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Vico de nostri temporis studiorum ratione, Appunti di Pedagogia

Riassunto Vico de nostri temporis studiorum ratione Cappa

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 05/01/2023

lucaflo
lucaflo 🇮🇹

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Scarica Vico de nostri temporis studiorum ratione e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Giambattista Vico Giambattista Vico nacque a Napoli nel 1668, sesto degli otto figli di un piccolo libraio. La sua formazione culturale, della quale Vico ci ha lasciato una dettagliata testimonianza in un testo autobiografico del 1728, La Vita scritta da se medesimo, risentì della sua modesta condizione sociale e della sua fragile costituzione fisica; fu quindi piuttosto discontinua e disordinata: in parte sì svolse presso il Collegio Massimo dei gesuiti, in parte grazie a istitutori privati, ma, soprattutto, sì deve agli interessi coltivati da Vico come autodidatta. Le sue letture spaziarono dall'ambito grammaticale e logico a quello filosofico-metafisico fino a quello giuridico. A diciott'anni passò al servizio del marchese Domenico Rocca in qualità di precettore dei figli, Tale impegno non gli impedì di proseguire e approfondire i suoi studi, sia in campo filosofico e letterario, attraverso la consultazione della ricchissima biblioteca del marchese, sia in campo giuridico con l'iscrizione ai corsi di giurisprudenza dell'università di Napoli, fino al conseguimento, nel 1694, della laurea. Tornato definitivamente a Napoli, Vico entrò in relazione con gli ambienti intellettuali della città e riuscì a ottenere, nel 1699, la cattedra di Retorica all'università. L’orazione pronunciata per l'inaugurazione dell’anno accademico nel 1708, De nostri temporis studiorum ratione (L'organizzazione degli studi del nostro tempo), riveste un importante significato, perché Vico vi affronta un problema di ampia risonanza nella cultura del tempo, quello del metodo di studio. Cartesio nel famoso Discorso sul metodo, che aveva trovato vasto eco negli ambienti accademici napoletani, tende a privilegiare l'ambito degli studi scientifici in quanto ritenuto l’unico fondato su presupposti certi e concettualmente chiari. Ma a questo metodo, afferma Vico, sfugge tutto quell'ambito di sapere che oggi definiremmo umanistico (studi letterari, storici, giuridici) e che, pur risultando connesso con la sfera del "probabile" anziché del "certo", non è da considerarsi per questo meno formativo e rilevante nella ricerca del vero. La critica alla pretesa del cartesiani di far valere il metodo matematico come unico criterio del sapere prende forma due anni dopo (1710), quando Vico offre la dimostrazione di come una indagine esercitata nel settore linguistico possa costituire il tramite per la scoperta di profonde verità, con l'opera De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda (Dell'antichissima sapienza italica evidenziata dalle origini della lingua latina). Vico nella sua opera tenta originalmente di cogliere le tracce di tale arcaica sapienza attraverso un'analisi filologica condotta sulla lingua latina (pur differente da quella parlata dalle antiche popolazioni italiche). L'operazione culturale che qui Vico propone suona polemica nei confronti del razionalismo coevo e della sua pretesa di rifondare dalle basi l'intero edificio del sapere. La pretesa di cogliere un fenomeno naturale nella sua più profonda causa è del tutto infondata e non riuscirà mai a tacitare la fondata obiezione degli scettici: solo Dio, creatore della natura, possiede le ragioni profonde di essa. L'intercambiabilità che - secondo l'analisi di Vico - presentano nella lingua latina i termini "verum” e *factum” conferma tale verità: si può conoscere solo ciò di cui si è autori. La conoscenza umana risulta dunque necessariamente limitata nell'ambito delle scienze di tipo matematico perché gli enti che esse utilizzano, pur veri in quanto costruiti dalla mente umana, sono astratti, non presentano una necessaria corrispondenza con la realtà - mentre istituisce un collegamento certo con le cose reali nell'ambito molto più concreto e significativo dei fatti storici di cui l’uomo, pur guidato dalla Provvidenza divina, è innegabilmente autore. Nel secondo decennio del Settecento Vico si accostò all'opera di Grozio, il giurista olandese che aveva indagato da una prospettiva filosofica le origini e | fondamenti della società e dello stato; tale lettura, che rappresentò a detta di Vico stesso un'autentica illuminazione, lo indusse a riprendere gli studi giuridici e a impegnarsi nella stesura delle opere latine raccolte sotto il titolo di Diritto universale, pubblicate fra il 1720 e il 1722. Nonostante questi studi Vico falli, nel 1723, l'obiettivo di conquistare la prestigiosa cattedra di Diritto civile. Si concentrò quindi - in una sorta di orgoglioso isolamento, privato ma non vinto dalle difficoltà quotidiane e dall'indifferenza dell'ambiente culturale - sull'opera in cui sarebbero confluite in un disegno unitario le sue molteplici ricerche: nasce così, da un travagliato processo creativo che lo porta a elaborarne (dal 1725 al 1744) ben tre edizioni, La Scienza nuova, il capolavoro vichiano. Insignito da Carlo Ill di Borbone del titolo di storiografo regio (1734), per i suoi lavori sulla storia napoletana {ricordiamo la Storia della congiura dei principi napoletani del 1701 e la Biografia di Antonio Carafa del 1716), Vico si spense nel gennaio del 1744, senza aver potuto vedere stampata la definitiva versione della Scienza nuova, a cui si era dedicato fino all'ultimo. DE NOSTRI TEMPORIS STUDIORUM RATIONE - GIAMBATTISTA VICO INTRODUZIONE Come sappiamo nel 1699 Vico vince il concorso per la cattedra di retorica presso l'università di Napoli, aspirando poi invano, molto più tardi, a quella più prestigiosa e meglio pagata di diritto civile. Ma è proprio grazie a questo incarico che abbiamo notizia del primi scritti filosofici di Vico. Il professore di retorica era chiamato ogni anno a tenere la prolusione, l'orazione inaugurale. Al periodo tra il 1698 e il 1708 risalgono le prime sei, che sono state poi tramandate con il nome di Orazioni inaugurali. Il 18 ottobre 1708 a Vico l'onore di inaugurare l'anno universitario proprio con questa orazione. L’anno prima la corona d’Austria era subentrata a quella di Spagna, infatti questa, dedicata al re Carlo lll d'Austria e svolta in presenza del cardinale-viceré Grimani, appariva un'occasione significativa per dare voce al suo pensiero filosofico. L’opera si compone di 15 capitoli. Vico si rivolge ai giovani dell’ateneo napoletano spiegando di voler discutere dei vantaggi e degli svantaggi del metodo di studio dei moderni e degli antichi, proponendosi di codificare un metodo capace di comprendere i vantaggi di entrambi. Sin dall’inizio del primo capitolo si legge che in questa dissertazione non si mettono a confronto le scienze ma i metodi di studi, nostri e degli antichi. Nel primo capitolo, Vico sostiene che ogni metodo di studi è composto da tre cose: gli strumenti, i sussidi e il fine. Gli strumenti precedono gli altri elementi e comprendono l'ordine: infatti chi è impegnato ad imparare una qualche arte o scienza lo fa secondo una regola ed in modo ordinato. | sussidi accompagnano, e sebbene il fine venga dopo, gli studiosi devono tener conto del fine sin dall'inizio. Vico sviluppa il tema a partire da una critica nei confronti di Cartesio e osserva come il fine ricercato negli studi del suo tempo sia la verità, e il metodo utilizzato per conseguirla sia il metodo cartesiano, considerato il più sicuro ed efficace. Tuttavia Vico nutre molti dubbi sull'efficacia di questo metodo in quanto considera illegittimo il fine che si intende raggiungere, la verità appunto, ricercata nella scienza della natura. Vico critica la fisica cartesiana attraverso il principio del verum- factum, secondo il quale agli uomini è possibile conoscere e dimostrare solo ciò che essi stessi fanno: ‘dimostriamo la geometria perché la facciamo: se potessimo dimostrare la fisica, lo faremmo”. La ragione umana conosce il vero solo nella misura in cui lo produce. Fare la fisica è proprio di Dio, non degli uomini. Gli uomini secondo Vico non sono in grado di attingere all'in sé della natura in quanto “tutto ciò che all'uomo è dato conoscere è al pari dell'uomo stesso, cioè è finito ed imperfetto”. Il vero umano, proprio perché non è in grado di elevarsi all'infinità, ha una sola via per individuare il criterio del Vero, cioè la sua identificazione con l'effettuazione di esso: l'uomo può conoscere solo ciò che può produrre con il fare, e che può riprodurre con adeguati esperimenti. Per quanto riguarda la conoscenza della natura, gli uomini devono pertanto limitarsi al verosimile: la natura per Vico non coincide con l'oggetto scientifico, il quale può solo avvicinarsi al verosimile, mai al vero, poiché il vero è noto ed intellegibile (comprensibile) solo all'autore di essa, Dio. Il metodo cartesiano quindi secondo Vico, è fallace perché promette di conoscere ciò che non è dato conoscere: la verità in sé della natura, con la medesima sicurezza con cui la padroneggia Dio. dell'orazione vera, la topica l'arte dell'orazione faconda. Quindi chi è esercitato nella topica riesce a vedere per tempo cosa sia convincente in ogni causa. Ma quelli che non si sono impadroniti di questa facoltà meritano a stento il nome di oratore. Inoltre l’eloquenza è tra noi e chi ci ascolta per cui noi dobbiamo moderarla a seconda delle loro opinioni. Per esser certo di aver toccato gli animi di tutti, l'oratore deve passare in rassegna tutti gli argomenti. Vico poi ci fa una distinzione tra i pensieri filosofici, giungendo a una conclusione. Un tempo gli stoici si rivolgevano solo alla critica, gli accademici solo alla topica, noi moderni le usiamo entrambe. Le più antiche scuole filosofiche più sono distanti dalla critica, più sono faconde. Gli stoici erano concisi ed asciutti; gli Epicurei semplici, i vecchi Accademici ridondanti (seguaci di Socrate). Mentre i nuovi accademici erano traboccanti come torrenti e spessi come neve. Quindi in conclusione entrambi i metodi avevano dei difetti: il metodo dei topici perché spesso afferravano il falso; quello dei critici perché non guardavano a nessun verosimile. Quindi secondo Vico per evitare il difetto dientrambi, gli adolescenti devono essere istruiti in tutte le scienze e le arti, in modo tale da arricchirsi dei luoghi della topica e inoltre bisogna rafforzare in loro il senso comune per la prudenza e l'eloquenza, per la fantasia e per la memoria. Successivamente devono imparare la critica in modo tale da valutare da capo e con il loro giudizio le cose su cui sono stati istruiti. Così sultano veritieri nelle scienze, accorti nella prudenza, fecondi nell'eloquenza, ricchi di immaginazione nella poesia e pittura, di buona memoria nella giurisprudenza e non sarebbero né avventati né religiosi in modo distorto, come chi ritiene che niente sia vero se non è dettato da un maestro, Cosa in cui gli Antichi erano superiori. CAPITOLO IV SVANTAGGI DEL PROCEDIMENTO GEOMETRICO. Ora si deve vedere se il procedimento geometrico introdotto dai moderni nella fisica sia svantaggioso. sostiene che i fisici moderni sembrano come gli ereditari di una casa, che cambiano soltanto disposizione degli arrendamenti, così fanno i fisici insegnano la stessa fisica di quelli antichi, secondo lo stesso procedimento, giustificandosi che sia la natura stessa e che quindi in qualunque direzione ti rivolgi alla contemplazione dell'universo, troverai sempre la stessa fisica, Ma se la natura non fosse regolata da tale fisica e una sola regola fosse falsa (cosa già stata rivelata) essi non devono trattare con indifferenza la sicurezza della natura. Con la fisica noi moderni ricerchiamo il vero ma questo desiderio ci deve condurre a Dio che è la sola fonte di verità. Il procedimento geometrico afferma che le tesi della fisica siano insegnate attraverso le dimostrazioni geometriche. Tutti | fisici moderni, utilizzano quindi il metodo di discussione e poiché questa fisica sia mentre la si impara sia una volta appresa interferisce con | prossimi, offusca negli ascoltatori la facoltà dei filosofi ovvero il vedere qualità simili in cose lontane e diverse. I fisici inoltre iniziano i loro procedimenti a partire dai primi veri e per i secondi veri, mette in guardia gli uditori riguardo ai primi veri. E con questo metodo scuote dapprima le menti per poi scuotere gli animi. Ciò perché non tutti gradiscono un'unica forma, mentre tutti si compiacciono di un ottimo oratore. CAPITOLO V SVANTAGGI DELL’ANALISI in questo capitolo parla dell'analisi e si chiede se l'analisi è stata di aiuto alle nuovissime invenzioni della meccanica. Inventare novità, è virtù del solo ingegno; ma la geometria esercita l'ingegno. Inizia a fare una serie di esempi sulle nuove invenzioni dei nostri tempi, come il cannone, la nave di sole vele, l'orologio e cupole delle chiese, le quali precedono ogni divulgazione dell'analisi. L'orologio è stata un'invenzione degli antichi ma i nostri sono superiori. Anche le navi degli antichi erano magnifiche ma non erano di arte nautica, le nostre di sole vele sono della stessa potenza. E così via con tutte le macchine di guerra degli antichi. Ci spiega anche come gli architetti del tempo non pensavano che le cupole si potessero reggere sopra quattro punti sospesi, ma, ad esempio, Brunelleschi lo fece con Santa Maria del Fiore a Firenze. Ma ovviamente ci sono anche invenzioni sorprendenti prima che l'analisi venisse divulgata e soprattutto ci sono invenzioni che non sono riuscite nonostante l'utilizzo dell'analisi. Peter Perot Il costruì una nave secondo le regole dell'analisi. Ma non ci riuscì. Così Vico arriva a una conclusione, ovvero che si può dubitare di coloro che hanno accresciuto la meccanica con la geometria e non per opera dell'analisi. Affinché si coltivino gli ingegni nella meccanica si devono istruire gli adolescenti nella matematica attraverso le forme. CAPITOLO VI SVANTAGGI MEDICINA In questo capitolo Vico ci parla della medicina, più precisamente degli svantaggi che la medicina dei moderni ha portato rispetto a quella degli antichi. Noi crediamo con sicurezza di conoscere le cause delle malattie e non prestiamo però sufficiente attenzione ai sintomi formulando diagnosi. Gli antichi erano superiori In quanto sì concentravano maggiormente sui sintomi e quindi su cosa potevano ammettere e dimostrare; dai sintomi giudicavano la gravità e l'avanzamento. Oggi invece, i medici temporeggiano attendendo che la natura esca allo scoperto, invece gli antichi volendo preservare la salute del corpo prestavano più attenzione ai segni che la natura mandava della futura malattia in modo da essere prevista ed evitata. Le malattie sono sempre nuove e diverse, come diversi sono gli ammalati, per questo le malattie non possono essere delimitate tutte da una sola forma. Per questo è più sicuro seguire i particolari della malattia come gli antichi. CAPITOLO VII ELOQUENZA E PRUDENZA Qui Vico ci spiega come il più grande svantaggio del nostro metodo di studi sia il non dedicarsi alla morale. Quella morale che parla dei desideri e delle passioni dell'uomo in modo appropriato alla vita civile e all'eloquenza, delle virtù e dei vizi, del comportamenti rispetto l'età, al sesso, alla condizione, alla fortuna, alla stirpe, allo stato e dell'arte, della dignità, delle buone e cattive arti, dei caratteri dei comportamenti rispetto all'età, al sesso, alla condizione, allo Stato di ciascuno. Non indaghiamo la natura dell'uomo perché è resa incerta dall'arbitrio. Ma così gli adolescenti sono svantaggiati perché non agiscono nella vita civile in modo prudente, né sanno dare colore ad un'orazione con i costumi né infiammarla con le passioni. Chi usa la prudenza nella vita civile si cura del vero, raggiungono difficilmente i mezzi e i fini delle vicende umane e frustati dalle loro decisioni o ingannati da quelle degli altri, si tirano indietro. Le azioni degli uomini non possono quindi essere giudicate attraverso la regola della mente perché è rigida, ma bisogna valutare con la regola flessibile. Ed è qui che la scienza è differente dalla prudenza. La scienza ricerca un'unica causa per vari effetti della natura; la prudenza ricerca molte cause per un solo effetto della natura. La scienza guarda alle somme verità, la sapienza alle infime: così distinguiamo quattro caratteri umani. Abbiamo lo stolto che nella vita pratica non presta attenzione né alle somme verità né a quelle infime; l'iletterato scaltro guarda solo alle infime; il dotto imprevidente regola le infime sulla base delle somme e il sapiente regola le somme sulla base delle infime. Ma | veri sono eterni e i particolari falsi. Gli eterni esistono al di sopra della natura. Quindi il bene coincide con il vero e ha lo stesso valore e le stesse virtù. Per cui lo stolto pagherà sempre; il letterato gioverà magari di quelle astuzie oggi ma domani gli nuoceranno; il dotto prenderà una strada che lo porterà verso le tortuosità della vita e il sapiente allungherà il cammino ma prenderà decisioni che gli saranno utili nel tempo. Passando a parlare dei filosofi ci dice come un tempo erano considerati politici perché si occupavano anche delle faccende pubbliche, successivamente insegnavano sia la dottrina razionale che naturale e la morale ed infine oggi ci insegna le fonti di ogni orazione verisimile. Poi ci parla dell'eloquenza dicendo che ha a che fare non con la mente ma con l'animo, infatti è la facoltà che persuade al dovere. Ma è anche persuasivo chi induce lo stato d'animo voluto nell'ascoltatore. Così fanno i sapienti che si inducono tale stato d'animo con la volontà. Utilizzano delle strategie in modo tale che il volgo ascolti e in questo modo li persuade. Al compito di persuasione ci sì arriva tramite la filosofia che fa emergere nei sapienti le virtù, l'eloquenza che le accende nel volgo. Ma oggi l'eloquenza non regna più. Successivamente ci parla delle lingue e distingue quella francese da quella italiana. Quella francese è piena di sostantivi e per questo non infiamma i giudizi ne amplifica o accresce nulla, il loro verso più amplio è l'alessandrino che comunque li delimita e inoltre i loro due accenti fanno risuonare questa lingua in modo tenue e sottile, non adatta a grandi ritmi e a periodo ampli. Anche se adatta al genere didascalico. La lingua italiana suscita immagini, proprio per questo abbiamo superato le altre nazioni nella pittura, nella scultura, nell'architettura, nella musica. la nostra lingua a con sé similitudini e riesce a portare gli ascoltatori anche in luoghi lontani. Poi dice che chi non si dedica alla fisica, alla meccanica ma vuole dedicarsi alla vita politica, al tribunale, al senato o all'oratoria sacra, non deve indugiare e deve imparare la geometria attraverso figure con metodo ingegnoso; coltivi la topica e deve discutere della natura, dell'uomo, dello stato, al fine di comprendere ciò che di più probabile e verosimile sia nelle cose. Così che nel complesso i nostri non siano più istruiti degli antichi e gli antichi più eloquenti di noi; ma così uguagliamo nella sapienza e nell'eloquenza gli antichi, come li superiamo nella scienza. CAPITOLO VIII POESIA Vico ci parla della poesia. Afferma prima di tutto che la poesia è un dono di Dio, ma si può perfezionare con gli studi di lettere. E' necessario in un certo senso che coltivino il fiore di tutti gli studi. Tornando alla critica ricordiamo che ha affermato che nuoce alla poesia se insegnata agli adolescenti in quanto offusca la fantasia e cancella la memoria, e i migliori poeti sono fantasiosi e le loro muse sono la memoria e le sue figlie. Ma se gli adolescenti prima rafforzano la poesia e poi fossero istruiti sulla critica, secondo Vico, invece che danneggiare, gioverebbe ad essa: perché i fine dei poeti, il vero in idea o per generale, sia utile alla poesia. Secondo Vico i poeti seguono il vero: insegnano i doveri, descrivono i costumi, stimolano la virtù e distolgono dai vizi come fanno i filosofi, Ma i filosofi poiché hanno a che fare conii colti, lo fanno per genere, mentre i poeti poiché hanno a che fare con il volgo, persuadono attraverso le azioni e le parole dei personaggi nobili che inventano. Quindi i poeti si allontanato dalle forme quotidiane del vero ma al fine di arrivare a un vero più eminente, e abbandonano la natura incerta per seguire la natura costante, e in tal modo seguono il falso, per essere in qualche modo più veri. Questo modo lo usavano gli Stoici il cui esponente è Omero (Aristotele: artefice di inganni poetici). Per cui per gli stessi motivi per cui il fine degli studi danneggia la prudenza, giova alla poetica. La fisica moderna è conveniente alla poesia, in quanto, i poeti spiegano i fatti naturali delle cose attraverso essa. Come fanno anche con le parti del tempo che sono descritte da frasi usate in astronomia. Quindi poiché la fisica moderna descrive le immagini più sensibili delle cause soprattutto a partire dalla meccanica, della quale si serve come strumento, essa potrebbe provvedere i poeti di una classe di nuove espressioni. CAPITOLO XII DEGLI OTTIMI MODELLI DEGLI ARTISTI VANTAGGI E SVANTAGGI Vico ci parla dei modelli degli artisti. l'abbondanza di ottimi modelli sembra essere l'aiuto principale per gli studi che si basano sull'imitazione. Afferma che abbiamo numerosi modelli antichi che sono l'aiuto per gli studi che si basano sull'imitazione. | modelli antichi sono modelli ottimi che prima di loro non ebbero alcun modello a cui ispirarsi se non la natura. Quindi chi imita i modelli antichi degli artisti non può fare di meglio perché quanto cera di buono in natura è già stato preso dai primi. Afferma anche che non si possono eguagliare questi modelli perché non si ha né la fantasia sufficiente, né l'abbondanza di spirito, né la struttura di nervi. Quindi è inevitabile che non potendo né superarli né eguagliarli si faccia di peggio. Dice che ovviamente per creare qualcosa di così bello si dovrebbero distruggere gli ottimi modelli delle arti, in modo tale da avere ottimi autori. Ma tutto ciò sarebbe barbaro. Poi aggiunge che ovviamente anche nell'età moderna ci sono artisti molto bravi. Per questo invita questi artisti di allontanare da loro i vecchi modelli e concentrarsi ad imitare la natura, Chi invece non ha talento può usarli CAPITOLO XIII DEI CARATTERI TOPOGRAFICI Vico ci parla dei caratteri tipografici. | caratteri tipografici sono di grande aiuto nel nostro metodo di studi in quanto grazie ad essi abbiamo evitato gli svantaggi degli antichi: ovvero una grande spesa e lunghi viaggi per ricercare manoscritti che molte volte non potevi portarti con te o non potevi avere una copia. Ora invece sono In vendita in grande quantità e ad un buon prezzo. Ma forse a causa di questo siamo meno operosi e imitiamo. Quando i libri venivano scritti a mano i copisti ricopiavano solo i grandi autori e ad un prezzo esorbitante tanto che gli studiosi erano spinti a trascriverli. In questo modo si fa un sacco di esercizio in quanto scriviamo in modo ordinato, con calma e senza interruzioni. Ed infatti in tal modo è come se ci trasformassimo nell'autore stesso. Per questo secondo Vico i cattivi scrittori mancano di trascrizione. Grazie alla scrittura ci sono giunti | principali e i migliori autori e libri di ogni genere che però prima o poi sono dimenticati, disprezzati, trascurati o abbandonati. Così Vico ci spiega che ogni epoca ha il proprio autore e che esso essendo nuovo ha dei difetti. Gli scrittori inoltre rispettano lo stile di quell'epoca. Per cui secondo lui dobbiamo regolare la nostra lettura. Bisogna leggere prima gli antichi e poi essi ci aiuteranno a scegliere i moderni. CAPITOLO XIV DELLE UNIVERSITÀ. QUALI SVANTAGGI GENERANO E COME CORREGGERLI Vico ci parla delle Università degli studi. Ci dice che in antichità le università erano per i corpi, le terme ed il campo e non per istruire e coltivare gli animi. Questo perché a partire dai greci, il filosofo stesso corrispondeva a un'università perfettamente compiuta. | greci si avvalsero della loro lingua per esprimere la vita civile e le scienze e le arti. Quanto alle leggi, non le prendevano dagli altri, anzi le davano in dono agli altri. Per quanto riguarda la filosofia le discussioni erano sugli argomenti, in quanto ogni filosofo dominava le cose divine e umane e da loro si apprendeva ciò che era necessario conoscere. | Romani utilizzavano solo la loro lingua per le etimologie che a volta risultavano false proprio per questo. Le leggi le avevano prese dai Greci ma le avevano adattate e rese loro. Non avevano bisogno delle università perché la loro sapienza stava nella giurisprudenza che era in mano ai patrizi. Successivamente quando lo Stato divento principato, i misteri della giurisprudenza vennero divulgati furono fondate le accademie di Roma, di Costantinopoli e di Berito. Ma noi abbiamo bisogno delle università perché abbiamo così tanti libri, lingue, canoni, nazioni, storie da conoscere che non è sufficiente una persona sola. Per questo sono state istituite le università organizzate in generi di discipline, nelle quali si insegnano le varie discipline. Lo svantaggio però è che le arti e le scienze sono distinte e divise. Basandoci sugli antichi sì seguono differenti metodi per ogni disciplina e questo porta uno svantaggio perché non ci si basa su capi saldi Per questo il consiglio di Vico è quello che i docenti delle università adottino un solo sistema per tutte le discipline che sia appropriato alla religione e allo Stato e che si basi su una dottrina coerente. XV CONCLUSIONE DELLA DISSERTAZIONE Vico fa una conclusione in cui dice che spera che elencando i vantaggi e gli svantaggi del metodo di studi antico e moderno si possa creare un metodo migliore. Sostiene che se le sue riflessioni saranno vere allora sì sentirà realizzato, se false Il suo tentativo era onesto e chiede scusa. Spiega che si è fatto carico di intraprendere questo argomento da solo e che non voleva né biasimare gli altri né elogiare se stesso. Inoltre dice che spera di non aver fatto torto a nessuno elencando gli svantaggi. Ha fatto in modo di non citare gli autori di essi e se lo ha dovuto fare lo ha fatto con tutta l'umiltà possibile e il riconoscimento per questi autori. Spiega come ha cercato di scrivere ciò che pensava ma non in modo superbo, ovvero non voleva assolutamente abbellire i suoi pensieri in confronto ad altri.
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