Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Vincere le sfide con la sindrome di Down riassunto, Sintesi del corso di Pedagogia

Vivere con la sindrome di down non è facile. in questo libro vediamo strategie educative per aiutare i bambini affetti da questa malattia

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 16/10/2022

eliele10
eliele10 🇮🇹

4.3

(20)

4 documenti

1 / 16

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Vincere le sfide con la sindrome di Down riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! “VINCERE LE SFIDE CON LA SINDROME DI DOWN” CAPITOLO 1: UN PRIMO INCONTRO CON ROSA 1.1 INQUDRAMENTO DELLA SINDROME La prima vera descrizione con causa annessa della sindrome di Down risale al 1959 con Lejeune il quale identificò la presenza di un cromosoma in più nella coppia 21, che quindi innalza a 47 il numero complessivo di cromosomi. I b.bi affetti da sindrome di Down sono riconoscibili in quanto oltre ad un ritardo intellettivo e comunicativo sempre presente, associano una tipica fisionomia. In numerose situazioni la condizione è aggravata da difetti cardiaci congeniti che non richiedono sempre una correzione chirurgica. Sulla gravità del ritardo bisogna prestare molta attenzione perché i b.bi con la sindrome di Down sono molto sensibili all’influenza ambientale. Per quanto riguarda la sfera sessuale, i soggetti con la sindrome di Down sono molto meno fertili rispetto alle persone tipiche, anche se le femmine con questa sindrome sono generalmente più fertili dei maschi. Sono stati trovati un numero di geni inferiore a quelli previsti e questa relativa povertà può spiegare la maggior vita delle persone Down rispetto a quelle con altre trisomie. 1.2 EPIDEMIOLOGIA DELLA SINDROME DI DOWN Va considerato che i b.bi concepiti con trisomia 21 sono molti di più di quelli che nascono, in considerazione del fatto che il 78% delle gravidanze con feti affetti da trisomia 21 si interrompe spontaneamente e in molti altri casi avviene un aborto. Una ricerca ha messo in risalto come un’elevata percentuale di essi tendano a raggiungere un’età veramente significativa. I motivi di questo aumento nell’età di vita va innanzitutto ricercata nei progressi della scienza e in secondo luogo della maggior disponibilità e attenzione della popolazione verso questi soggetti. 1.3 LE DIVERSE FORME DI TRISOMIE La trisomia 21 è stata descritta in tre forme: libera, traslocata e a mosaico. La trisomia libera è la forma di gran lunga più frequente. Il b.bo possiede 47 cromosomi in quanto non è avvenuta una disgiunzione meiotica del cromosoma 21 di un gamete ed è anche detta forma sporadica. La trisomia traslocata è un’anomalia molto più rara. In questo caso il meccanismo che porta alla sindrome è la fusione del cromosoma 21 con un altro cromosoma. Lo zigote presenta quindi 46 cromosomi ma in uno è fuso il cromosoma 21. Questa forma di trisomia può essere ereditaria se un genitore è portatore di una traslocazione bilanciata (ha 45 cromosoma di cui in uno ne sono fusi 2). Nella forma a mosaico non tutte le cellule hanno 47 cromosomi, ma solo una parte. L’anomalia avviene dopo la prima divisione cellulare: può accadere quindi che una cellula contenga 47 cromosomi e un’altra 45 (quindi in quella da 47 è presente la trisomia). Il b.bo viene ad avere quindi non solo cellule normali ma anche quelle tipiche della sindrome di Down. 1.4 FATTORI DI RISCHIO PER LA SINDROME DI DOWN È stata ampiamente documentata la correlazione con l’età troppo avanzata della madre. Con l’aumentare dell’età della mamma, infatti la cellula uovo è più esposta a rischi i quali compromettono l’iter normale che la cellula compie per ottenere un corredo cromosomico costituito da 23 cromosomi. 2. LO SVILUPPO Sulla natura del ritardo di acquisizione delle varie tappe evolutive che si osserva nei b.bi con sindrome di Down, esistono due posizioni differenti: 1. i b.bi con sindrome di Down raggiungono le tappe di sviluppo con l’ordine e l’organizzazione simile ai b.bi tipici, seppure in maniera rallentata e senza arrivare al massimo livello 2. mette in discussione l’idea del semplice ritardo evolutivo per marcare la presenza di disomogeneità di sviluppo a carico di particolari funzioni, soprattutto di tipo cognitivo. Sembra confermato che nelle varie aree lo sviluppo non si compia lo stesso ritmo, venendosi a determinare sistemi di equilibrio molto particolari. 2.1 LA MOTRICITA’ I b.bi con sindrome di Down presentano sistematicamente ritardi e carenze a livello dello sviluppo motorio. Tali difficoltà sono da un lato connesse a deficit di tipo fisico e di controllo neuromotorio e correlate direttamente al ritardo cognitivo. Fra i problemi fisici associati alla sindrome di Down riveste grande importanza l’ipotonia muscolare e la lassità legamentosa che condizionano sia il raggiungimento delle principali tappe evolutive che l’acquisizione dei cosiddetti prerequisiti funzionali del movimento. Alcune tappe dello sviluppo motorio vengono raggiunte con un ritardo molto contenuto rispetto ai b.bi con sviluppo tipico, mentre l’acquisizione di competenze motorie che in genere si padroneggiano successivamente, i ritardi sono maggiori. Il ritardo motorio dei b.bi con sindrome di Down è legato all’ipotonia e alla mancanza di equilibrio, piuttosto che alla mancanza dello schema motorio. I b.bi Down inoltre hanno ritardi in tutte le componenti motorie: dalle capacità fini-motorie alla capacità grosso- motorie. Secondo una ricerca genetico-piagetiana evidenziano: - una successione regolare nella comparsa dei diversi stadi di sviluppo sensomotorio - progressivo rallentamento dello sviluppo con il progredire dell’età - modalità di integrazione tra i vari tipi di competenze analoga a quella dei b.bi con sviluppo tipico - rallentamento specifico per i b.bi Down nel passaggio da uno stadio a quello successivo. 2.2 ATTENZIONE, MEMORIA DI LAVORO E FUNZIONI ESECUTIVE Ogni atto attentivo si articola in tre fasi: l’orientamento verso determinati stimoli, la loro elaborazione e la risposta specifica. Questi aspetti così centrali risultano problematici nei b.bi con sindrome di Down, individuando difficoltà nella regolazione dell’atto attentivo all’interno delle relazioni iniziali con i genitori o altre persone. Ci sono quindi difficoltà attentive del b.bo Down nelle interazioni di tipo sociale, riconducibili alla difficoltosa organizzazione del proprio comportamento in funzione delle caratteristiche del contesto. Anche quando il b.bo cresce tende a mantenere difficoltà su tutte le dimensioni che caratterizzano l’attenzione, le quali esercitano un vero e proprio controllo esecutivo. Ulteriori elementi problematici riguardano la stabilità dell’attenzione. È evidente come questa funzione rivesta un ruolo fondamentale per l’apprendimento scolastico e come possa essere variabile da un allievo all’altro. Le ultime due dimensioni dell’attenzione che tendono a risultare significativamente carenti si riferiscono alla possibilità di spostare rapidamente il focus, in relazione alle richieste del compito, e a quella di avere un certo volume o capacità attentiva per poter affrontare le diverse situazioni sulle quali ci si concentra. Le componenti della memoria di lavoro deputate al mantenimento ed elaborazione di specifiche informazioni sono: - l’esecutivo centrale che rappresenta il nucleo della memoria di lavoro, in grado di svolgere funzioni attentive, di decisione e di controllo. - il ciclo fonologico che è un dispositivo capace di mantenere in forma fonologica un numero ristretto di informazioni. - taccuino visuo-spaziale, che è un sistema multiforme costituito da una componente visiva e una spaziale. in relazione alle situazioni che si presentano, alle novità dei problemi e del contesto. Il pensiero appare molto centrato sull’utilizzo di schemi precostituiti in ogni condizione. Vedi pagina 47 esperimento di Morss. Secondo l’impostazione piagetiana, si può dire che il periodo preoperatorio si caratterizza, nel b.bo Down, per una rigidità della funzione rappresentativa. Le immagini, i simboli e i segni non rappresentano cioè il punto di partenza per ulteriori elaborazioni mentali in sostituzione dell’azione affettiva. Solitamente verso i 5 anni i b.bi possono prevedere il risultato finale del movimento o di una trasformazione di un oggetto e solo dopo i 7-8 anni sono in grado di rappresentare il decorso. Per i b.bi Down questa capacità è molto ritardata fino all’adolescenza e i passaggi da un livello all’altro che, nei b.bi tipici avviene in maniera più o meno rapida, nei b.bi Down si osserva un rallentamento graduale dello sviluppo che sfocia nella stagnazione. La costruzione delle strutture operatorie del pensiero rimane incompleta e questo spiega l’impossibilità di ulteriori evoluzioni. 2.6 AFFETTIVITA’ ED EMOZIONI Lo sviluppo affettivo è strettamente connesso a quello cognitivo, per cui la mancanza di flessibilità che presentano le strutture mentali determina anche una difficoltà di organizzazione delle particolari reazioni che fanno capo alla sfera affettiva della persona. Alcuni studi hanno rilevato alcune debolezze nei b.bi con sindrome di Down nel riconoscere le emozioni di paura e sorpresa in immagini di visi che rappresentavano le sei emozioni primarie. I neonati e b.bi Down sorridono più facilmente a persone che oggetti e mostrano meno disagi rispetto ai b.bi a sviluppo tipico in fase di separazione dai genitori. Thompson e colleghi hanno dimostrato come i b.bi con sindrome di Down tendano a presentare un minor numero di reazioni di attaccamento alla madre. Serafica e Cicchetti hanno rilevato un atteggiamento positivo da parte dei b.bi con sindrome di Down in presenza di un estraneo, purché la mamma sia contemporaneamente presente. Queste risposte si modificano in base al comportamento dell’estraneo. I b.bi con sindrome di Down sono stati valutati più positivi nell’umore e più affidabili, ma anche più distraibili e meno tenaci. Questo a tutte le età. In generale si può dire che gli scambi affettivi che sperimenta il b.bo Down sono meno sfumati e più esclusivi, con una carenza sensibile nel differire la gratificazione e nel sopportare la frustrazione temporanea e con una maggior esigenza di sostenere la motivazione al compito attraverso rinforzi esterni. Lo sviluppo affettivo nel b.bo Down sembra più correlato all’età mentale che a quella cronologica anche se tende a seguire le tappe fondamentali sperimentate da tutti i b.bi. 2.7 SOCIALITA’ Anche dal punto di vista sociale, il b.bo Down manifesta significative difficoltà, che cominciano ad evidenziarsi fin dai primi comportamenti legati alle relazioni interpersonali alle quali si è già fatto cenno in precedenza. Vi sono differenze relativamente al sorriso fra i b.bi Down e a sviluppo tipico, sia per quanto riguarda l’epoca di comparsa ritardata di circa due mesi, sia la frequenza sporadica con cui si manifesta. La presenza di disturbi nell’abilità di comunicare ed in particolare nella capacità linguistica, costituisce un notevole ostacolo alla possibilità di interagire efficacemente con gli altri. Hanno difficoltà anche relativamente allo sguardo, non sempre orientato in maniera precoce verso la figura umana come avviene nei coetanei a sviluppo tipico. Presenta inoltre anche difficoltà nelle competenze relazionali mostrando caratteristiche e strategie di interazione inadeguate alle richieste del contesto sociale ed ambientale. Le modalità di interazione più frequente nei b.bi Down è l’attesa dell’iniziativa da parte dell’altro, soprattutto nel proporre attività o scambi di tipo sociale. È per questo motivo che i b.bi Down mostrano di preferire interazioni con persone adulte rispetto a quelle con i pari. Un ulteriore aspetto da considerare è lo sviluppo dell’abilità del gioco. I b.bi Down, nelle attività di gioco, mostra di non usufruire dell’aiuto dell’adulto e in particolare mette raramente in atto comportamenti di richiesta per riuscire nel compito; nelle stesse situazioni tende più frequentemente a mostrare comportamenti di attesa fin quando l’adulto comprende l’esigenza del b.bo e quindi fornisce suggerimenti o lo aiuta nel completamento dell’attività. Il gioco nel b.bo Down è reso problematico anche da altri elementi, fra cui la presenza di azioni ripetitive e inappropriate rispetto agli oggetti, i deficit dello sviluppo comunicativo e psicomotorio, le limitate capacità di memoria e autocontrollo, l’eccessiva instabilità emotiva dovuta spesso alla scarsa tolleranza di situazioni frustranti. I b.bi Down mostrano anche propensioni a comportamenti di tipo prosociale, anche se raramente dispongono di competenze per gestirli adeguatamente. Nel momento in cui si prevedono adeguate stimolazioni ci sono buone probabilità di sviluppare capacità adeguate relativamente all’area sociale. 2.8 NON SOLO DEBOLEZZE MA ANCHE PUNTI DI FORZA È importante sottolineare che gli individui con sindrome di Down non presentano un quadro cognitivo e funzionale statico, ma estremamente dinamico, che può modificarsi sensibilmente in relazione alle stimolazioni ambientali e agli stili di vita. 3. LA PROSPETTIVA DELL’INCLUSIONE E DELL’AUTODETERMINAZIONE Il ruolo rivestito dall’ambiente, con particolare riferimento ai contesti educativi, è assolutamente rilevante per supportare la costruzione di un’esistenza piena e soddisfacente. Il concetto di qualità della vita (QdV) costituisce il riferimento essenziale per orientare gli interventi nel ciclo di vita, rappresentando sia l’obiettivo di ogni iniziativa, che il parametro grazie al quale verificare l’efficacia e l’efficienza delle varie azioni che vengono messe in campo. Viene riconosciuta l’impossibilità di racchiudere il concetto di QdV all’interno di un costrutto monodimensionale; viceversa sono necessari modelli articolati su più dimensioni. Gli autori propongono una divisione della QdV in 8 domini: - benessere emozionale - relazioni interpersonali - benessere materiale - sviluppo personale - benessere fisico - autodeterminazione - inclusione sociale - diritti Questi domini fanno riferimento a condizioni soggettive ed oggettive. La novità consiste nel modulare questi domini su 3 differenti sistemi o contesti di vita: 1: il microsistema attinente alla crescita personale e alle opportunità di sviluppo 2: il mesosistema ossia i programmi e le tecniche di miglioramento ambientale 3: il macrosistema relativo alle politiche sociali Ciascun indicatore di QdV può svilupparsi in modo diverso nei tre sistemi. Il modello di Schalock e Alonso permette un’analisi della QvD attraverso il filtro delle politiche educative e sociali del contesto di vita. Questo modello appare molto interessanti per il rilievo attribuito alle dimensioni dell’inclusione e dell’autodeterminazione, che risultano centrali nella prospettiva del progetto di vita. Il concetto di inclusione  concepire fin dall’inizio una progettualità rivolta a tutti, tenendo conto delle differenze ma orientandosi a promuovere per ciascuno le migliori opportunità per una crescita personale. La stessa cosa va sviluppata a livello di inclusione sociale, con l’attribuzione di ruoli significativi a tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione. Parlare di educazione inclusiva significa quindi fare i conti con le differenze La dimensione dell’autodeterminazione  è altrettanto centrale nella prospettiva della qualità di vita in quanto mette in evidenza come ogni persona debba essere messa nelle condizioni di operare delle scelte, anche quando presenta rilevanti compromissioni come conseguenza di situazioni di disabilità. Un individuo è dotato di autodeterminazione quando agisce come agente causale primario della propria vita e quando le sue decisioni relative al proprio benessere sono libere da condizionamenti o da influenze esterne. Il concetto di agente causale  è centrale in questa prospettiva teorica e si riferisce al fatto che la persona mette in atto delle azioni o ha la forza e l’autorità per farlo, al fine di incidere su alcuni aspetti della propria vita. La persona autodeterminata agisce come agente causale con l’intento di strutturare il proprio futuro e il proprio destino. C’è uno stretto rapporto tra autodeterminazione e QvD soggettivamente percepita: i livelli di autodeterminazione sono risultati nettamente più bassi rispetto alla QvD. Le politiche educative e riabilitative si sono rivelate efficaci nel fare cose per persone disabili, migliorando la loro qualità della vita. Si tratta adesso di creare le condizioni di vita affinché le persone imparino a far le cose per se stesse mantenendo elevati i livelli di autodeterminazione. Il potenziamento e/o il mantenimento di adeguati livelli di autodeterminazione costituisce un primo fondamentale obiettivo di un approccio orientato alla QvD. Questa enfasi sulle diverse dimensioni della QvD va a connettersi con la delineazione degli esiti connessi al progetto educativo da promuovere nel ciclo di vita. Possiamo individuare tre livelli da considerare in maniera integrata: - esiti clinici e riabilitativi - esiti funzionali - esiti personali CAPITOLO 2: I PRIMI ANNI, MOLTI GIOCHI MA POCHI SOSTEGNI Qualsiasi programma che si concentri esclusivamente sul b.bo senza prestare attenzione al suo ambiente di riferimento ha solitamente effetti limitati. L’intervento precoce è molto più complesso e articolato della sola messa a disposizione di trattamenti riabilitativi riferiti alle specifiche difficoltà; richiede infatti: - una continuità nel tempo degli stessi interventi - un’attenzione e una guida per il corretto sviluppo della dimensione educativa, promossa sia nel contesto domestico che in quello istituzionale - supporto alla famiglia - opportunità sociali per aprirsi al proprio contesto e sperimentare situazioni di reale inclusione. 1. PROGRAMMI DI STIMOLAZIONE PRECOCE I b.bi con sindrome di Down incontrano difficoltà e ritardi in queste fasi iniziali dello sviluppo, per cui appare sicuramente opportuno promuovere azioni di aiuto precoce. A partire dagli anni ’70 del secolo sono stati sviluppati vari programmi di intervento precoce per b.bi con sindrome di Down. Andando per ordine i primi tentativi di metter in campo azioni di aiuto sistematiche e di valutarne gli effetti sono da ascrivere a Hyden e Haring, Rynders e Cunningham. I risultati di questi programmi sono stati contradditori: la Hyden ha concluso che l’intervento era positivo pur non portando analisi sistematiche dei risultati; Rynders invece ha evidenziato che i riscontri del programma di stimolazione promosso non potevano sostenerne una diffusione e generalizzazione; Cunningham ha messo in risalto come la sola azione sviluppata da operatori socio-sanitari non era risultata sufficiente per determinare risultati duraturi. Pur in presenza di risultati poco chiari e univoci, aa tali programmi deve essere attribuito comunque il merito di aver sostanzialmente modificato lo stereotipo culturale che vedeva come inutile l’intervento sistematico per il b.bo Down ritenuto ineducabile e di aver dato il via ad un’ampia proliferazione di programmi ad intervento precoce. L’intervento sul b.bo di tipo prettamente riabilitativo ha finito per lasciare il posto ad una visione maggiormente di sistema, con al centro la famiglia indirizzata e supportata dai servizi specialistici ed educativi. Tutto ciò con un duplice intento di rendere l’azione maggiormente efficace e creare le condizioni per una sua prosecuzione nel tempo, al fine di poter meglio mantenere e potenziare le abilità acquisite. Sono stati indagati soprattutto gli effetti sulle competenze comunicative, mettendo in evidenza come una maggiore frequenza e durata delle stimolazioni incida positivamente sulle acquisizioni dei b.bi Down. - procedure di elaborazione delle info e di pensiero che è opportuno vengano stimolate Le prime due dimensioni ricalcano aspetti centrali evidenziati nelle linee guida del CAST: presentare i contenuti con modalità che possano incontrare le particolarità di tutti gli allievi e consentire agli stessi di dimostrare quanto hanno appreso attraverso forme personalizzate di azione e di espressione. La terza dimensione considera cosa avviene fra la presentazione degli stimoli e le risposte che gli allievi manifestano. Si deve cercare di interrompere quel circolo vizioso all’interno del quale si propone una visione ancora separata della didattica: da un lato quella per la maggior parte degli allievi, dall’altra quella per alcuni allievi con bisogni educativi speciali. Nella proposta no viene considerato il terzo principio delle linee guida del CAST, riferito ai mezzi per coinvolgere gli allievi da punto di vista emozionale. PAG 107- 108. IL GIOCO COME ELEMENTO CHE CONNETTE La convenzione dei diritti dell’infanzia prevede il diritto al gioco come tra i diritti inalienabili dei bambini. Il gioco nella scuola dell’infanzia è fondamentale anche per i bimbi con sindrome di Down poiché è un’opportunità per dimostrare le proprie potenzialità consentendo di interagire con pari a sviluppo tipico, i quali fungono anche da modello per il raggiungimento di una maggiore autonomia. I bimbi con disabilità preferiscono il gioco solitario, che non deve essere considerato un segno di immaturità ma come un indicatore di sviluppo. Esso, infatti, attraverso l’uso di giochi e la sperimentazione permette di sviluppare l’autoregolazione e il gioco simbolico. Va tuttavia favorito anche il gioco sociale attraverso situazioni in cui vengano abbattute possibili barriere e promosse forme di facilitazione da parte dei compagni e degli adulti. L’insegnante deve promuovere forme di gioco significative dall’interno, essendo presente e partecipe, supportando esperienze cinestetiche, emozionali, cognitive a livello individuale e di gruppo. Va inoltre sottolineato che alcune delle modifiche che vengono pensate ed effettuate nell’ambiente e che fungono da facilitatori per i soggetti disabili, se correttamente introdotte e gestite nel gruppo classe, possono diventare importanti anche per gli studenti tipici. Il gioco fornisce la possibilità di libera sperimentazione, divertimento e favorisce l’interazione e l’inclusione. È anche un’attività didattica ma solo se non finisce per trasformarsi in attività riabilitativa. ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI, SPAZI, MATERIALI E ATTIVITA’ Pagina 111 e 112: come deve essere strutturato lo spazio dentro l’asilo e perché Per i b.bi con sindrome di Down lo spazio ha importanza in quanto è in grado di facilitare il loro coinvolgimento e farli partecipare più agevolmente, rendendoli maggiormente attivi nel loro agire quotidiano. Rallenta la capacità di adattamento rapido ai cambiamenti, per cui poter disporre di un ambiente rassicurante e comprensibile è la base per costruire apprendimenti significativi Pagina 113- 114: organizzazione dei tempi nell’asilo La presenza della disabilità intellettiva è una condizione penalizzante in quanto la successione delle attività e la loro conclusione può diventare difficilmente identificabile se sostenuta soltanto da indicazioni verbali. Tutto ciò rende molto utile prevedere indicazioni visive delle attività almeno fino a quando non hanno ben compreso l’organizzazione. Il Box richiama delle attività che è utile organizzare sulla base di specifiche routine, ossia di compiti e situazioni ricorrenti in grado di scandire la vita quotidiana. Pagina 115- 116: organizzazione dei materiali e attività nell’asilo Bisogna progettare attività molto flessibili che possano essere svolte anche in piccoli gruppi, all’interno dei quali b.bi che già frequentano dagli anni precedenti possano rappresentare una presenza rassicurante per i più piccoli e per coloro che hanno bisogni speciali. È importante coniugare aspetti routinari con elementi di novità e mettere a disposizione materiali e giochi che siano motivanti e stimolino l’iniziativa. Vanno privilegiate, almeno inizialmente, attività di breve durata in maniera da dare comunque ad ogni allievo l’idea di compito concluso. In questo modo si rinforza il senso di autoefficacia e di stima di sé, si potenzia la motivazione a fare e si instaura la prassi o la routine della pausa, del riposo, del gioco alla fine di un’attività. 2. LE ATTIVITA’ DIDATTICHE: APPRENDIMENTI E RELAZIONI In primo luogo l’importanza all’educazione all’autonomia, che rappresenta l’obiettivo principale per il b.bo Down che comincia a frequentare la scuola dell’infanzia, attraverso un’adeguata organizzazione dei tempi e delle routines e attraverso l’utilizzo di determinati facilitatori. L’autonomia si insegna esercitandola e insegnando a correre qualche rischio. Strettamente connesso con l’educazione all’autonomia deve esserci enfasi riferita alla comunicazione, da ricercare e attivare in tutte le forme possibili. I problemi di comunicazione oltre che essere alla base di difficoltà di apprendimento e relazione, si connettono spesso anche con la manifestazione di problemi comportamentali, che rappresentano, in molte situazioni, dei tentativi di entrare in relazione con l’ambiente. Nella scuola dell’infanzia bisogna stimolare l’intenzione comunicativa, dare importanza e riscontro ai messaggi che il b.bo emette considerandoli atti comunicativi e stimolare i compagni a insistere nei loro atteggiamenti comunicativi. Una certa rilevanza è da dare alla sequenza “attesa-segnale” nella comunicazione, attraverso cui la trasmissione di un segnale di attesa è finalizzato a fornire uno stimolo discriminativo alla risposta comunicativa che si attende dall’altro. Un altro elemento fondamentale è l’educazione della componente socio-emozionale che è strettamente collegato con il tema dell’inclusione. Nella scuola dell’infanzia l’azione didattica è centrata sulla comprensione delle emozioni e autocontrollo. Essi vengono guidati a capire come il loro comportamento possa avere un’influenza sugli altri e viceversa. Un ultimo aspetto importante è dato dalla narrazione, sia per quanto concerne l’ascolto che il raccontare. Attraverso essa i bambini possono esprimere la loro immaginazione e i vissuti personali. Le funzioni della narrazione investono il piano ludico, affettivo, comunicativo e cognitivo. È molto importante anche che le maestre aiutino i bimbi a parlare di sé per far sì che costruiscano e organizzino il significato del proprio mondo. CAPITOLO 4: SCUOLA PRIMARIA La padronanza degli strumenti culturali di base è molto importante per i b.bi in condizione di disabilità: più solide sono le capacità acquisite nella scuola primaria, maggiori saranno le probabilità di inclusione sociale e culturale attraverso il sistema dell’istruzione. 1. PERCORSI PER PROMUOVERE L’INCLUSIONE La prospettiva inclusiva si persegue attraverso percorsi per la personalizzazione, individuazione e differenziazione dei processi di educazione, istruzione e formazione, definiti e attivati dalla scuola in funzione delle caratteristiche specifiche degli allievi. Si possono così individuare tre linee di lavoro per promuovere una scuola davvero inclusiva: - organizzazione del contesto come ambiente di apprendimento favorevole, motivante e accogliente - utilizzo di un approccio didattico finalizzato a promuovere l’inclusione durante tutte le attività - attenzione da porre alle esigenze particolari di alcuni allievi, con riferimento all’ambito delle disabilità 1.1 ATTENZIONE AL CONTESTO Quando si parla di contesto educativo inclusivo si fa riferimento, oltre che all’ambiente fisico, anche ad un’organizzazione e coordinamento fra le diverse figure coinvolte sia interne che esterne alla scuola, alla progettazione di curricoli inclusivi e creazione di un clima adeguato in classe. In riferimento all’ambiente fisico, si fa riferimento al fatto che esso può contribuire al piacere di viverci o alla creazione di condizioni sfavorevoli per lo stabilirsi di un buon clima e per l’apprendimento e le relazioni. A livello organizzativo facciamo riferimento all’interazione qualitativa fra insegnanti e dirigente, della programmazione congiunta dei docenti, del funzionamento adeguato dei gruppi di lavoro per l’inclusione e del coinvolgimento delle famiglie. Per quanto riguarda la progettazione del curricolo facciamo riferimento alla differenziazione didattica che ha il fine di promuovere processi di apprendimento significativi per tutti in un clima educativo che favorisce il lavoro con modalità differenziate. 1.2 STRATEGIE DIDATTICHE IN FUNZIONE INCLUSIVA La didattica inclusiva si caratterizza per un orientamento metodologico ricco di strategie diverse. Una di queste è la costruzione collaborativa della conoscenza che porta ad enfatizzare il ruolo che possono assumere le interazioni fra pari per favorire gli apprendimenti, anche con allievi disabili. Le principali strategie che si fondano su questi principi sono il peer tutoring e il cooperative learning. Nella categoria delle strategie cognitive e metacognitive sono presenti quegli approcci didattici rivolti ad insegnare come si apprende che si basano sul potenziamento delle funzioni cognitive e sulla consapevolezza dell’alunno. La creazione di un clima positivo, la possibilità di creare relazioni e collaborazioni anche al di fuori della classe dipende anche dall’adeguata gestione della dimensione emozionale che insieme alla componente cognitiva regola il comportamento di ogni individuo. L’educazione sociale e prosociale favorisce la messa in atto di azioni didattiche in grado di promuovere negli alunni comportamenti di lettura dei bisogni dell’altro e condotte di aiuto finalizzate al loro superamento nel rispetto sempre delle caratteristiche dell’altro. Un ruolo importante è anche rivestito dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) le quali possono assolvere dalle funzioni abilitanti a svolgere attività di base per l’esperienza scolastica, a quella di supporto ad una progettazione didattica avanzata per l’intera classe, attraverso l’utilizzo di software didattici e della potenzialità della rete. Il loro impiego può rappresentare un vantaggio per tutti al fine di promuovere una didattica veramente inclusiva. 2. APPRENDERE LE ABILITA’ STRUMENTALI I b.bi con sindrome di Down rappresentano difficoltà legate ai deficit motori, cognitivi e linguistici, anche se il percorso per migliorare tali competenze gli viene offerto come agli altri individui, solo in maniera differente. Gli allievi con sindrome di Down tra la fine delle elementari e l’inizio delle scuole medie hanno abilità di lettura-scrittura di due anni superiore rispetto alla loro età mentale, soprattutto per la lettura. 2.1 LA LETTURA Gli allievi con sindrome di Down manifestano buone capacità nella lettura di parole regolari e irregolari, ma presentano difficoltà nella lettura delle non-parole. Relativamente alla comprensione della lettura, le differenze sono molto consistenti dimostrando le problematiche cognitive nella comprensione linguistico- semantica e anche i deficit esecutivi legati alla difficoltà di spostare rapidamente l’attenzione dagli aspetti legati alla decodifica alla ricerca del significato delle parole stesse nella MLT. Nonostante ciò l’acquisizione della lettura è un obiettivo centrale. Nel caso in cui i bimbi con sindrome di Down non riuscissero ad acquisire una lettura sillabica o fonemica va favorito l’uso di strategie fondate sul riconoscimento della parola scritta. Le attività di discriminazione fonologica devono essere più intense e lunghe rispetto ai bimbi tipici. Possono essere previsti compiti di discriminazione fra parole associate a disegni o parole simili per suono per arrivare alla segmentazione delle sillabe e dei fonemi che compongono una parola. Si passa poi alle attività di fusione uditiva, che consiste nella capacità di costruire una parola partendo prima dalle sillabe e poi dai fonemi. A queste attività si uniscono quelle di associazione grafema-fonema finalizzato a consolidare e velocizzare la direzione della lettura. È utile anche fare parallelamente un percorso sulla lettura lessicale di parole intere. A questo livello vengono proposte attività sull’accoppiamento visivo, la ricerca della parola da associare al disegno, il memory di parole ecc. Molto importante è che queste attività siano progettate con il concorso sinergico del personale scolastico, degli specialisti e delle famiglie 2.2 LA SCRITTURA (PAGINA 141) Nei b.bi con sindrome di Down si nota spesso un’impugnatura della penna poco funzionale alla scrittura perché presentano difficoltà con le abilità coordinative che consentono di tracciare segni come linee o rendendolo partecipe alle attività della classe, cercando di fargli cogliere alcuni elementi dell’argomento trattato. PEI (Piano Educativo Individualizzato), si deve scegliere fra due percorsi: - Curriculare (obiettivi minimi), porta ad un conseguimento di un regolare titolo di studio: i docenti indicano gli obbiettivi minimi della loro materia che l’alunno con sindrome di Down dovrà raggiungere per ottenere una valutazione positiva. - Differenziato che consente solo la frequenza nella scuola e porta al rilascio di un attestato dei crediti conseguiti e non del diploma: si prevedono obbiettivi per l’allievo nettamente difformi rispetto all’ordinamento di studi della classe (contenuti adeguati per l’alunno). La scuola deve informare la famiglia di questa scelta, la quale ha la facoltà di opporsi (in questo caso l’alunno seguirà il PEI ma con una valutazione definita in base al livello della classe). 2. DIVENTARE GRANDI: AUTONOMIE SOCIALI E IDENTITA’ PERSONALE Il processo dell’adolescenza per i ragazzi affetti da sindrome di Down è più complesso e richiede sostanzialmente due condizioni complementari: da un lato l'acquisizione di una serie di competenze per vivere nell'ambiente, interagire adeguatamente e fruire dei servizi della comunità; dall'altro diventare grandi significa sentirsi tale e vedersi riconosciuta questa condizione dall'ambiente di vita. Il primo elemento fa riferimento alle autonomie sociali. Tutto ciò richiede uno sforzo congiunto di tutte le agenzie, dalla famiglia, alla scuola, all'associazionismo, ai servizi specialistici. L'autonomia si sposta da dentro a fuori casa e investe le aree della comunicazione, orientamento, comportamento in strada, uso del denaro e dei servizi. Molto importante è l'uso dei social network. È necessario aiutare gli allievi con sindrome di Down a costruirsi un'identità personale orientata in questa direzione, che poi è alla base della motivazione a non continuare a comportarsi come eterni bambini. Le false illusioni non aiutano a crescere, mentre una condizione di realtà, adeguatamente sostenuta e supportata, può concorrere a costruire una corretta percezione di sé. La sensibilità e la professionalità degli insegnanti di solito costituiscono i fattori principali che favoriscono gli scambi amicali, soprattutto quando vengono attivate iniziative in cui la presenza del compagno o della compagna con sindrome di Down non solo è gradita, ma anche ricercata dai compagni. 3. LA SCUOLA CHE SI APRE AL TERRITORIO In questo periodo verso la conquista e il riconoscimento di un ruolo commisurato all'età ha molta importanza costruire progetti “veri”, nei quali anche gli allievi con sindrome di Down e con altre forme di bisogni speciali possono ricoprire un ruolo. Esistono varie esperienze etichettate come “buone prassi” che hanno riguardato progetti sportivi, di gestione del tempo libero, di collegamento con associazioni culturali e di volontariato, di raccordo con il mondo del lavoro. Tali progetti, preparati anche all'aspetto attraverso l'organizzazione di specifici laboratori didattici hanno dato risultati significativi. Purtroppo la scuola fa ancora molto fatica ad organizzare tutto ciò ed a garantire la piena presenza di tutti gli allievi. Dunque l'alternanza scuola-lavoro rappresenta un'ottima possibilità nella prospettiva dell'inclusione, individuando però scelte coerenti con le attitudini e con le specificità degli studenti (in relazione con il PEI). 4. GLI ESAMI: PER TUTTI NON FINISCONO MAI. Nel primo ciclo di istruzione, la valutazione avviene sulla base del PEI, cioè dei traguardi che sono stati previsti per l'allievo, i quali possono essere adattati e modificati in itinere per renderli significativi e raggiungibili. L'unica situazione che prevede il rilascio di un attestato di credito formativo invece del diploma è quella che si viene a determinare nel momento in cui l'allievo in situazione di disabilità non si presenta all'esame finale. Nella secondaria di secondo grado la situazione si viene a modificare e diventa centrale il tipo di programmazione che viene prevista per l'allievo in situazione di disabilità: per obiettivi minimi oppure differenziata. Nel caso in cui la valutazione globale di fine anno non risultasse soddisfacente, l'allievo potrà ripetere l'anno, mentre se si rivelassero esiti negativi in alcune discipline, il consiglio di classe può deliberare dei debiti da saldare a settembre o entro il termine dell'anno successivo. L'esame finale si svolgerà con prove specifiche non equipollenti, coerenti con il percorso svolto, finalizzate solo al rilascio di un attestato di credito formativo, nel quale sono indicati gli elementi informativi relativi all'indirizzo e alla durata del corso di studi seguito, alle discipline comprese nel piano di studi, con l'indicazione della durata oraria complessiva destinata a ciascuna delle valutazioni, anche parziali, ottenute in sede di esame. Tutto ciò deve essere coerente con l'obiettivo specifico della scuola secondaria di secondo grado, che è quello di garantire la frequenza agli studenti con disabilità, ma non il conseguimento del titolo di studio.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved