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VIII CANTO INFERNO, Appunti di Italiano

riassunto dell'ottavo canto dell'inferno dantesco

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 04/02/2020

giacomo-giampietro
giacomo-giampietro 🇮🇹

4.3

(11)

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica VIII CANTO INFERNO e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! VIII CANTO INFERNO Il Canto è suddiviso in tre momenti che corrispondono all'apparizione del demone Flegiàs, all'incontro con Filippo Argenti e all'arrivo alla città di Dite, aventi come filo conduttore l'ira e l'immagine del fuoco che al peccato degli iracondi rimanda. L'inizio si ricollega a quanto detto alla fine del Canto precedente, in cui dopo la prima descrizione della pena degli iracondi era stata mostrata la torre che qui, in maniera misteriosa, scambia strani segnali luminosi con un'altra posta più addentro nella palude e il cui significato non è reso esplicito dal poeta. Forse è un richiamo per Flegiàs, il traghettatore demoniaco che non tarda ad arrivare sulla sua barca e reagisce con rabbia alla notizia che non potrà trattenere Dante nello Stige, mentre non è molto chiaro se la sua funzione sia quella di traghettare solo le anime degli iracondi o di tutti i dannati destinati al Basso Inferno: anche in questo caso la demonizzazione del personaggio classico è alquanto deformante rispetto all'originale, anche se è chiaro che il suo nome è da collegare etimologicamente alla fiamma (come il Flegetonte, il fiume caldo di sangue) e va ricordato che Flegiàs nel mito classico aveva incendiato il tempio di Apollo a Delfi, adirato perché il dio aveva sedotto sua figlia. In ogni caso anch'egli, nonostante la stizza con cui accoglie la presenza all'Inferno del vivo Dante, è costretto dal volere divino a farlo salire sulla sua barca e a condurlo attraverso la palude, dove avverrà il tempestoso incontro con Filippo Argenti. Costui era un fiorentino di parte Nera avverso a Dante e probabilmente suo nemico personale, appartenente alla consorteria degli Adimari e citato da Boccaccio nella stessa novella (IX, 8) in cui compare Ciacco: anch'egli reagisce con stizza alla presenza di Dante, di cui si stupisce che possa viaggiare da vivo nell'Aldilà, e rifiuta di rivelare il proprio nome per orgoglio, salvo poi avventarsi furioso contro il poeta nel momento in cui lui lo riconosce e lo fa oggetto di parole ingiuriose di condanna. Il breve e serrato scambio di battute fra Dante e l'Argenti è simile a un «contrasto» o a una «tenzone» della poesia comico- realistica, il cui tono domina largamente l'intero episodio, e ci riconduce al clima di lotte intestine e rivalità tra consorterie di cui era preda Firenze all'inizio del Trecento e delle quali si è parlato anche nel Canto VI. Le parole di Virgilio che benedice la madre di Dante, dopo avere scacciato con decisione lo spirito, vogliono essere una sorta di approvazione dell'odio e dello sdegno del poeta, che erano rivolti verso tutta la casata degli Adimari (secondo alcune testimonianze, essa si sarebbe opposta al suo rientro in Firenze dopo l'esilio e ne avrebbe usurpato i beni); il poeta latino sottolinea che molti in vita si ritengono altezzosamente dei gran regi, mentre il loro destino ultraterreno è di essere attuffati nel fango dello Stige come porci in brago, quindi Dante mostra qui la verità della condizione nell'Oltretomba che ristabilisce la verità e assegna a ciascuno il posto che merita, per cui il poeta è destinato alla salvezza e l'Adimari a subire l'orribile pena degli iracondi (anche in altri casi la descrizione delle anime rivelerà un destino assai diverso da quello che si pensava comunemente fra vivi sulla Terra). L'episodio si conclude con gli altri dannati che fanno a pezzi l'Argenti, soddisfacendo il personale desiderio di rivalsa del poeta che lascia la descrizione del personaggio con profondo disdegno (più non ne narro), in quanto la sua attenzione è catturata da ben altro spettacolo che si offre ai suoi occhi. La terza parte del Canto è infatti occupata dalla descrizione della città di Dite, che si staglia con le sue mura e le torri rosse per il fuoco che divampa all'interno, simili alle moschee di una città islamica: anche la reazione dei diavoli al suo interno è di stizza e ira, di fronte al viaggiatore che osa avventurarsi da vivo nel regno dell'Oltretomba, ed essi si oppongono al passaggio dei due poeti non diversamente dalle altre figure diaboliche fin qui incontrate, minacciando addirittura di trattenere lì Virgilio e obbligare Dante a tornare da solo sui suoi passi (la reazione del poeta è di autentico terrore, tanto che giunge a proporre al maestro di porre fine anzitempo al viaggio). Tale timore è in parte giustificato, poiché in questo caso non basterà l'intervento di Virgilio come allegoria della ragione umana (che infatti deve tornare indietro scornato dopo che i demoni gli hanno letteralmente chiuso la porta in faccia), ma si renderà necessario l'arrivo di un messo
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