’origine poiché è carica di potenzialità che tende a propagarsi verso il futuro è come se riuscisse a cogliere l’essere uomo come bestia feroce/Dio cioè la sua capacità di entrare in Dio e diventare Dio, di accoglierlo dentro se stesso quindi diventa “capax dei”. Quando parla del mondo civile, lo fa in modo negativo perché è sempre più legato ad un atteggiamento critico nei confronti del proprio tempo basato sulla razionalità e gli interessa per questo molto di più il livello passionale ed è per tale motivo che attua questi studi e ricerche e lo fa anche perché lui ritiene che nessuno è riuscito a discendere alle origini e nonostante la consapevolezza del suo limite umano di filosofo e di non riuscire a produrre quell’idea immaginativa di bestione, poteva sforzarsi ad intenderla e poteva arrivarci per via teoretica dove non riusciva ad arrivare per via immaginativa. (Questo mito si chiama: “mito delle origini”). LEZIONE 26-11-2020 La logica poetica è presente nel libro secondo (probabilmente il libro più importante della scienza nuova del 30 e del 44). L’ espressione logica poetica può sembrare una “contradictio in adiecto” ovvero una contradizione interna perché noi siamo portati a concepire questi due termini “logica” e “poetica” o metafisica e poetica come dei termini oppositivi, vale a dire che noi pensiamo che stiano in polarità per opposizione , ciò che è logico non è poetico e pensiamo che l'oggetto della poesia, la materia della poesia, sia il bello e che quindi la poesia sia soltanto un mero fatto estetico; ora che sia un mero fatto estetico ci serve, questa limitazione, perché in fondo Vico non sarebbe affatto in disaccordo con noi; infatti anche per Vico la poesia è estetica cioè ha a che fare con i sensi, con la percezione sensibile ma questa estetica, cioè questa percezione sensibile è per Vico l’inizio del pensiero umano, quindi il pensiero umano si avvia sotto forma di percezione tant’è che non esiste in questo momento preciso, nel quale noi stiamo concependo l'inizio del pensiero, una distinzione tra quello che potremmo chiamare il biologico e il culturale, ci proiettiamo lungo una linea di confine nella quale la rottura tra natura e cultura non è ancora avvenuta e anche quando avviene, l'uomo appena nato conserva gli elementi primitari, originari quindi la poesia è per Vico una logica poetica quindi ecco perché i primi uomini che hanno cominciato umanamente a pensare dice Vico, attribuendo al fulmine la natura di Dio e la propria natura, cioè la natura delle proprie passioni sono dei poeti teologi ; questa poesia teologica ,questa teogonia naturale, naturale perché avviene volgarmente attraverso i sensi per Vico è la prima forma di logica; ovviamente per capire questo, per capire in quale accezione usa il termine logica noi dobbiamo leggere Vico, entrare proprio nel dato testuale più diretto, la logica scrive Vico viene dalla voce logos; la parola logos ha a che fare con la ragione e con la parola significante; logica viene detta dalla voce logos che prima e propriamente significò favola . Vico è spiazzante; se leggessimo un testo di storia della filosofia antica leggeremmo che la distinzione fondamentale (specie nel quinto secolo in epoca classica) nel pensiero antico sarà quella tra logos e mythos cioè tra ragione e mito , tra razionalità e mitologia; ritroveremo un pensiero razionale e un pensiero mitico con il mito che precede il pensiero e con il pensiero che quando arriva spazza via il mito o quantomeno lo conferma sottoforma di scoria. Vico rovescia completamente la distinzione fra mythos e logos perché adotta un punto di vista genealogico perché cala tutto il discorso in una dimensione di storicità e allora il logos all'inizio significò favola, il mito che non è il negativo del logos e il logos non è la antonimo, l'opposto del mito; il mito è il logos nella sua forma incoativa ,cioè nel suo cominciamento nel suo principio il logos comincia sotto forma di mito, il discorso significante e razionale non può che avere un inizio mitico perché le origini delle cose ivi compreso il logos, tutte debbono per natura essere rozze se non vogliamo pensare all'origine e pensarla fino in fondo senza infingimenti, senza manipolazioni noi dobbiamo sforzarci di intendere il logos così come esso si è presentato a chi? al bestione. Se il soggetto del primo logos è il bestione, il primo Logos non può che riprodurre quella forma informe, quella misura smisurata che è il bestione , quindi al bestione dovrà corrispondere un logos coerente con la sua natura, col suo nascimento quindi il nascimento del logos, usiamo l’espressione di Vico, natura nascimento, la natura del logos non può che essere quella di una favola quindi prima e propriamente logica da logos, si indicò favola che si trasportò in italiano come favola favella. Vico mette in correlazione la parola greca mythos, correlata etimologicamente al latino mutus (muto che non parla con voce significante). I bestioni, in origine furono mutoli cioè incapaci di parlare secondo morfemi articolari, infatti la prima lingua cominciò con cenni, atti, corpi che avessero in rapporto alle idee un nesso naturale. I bestioni additano, non parlano . Così come il bambino che non parla addita l'oggetto che si vuole far portare, addita il cibo che vuole mangiare cioè fa segno , e quel fare segno ha un referente reale dice Vico, oppure parlano per atti cioè mimano, quindi c'è una dimensione performativa della lingua nel senso attoriale scenico; gesticolano e quel gesticolare però non accompagna la parola sottoforma di actio o di prossemica non è un accompagnamento alla parola ma la mimica il quel caso diventa sostitutiva, dispongo con dei gesti,con degli atti del corpo, il medium è sempre il corpo. il primo parlare dei bestioni fu un parlare fantastico per sostanze animate la maggior parte immaginate divine ,quindi non avendo la divino onomatesia, non avendo una parola capace di cogliere l'essenza stessa delle cose ma procedendo per mimesis , per imitazione delle cose, procedendo soprattutto a partire dall’ immaginazione e a partire da quello che abbiamo stabilito della prima dignità, che l'uomo ignorante fa se regola dell'universo ,gli uomini che cosa hanno fatto? all'inizio hanno parlato per sostanze animate per loro tutto il mondo era animato il pensiero primitivo è un pensiero animistico il mondo è animato! il primo parlare e una grande personificazione , cioè attribuiamo sostanza animata all’ animato; Vico in tale questione ci sorprende perché dice che noi facciamo al contrario delle cose dello spirito, come delle facoltà della mente umana, delle passioni ,delle virtù, dei vizi e delle scienze delle arti delle quali formiamo idee per lo più di donne ; che vuol dire lui facciamo idee per lo più di donne? quando parliamo di virtù, di facoltà, di Scienze, di passione… usiamo dei sostantivi di genere femminile. noi non diciamo la scienza, non diciamo La Sapienza, non diciamo la felicità, non diciamo la bontà , non diciamo la bellezza, tutte queste sono in senso platonico delle idee, Angela ingentiliamo perché appunto attribuiamo queste virtù alla natura femminile, un bestione secondo voi può compiere questa operazione di sussunzione? cioè di astrazione dal particolare all’ universale? No!! non può compierla non può compierla in questo modo perché deve ricorrere ,a quello che Vico ha chiamato l’universale fantastico; quando Angela dice ingentiliamo dice una cosa molto profonda perché il bestione non può ingentilire, perché è rozzo e allora poiché non può ingentilire non può parlare del mare, dell'aria, dell'acqua se non come di persone, apparentemente come lui ma in realtà, enormemente più grande di lui e delle quali lui ha paura e nei confronti delle quali ,ha un timore reverenziale, una religio, una superstitio. Dice Vico quando vogliamo procedere per astrazione dobbiamo essere soccorsi dalla fantasia per poterle spiegare, ecco perché quando Angela ha detto ingentilamo Lei in un certo senso ha fatto la stessa operazione mentale che fanno gli autori di emblema, in età moderna; gli autori degli emblemi rappresentano concetti astratti per esempio le virtù con delle immagini (giustizia,fortuna ect) .quindi c’è una funzione di Exemplum nell’ emblema, cioè se voglio semplificare al meglio un concetto astratto, devo personificarlo e rappresentarlo sotto forma di figura, sotto forma di immagine; questo pensiero è tipico delle culture antiche, vale a dire veicolare l' astratto sotto forma di concreto. ma essi poeti teologi non potendo far uso dell’ intendimento ,perché non avevano intendimento, non avevano intelletto perché le origini delle cose potevano per natura essere rozze, diedero sensi e passioni ai corpi ,al cielo, alla terra e al mare; quindi l'operazione che fanno, lasciamo stare per un istante quello che facciamo noi che in quanto dotati di intendimento siamo capaci anche di astrazione, loro che sono Incapaci di astrazione fanno l'operazione inversa cioè loro concretizzano, personificano, incorporano sensi e passioni, attribuiscono sensi e passioni a quello che vedono tutto quello che vedono, esemplificati sul modello umano. esse cose ma col non intendere egli di se fa esse cose e col trasformandosi lo diventa. Abbiamo due metafisiche: una metafisica ragionata ,che è quella degli addottrinati e quella degli uomini capaci di riflessione per cui io divento, mi trasformo intelligendo (la parola chiave questo gerundio è intelligendo ) esercitando l' intelletto io divento le cose ma in origine, l'uomo diventa tutte le cose quindi, la metafisica delle origini, non è una metafisica ragionata, cioè capace di astrazione è una metafisica fantasticata e allora, l'uomo ai sensi di questa metafisica fantasticata con i sensi non intelligento ,quindi non intendendo fa di sé le cose e trasformandosi nelle cose, lo diventa, per cotal medesima logica parto di tal metafisica, dovettero i primi poeti dare i nomi alle cose dalle idee più particolari e sensibili che sono i due fonti quello della mettoninia e quello della sineddoche perché non sapevano astrarre le forme, non a caso si immaginarono essere donne vestite dei loro effetti,le idee, la povertà brutta, la vecchiezza trista, la morte pallida; la sineddoche passò il trasporto poi con l' alzarsi particolare dai particolari agli universali, o comporsi le parti con le altre con le quali facessero i loro intedi sempre perché non sapevano estrarre le forme, non a caso si immaginarono essere donne vestite dei loro effetti, le idee , la povertà brutta, la vecchiezza triste, la morte pallida. Sempre il concreto per l' astratto ecco perché noi ricorriamo ai tropi che, mentre per noi un tropo è un ornamento, ha che fare con la stilistica del discorso per cui noi abbelliamo il discorso ricorrendo ai tropi, per le prime nazioni poetiche i tropi sono stati necessari modi di spiegarsi, più si è spiegata la mente umana più siamo stati in grado di astrarci dai tropi, quindi quando noi ricorriamo ai tropi ,alle trasformazioni poetiche lo facciamo per necessità di tal prima natura umana, non per un desiderio di bellezza ma perché la natura umana ce lo impone perché il nostro modo di essere, lo stato della nostra mente ce lo impone, prima della distinzione delle idee, prima che le idee venissero distinte . quindi qualora vi domandassi all'esame: Vico cosa mette all'origine del linguaggio dei primi uomini? Figure di trasporto, metafore, metafora, sineddoche, metonimia, figure di trasporto sono mostri,tropi, trasformazioni poetiche e il linguaggio quanto più è prossimo all' origine rozza di tutte le cose, tanto più sarà obbligato alla concretezza, la parola rinvia a contenuti concreti. Più invece andiamo verso i tempi della riflessione, più si assottiglia il nostro intelletto, più si sottilizza, si assottiglia il nostro intelletto; più le parole perderanno il loro referente reale e qui Vico come Leopardi, vede una potenziale origine della crisi della catastrofe, ovvero quando parlando noi non rinviamo più alle cose ma rinviamo alle parole stesse e il discorso si fa autoreferenziale chiudendosi al mondo per usare un’espressione di Heidegger; questo Vico lo spiega poi a partire da una proposta filosofica scandalosa: smettiamola di pensare in termini oppositivi filosofia e poesia, Sapienza e poesia come sapienze e religione e creiamo un nesso che le tiene insieme tutte, e soprattutto smettiamo di pensare che logos e mythos siano l'uno il contrario dell'altro, ma, cominciamo a pensare che la forma mitica del pensiero è il pensiero allo stato nascente e che logos significa mythos logos significa favola. il tempo spezzerà l’unità originaria del mito e del logos , quell’ unità che consente a Vico di esprimersi in termini di logica poetica. Per noi moderni logica poetica, suona come una contraddizione ossia come un ossimoro invece per Vico, la poesia è il pensiero assestato nascente, il pensiero della natura coincide con il nascimento , non può essere in origine capace di astrazione di qui la necessità per il pensiero e per il linguaggio di ricorrere a figure di trasporto o tropi, allegoria, metafora ,sineddoche e catacresi. il mito è finalmente definito, in termini platonici, come una chiave di accesso alla realtà per cui è come se Vico dicesse che non è necessario ricorrere al logos per accedere a una verità, ma che c'è un'altra chiave d'accesso che è il mito e questo Platone lo dice nel Gorgia e quando prima di raccontare il mito escatologico il mito diciamo sull’ after Life sulla vita dopo la morte Socrate dice, io adesso vi racconterò qualcosa una storia che per voi e mito, una favola per me invece è un discorso vero un logos. quindi lo stesso enunciato, la stessa vicenda può suonare alle orecchie degli interlocutori Callicle Polo Gorgia degli interlocutori di Socrate un mito ma Socrate che lo racconta, per Socrate che lo racconto non è un mito ma è un discorso vero, dissimulato dietro un mito in quel caso; nel caso di Vico, il mito e la prima verità del discorso, il mito e la forma originaria della ragione.In ogni cosa , devo cominciare dall'inizio all'origine poiché l'origine rozza l'origine del pensiero del linguaggio venendo da una persona rozza da un soggetto rozzo da un soggetto soggettività che si sta ancora facendo che si sta ancora costituendo non può che essere tale e non altra altrimenti avremo un inversione indebita dell'ordine naturale delle cose ma staremo andando contro natura staremmo pensando contro la natura delle cose. FILOSOFIA TEORETICA 30/11/2020 LEZIONE 14 Le origini delle lingue. Nell’origine delle lingue Vico verifica sperimentalmente gli assiomi della scienza secondo quel metodo che vorrebbe presentare quasi come baconiano, adottando un metodo sperimentale che vorrebbe far risalire a Bacone. In realtà è un metodo tutto peculiare irriducibile alla metafisica moderna ,è un metodo nuovo, come se Vico da un lato rivendicasse con orgoglio la novità della propria scienze, dall’altro invece si schermisse rispetto a questa grande scoperta e volesse porla nel solco di una tradizione. Dobbiamo tenere sempre a mente l’assunto secondo il quale le origini delle cose debbono per natura esser rozze questo perché l’ origine delle lingue è una conseguenza diretta di questo assunto; secondo aspetto molto importante è che per Vico l’origine delle lingue non è un mero problema linguistico perché a partire dal fulmine e dal primo carattere poetico divino che fu Zeus nascono contestualmente e in maniera indissolubile le lingue e il diritto, la politica e la morale, l’economica ..cioè l’inizio della lingua è l’inizio di una civiltà e per civiltà Vico intende: diritto, politica ,morale ,economica, quindi tutte le istituzioni del mondo civile a partire dalla lingua trovano la propria origine in quel primo carattere poetico divino che è Zeus fulminante. Terzo elemento di grande importanza dal punto di vista teoretico: Vico ritiene che tutte le origini delle istituzioni che fanno il mondo civile non derivano da convenzione(placito) ma si formano naturalmente. Questo significa che porre all’inizio delle istituzioni una convenzione ,un placito ,un accordo stipulato convenzionalmente costruirebbero qualcosa che non c’è su una tabula rasa ,questo assunto per Vico è profondamente sbagliato perché contrasta con le origini bestiali ,con le origini ferine ,col modo di essere dell’uomo ,col modo di essere della sua mente, col pensare da bestie che è proprio dell’origine. Se abbiamo convenuto che il nostro primo pensiero è stato un pensiero sentito che si confonde con una passione, cioè la paura, noi non possiamo attribuire a questi primi uomini la potenza di creare a proprio piacimento le istituzioni che fanno il mondo civile, ecco perché Vico ricorre al concetto di natura ,ricorre all’avverbio naturalmente ,all’ aggettivo naturale, natura-naturale-naturalmente ricorrono in Vico in opposizione a convenzionale , ciò che è naturale non può essere convenzionale, ma il naturale è tale perché è coerente con la natura ferina dell’uomo dell’origine. Se noi allora ci siamo dati come compito della scienza quello di ridiscendere all’origine che non si può immaginare, ma si può soltanto intendere, noi dobbiamo abbandonare la logica degli addottrinati ,cancellare tutto quello che ci ingombra perché è legato a una stagione della mente troppo evoluta e messici a nudo dobbiamo provare a pensare il più possibile approssimandoci a quella origine che è remota del tempo oscuro ,questo tempo oscuro può essere rischiarato dalla luce della metafisica, cioè la scienza nuova può fare luce su un tempo dell’origine altrimenti destinato a rimanere oscuro. La scienza nuova del 30 è anamorfosi cioè è quel dispositivo ottico che ci consente di mettere in forma qualcosa che altrimenti resterebbe informe , far luce su qualcosa che altrimenti resterebbe oscuro. Il fulmine discrimina, cioè davanti al fulmine solo pochi bestioni si risvegliano e lo interpretano ignorantemente ma in maniera efficacissima come segno dell’ira di Zeus. Questi uomini sono i primi poeti teologi, tutti gli altri sono da considerarsi uomini senza dei. Quindi il fulmine mette in luce una distinzione radicale tra mondo, ma questo mondo non ha più nessun riferimento al mondo, è chiuso al mondo; questo tema verrà affrontato nel 900 da Martin Heidegger: linguaggio non come apertura, ma chiusura al mondo. Il numero 3 è per Vico, come già per Dante, per Hegel e per Freud, il numero più importante, cioè Vico costruisce triadi. Vico ha diviso il tempo storico in 3 età: degli dei, degli eroi, degli uomini. Ognuna di queste età corrisponde ad una lingua: all’età degli dei corrisponde una lingua geroglifica; all’età degli eroi una lingua simbolica; all’età degli uomini una lingua pistolare . La differenza tra queste 3 lingue è data dalla lingua articolata, è data dalla nostra capacità di articolazione, questo significa che la lingua geroglifica fu la lingua quasi del tutto muta, un grado pressoché pari allo zero di articolazione della lingua; nell’ età degli eroi abbiamo una lingua mista per imprese, per immagini e in questo è molto simile alla lingua geroglifica, ma anche per le prime parole, si tratta di parole che hanno sempre un preciso referente reale, non a caso è tipica nell’età degli eroi una lingua che ricorra a metafore, metonimie, catacresi cioè a figure di trasporto tropi o mostri del linguaggio che comunque intrattengono naturali rapporti alle idee, il tratto distintivo tra le due lingue è un po’ di lingua articolata, questo però non vuol dire escludere la comunicazione non verbale dalla lingua, poiché essa è fondamentale(anche il gesticolare, quello che in Quintiliano si chiama actio, cioè il modo con il quale accompagniamo la parola con dei gesti, è comunicazione non verbale ; alla terza età corrisponde invece una lingua pistolare, si tratta di una lingua che presuppone la distanza, gli uomini quando hanno bisogno di comunicare a distanza hanno bisogno di scriversi appunto una lingua epistolare, ma se quest’ultima presuppone una distanza tra i parlanti, significa che le altre due lingue(geroglifica e simbolica) presuppongono all’opposto la presenza. La lingua pistolare nasce proprio per sopperire al deficit di prossimità. Vico nasce giurista e proverà invano a vincere un concorso per la cattedra di diritto civile, fu costretto invece ad accontentarsi della cattedra di retorica. Vico ci vuole far capire che c’è un’ identità di origine tra il linguaggio e il diritto, tra i nomi e il diritto dal momento che i nomina(plurale di nomen) hanno la stessa radice etimologica di nomos, vengono dal verbo greco nemo(significa pascolare, ma anche distribuire) quindi c’è un origine comune ai nomi e al diritto. Coerentemente al principio secondo il quale le origini delle cose e delle parole tutte devono per natura essere rozze, il nomos, quello che noi chiamiamo la legge, che è un’astrazione, Vico lo riconduce a un’origine selvaggia, rustica, ferina o semi-ferina. Quello che noi chiamiamo legge in origine risale al campo, quindi il diritto ha un’origine radicata nella terra. Ecco perché in origine il nomos non può che designare il pascolo e far riferimento alla divisione della terra e in origine nomos significherà anche canto perché i primi nomoi furono cantati. Nomen infatti significa diritto perché il nome e il diritto nascono contestualmente, a seguito del fulmine, tutto nasce a seguito del fulmine, è come se nella risposta al fulmine stessero racchiusi tutti gli effetti conseguenti, tutto ciò che ne deriva. Nel momento in cui il fulmine viene percepito come ious(Giove), in quel momento attraverso quell’interpretazione nasce anche il diritto(ius), inteso come quel fattore disciplinante che posta e ferma i giganti, sedandoli, ponendo fine al loro divagamento ferino. Quindi il dio che si fa norma(dio statore) , il dio che ci ridimensiona. L’atto con il quale il bestione si ferma, mettendo fine al divagamento ferino è un atto nel quale si concentra una dimensione religiosa, una dimensione giuridica, linguistica, morale, economica, che in origine non sono distinte, ma tutte ricomprese nello stesso atto che è un segno, perché la prima lingua fu la lingua per segni e il primo segno fu il corpo che si fa cosa. Il primo diritto fu questa prima lingua(spiegarsi col corpo), il primo legislatore fu Zeus, il quale però non sarebbe nulla senza la mediazione del corpo dei poeti teologi i quali sentendo paura e attribuendo a quella paura un carattere, hanno formato il dio, che non si sarebbe formato altrimenti. Dunque prima lingua atti o corpi che avessero rapporti naturali alle idee, seconda lingua (eroica) è una lingua per segni attraverso la quale si appongono confini ai poderi, la terza lingua è quella in cui tutte le nazioni usano monete(il nomisma cioè la moneta è un’astrazione, perché essa sostituisce le cose che ci si scambiava in epoche in cui il baratto era la sola forma primitivissima di scambio economico) considerare il danaro come misura e riserva di valori economici per noi è normalissimo e scontato, ma è stata una delle astrazioni più complesse della civiltà umana. Come l’età degli uomini è un età della quale noi conquistiamo l’astrazione massima, la lingua degli uomini è la lingua pistolare perché è una lingua che astrae dalla presenza, il nomisma è una forma di astrazione, è la massima forma di smaterializzazione nei rapporti economici, passiamo quindi dal minimo di astrazione, dal massimo di materialità al massimo di astrazione, al minimo di materialità, ma quando arriviamo al minimo di materialità e al massimo di astrazione lì entriamo in un tempo di sicura decadenza. Le triadi di Vico sono gli ordini che ci consentono di organizzare il nostro pensiero del mondo civile, indispensabile quindi a mettere ordine in una materia altrimenti oscura, selvosa e selvaggia qual è la materia storica. La materia storica è informe e possiamo dotarla di forma in quanto ricorriamo a questi ordini che sono eterni e sono appunto una triade. La logica che li sorregge è sempre questa: da un massimo di concretezza a un massimo di astrazione, la logica primitiva è una logica del concreto per cui quando parla il bestione non può che parlare una lingua concretissima, man mano che ci si allontana da questa realtà del linguaggio, si conquisterà l’astrazione. La conquista dell’astrazione pero è anche una perdita per cui cantare la conquista dell’astrazione significa infondo anche intonare un canto luttuoso per la morte della civiltà, infatti Vico dice che il punto più alto di una civiltà coincide con l’inizio della sua decadenza. La decadenza non porta di nuovo allo stato eslege, ma porta alla necessità di un nuovo inizio: caduto l’impero romano c’è bisogno di un Medioevo che riproduca l’età omerica in Europa, facendo di Dante l’equivalente di Omero, ma Omero come Dante non sono poeti dello stato eslege poiché in esso non ci sono poeti. Il ciclo storico, quindi, riparte sempre dall’inizio cioè riparte da un’ origine già protostorica non astorica, si riparte da un inizio rozzo al quale si deve ricorrere positivamente, produttivamente perché l’eccesso di raffinatezza, l’eccesso di civiltà, ha prodotto la decadenza. Vico dice che fu comune naturale necessità di tutte le prime nazioni di parlare con geroglifici, quest’affermazione ci consente di confutare la boria degli egizi i quali pensavano di essere stati i primi a parlare per geroglifici e di aver insegnato questi caratteri a tutte le altre nazioni, non è così perché la forma geroglifica è una forma universale alla quale hanno fatto ricorso tutte le nazioni, questa boria quindi è del tutto infondata. Lo dimostra per esempio, nel Settentrione dell’Asia, Idantura( re degli Sciti). Idantura risponde a Dario Il Grande, il quale gli aveva dichiarato guerra, con delle parole reali, con delle parole- cose che hanno quindi un significato. La prima parola reale fu una ranocchia, la seconda fu un topo, la terza fu l’uccello, la quarta fu un dente d’aratro, la quinta fu un arco da saittare. In queste cinque cose Vico condensa un intero mondo. La ranocchia poiché nasce dalla terra significava che Idantura era nato dalla terra della Scizia, dunque è un figlio della Scizia. Esso come topo significava dov’era nato aversi fatto la casa cioè aver fondato la gente(io sono nato da questa terra e qui ho dato vita a un ghenos). L’uccello significava essere soggetto a Dio soltanto, ma essere anche l’unico in grado di interpretare quello che succede in cielo . l’Aratro significava che Idantura aveva ridotto le terre a cultura e aver anche fatto sue quelle terre con la forza. L’arco da saittare significava che Idantura aveva della Scizia il sommo imperio dell’armi ,è il contrassegno della potenza politica , l’imperium è il potere dell’uomo sull’uomo ed è un imperium proprio la titolarità del monopolio delle armi, dunque il dovere di usarle contro chi attacca la Scizia. Questa è una spiegazione naturale e necessaria. Idantura risponde quindi a Dario mostrandogli delle cose e queste cose hanno una spiegazione naturale (parlar con le cose è tipico dei mutoli),queste cose messe insieme compongono una storia e hanno un senso politico profondo. Quando Tacito andrà in Germania secoli dopo, lui scriverà che i G ermani come Idantura parlano anch’essi con geroglifici. Se si va in Scozia si vedrà esattamente questo, nelle Indie Occidentali(messicani) furono ritrovati a scrivere per geroglifici e nella nuova India gli indiani scrivono per geroglifici, nelle indie orientali i chinesi tuttora scrivono per geroglifici . Il parlare scrivendo attraverso le cose è un parlare geroglifico che accomuna nazioni che non hanno intrattenuto nessun rapporto, che abitano spazi, ma anche tempi diversi. Vico ha creato quindi un universo nel quale le differenze spaziali e temporali ci consentono tuttavia di risalire a un’etimologia comune. Questo significa che se Idantura avesse mostrato quei geroglifici non solo a Dario, ma anche a un cinese, a un germano, a un messicano, a un nativo americano o a uno scozzese avrebbe ottenuto lo stesso effetto comunicativo, perché non aveva parlato con caratteri convenzionali, propri degli Sciti, ma con le cose e le cose accomunano, creano cioè la possibilità di un dizionario etimologico universale e uniforme. comprendere il nome. Il nome arriva tardi e arriva in forma mono sillaba, dunque onomatopee, interiezioni, canti ,pronomi e nomi. Ma anche i primi nomi che usiamo sono un poco più che balbettii ,come mamma, papà, pappa. Dice Vico che la lingua tedesca, che è la lingua madre dal momento che non vi entrarono mai a comandare nazioni straniere, ha monosillabi tutte le sue radici e tutti i nomi sono prima dei verbi. Loro parlano con i nomi prima che con i verbi, il cui uso arriva finalmente ,ciò alla fine del processo ed è il massimo grado di astrazione. Il verbo più difficile da usare è il verbo essere ,tant’è che la parola Sum, che è un altro monosillabo, in origine voleva significare “mangio”. Perché le origini delle cose tutte devono per natura esser rozze. Concepire un’azione così astratta come quella di essere presuppone una modificazione della mente troppo avanzata e allora in origine, alla luce della matrice rozza dell’incominciamento del principio rozzo di tutte le cose, SUM significa “mangio”. E dice Vico, ancora oggi nel contado, vi sono i contadini che di una persona che è morta diranno non mangia più , anzichè “non è più”. Perché sum non può significare essere (τό εἶναι) , la grande scoperta di Parmenide “l’essere” ,non può significare qualcosa di così astratto ma deve avere a che fare col concreto ,con la vitalità dunque sum è mangiare. Perciò, i verbi e in particolare il verbo essere arrivano per ultimi. Idantura , re degli Sciti, rappresenta anche la barbarie del senso che a Vico sta cuore dal momento che si è sentito spesso barbaro. infatti Vico è uno straniero in patria dal momento che ha provato in tutti modi a farsi accettare nelle accademie, ad avere una fama europea e nonostante abbia avuto qualche interlocutore attento, non ha avuto grande successo nè in Europa e nemmeno a Napoli e alla fine diventa un grande risentito in virtù di una delusione molto forte. Per fortuna questa delusione produce la Scienza Nuova, che poi diventa un trionfo filosofico ma anche letterario e per certi tratti anche estetico. Un capolavoro che ogni tanto rimanda a Napoli ,soprattutto attraverso espressioni che sono calcate dal napoletano .Tuttavia Vico quando parla e scrive il latino è estremamente chiaro e paradossalmente il Vico latino è più chiaro del Vico italiano. Perché in latino era costretto ad una geometria ,una precisione ,ad una concisione che in italiano invece non aveva. Quindi quando Vico scrive in italiano scrive in una lingua straordinariamente ricca, senza vincoli ,problematica ,complessa,stratificata e vi è un espressionismo linguistico molto forte. Per orientare l’opinione pubblica dice Vico che servono tutti gli strumenti di persuasione,anche perché si parla al corpo prima di parlare alla mente. La retorica per Vico è una topica sensibile che deve precedere la critica, allo stesso modo all’inizio i poeti teologi inventano,ricorrono all’inventio che per Vico va inteso nel senso latino del termine come “Ritrovare qualcosa” e non costruirla ex novo et nihilo. Quindi i poeti teologi procedono attraverso una topica sensibile,tutto ciò che ricavano lo ritrovano nella natura , non hanno un repertorio di argomenti, sono giovani ,sono fanciulli e trovano già in natura delle cose a cui attribuire il carattere di segno. La struttura del bestione in origine è una struttura paranoica e per il paranoico tutto è segno come diceva il famoso psicoanalista Jacques Lacan. Per il bestione tutto e segno, non c’è nulla nella realtà esterna che non sia segno di qualcos’altro . Vico oltre ad aver posto l’ignoranza all’origine della conoscenza e del pensiero,anzi oltre ad aver detto che la superstizione è la forma del pensiero al suo inizio, il pensiero comincia sotto forma di superstizione e paura dell’hoc ,di ciò che non riesco a nominare , la nostra risposta al fulmine è stata una risposta paranoica. Quindi per Vico siamo ignoranti superstiziosi e paranoici. Ignorante di tutte le cagioni dal momento che ignora tutte le cause, superstizioso e paranoico perché nell’età degli Dei e in quella degli eroi che sono strettamente connesse ,con le loro lingue e così via, l’uomo interpreta tutto come se fosse un segno. Non c’è nulla di insignificante ,tutto significa .Prendendo ad esempio la prima dignità, tutto significa a partire da un’attribuzione di sé, da una proiezione di sè sul mondo esterno, quindi l’uomo ignorante fa di sé la regola dell’universo, perché l’uomo ignorante non avendo null’altro che se stesso, proietta il sè su tutto e allora il fulmine, visto che io sento di avere passione violentissime, è una passione violentissima. “Homo non intelligendo fit omnia”,cioè l’uomo non capendo nulla diventa tutte le cose, dove anche la parola TUTTO per Vico ha matrice mitologica in quanto rimanda al Dio Pan,che è il Dio del tutto. Ciò è la prova che l’uomo ha sempre pensato prima in termini mitologici e poi filosofici,perché “il tutto” (το παν) , la totalità esprime un concetto astratto,una dimensione che comprende le cose nella loro interezza, che non lascia fuori niente. E il tutto prima di essere concepito come concetto astratto viene concepito come un Dio, come persona,che si può incontrare se si esce a mezzogiorno,l’ora senz’ombra,l’ora dei demoni meridiani. Allo stesso modo,il caos in origine era l’informe ingordo di forme ,una specie di mostro informe che mangia tutte le forme, perché per una struttura paranoica del pensiero e del linguaggio, quale quella delle origini, tutto ha una matrice concreta e personale, tutto è persona ,tutto è segno. L’animismo del pensiero primitivo personifica tutto e tutti, poi arriveremo all’astrazione e all’essere,all’essenzia. Infatti il bestione non riesce a concepire il termine “essenzia”,la sostanza,però se gli viene detto che sostanza è qualcosa che sta sotto e che mantiene,sostiene comincia a capirci qualcosa, poiché tutti i significati in origine hanno un valore concreto. Successivamente di modificazione in modificazione la mente arriverà a uno stadio della propria evoluzione a tal punto sottile e raffinato da poter cogliere l’astrazione, non prima.
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