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VIOLENZA PSICOLOGICA E GASLIGHTING, Tesi di laurea di Criminologia

Tesi master di II livello: analisi della violenza psicologica sotto differenti punti di vista, medico, sociale e giuridico, con una maggiore attenzione sul fenomeno del gaslighting.

Tipologia: Tesi di laurea

2019/2020
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Scarica VIOLENZA PSICOLOGICA E GASLIGHTING e più Tesi di laurea in PDF di Criminologia solo su Docsity! Master Universitario di II livello in Criminologia Clinica e Scienze Forensi A.A. 2018/2019 Violenza domestica e GASLIGHTING: Quando la violenza diventa invisibile Relatore Candidato Prof. ssa Caterina De Falco Dott.ssa Natasha Becuzzi 2 Ai miei genitori, che mi sostengono in ogni mio sogno A chi la violenza la subisce ogni giorno, affinchè trovi la forza di denunciare e iniziare a vivere 5 2.1.3 L’ approccio Sociologico ………………………………………………..…....40 2.1.3.1 Un fenomeno sociale………………………………..……….42 2.1.3.2 Sfondo socio-culturale del Gaslighting.……………..……....46 2.1.3.3.Fenomenologia della violenza e tipi di relazione…….............48 2.1.4 Approccio medico legale …………………………………………………......50 2.1.4.1 Conseguenze sanitarie…………………………………........51 2.1.4.2 La Prevenzione della violenza…….………………………...56 CAPITOLO 3 3.1 Un fenomeno mondiale…………………………………………………………58 3.2 Confronto con gli Stati Uniti…………………………………………………...60 3.3. Confronto con il Regno Unito………………………………………………….63 CONCLUSIONE…………………………………………………………………...…..67 BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………….70 SITOGRAFIA………………………………………………………………………….76 RINGRAZIAMENTI…………………………………………………………………...77 6 INTRODUZIONE Nella società odierna, la violenza sulle donne sta aumentando vertiginosamente in tutte le sue forme, quella fisica, psicologica, economica, sessuale, oltre a forme di violenza nuove più vili e difficili da identificare. I dati ISTAT sono allarmanti e le organizzazioni come l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite o l’OMS cercano di definirla, individuandole cause, modalità e conseguenze. Nel primo capitolo verrà affrontato il tipo di violenza più diffusa, ossia la violenza domestica, molto più subdola, perché perpetrata in famiglia, in quel luogo in cui abitualmente si ricerca protezione e rifugio dalle angherie del mondo esterno; è proprio lì che tale violenza si consuma, come comportamento volontario, con cui l’uomo intende stabilire il controllo ed esercitare il suo potere sulla partner. Questo tipo di violenza non si manifesta apertamente, ma emerge in modo infido, esprimendosi in forma ciclica, seguendo quello che Leonor Walker (1979) definì “modello ciclico della violenza” a quattro fasi. Tra i tipi di violenza, quella fisica è senza dubbio la più evidente, lascia segni visibili sul viso e sul corpo e troppo spesso le donne arrivano al pronto soccorso in gravi condizioni; nonostante questo, il numero di casi sommersi è elevatissimo e la maggior parte delle donne, sceglie di non chiedere aiuto, spinta dalla paura e della vergogna. Talvolta di fronte a gravi aggressioni, trovano la forza di sporgere denuncia, in seguito alla quale cessano gli attacchi fisici, ma si intensificano offese e attacchi verbali denigratori. Sono proprio questi attacchi, uniti a minacce, intimidazioni e molestie, a costituire la violenza psicologica, la quale può causare ingenti danni alle vittime ed è molto più difficile da riconoscere, sia per la mancata consapevolezza delle donne stesse, sia per le complicazioni incontrate nel dimostrare gli atti denunciati. La violenza psicologica si fonda sul controllo dell’altro: sfruttando la gelosia patologica, infatti, l’uomo riesce ad isolare la compagna e a creare l’ambiente idoneo per dare sfogo a umiliazioni e minacce. Per prevenire queste forme di violenza ed agire al meglio nel sostegno delle vittime, è opportuna un’attenta analisi criminologica ed una maggiore comprensione del fenomeno. Nella ricerca delle cause, sono proposte varie ipotesi: quelle più accreditate sembrano essere cause psicopatologiche e sociologiche, ma è importante tener presente che come in tutti i fenomeni psicopatologici, non vi è mai una causa unica, bensì una combinazione di cause differenti. Per riuscire a comprenderle è necessario approfondire le caratteristiche degli autori di reato e delle vittime, le loro modalità relazionali, i meccanismi messi in atto, come la deumanizzazione, con cui l’uomo priva la donna della sua identità e umanità, 7 riuscendo così a compiere su di lei qualsiasi forma di violenza. Tra queste, ve n’è una che sta emergendo negli ultimi anni: il Gaslighting. Nel secondo capitolo, si tratterà proprio tale fenomeno, per il quale solo da poco tempo si è manifestato l’interesse degli studiosi, psicologi, psichiatri, medici e della popolazione, ma che merita molta attenzione, data la caratteristica del comportamento di mimetizzarsi e mascherarsi sotto mentite spoglie, di farsi passare per l’opposto di sé, ossia per un comportamento attuato a fin di bene e a favore della vittima. In seguito alla descrizione del fenomeno, si evidenzia l’importanza di un approccio multidisciplinare, indispensabile per un accurato inquadramento dello stesso, che verrà descritto in primo luogo da un punto di vista giuridico, soffermandosi sulle le norme e le conquiste raggiunte dalla giurisprudenza italiana e rinforzando i grandi passi avanti ottenuti nella regolamentazione di nuove forme di violenza come il revenge porn, reato attualmente sempre più diffuso. Successivamente, l’analisi diverge verso un approccio sociologico, indispensabile per uno sguardo sulla società attuale e gli aspetti transculturali ad essa connessi. Si analizza il cambiamento della società nel tempo, gli effetti che questo ha avuto sulle relazioni e di conseguenza sulla violenza perpetrata in esse. Si sposta poi l’attenzione su un approccio medico-legale, sottolineando le importanti conseguenze mediche e sanitarie collegate alle violenza, allo scopo di sensibilizzare alla prevenzione di tali comportamenti, attraverso conoscenza e informazione. L’ultimo capitolo è dedicato ad un confronto internazionale: la violenza psicologica infatti ed in particolare il Gaslighting, non sono limitati all’ Italia o all’ Europa, ma mostrano dati simili in tutto il mondo, con differenze numeriche legate al substrato culturale; per questo si ritiene proficuo confrontare la situazione Italiana con quella di altri due paesi, Canada e Regno Unito. Il primo attivo nella raccolta e nell’ analisi dei dati riguardanti il fenomeno, offre uno spunto di riflessione e si pone come modello per gli altri paesi nella lotta contro la violenza, mentre il Regno Unito con il suo metodo Scotland, ha portato ad un calo notevole delle violenze sulle donne, oltre ad aumento sostanziale di autori di reato sottoposti a procedimento penale, pur offrendo contemporaneamente alla vittima il supporto necessario. L’efficacia del metodo sopracitato potrebbe offre agli altri paesi una guida per l’imitazione dello stesso, riducendo così la violenza sulle donne in tutta Europa e fermando questo fenomeno tristemente diffuso in una società sempre più moderna, aperta e paritaria. 10 Si procederà analizzando la prima di queste, che sarà poi definita violenza domestica. Nel 1996 infatti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) prova a delineare una delle prime definizioni di violenza domestica intesa come: “Ogni forma di violenza fisica, psicologica, o sessuale che riguarda tanto soggetti che hanno, hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, quanto soggetti che all’interno di un nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo” Secondo la “Teoria della ruota del potere e del controllo”, la violenza domestica include una serie di comportamenti: la violenza psicologica ed emotiva; la violenza fisica e sessuale; l’uso della coercizione, di minacce e di intimidazioni; l’isolamento; la minimizzazione e la negazione di colpe; l’utilizzo strumentale dei bambini; l’uso dei privilegi maschili; la violenza economica. Queste forme di violenza non sono isolate le une dalle altre, ma spesso si verificano contemporaneamente. Non sono quindi violenza solo le percosse, le ferite o le ossa rotte, ma anche le minacce, gli insulti, i riscatti, le umiliazioni, la derisione, il prendere la donna per pazza, spesso in presenza dei figli terrorizzati, l’impedirle d’incontrare i propri amici o familiari e l’imposizione violenta dei rapporti sessuali. Le deprivazioni economiche vanno dal ridurre al minimo il denaro di cui può disporre, al controllo asfissiante sul suo uso, al prosciugamento del conto bancario, al coinvolgimento forzato in spericolate operazioni finanziarie, al mancato pagamento dell’assegno stabilito dal Giudice in sede di separazione legale. La violenza domestica è la forma di violenza più diffusa, continua a colpire donne in tutto il paese: è un comportamento intenzionale, infatti il suo scopo è di stabilire ed esercitare il potere e il controllo su un'altra persona e a volte sui figli. Si tratta di vere e proprie strategie finalizzate a esercitare potere sull’altro, utilizzando modalità di comportamento atte a controllare, umiliare, infliggere paura e denigrare la donna. Questo tipo di violenza non si manifesta apertamente, ma emerge in modo subdolo e si esprime in forma ciclica, seguendo quello che Leonor Walker (1979) definì “modello ciclico della violenza” a quattro fasi. La fase iniziale è l’intimidazione, in cui il partner crea uno stato costante di paura, minacciando la donna di lasciarla se non farà ciò che lui chiede. Egli manifesta in modo indiretto la sua violenza, attraverso silenzi ostili, tono irritato, freddezza. 11 E’ chiaro come questa tensione abbia origine da pensieri di natura ossessiva tra cui tentativi di colpevolizzazione. Talvolta a questa fase non viene dato peso, poiché in linea con cultura occidentale, questo comportamento può essere confuso con la gelosia e la donna tende a minimizzarne la gravità. Questa fase coincide con un periodo di isolamento in cui il partner chiede di evitare le uscite, di non chiamare i colleghi o gli amici e questo lentamente conduce la donna a perdere i suoi punti di riferimento e a ritrovarsi sola, allontanata dal resto del mondo. Inevitabilmente ciò crea maggiore tensione all’ interno della coppia, in cui il compagno/marito inizia a svalutare la donna, utilizzando qualsiasi pretesto per umiliarla o farle sentire incapace. In alcuni casi in questa fase, il partner potrà mettere in atto comportamenti di segregazione, con i quali cercherà di limitare ancor di più i contatti, ad esempio impedendo alla donna di lavorare. E’ a questo punto che si manifesta un’escalation della violenza, fino all’ esplosione, dovuta all’ accumulo di tensione nella fase precedente. L’ aggressore esprime la propria rabbia con violenza psicologica e fisica, la vittima tenta di placare l’uomo e si sente restando ferma, a subire in silenzio questa situazione. La violenza è sempre seguita da una terza fase: quella della riconciliazione o detta luna di miele. Questa fase è caratterizzata da false riappacificazioni, in cui il partner chiede scusa, acquista regali, implora di perdonarlo, promettendo che non accadrà mai più. Se la coppia ha figli può accadere che l’uomo faccia leva su di loro, minacciando di toglierli. L’ultima fase ha come protagonista la responsabilità. L’uomo attribuisce a cause esterne la colpa delle sue azioni. Ecco che è colpa dello stress, del lavoro e dei soldi se lui perde il controllo. La donna stessa è ritenuta causa della violenza perché l’ha provocato o non ha fatto come le era stato detto. Così facendo la colpa ricade sulla vittima, provocandole un forte senso di colpa per non essersi comportata diversamente. Questo procedimento di deresponsabilizzazione ha serie conseguenze: le false scuse dell’uomo contribuiscono a mantenere la sua situazione di vantaggio, mentre la donna, sommersa dai sensi di colpa, continua a tollerare la situazione. La terza fase, che vede l’uomo impegnato a riconquistare la fiducia della donna, con il passare del tempo avrà una durata sempre più inferiore. La prima e seconda fase, l’accrescimento della tensione e la violenza, si verificheranno con sempre più frequenza, finché la donna capirà che non può né controllare né cambiare il proprio partner. Il fenomeno della violenza domestica risulta essere diffuso in tutti i paesi e in tutte le fasce sociali; gli aggressori appartengono a tutte le classi e a tutti i ceti economici, senza distinzione di età, razza, etnia. Le vittime spesso non denunciano il fatto per paura o vergogna. 12 1.2 LA VIOLENZA FISICA E’ difficile, se non impossibile, tracciare una netta distinzione tra casi di violenza fisica e psicologica, poiché spesso queste due modalità di perpetrare violenza si sovrappongono creando situazioni dolorose, insostenibili, da cui è difficile uscire. E’ comunque possibile specificare cosa si intende per violenza fisica, annoverando comportamenti come spintonare, torcere le braccia, dare pungi, dare calci, colpire, strangolare, ferire, ustionare, morsicare. La gravità delle lesioni fisica può variare da ematomi, escoriazioni, ossa e denti rotti e lesioni permanenti, fino ad arrivare alla morte. Alcuni uomini fanno molta attenzione a non lasciare traccia, scegliendo atti violenti come colpire al ventre, spintonare o tirare i capelli o un tentativo di strangolamento che è facile da coprire con un semplice foulard. Altre volte però la rabbia è così forte, che perdono completamente la ragione e si scatenano contro le donne con una violenza inarrestabile, che porta quest’ultime a raggiungere il pronto soccorso in condizioni gravissime: spesso con fratture nasali, perforazioni del timpano o arcata sopraccigliare in frantumi. Rientra quindi in questa forma di violenza l’aggressione fisica grave, che provoca ferite e richiede cure mediche immediate, ma anche ogni altro contatto fisico che miri a spaventare e a controllare la persona. “[…] aveva deciso che lui era l’uomo della sua vita, e invece è stato l’uomo della sua morte. Una morte lunga, iniziata quando lei aveva appena 15 anni. Lui era un buono a nulla, un incapace, non riusciva ad avere amici. E si sfogava su di lei, la umiliava. Le dava lezioni, a calci pugni e schiaffi, davanti agli “amici[…] ” 1 La violenza fisica a volte può manifestarsi anche in maniera indiretta, ad esempio torturando un animale di casa o attraverso le percosse verso un figlio avuto da una relazione precedente. Nella maggioranza dei casi, la violenza fisica viene messa in atto, solo se la donna reagisce alla violenza psicologica; è come se attraverso i colpi, il corpo della donna venisse segnato e lei non avesse più alcuna arma per resistere, se non accettare il 1 Informazioni prese dal sito http://www.inquantodonna.it/donne/adelina-bruno/. 15 parole offensive e sgradevoli. Il compagno denigra la donna, facendola sentire sbagliata ed inutile in quello che fa o ancor peggio per ciò che è; può arrivare a mettere in dubbio la sua sanità mentale, portandola a dubitare di se stessa, a svilire le sue capacità e a rimproverarla continuamente per come tiene la casa, i bambini, la cucina o per aspetti legati a lei stessa, quali il suo aspetto fisico, il modo di vestire o la famiglia. “Bastava che mi vedeva tranquilla o chiacchierare felicemente con qualche amica mia, lui prendeva a pretesto un vasetto di omogeneizzato lasciato da parte per dirmi che ero un’incapace, che non ero capace a far niente, che avevo bisogno di una balia e altre cose così”2. In alcuni casi le umiliazioni possono riguardare anche il piano sessuale e creano nella donna vergogna e imbarazzo, al punto da rifiutarsi di parlare e di farsi aiutare. Un’ arma che l’uomo può usare a suo favore, sono le intimidazioni tra cui sbattere la porta, rompere oggetti, giocherellare con un coltello: tutti atteggiamenti messi in atto allo scopo di terrorizzare la compagna, anche con aggressioni indirette. Emerge infine una forte indifferenza alle richieste affettive e il rifiuto di interessarsi al partner: l’uomo mostra disprezzo o rigetto verso i bisogni della compagna, rifiuta di conoscere i suoi amici o la famiglia, ignora le sue esigenze o i suoi sentimenti, non si interessa dallo stato fisico o psicologico della compagna, avanzando richieste inadeguate e incoerenti con i bisogni della compagna, come fare le faccende di casa quando è ammalata. Quando non riesce ad ottenere ciò che desidera, utilizza le minacce, sostenendo di portarle via i bambini, lasciarla senza casa o senza denaro o suicidarsi. Talvolta la violenza psicologica può coesistere con un altro tipo di violenza: quella economica, in cui l’uomo fornisce alla compagna solo una piccola parte di denaro, decidendo come lei dovrà spenderlo, togliendole ogni libertà. La violenza psicologica può configurare i reati di ingiurie (art. 594 c.p.), di minacce (art.612 c.p.), di violenza privata (art. 610 c.p.), di maltrattamenti contro i familiari quando le vessazioni sono abituali (art.572 c.p.) e nei casi più gravi si può arrivare al reato di sequestro di persona (art. 605 c.p.) 2 Cit. in : Gainotti M. A. , Pallini S., La violenza domestica, Edizioni Magi, Roma, 2008, p.21 16 1.3.1 ANALISI CRIMINOLOGICA La questione che riguarda la violenza maschile contro la donna, ha assunto una maggiore rilevanza sul piano internazionale, a partire dalla fine degli anni ’90, determinando in numerosi paesi, un significativo impegno nei confronti delle tante condotte di cui sono vittime le donne in ragione della loro appartenenza sessuale. Purtroppo, la scarsa conoscenza sul piano quantitativo del fenomeno, è una delle maggiori criticità che da sempre sono emerse in relazione alla possibilità di implementare in modo efficace le misure di prevenzione e di repressione della violenza. La lacuna concerne sia la generalità delle condotte con cui prende forma e si manifesta la violenza, sia l’incidenza delle diverse tipologie di violenza e perciò anche il grado di vittimizzazione a carico delle donne. Lo studio della violenza domestica implica e necessita l’utilizzo di vari strumenti. Non si può infatti analizzare un fenomeno tanto articolato e complesso con i soli mezzi offerti dalla giurisprudenza o da quelli offerti da una singola disciplina o scienza. Non si può pensare di analizzare il fenomeno senza tener conto dei cambiamenti storico- culturali e degli stereotipi che caratterizzano la nostra società. Per i suddetti motivi la criminologia si presenta come uno strumento adeguato, essendo quest’ultima la scienza che studia la fenomenologia dei reati e le cause della criminalità e delle condizioni (biopsichiche e sociali) che fanno dell’«uomo delinquente» un individuo diverso dai cittadini che rispettano la legge. I dati quantitativi sul fenomeno e il peso degli eventi delittuosi riguardanti la violenza contro la donna è uno dei modi fondamentali per sviluppare un approccio analitico e critico basato su una conoscenza sempre più approfondita delle forme e delle modalità di agire violenza, anche con riferimento alla gravità dei singoli fatti di reato e alle variazioni che si possono registrare nel tempo, ovvero alle trasformazioni stesse del fenomeno. Un’ attenta analisi criminologica ed una maggiore comprensione del fenomeno sono fondamentali per prevenire ed agire al meglio nel sostegno alle vittime di violenza, garantendo loro una maggiore protezione. La violenza nei confronti delle donne sta assumendo dimensioni drammatiche, come emerge dai fatti di cronica e questo nonostante siano avvenuti notevoli cambiamenti nella società negli ultimi cinquant’ anni o forse in relazione a questi. I ruoli sono cambiati, il divorzio permette di scogliere il vincolo matrimoniale e la riproduzione è oggi una scelta autonoma e responsabile e non un’imposizione sociale. 17 Ecco che sorprende come in uno scenario così moderno, così impregnato di libertà e consapevolezza possa persistere la violenza domestica. E’ opportuno dunque approfondire le cause di quest’ ultima, anche se ancora oggi c’è molto disaccordo tra gli studiosi. Differenti ordini di cause sono in discussione: la corrente biologica, che si riferisce all’ etologia di Lorenz e a S. Freud, ritiene che l’uomo più delle donne possieda pulsioni aggressive che le rendono violento, mentre una seconda prospettiva ritiene che certe caratteristiche psicopatologiche, sono associate alla violenza coniugale: tra queste si annoverano stili di attaccamento insicuro o disorganizzato, disturbi di personalità, come quello narcisistico o difficoltà di comunicazione. In linea con la corrente sociologica, invece, sono strettamente correlati con la violenza coniugale, lo stress socio-economico e l’identificazione con ruoli di genere tradizionali e oggi superati. Infine secondo un’analisi femminista, la violenza maschile, funziona come meccanismo di controllo, nel mantenere la donna in una posizione sociale inferiore. Questo bisogno di controllo ha le sue radici nella disuguaglianza di potere tra uomo e donna, che appare come un ostacolo nella realizzazione della parità tra uomo e donna. (Art. 13 della Dichiarazione sulla politica contro la violenza verso le donne in una Europa Democratica, Roma, 1993, in: Jaspard, 2006). Attualmente le ipotesi più accreditate sono quelle psicopatologiche e sociologiche, ma è importante tener presente che come in tutti i fenomeni psicopatologici, non vi è mai un’unica causa, ma una combinazione di differenti cause. 20 1.3.3 CHI SONO LE VITTIME La vittimologia è la scienza che si dedica allo studio della vittima del crimine, della sua personalità, delle sue caratteristiche morali, culturali e sociali, della sua relazione con il criminale e nel ruolo che quest’ ultima ha assunto nella genesi del crimine (Gullotta, 1976). Lo studio della vittima si occupa della natura dell’azione criminosa, della reazione emotivo-comportamentale al momento dell’aggressione e della rielaborazione cognitiva dell’evento traumatico. Il vittimologo, dovrebbe inoltre mettere in luce i fattori di rischio della vittima stessa, rintracciabili nella sua storia personale e nelle sue caratteristiche personologiche, al fine di prevenire ulteriori vittimizzazioni. La donna, secondo quanto emerso da molti studi condotti nell’ambito della vittimologia, rientra nella “Victim proneness”, ovvero soggetti che manifestano una sorta di predisposizione a essere vittimizzati. Sono individui che sono più esposti all’aggressione e perciò più vulnerabili. La maggior parte delle donne vittime di violenza, subiscono tale situazione tra le mura domestiche. In relazione alle vittime di violenza domestica, i dati ISTAT mostrano numeri allarmanti: la violenza psicologica, è maggiormente diffusa tra le donne più giovani (35% per le 16-24enni rispetto ad una media del 26,5%) e tra le donne con titoli medio alti (29,9% per le diplomate e 27,1% per le laureate o con titolo di studio post- laurea). Presentano tassi più elevati anche le donne che vivono al Sud o nelle Isole, le donne in cattiva salute (35,3%) e con limitazioni nel condurre le attività quotidiane (31,4% se gravi, 33,6% non gravi). Le donne straniere presentano percentuali di violenza psicologica più elevate delle italiane (34,5%), tra queste emergono le donne marocchine (50,9%), seguite da moldave, cinesi, rumene e ucraine. Le donne cinesi, in particolare, presentano tassi elevati (33,3%) contrariamente ai bassi tassi di violenza fisica o sessuale dal partner. Le caratteristiche delle donne che subivano violenza psicologica dall’ex partner, hanno un profilo analogo alle donne che la subiscono tuttora nella coppia. Emergono tra le straniere donne marocchine e rumene. I dati ISTAT mostrano i numeri di questo fenomeno, ma psicologi e sociologi da tempo si interrogano sull’ esistenza di caratteristiche comuni alle vittime e di conseguenza sulla possibilità che vi siano persone più predisposte al rischio di aggressione: tale eventualità dipende da una serie di fattori come il degrado ambientale, lo status socio-economico, oltre che da caratteristiche della vittima stessa. Tra queste annoveriamo le caratteristiche personologiche, come età, genere, disabilità fisiche e psichiche, condizione medica, stato civile o etnia e componenti psicopatologiche, come disturbi dell’umore, disturbi di personalità, alcoolismo, 21 tossicodipendenza. Infine un notevole numero di studi ha dimostrato nei soggetti abusati, c’è una alta correlazione tra situazioni di violenza subite in passato e il rischio di subire ulteriori violenze o diventare loro stessi soggetti violenti. E’ comunque opportuno precisare, che non è possibile tracciare un profilo psico-comportamentale unico delle vittime di violenza domestica; ciò che le accomuna è la vergogna, l’imbarazzo, l’isolamento e l’inibizione emozionale. Nella violenza domestica la donna mette in atto un meccanismo di difesa, chiamato “processo di vittimizzazione”, che ha l’obiettivo di favorire l’adattamento alla nuova situazione maltrattante. Questo processo segue alcune fasi: in un primo momento la violenza si abbatte con un forte impatto sulla vita delle vittime, lasciando la donna sommersa da un dolore fisico e psicologico e bloccata dal senso di impotenza, così la prima reazione sensata è la negazione. La vittima cerca di dimenticare l’accaduto, minimizzando le conseguenze e talvolta il bisogno di dimenticare è così intenso, che riesce a seppellire il ricordo negli abissi della memoria. Nella fase successiva, entra in gioco un meccanismo diverso, quello dell’onnipotenza: la donna infatti cerca di assumere atteggiamenti per compiacere il compagno e tenta in ogni modo di cambiarlo; questo le concede maggiore controllo nella relazione, ma anche maggiore responsabilità, al punto da sentirsi terribilmente in colpa di fronte al verificarsi di una nuova aggressione. La donna infatti si sente completamente responsabile ed è convinta che se si fosse impegnata di più, sarebbe riuscita ad evitare un’ulteriore violenza, ma la sua incapacità e il fallimento di questo intento, la portano a perdere stima e fiducia in se stessa, così quest’ ultima si trova impotente ed inerme di fronte al compagno. Ecco che si troverà a oscillare tra momenti in cui il desiderio di controllo è forte e momenti d’impotenza totale. G. Gullotta individua due tipologie di vittime, quelle fungibili e quelle infungibili. “Sono vittime infungibili quelle che possiedono una relazione intersoggettiva con l’autore del reato, tra le vittime di questo gruppo vi sono quelle per imprudenza, le volontarie (come per l’eutanasia) cosiddette per via del loro stesso consenso a procacciare il delitto, le vittime alternative (sono o vittime o agenti, come nelle risse), le provocatrici (vittimizzate in seguito a una loro precedente condotta). La seconda tipologia è la vittima fungibile. “Sono vittime fungibili quelle che possiedono una relazione con l’agente, il quale non ha scelto intenzionalmente quella data vittima. Queste vittime sono accidentali perché non solo non hanno nessun rapporto con l’autore, ma non ne hanno neanche favorito la condotta criminale”. La donna vittima di violenza domestica, può essere considerata vittima infungibile: essa è legata all’ autore di reato, ha con lui una relazione amorosa e 22 spesso condivide la stessa abitazione all’interno di relazioni potenzialmente distruttive. Una delle domande che attanaglia chi studia da tempo il fenomeno, è perché le donne vittime di violenza domestica, accettino questa situazione. E’ stato osservato che il genere femminile, interiorizza dall’ adolescenza un modello familiare, in cui la cura dell’altro è al primo posto e una volta adulta, lo mette in pratica nella sua nuova famiglia. L’attenzione della donna è quindi completamente rivolta al benessere della famiglia e ai suoi bisogni, che lei cerca in ogni modo di soddisfare, perdendo il suo valore e appoggiandosi all’ uomo per quanto riguarda l’ambito economico e lavorativo; ciò crea una dipendenza dal compagno. I fattori elencati fin qui, sono tratti tipici della relazione tra l’uomo e la donna, frutto di condizionamenti sociali perpetuati da secoli. Tuttavia, questa condizione non necessariamente porta al verificarsi della violenza: la presenza di quest’ultima invece, può portare a una degenerazione nella relazione. E’ possibile analizzare più accuratamente le diverse tipologie di relazioni e i meccanismi relazioni che si instaurano all’ interno di esse. 25 CAPITOLO 2 2.1 IL GASLIGHTING Il termine Gaslighting ha origine dal titolo di un film inglese “Gaslight”, del regista americano Georg Cukor e narra la storia di una coppia, in cui il marito, attraverso vari inganni, come l’alterazione delle lampade a gas, spinge la moglie a dubitare di se stessa e delle sue capacità mentali, fino a condurla alla pazzia, allo scopo di nascondere il suo tradimento. Da allora con Gaslighting, neologismo introdotto dagli psicologi americani, si indica la più alta gradazione di crudeltà, machiavellismo patologico, ricatto emotivo e violenza relazionale; è un comportamento altamente manipolatorio, che spinge l’alto a dubitare di se stesso e delle proprie facoltà mentali, minando la fiducia che la vittima ripone nei suoi giudizi e mettendo in discussione le sue percezioni e valutazioni. Il gaslighter confonde la vittima, fino a convincerla di essere o di stare per diventare pazza. Il modo più semplice per riuscire in questo intento, è convincere una persona che la sua percezione della realtà, dei fatti e dei rapporti personali è sbagliata e irreale; è sufficiente negare che non sia mai successo ciò a cui la vittima ha assistito, convincerla di aver detto o fatto qualcosa che in realtà non ha mai detto, accusarla di inventare storie, di deformare intenzioni e parole dell’altro o di immaginare minacce e nemici inesistenti. Questo comportamento distrugge la vittima, che si sente spossata e perde energie mentali e fisiche. Tale fenomeno, viene alimentato da accuse che il gaslighter rivolge alla partner per giustificare le sue azioni o per motivare rabbia e violenza, ciò potrebbe comportare una reale convinzione da parte della vittima della sua responsabilità, anche solo dovuta alla sua fragilità. Questo atteggiamento della vittima, non è certo direttamente proporzionale con la sua l’intelligenza: l’affettività è cosa diversa dall’intelligenza e l’intelligenza spesso non riesce ad interagire con successo con l’affettività. Il Gaslighting si presenta come un fenomeno suddiviso in differenti fasi fondamentali e può causare gravi danni psichici, anche a lungo termine alla vittima. Nella prima fase emerge una distorsione della comunicazione, il gaslighter inizia ad introdurre il dubbio, per creare confusione nella vittima e aumentare la sua incertezza. Nella seconda fase, detta dell’incredulità, la vittima è confusa e sconvolta, non mette ancora completamente in dubbio ciò che vede e sente: non crede al suo gaslighter, ma neppure a ciò che lei stessa percepisce, inizia ad avere dei dubbi sulla veridicità dei suoi pensieri 26 e delle sue affermazioni. Nella terza fase, detta difesa, la vittima tenta di difendersi e cerca di convincere il gaslighter, dell’assurdità delle sue affermazioni, si attacca alla realtà e cerca disperatamente prove della veridicità dei suoi pensieri. Nell’ ultima fase, quella depressiva, la vittima non ha più la forza di combattere, si arrende e si convince che il gaslighter ha ragione, arriva a credere di essere pazza e ormai insicura e dubbiosa di se stessa, si sente completamente vulnerabile e dipendente dall’ altro. Il manipolatore, noto come "narcisista perverso" è una persona dall'acuta cattiveria che impone un amore finto, malsano il quale imprigiona il partner in una relazione tossica e anaffettiva. Un vero e proprio "massacro" psicologico in cui la vittima si convince di essere inetta, piena di difetti e siffatta condizione la rende più vulnerabile e facilmente assoggettabile al controllo del gaslighter. Il crudele manipolatore è vuoto di sentimenti, incapace di vivere in maniera vera e genuina l'amore e la sua megalomania, l'assenza di empatia e d'interesse per gli altri, la totale negazione dell'identità altrui, la fredda distanza affettiva celano, spesso, frustrazioni, insoddisfazioni personali o relazioni fedifraghe. Il gaslighter non agisce mai casualmente; al contrario utilizza specifiche strategie, per prima la svalutazione progressiva: per svalutare la propria vittima, inizialmente il manipolatore maligno può utilizzare una leggera ironia, criticando la forma fisica, il modo di vestire o di parlare, in seguito inizia a criticare, sempre meno velatamente abitudini di vita, aspetti caratteriali, amicizie o familiari, fino ad insinuare dubbi sulla moralità dell’ altro, sulla sua onestà, intelligenza e lealtà. Conoscendola bene, va a colpire i suoi punti di riferimento affettivi e la isola dalla sua cerchia sociale. Spesso è la vittima stessa a distruggere i legami residui, spinta dal desiderio di compiacere il compagno e di farsi apprezzare ed elogiare da lui. Già in questa prima fase, il gaslighter ha il controllo della situazione e mette in atto il condizionamento, ossia la somministrazione di piccoli premi (una cena, parole di stima, sesso), ogni volta che la vittima sembra essere sul punto di crollare o quando asseconda le richieste da lui mostrate. La sessualità svolge un ruolo particolare in relazioni di questo tipo: infatti, mentre la vittima vive questo momento come un attimo di tregua, di passione, di vicinanza emotiva e totale fusione con l’altro, per il gaslighter è solo un’ulteriore modalità per definire il senso di possesso dell’altro. Infine per punire la vittima, il manipolatore usa il silenzio, strategia eccellente per esplicitare il disconoscimento dell’altro. Il persecutore infatti, si allontana e mantiene silenzio e distanza anche per 27 lunghi periodi di tempo, nei quali la vittima tende a colpevolizzarsi e commiserarsi per aver causato una rottura così lunga, dovuta necessariamente a gravi errori, da lei commessi. Incapace di tollerare il distacco, la vittima tornerò dal gaslighter, più debole che mai, disposta ad accettare le sue condizioni. Esistono tre differenti tipi di gaslighter: il bravo ragazzo, l’affascinante, l’intimidatore. Il primo di questi sembra dedicare attenzioni alla vittima, ma ciò che lo spinge in realtà è il suo narcisismo e il desiderio di soddisfare i suoi bisogni. Tale atteggiamento però inganna la vittima, che si sente accolta, compresa e protetta e si convince che solo lui la conosce veramente e può sapere di che cosa lei ha bisogno. L’affascinante invece utilizza tutte le sue doti seduttive per influenzare la vittima ed esercitare un ascendente su di lei, si tratta di un “gioco” pericoloso, poiché è una seduzione a senso unico, infatti il gaslighter non si lascia coinvolgere, ma esercita il suo fascino distanziandosi emotivamente per impossessarsi della vittima e manipolarla a suo piacimento. Infine l’intimidatore, a differenza dei precedenti, ha un comportamento più diretto e mette in atto comportamenti aggressivi e ostili. Anche se l’abuso psicologico è una delle più antiche manifestazioni di violazione dell’altro, il Gaslighting resta ancora oggi difficile da individuare e dimostrare, oltre che una delle più subdole da curare, per questo non è possibile affrontarlo da un unico punto di vista o attraverso una sola disciplina, per conoscere questo fenomeno è necessario un approccio integrato e multidisciplinare. 30 2.1.2 DAL PUNTO DI VISTA GIURIDICO Attualmente, come spiegato in precedenza, non esiste il reato di violenza psicologica, ma quest’ ultima può essere inserita in reati già citati nel codice penale, ma ovviamente, affinché un reato possa essere considerato tale, deve essere dimostrato e la domanda è proprio come si possa dimostrare una violenza psicologica, dal momento che non vi sono lesioni fisiche o gesti tangibili. Tale violenza può comunque essere dimostrata, attraverso degli accorgimenti come registrazione di chiamate o sms, fotografie, testimonianze di persone fidate, registrazioni audio e video, che riprendono i comportamenti dell’aggressore. Questo è sufficiente per sporgere denuncia, che potrà essere fatta in forma orale, in cui la persona descrive oralmente la fattispecie di reato o in forma scritta, attraverso la compilazione di un apposito modulo, disponibile negli uffici delle forze dell’ordine. In entrambi i casi, è fondamentale fornire più dettagli possibile in relazione ai luoghi, ai tempi e ai fatti; saranno poi le forze armate a verificare di che tipo di reato si tratta. E’ importante precisare, che nelle categorie degli illeciti endofamiliari, vengono comprese tutte quelle condotte qualificabili come contra ius, che si sviluppano all’ interno delle mura domestiche e vanno a violare diritti di tuti coloro che appartengono alla famiglia stessa. L’ applicazione della Lex Aquila e quindi della responsabilità extra- contrattuale, disciplinata dal Codice Civile, art. 2043, ha trovato molte difficoltà all’ interno del contesto di natura familiare. In passato un comportamento che andava a pregiudicare gli interessi di un componente del nucleo familiare, non doveva essere risarcito, ma era ritenuto un fatto socialmente giustificato; fortunatamente grazie all’ evoluzione normativa e giurisprudenziale, si è assistito ad un radicale cambiamento, conferendo importanza a qualunque condotta illecita all’ interno della famiglia, volta a pregiudicare i diritti inviolabili della persona e di conseguenza a limitare le prerogative di ciascun membro familiare. Ledere i diritti connessi allo status familiare infatti, comporta un aggravamento della responsabilità del soggetto agente e attualmente il risarcimento del danno non patrimoniale è previsto nel caso in cui il coniuge violi i doveri nascenti dal matrimonio e i diritti dell’altro coniuge. La violenza domestica rientra negli illeciti endofamiliari. Nel caso del Gaslighting, sul piano della tutela penale, il legislatore non ha ancora inquadrato tale fenomeno in una fattispecie di reato, ma la giurisprudenza ha evidenziato nella condotta del gaslighter, tre fattispecie di reati: “Violazione degli obblighi di assistenza familiare” (art. 570 c.p.), “atti persecutori” (612 bis c.p.) e “maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli” (572 c.p.); ovviamente in questi casi occorrerà dimostrare 31 come gli atti lesivi siano finalizzati a compromettere la salute psicologica della vittima, con gravi conseguenze sull’ equilibrio psicofisico e relazionale della stessa, oltre a pregiudicare, a volte irreparabilmente, la sfera psichica ed emotiva del soggetto leso. Le conseguenze sono inevitabili e il pretium doloris che ne consegue, intendendo con esso la realizzazione della persona e la formazione della sua personalità, violano i principi sanciti dalla Costituzione, agli art. 2 e 32. Questo giustifica il ricorso all’ Autorità Giudiziaria, con l’obiettivo di richiedere un risarcimento del danno a seguito della dimostrazione di un nesso di causalità tra condotta pregiudizievole ed evento psicologico dannoso che ne è conseguito. 2.1.2.1 NORME, DISPOSIZIONI E CONQUISTE GIURIDICHE Le figure di reato citate non sono però delineate solo per offrire un’effettiva tutela in presenza di condotte lesive della personalità psico-fisica del coniuge e dei propri figli, ma anche per salvaguardare la morale e l’ordine in famiglia, oltre al corretto adempimento degli obblighi corrispondenti. Fino a pochi anni fa la violenza domestica era considerata una questione meramente privata, con la conseguenza che molti atti rimanevano nascosti ed ignoti, la prospettiva, ora, specie grazie all’istituzione di organismi, pubblici e privati che hanno come scopo la tutela dei soggetti “deboli”, appare mutata, anche se tutt’ oggi le violenze domestiche rimangono condotte assai difficili da accertare e perseguire. Si analizzeranno approfonditamente disposizioni codicistiche e norme coinvolte: • Art. 570 c.p. Violazione degli obblighi di assistenza familiare La norma dispone che “chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla patria potestà, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge; fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa. Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del 32 precedente comma. Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un'altra disposizione di legge”. Sebbene la norma inizi con “chiunque” è evidente che si tratta di un reato proprio, e cioè che può essere commesso solo dal coniuge, genitore, tutore, ascendente e discendente. Soggetto passivo ovviamente può esser il coniuge, il coniuge legalmente separato non per sua colpa, i figli anche naturali ed adottivi. Si riscontra una violazione dell’art. 570, quando viene violato l’obbligo di assistenza morale o quando tale condotta abbia come scopo dissipare i beni del coniuge, violando quest’ ultimo dei mezzi di sussistenza. L’art. 570 è costituito da un primo comma, riguardante l’abbandono del domicilio o la condotta contraria all’ ordine e alla morale e un secondo comma, comprendente malversazione e dilapidazione di beni o mancata prestazione dei mezzi di sussistenza; dove per malversazione si intende la cattiva gestione di colui che si appropria o distrae beni a proprio profitto, mentre per dilapidazione si intende la dissipazione, anche parziale seppur consiste del patrimonio. Questi non necessariamente sono in rapporto di contingenza. In relazione al secondo comma, la mancata corresponsione delle somme dovute, conseguente ad una situazione di indigenza assoluta, non integra il reato, mentre è penalmente rilevante la condotta di colui che volontariamente, anche sotto il profilo del dolo eventuale, si sia posto nella situazione di non poter adempiere (dimettendosi dal posto di lavoro o non attivandosi realmente per trovare una occupazione). Ciò ovviamente il presupposto del reato è l’effettiva disponibilità di beni da parte del soggetto agente, inoltre il reato ha natura permanente e si protrae nel tempo, fin quando il reo non pone fine alla situazione antigiuridica. Non superfluo è precisare che la permanenza cessa anche per sopravvenuta impossibilità della prestazione, per ragioni oggettive. La permanenza rimane fino alla sentenza di primo grado, senza che sia necessaria altra notitia criminis, e senza che il p.m. in dibattimento debba procedere ad altra contestazione, se nel capo di imputazione è indicata la data di accertamento, e non di cessazione del comportamento delittuoso. E’ importante inoltre notare che le azioni del gaslighter possono essere inquadrate solo in parte nell’ art. 570, poiché la norma fa riferimento ad obblighi di natura economica, mentre la condotta del gaslighter può anche tradursi in atti non penalmente rilevanti, ma che a causa del contesto e della reiterazione nel tempo, vanno a mortificare la vittima e a ledere i suoi diritti personali, contemplando sia maltrattamenti fisici che psicologici. 35 per sé non avrebbe niente di offensivo, come nascondere il pane, valutato in una visione d’ insieme può essere considerato “molestia”, poiché può avere conseguenze dannose sull’ equilibrio psicofisico della vittima; ad esempio per far credere alla compagna di aver dimenticato di comprare il pane e di conseguenza di non essere capace di provvedere alla famiglia in modo adeguato, convincendola di essere una pessima madre e moglie. Negli ultimi anni sono stati compiuti passi importanti dal punto di vista giuridico: sono state introdotte specifiche normative, volte a tutelare le vittime di violenza psicologica, tra cui l’introduzione della legge n.154/2001, che esplica i suoi effetti tanto a livello civilistico, quanto penalistico; essa ha predisposto la procedura dell’allontanamento del coniuge violento dalla vittima; infatti attraverso un provvedimento giudiziario, è possibile obbligare l’imputato a lasciare immediatamente la casa familiare e evitare di farvi rientro senza autorizzazione, in alcuni casi inoltre il giudice può prescrivere che l’aggressore non si avvicini ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, salvo esigenze lavorative. La legge sopracitata ha introdotto l’art. 282 bis c.p.p. che prevede la misura cautelare dell’allontanamento del soggetto violento dalla casa familiare, di cui il Pubblico Ministero può chiederne l’adozione, qualora vi siano i presupposti di necessità e urgenza. La stessa legge 154/200, ha introdotto l’art. 342 bis del codice civile, speculare all’ art. 282 del c.p.p., ma che esplica i suoi effetti sul piano civilistico, proponendo la possibilità di adottare le stesse misure previste sul piano penale. Il giudice potrà decidere di adottare tale provvedimento, qualora la condotta del coniuge, vada a limitare la libertà dell’altro coniuge o ad agire sull’ integrità fisica o morale del soggetto. Il giudice nel corso dell’istruttoria può sentire vittima, persecutore ed eventuali testimoni e in casi di particolare urgenza, può emanare un provvedimento cautelare inaudita altera parte. L’ ordine di protezione non può comunque superare i sei mesi, al termine dei quali decade automaticamente. Gli ordini di protezione non possono essere proposti quando la condotta pregiudizievole è tenuta dal coniuge che ha proposto o nei confronti di cui è stata proposta una domanda di separazione, ossia di scioglimento e cessazione degli effetti civili del Matrimonio. La vittima di gaslighter quindi può chiedere aiuto rivolgendosi al più vicino ufficio di Polizia di stato, dove dovrà esporre le condotte di cui è oggetto, utilizzando ciò che ha a disposizione: la sua testimonianza in primis, testimonianze di altri o referti medici rilasciati dal pronto soccorso di qualsiasi ospedale. Anche lo stato d’ansia conseguente a comportamenti molesti è una notizia di reato ed è sufficiente per una querela nei confronti del molestatore, purché avvenga entro tre mesi dal fatto costituente reato. 36 La tutela garantita alle vittime, ovviamente richiede prima una presa di consapevolezza e di neutralizzazione, messa in atto dalla vittima sul gaslighter. Ciò significa che la vittima dovrà rendersi conto delle manipolazioni attuate su di lei e questo le richiederà un notevole impegno, poiché dovrà essere capace di anteporre il male ricevuto, al bene ottenuto nelle fasi iniziali del rapporto. Sarà in grado di far questo solo quando avrà acquisito la necessaria lucidità e coscienza, ovvero quando riuscirà a rendersi conto di aver vissuto una relazione completamente distorta, malata e basata unicamente sull’ inganno. La disillusione, per quanto dolorosa, è il primo passo per il ritorno alla realtà, per una presa di coscienza della sudditanza indotta e per trovare la forza di denunciare. Solo a questo punto potranno seguire tutte le tutele che l’ordinamento prevede. 37 2.2.2.2 REVENGE PORN Un’ analisi accurata del fenomeno del Gaslighting, ha mostrato come la violenza psicologica assuma forme nuove con il mutare della società e questo comporti continui aggiornamenti anche da parte della Giurisprudenza. Recentemente l’Italia ha introdotto una riforma normativa, con lo scopo di disciplinare nuove forme di violenza, in particolare il così detto reato di “Revenge porn”, traducibile come “vendetta pornografica”: questo termine descrive il fenomeno di condivisione telematica non consensuale, che ha origine all’ interno di una relazione sentimentale e comporta la pubblicazione di immagini o video hard da parte del Revenge. Oltre a non avere il permesso dell’interessato, le immagini sono pubblicate per vendicarsi nei confronti dell’ex partner, per ripicca e ritorsione. In alcuni casi, le immagini possono essere state rubate da hacker o prese dai dispositivi su cui si trovavano all’ insaputa della vittima, altre volte è la vittima stessa a consegnarle al ricevente, ovviamente aspettandosi un uso esclusivo delle stesse. Questo fenomeno può essere considerato una vera e propria molestia online, con devastanti conseguenze per le vittime, fino in casi più gravi, ad arrivare al suicidio. E’ importante non considerare il Revenge porn è un fenomeno momentaneo o isolato, dal momento che l’avanzata di nuove tecnologie ha portato ad un aumento di tali condotte, esasperando la divulgazione di materiale intimo online. La cosa più importante è un intervento tempestivo ed efficace, guidato da una chiara legislazione. In paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, già da tempo sono stati presi provvedimenti per fermare questo fenomeno, legiferando in tale senso e ponendo le basi per combattere il revenge porn. L’Italia ha impiegato più tempo per muoversi, ma vista la crescita esponenziale del problema, ad un certo punto il Legislatore non poteva più restare indifferente, così nella seduta in Assemblea del 2 aprile 2019 è stato inserito l’art. 612 ter (previsto dopo l'articolo 612 bis c.p. “Atti persecutori” c.d. stalking, nell'ambito dei delitti contro la persona -Libro II, Titolo XII-, e in particolare dei delitti contro la libertà morale -Capo III, Sezione III). In data 8 aprile il testo veniva trasmesso al Senato, dove prendeva il n. S. 1200. L’iter legislativo è stato poi portato a compimento in data 17 luglio 2019, con l’approvazione definitiva del provvedimento da parte del Parlamento. Il testo dell’emendamento approvato dalla Camera con 461 voti a favore e nessun voto contrario, all’art. 5 bis stabilisce l’introduzione del delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, senza il consenso delle persone rappresentate, ossia il c.d. Revenge porn. 40 2.1.3 L’APPROCCIO SOCIOLOGICO Per comprendere la violenza è necessario risalire alla sua origine: secondo la sociobiologia, nel mondo animale raramente vi sono uccisioni tra soggetti della stessa specie; la lotta infatti è solo un rituale per la conquista di un territorio o di una femmina e alla fine uno dei due emana un segnale, con il quale comunica al vincitore la propria resa. Negli essere umani è presente un’ “aggressività innata”, ereditata dagli animali, che da sempre ha spinto l’uomo alla competizione: per un territorio, per procurarsi del cibo o per possedere una donna, ma essendo esseri razionali, tale istinto il più delle volte è domato e le tensioni innate dell’aggressività vengono inibite. La violenza si incontra sin dalle prime forme di società, in cui l’homo abilis iniziava a produrre utensili per la vita domestica o ad andare a caccia e a lottare con altri suoi simili per conquistare la preda; con la comparsa dell’ homo sapiens prende vita una cultura basata su nuove forme di pensiero e di comunicazione, vengono create diverse forme di relazioni sociali, basate su regole e divieti, come le prime forme di “famiglia”, modalità per difendere e allevare i piccoli, la proibizione dell’ incesto e del cannibalismo, oltre al divieto della violenza all’ interno del gruppo. Si iniziano a suddividere i compiti tra uomini e donne, per cui i primi si dedicano alla caccia e alla difesa della tribù dai nemici, mentre le seconde raccolgono cibo e mettono al mondo i figli. Con la nascita dell’agricoltura si formano le prime norme sociali, che portano a mitigare la violenza, ma ancora sopravvive la vendetta attraverso la così detta legge del taglione. Nell’ antica Grecia la violenza lascia spazio alla civiltà, che si costruisce giorno dopo giorno, attraverso epica, mitologia e poesia, nascono i tribunali e ha così inizio la civiltà del diritto, che sostituisce la vendetta personale e la legge del taglione. E’ da qui che l’uomo inizia a elaborare un processo culturale, che lo rende superiore rispetto agli altri animali, ma questo conduce ogni gruppo umano a creare la sua cultura, con particolari riti e tradizioni ed è proprio questa diversità culturale, che mette gli uomini in competizione tra loro, che li spinge a dimostrare la loro superiorità sugli altri e a sopravvivere a discapito di altri gruppi, differenti dal proprio. Nelle diverse culture la violenza non è vietata in assoluto, basti pensare alla guerra o alla legittima difesa o alla pena di morte; è come se l’uomo accettasse la violenza sull’ altro dopo averlo deumanizzato e reso altro da sé, qualcosa di diverso, di lontano e incomprensibile, qualcosa e non qualcuno che ha meno valore e per tale motivo può essere ucciso, anzi che sia giusto ucciderlo. La storia ci insegna che questo schema si è ripetuto più volte, come uno script che si ripresenta in modo ciclico, cambiando i 41 protagonisti: noi e loro, loro possono essere gli ebrei, gli stranieri, i nazisti, gli inglesi, gli arabi, i turchi, gli omosessuali, c’è sempre un noi e un loro pronto a giustificare la violenza, in linea con i cambiamenti storici e sociali in cui si manifesta. E questo è ciò che è accaduto anche nella società moderna, una società in cui nasce lo stato, autorizzato ad utilizzare la forza per far rispettare la legge, uno stato in cui esistono norme morali, etiche, leggi giuridiche che i cittadini devono rispettare, anche se limitano la loro autonomia assoluta, poiché solo attraverso esse è possibile rispettare l’altro, riconoscendo i suoi bisogni e diritti. Il filosofo Nicola Abbagnano a questo proposito dice: “Appena due persone s’incontrano, sia pure per giocare una semplice partita a carte, riconoscono o stabiliscono delle regole che, se sono disconosciute o deliberatamente infrante, rendono impossibile continuare l’incontro. Queste regole sono, in tutti i gruppi umani conosciuti, imperfette e spesso inutilmente oppressive; possono essere migliorate, corrette e sostituite da altre, ma non abolite in nome dell’autonomia assoluta del cittadino”. Nella vita sociale e politica attuale si assiste a forme di competizione che favoriscono l’aggressività, producendo contraccolpi negativi anche all’ interno delle istituzioni familiari. Vi è una rincorso al successo, un individualismo senza precedenti, che accompagna aspirazioni elevate, spesso irrealistiche e irraggiungibili, in grado solo di creare individui unilaterali, carichi di tensioni aggressive e di rivalsa. E’ fondamentale quindi ricordare all’ uomo che la violenza è una possibilità, ma non un obbligo ed un comportamento violento non è la prova di un diritto biologico all’ aggressività. E’ necessario recuperare i codici di comportamento che rafforzano le regole di una convivenza civile e far percepire la violenza nella sua negatività, attraverso le varie istituzioni culturali, prima tra tutte la famiglia, dove continuano invece ad essere presenti forme di violenza fisica e psicologica. Qui va a colpire il coniuge o i figli e a mascherarsi dietro aspetti di violenza invisibile, incapace di emergere per paura o ricatto. In Italia per quanto riguarda la violenza domestica, vi è stato una sorta di negazione del problema sia da un punto di vista istituzionale che sociale; essa per molto tempo è stata percepita come un affare privato e non come un reato contro la persona (Ventimiglia, 1996), per cui sono ancora poche le ricerche e le pubblicazioni realizzate in lingua italiana, che si occupano di questa problematica. Le percezioni e le rappresentazioni sociali relative alla violenza domestica stanno cominciando a cambiare. Come appena detto, prima si riteneva che si trattasse di un fenomeno privato, da relegare nel segreto delle mura domestiche. 42 Si riteneva anche che gli uomini violenti fossero degli individui di ceto sociale basso, degli individui poveri, sfruttati, frustati, alcolizzati che si vendicavano sulla donna, a volte anche sui bambini della propria decadenza sociale e delle umiliazioni subite, spesso le uniche statistiche disponibili, parziali, provenivano da alcune istituzioni come la polizia o i servizi sanitari di Pronto Soccorso, oppure provenivano da servizi di ascolto telefonico o da case di accoglienza. Attualmente, in base a dati statistici, si sa che il fenomeno è ampio e tocca tutti i ceti sociali e tutte le culture 2.2.3.1. UN FENOMENO SOCIALE Giovani e vecchi, ricchi e poveri, di alto e basso ceto sociale, gli uomini violenti hanno storie diverse, talvolta opposte, ma hanno in comune la capacità di mettere in atto azioni e comportamenti vessatori nei confronti delle donne. Gli episodi di violenza su di esse sono sempre più frequenti, ma anche più crudeli, offensivi, ripugnanti, subdoli, invisibili. La cronaca registra un aumento di casi ed è impossibile spiegarli semplicemente come conseguenza di istinti repressi, smanie animalesche o desideri sessuali, che improvvisamente sovrastano i limiti morali e si riversano contro le vittime. La crudeltà e l’oscenità di certi atti, in una società che lotta costantemente per proclamare e riconoscere i diritti e la dignità di tutti gli esseri umani, stimolando rapporti più liberi da vincoli e stereotipi culturali, non possono essere spiegate o ricercate a livello individuale, come esplosione d’istinti, ma in motivazioni più complesse e generali. Tra queste è necessario concentrarsi sulle condizioni di vita e sull’ organizzazione sociale della nostra epoca, ricordando come la violenza maschile abbia segnato ogni periodo storico ed ogni società, sia in tempo di pace, ancor più in tempo di guerra, in cui le leggi morali e i sentimenti umani, perdono completamente valore. In passato la violenza sessuale è sempre stata un mezzo attraverso cui dimostrare la condizione di inferiorità ed oppressione della donna, rappresentata non tanto come essere umano, ma come oggetto sessuale o strumento di riproduzione, caratterizzato da limitati diritti e dignità. Se questo però poteva trovare, non giustificazione, ma fondamento in un periodo storico caratterizzato da differenti valori e ruoli, oggi è decisamente incomprensibile e ingiustificabile, oltre che inaccettabile. 45 affrontare il tema della parità dei sessi, dei ruoli sociali di uomini e donne e della violenza in generale, come attraverso la formazione di adeguate figure professionali, che si occupino anche degli autori di violenza, infine attraverso la comunicazione e i mass media per adottare codici di autoregolamentarsi. La struttura della società può essere cambiata, solo non considerandola espressione di una non meglio precisata “natura” degli uomini e delle donne inscindibilmente legata alle basi biologiche e fisiologiche della differenza sessuale. E’ quindi fondamentale contrastare la violenza fisica e psicologica contro le donne riconoscendone radici sociali e culturali, in primo luogo per considerare la violenza domestica non più come una questione privata, ma come un problema politico e in seguito luogo per riuscire ad allontanare la tesi della violenza connessa esclusivamente alla patologia o alla devianza. Inoltre l’aspetto più innovativo della Convenzione, è che analizza la violenza all’ interno della cornice sociale, realizzando l’importanza di «assistenza finanziaria, alloggio, istruzione, formazione e assistenza nella ricerca di un lavoro» (art. 20). E ancora, è importante che tra gli obblighi generali degli stati ai fini della prevenzione della violenza sia compreso quello di «promuovere programmi e attività destinati ad aumentare il livello di autonomia e di emancipazione delle donne». 46 2.2.3.2 LO SFONDO SOCIO-CULTURALE DEL GASLIGHTING Si è precedentemente descritto il Gaslighting come una forma di violenza vile e subdola, in quanto a differenza della violenza fisica, che mette a rischio anche l’attore della stessa, quella agita dal gaslighter è dissimulata dalla parvenza di bontà e amore per l’altro, con cui il gaslighter si protegge, celando la vera natura delle sue azioni ed evitando così di essere accusato di un reato punito dal codice penale. Un maggiore intesse verso questo fenomeno, di cui ancora si parla poco e su cui si rintraccia pochissima letteratura, emerge intorno alla seconda metà del Novecento grazie all’ avvento dei mass media. Questi infatti, grazie a trasmissioni radiofoniche e televisive, entrano nella privacy familiare, mostrando ad un pubblico nazionale le persecuzioni e i maltrattamenti avvenuti dietro le mura domestiche, cosa che in passato invece era assolutamente evitata in nome della privacy familiare. Per quanto negli ultimi anni ci siano state critiche contro i mass media, principalmente in relazione al fatto che essi pubblicizzino il dramma, l’orrore, attraverso il racconto di casi di violenza e soprusi, non si può trascurare l’impatto positivo che i media hanno avuto sull’ incremento delle denunce di abusi e violenze. Infatti il silenzio non è una forma di rispetto per le vittime, quanto piuttosto una forma di difesa e agevolazione per i criminali, che attraverso esso possono continuare indisturbati la loro attività, così come condanne più pesanti per i criminali, sono state ottenute grazie all’ apporto dei media, che hanno dato parola all’ opinione pubblica, alle vittime e ai loro familiari. Oggi si è portati a credere che i crimini contro le donne siano aumentati; in realtà non è così, semplicemente è aumentata la loro risonanza, poiché sono stati portati alla luce dai mass media, svelando azioni delittuose e modalità criminali, allo scopo di una migliore socialità. Se in passato le vittime erano lasciate completamente sole nella sofferenza, schiacciate da paure e sensi di colpa, oggi le vittime sono più coraggiose di un tempo e pronte a denunciare maltrattamenti e soprusi, riuscendo più frequentemente a far punire i criminali responsabili del delitto. Per questo molti casi di violenza stanno emergendo dagli abissi del sommerso, del taciuto, inducendo maggiore solerzia nell’ intervento dell’autorità: finalmente il concetto di famiglia sta perdendo la sua sacralità, proprio quella che ha ostacolato l’intervento di autorità mediche e legali. Tale sacralità però è da sempre stata sostenuta da un contesto socio-culturale in cui l’uomo deteneva il potere sociale e familiare: basti pensare alla patria potestà e al modello di famiglia patriarcale. 47 Le donne nella società dell’epoca erano escluse dal diritto di voto e non avevano alcun potere decisionale sui figli, che allevavano ed educavano e difendevano, lasciando però al padre, dal punto di vista legale il diritto di decidere in merito qualunque iniziativa su di essi. Impossibile inoltre dimenticare il ruolo della chiesa nell’ impunità delle violenze domestiche, poiché essa per anni ha invitato le donne a sopportare e tollerare violenze e soprusi del marito, dalle percosse, alle gravidanze continue, all’esautorazione pari ad una interdizione agevolata rispetto a quella giudiziaria perché interdizione di fatto, ossia non sancita legalmente e quindi priva dell’obbligo di dimostrare l’opportunità dell’interdizione stessa, in nome della sacralità dell’ unione matrimoniale. Non è stata però solo la cultura religiosa a esortare le donne a subire le vessazioni degli uomini, ma la società stessa che ha posto gli uomini in una posizione up, come sovrani della piccola comunità familiare e ancor peggio una cultura scientifica, che ha giustificato la messa in atto di certi comportamenti, descrivendo la donna come un’incapace, bisognosa del marito. La comunità scientifica più o meno consapevolmente si è resa portatrice del Gaslighting, proprio perché legittimato dall’ autorità scientifica stessa: in questo modo ha giustificato la prevaricazione degli uomini sulle donne. A dimostrazione di ciò basti pensare a Cesare Lombroso, uno dei più grandi scienziati della sua epoca, che definiva la donna, come il fanciullo, immorale, in quanto priva dell’intelligenza necessaria ad avere moralità, al contrario dell’uomo onesto e ricco di moralità, proprio perché più intelligente. Lombroso vede nella donna tratti che la avvicinano al selvaggio e al criminale: la donna irosa, vendicativa, vanitosa, presenta tratti ascrivibili alla criminalità. L’uomo resta l’unico detentor di sensibilità, intelligenza e moralità, al contrario della donna deputata a compiti inferiori, adatti a persone incapaci come la maternità. Scienziati come Lombroso e tanti altri hanno scritto parole sulla donna, che restano nella storia a disonore della scienza. È chiaro che in una situazione culturale di questo tipo, caratterizzata dalla negazione dell’identità di persona alla donna sia molto più facile maltrattarla, ucciderla, distruggerla come un oggetto senza valore, tentare di farla impazzire o come minimo rovinare la sua vita, impedendole di realizzare una sua identità di persona, proprio come fa altri il gaslighter, lo squalificatore per eccellenza della donna. 50 2.1.4 APPROCCIO MEDICO LEGALE Solo di recente si è dunque riconosciuto l’estensione e la gravità del fenomeno della violenza domestica e si è cominciato a prendere seriamente in considerazione le conseguenze di questa, che sono di ordine non solo psicologico, ma anche sociale ed economico. Al riguardo, rispetto al costo economico, vi sono una serie di articoli scientifici, pubblicati negli anni ’80 e ’90 che analizzano e cercano di fornire delle stime relative al costo della violenza domestica per i sistemi sanitari dei vari paesi, costi relativi alle medicazioni di ferite, contusioni, fratture, ai ricoveri, ai traumi, nonché alle conseguenze a lungo termine come alcolismo, tossicomania, depressioni, assenze dal lavoro ecc. (Straus, 1986; Heise, 1994; Godenzi, Yodanis, 1999). L’inter-American Development Bank (IDB), ha condotto una ricerca in sei paesi dell’America Latina, sui costi della violenza domestica; suddivisibili in costi diretti, tra cui quelli non monetari, gli effetti di moltiplicazione, gli effetti moltiplicatori sociali e i costi indiretti. I primi riguardano spese per l’assistenza psicologica e per le cure mediche (pronto soccorso, ospedalizzazione, cure in clinica e in ambulatorio […]), i costi gravanti sul sistema giudiziario (custodia, prigione, istruzione di processi), il costo dell’accoglienza e alloggio delle donne e dei loro bambini […]”3; tra questi i costi non monetari sono quelli di tipo sanitario, che gravano sulla vita della vittima, come le conseguenze psicologiche, l’aumento dei suicidi, l’abuso di sostanze. Gli effetti della moltiplicazione economica riguardano gli effetti secondari, come il calo del rendimento sul luogo di lavoro: questo avrà effetto o sulla donna stessa, con una riduzione dello stipendio o la perdita dello stesso in seguito ad un licenziamento, o sulla produttività dell’azienda a causa di un minor impegno da parte della lavoratrice. Infine con effetti moltiplicatori sociali, si fa riferimento all’ impatto della violenza sui bambini, sulla riduzione della qualità di vita, soprattutto domestica. E’ chiaro dunque che le conseguenze delle violenza sono molte di più di quelle riscontrabili esternamente, sia economiche, ma soprattutto sono rilevanti le conseguenze sanitarie che saranno approfondite nel paragrafo seguente. 3 Gargiullo B. C., Damiani R., op. cit 51 2.1.4.1 CONSEGUENZE SANITARIE Secondo l’OMS, la violenza contro le donne, rappresenta un “problema di salute di proporzioni globali enormi”, eppure le sue conseguenze sono state ignorate dalla società e dai servizi fino a pochi decenni fa. L’abuso fisico e sessuale deve essere considerato un problema sanitario, che va a colpire il 35% di donne in tutto il mondo. Fortunatamente, il sistema sanitario italiano si rivela efficace, offrendo sul territorio servizi ospedalieri e ambulatoriali, consultori e Centri antiviolenza; così da garantire un modello integrato di intervento. Per poter agire nel modo migliore, è però fondamentale comprendere quali sono effettivamente le conseguenze sanitarie della violenza; è evidente quindi la necessità distinguere tra conseguenze della violenza fisica e di quella psicologica. Le donne vittime di violenza fisica, solitamente si rivolgono al pronto soccorso, dove grazie alle linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza, approvate con DCPM il 24 novembre 2017, ricevono un intervento integrato e adeguato. Viene inizialmente svolto il triage infermieristico e a meno che non sia necessario un codice rosso di emergenza, alla donna è fornito un codice giallo di relativa urgenza, per limitare il tempo di attesa, durante il quale la vittima potrebbe avere ripensamenti. Le linee guida inoltre, prevedono un continuo aggiornamento degli operatori, per garantire un’assistenza sanitaria di alta qualità, con personale preparato e specializzato. In relazione a questo è importante tener presente, che spesso il primo contatto che hanno le donne vittime di violenza è con il Medico di Medicina Generale, eppure sono ancora esigui i dati nazionali, ricavabili dai centri antiviolenza, dell’impatto che il fenomeno ha nella Medicina Generale. In letteratura infatti, non è riportato se il legame medico-paziente, abbia un ruolo nella violenza domestica, anche se è presumibile pensare che il colloquio con il proprio medico di famiglia, possa essere un modo per esternare la sofferenza e confrontarsi con una persona pronta ad accoglierla. Per questo sarebbe utile formare i MMG a riconoscere i segnali di allarme nelle pazienti, così da intervenire precocemente, superando facilmente barriere e pregiudizi ed evitando così la doppia vittimizzazione della donna. Se il medico si limita a prescrivere farmaci, ad un donna che non ha il coraggio di denunciare, di guardare i segni della violenza subita, riesce solo a rinforzare le sua paura e non la aiuta certo a cambiare la situazione; un primo importante passo comunque è la presa di 52 consapevolezza da parte del MMG, in modo da mettere in atto una corretta pratica clinica ed indirizzare la donna ai servizi territoriali competenti. Se le conseguenze della violenza fisica, sono gestibili in ambito ospedaliero, la situazione si complica in relazione alle conseguenze della violenza psicologica, spesso sminuite o trascurate, poiché non visibili, anche se talvolta l’abuso psicologico, comporta conseguenze ancora più gravi di quello fisico. Non si può trascurare il fatto che tra le donne maltrattate, molte vittime presentino problemi psicologici: circa il 50% sviluppa disturbo post traumatico da stress, mentre il 60% va incontro a depressione più o meno grave. Per comprendere la reazione di stress che può insorgere in donne vittime di violenza psicologica, si può far riferimento alla teoria generale dell’adattamento di Selye, il quale ritiene lo stress una causa in grado di condurre all’ insorgenza di una patologia. Selye ritiene che la risposta dell’organismo alle richieste ambientali sia aspecifica e si articoli in tre differenti fasi: la reazione di allarme, in cui l’organismo percepisce una minaccia, la fase di resistenza, che consiste in un adattamento ad essa, fino all’ esaurimento, in cui l’adattamento non è più possibile e il soggetto cede sotto il peso di eccessive richieste. L’esito è ovviamente la patologia, poiché le richieste ambientali superano la capacità dell’organismo di soddisfarle. Una donna maltrattata costantemente e per un lungo periodo, può andare incontro ad esaurimento, comportando l’insorgenza di stanchezza fisica, ipoglicemia, abbassamento della pressione arteriosa, così come una malattia da stress con infezioni, riduzione dell’efficacia del sistema immunitario, allergie, ipertensione e aritmie. Ciò accade poiché nella fase iniziale della relazione, la donna ritiene di poter controllare e prevedere gli attacchi da parte del partner e solo dopo molto tempo si accorge di quanto ciò sia impossibile, poiché non dipendono da reali motivazioni, le quali non li renderebbero certo giustificabili, ma comunque prevedibili. Dal momento che i motivi scatenanti sono futili, diviene impossibile conoscere in anticipo quale potrà essere il pretesto per l’aggressione successiva: di conseguenza questa situazione di incertezza, crea un costante stato d’ansia e di paura, che può essere attenuato con l’uso o abuso di antidepressivi e tranquillanti. E’ confermato ormai che l’umiliazione e il senso di degrado insiti nella violenza, abbiano un forte potere traumatizzante, tanto che si può arrivare ad un vero e proprio disturbo post traumatico da stress. Tale disturbo è caratterizzato da flashback intrusivi e continui, che interferiscono con le attività quotidiane, riedizioni del trauma attraverso immagini, pensieri, incubi e percezioni e condotte di evitamento di luoghi o situazioni associate al trauma. 55 capacità. La donna che esce da una relazione abusante e maltrattante, quando riesce ad uscirne, non è più la stessa di quando vi è entrata. In alcuni casi purtroppo si arriva all’ omicidio, in altri le conseguenze sono comunque devastanti. Nella maggior parte dei casi infatti le donne abusate a medio e lungo termine, vanno incontro a depressione e il rischio è 4/5 volte maggiore rispetto ad altre donne, questa disperazione profonda può condurre anche al suicidio che aumenta di 19 volte in seguito ad un’aggressione fisica e 26 volte in seguito ad una violenza sessuale.5 5 Ricerca Enveff, 2002 56 2.1.4.2 LA PREVENZIONE DELLA VIOLENZA L’unico modo per prevenire la violenza è combatterne le sue cause e le sue radice culturali; per riuscire in questo sono necessarie strategie politiche volte alle sensibilizzazione, alla realizzazione delle pari opportunità, all’ educazione in ambito pubblico e privato. E’ necessario cambiare gli stereotipi, che per anni hanno attanagliato la società, fornendo un terreno fertile per il perpetrare della violenza maschile sulle donne, e per riuscire in questo scopo, il modo migliore è investire sulle nuove generazioni, educare i ragazzi al rispetto dell’altro, alla condivisione, alla parità tra i due sessi. Il dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha proposto un Quadro Strategico Nazionale con l’obiettivo di: • Aumentare conoscenze e consapevolezza nell’ opinione pubblica sulle cause della violenza nei confronti delle donne. • Formare gli insegnanti nel riconoscere, intercettare, prevenire, far emergere situazioni di violenza. • Indirizzare l’offerta formativa della scuola verso l’educazione della parità tra i sessi, il superamento di ruoli e stereotipi di genere. • Formare gli operatori del settore pubblico e privato sul fenomeno, in modo che siano in grado di valutare e gestire casi di violenza sulle donne, comprese le donne straniere, rifugiate o richiedenti asilo. • Rafforzare i programmi di intervento sugli autori di reato. • Sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso i mass medie, sulla gravità del fenomeno. Negli ultimi anni c’è stato un notevole incremento di azioni di sostegno e protezione rivolte alle donne; comuni, regioni e città metropolitane, si stanno impegnando a dare risposte concrete, aiuti efficaci alle donne. Stanno aumentando sul territorio servizi sociali, Centri Antiviolenza, servizi sanitari e numeri disponibili per l’accoglienza telefonica, allo scopo di promuovere la richiesta di aiuto tempestiva e una rapida uscire dalla situazione di violenza. La prevenzione perciò diventa indispensabile, soprattutto nell’individuazione delle donne con un alto rischio di violenza. Prevenzione significa anche cercare di ridurre il danno e valutare il rischio di recidiva, garantendo una maggior protezione alla donna. E’ per questo motivo che bisogna conoscere e approfondire i meccanismi che alimentano questo fenomeno e soffermarsi nelle 57 diverse situazioni che lo connotano per intervenire efficacemente nella lotta contro il fenomeno della violenza. Conoscenza quindi diventa la parola chiave, l’imperativo pe iniziare la battaglia della prevenzione. 60 3.2 CONFRONTO CON GLI STATI UNITI Negli Stati Uniti il fenomeno della violenza sulle donne, all’ interno delle mura domestiche, è senza dubbio attuale e presente. Secondo una statistica del Dipartimento di Giustizia, una donna su quattro è vittima di violenze domestiche almeno una volta nella vita, e ogni giorno tre donne sono uccise dal proprio partner (circa l’85 per cento delle vittime di violenze domestiche sono donne). E’ sorprendente scoprire che gli Stati Uniti nel rapporto della Reuters Foundation, rientrano nella classifica dei Paesi più pericolosi per le donne e sono l’unico paese occidentale a rientrare in questa “lista nera”. Tra il 2000 e il 2006 le violenze domestiche hanno causato 10 mila e 600 morti. Il primo passo in ambito legislativo contro questo tipo di violenza, è stato fatto nel 1994 e si tratta della “Violence Againist Woman act – VAWA” introdotta sotto la legislatura di Bill Clinton. Questa legge ha migliorato il sistema giudiziario, fornendo un concreto aiuto alle vittime di violenza domestica: grazie a questa infatti, anche le donne immigrate, vittime di violenza, possono ottenere la Green Card, qualora il coniuge aggressore abbia cittadinanza americana e la richiesta di Green Card può essere avviata dalla vittima, senza che il coniuge ne venga a conoscenza. E’ senza dubbio una forma di tutela della donna, poiché consente alla vittima di creare sicurezza, ma anche di non esporsi al rischio della reazione dell’aggressore, al quale non verrà notificato il deposito di richiesta della Green Card. La legge VAWA ha migliorato la giustizia penale in risposta alla violenza sulle donne sotto vari aspetti: • ha rafforzato le sanzioni federali contro i sex offenders (stupratori, pedofili e affini) con una speciale norma contro lo stupro, che ha lo scopo di impedire che durante i processi siano usati i passati comportamenti sessuali della vittima per giustificare gli stupratori. • Consente alle vittime, a prescindere dal loro reddito, di godere di esami, visite mediche e questioni legali, tipo le notifiche di ordine di protezione, gratuiti. • Stabilisce che alle vittime sia garantita “sicurezza” con un ordine di protezione che può essere eseguito e va mantenuto in ciascuno degli Stati USA. 61 • Mantiene alto il target di azioni penali, condanne, relative a reati contro le donne a partire dalla violenza domestica e per raggiungerlo si offrono aiuti e contributi alle forze dell’ordine affinché siano create speciali unità, task force, poliziesche e giudiziarie, che si occupino di questi problemi. • Fa in modo che polizia, giudici, avvocati siano obbligati e preparati a rispondere alle richieste di intervento in casi di violenza e per questo stanzia fondi annuali per 500.000 agenti di polizia, pubblici ministeri, giudici, procuratori, e altro personale necessario. • Fornisce alle donne ulteriori strumenti per tutelarle nei territori indiani, dei nativi americani, nei casi di violenza domestica; con la creazione di un nuovo crimine federale autorizza le polizie ad eseguire la cattura di uomini denunciati senza mandato di cattura. • VAWA assicura alle vittime e loro familiari accesso ai servizi di cui hanno bisogno per la propria sicurezza e per ricostruire la loro vita. • VAWA inoltre, ha istituito la National Domestic Violence Hotline, che avrebbe ricevuto 3 milioni di chiamate e riceverebbe 22.000 chiamate al mese, di cui il 92% fatto da persone che chiamano per la prima volta. • Intende migliorare la sicurezza e ridurre la recidività di questi reati con una serie di risposte coordinate ad una rete di servizi che compiono un’azione preventiva e in risposta alla violenza sulle donne. • Focalizza l’attenzione sulle esigenze delle comunità svantaggiate con la creazione di un rimedio legale che consente alle immigrate, anche clandestine, di ottenere lo status di immigrata maltrattata che le permette di chiamare la polizia senza essere rimpatriata. 62 La legge è il punto di riferimento per tutti gli stati, ma poi è stata ratificata da ogni Stato per emanare provvedimenti calati sul locale: il dramma degli Stati Uniti, sono le differenti legislazioni, esistenti nei vari Stati e la difficoltà a proporre leggi valide per tutti: ad esempio in Oklahoma, una donna venne condannata a trent’anni di carcere per non aver protetto i propri figli dagli abusi del compagno di cui lei stessa era vittima, mentre il compagno aveva ricevuto una pena decisamente inferiore e dopo due anni era stato rilasciato. Questo perché in Oklahoma e in molti altri stati degli Stati Uniti, infatti, ci sono leggi per la protezione dei minori, che consentono di considerare la madre abusata, vittima a sua volta, altrettanto colpevole; ciò fa sì che la donna possa ricevere condanne superiori a quelle di chi ha realmente commesso l’abuso. 29 Stati americani, hanno criminalizzato l’incapacità dei genitori di proteggere i propri figli. In attesa di maggiore coordinamento tra gli Stati è comunque dimostrato dalle statistiche, che la VAWA ha prodotto una diminuzione del tasso di violenza domestica (67%) e degli omicidi contro le donne (46%). Le donne sono così invitate a denunciare e le denunce si traducono in arresti immediati. Tutti gli stati hanno autorizzato arresti senza mandato in casi si violenza. Sull’ arresto obbligatorio della persona denunciata, pensato per non mettere a rischio la vittima, ci sono opinioni contrastanti, infatti alcuni ritengono che questo abbia fatto aumentare, anziché diminuire il numero di omicidi, poiché le donne rimandano la denuncia fino all’ ultimo, temendo l’incarcerazione del compagno, misura talvolta eccessiva di fronte a lievi maltrattamenti. E’ chiaro che gli Stati Uniti hanno ancora molta strada da fare per raggiungere risultati efficaci in questo ambito, i passi avanti ci sono stati e continueranno ad esserci, nel frattempo però in altri Stati quei passi sono già stati fatti e hanno condotto ad eccellenti risultati: tra questi possiamo prendere come modello il Regno Unito. 65 Tutti questi passaggi, dimostrano come il ruolo dell’IDVA sia essenziale: al momento ha una durata limitata, circa 3 mesi, ma la vittima sa di poter contare sull’ IDVA anche in seguito. E’ un lavoro difficile e importante. Gli incontri tra MARAC e IDVA sono importanti per condividere informazioni, avere uno sguardo globale e offrire una risposta efficace; ogni comporta è specializzato per attivarsi nella gestione del comparto che gli compete. Il gruppo MARAC serve ai vari professionisti per ottenere la garanzia di prendere provvedimenti idonei. Le fasi che caratterizzano il processo MARAC sono: - identificazione dei casi di violenza domestica; - valutazione del rischio (per i casi ad alto rischio interviene anche l’IDVA); - se è stato attivato l’IDVA, questi si mette in contatto con la vittima per fargli sapere che il suo caso è stato preso in gestione da una MARAC; - ricerca, da parte di ogni comparto, di dati ed informazioni che gli competono sul caso; - incontro tra i rappresentanti della MARAC per scambio di informazioni (l’IDVA riporta le informazioni ricevute direttamente dalla vittima); - proposta di intervento e valutazione della sua fattibilità; - fase di follow-up al fine di verificare che ogni comparto stia portando avanti ciò che era stato deciso (l’IDVA tiene contatti con la vittima per informarla sugli step raggiunti). L’ approccio del MARAC è efficace, poiché tutela la vittima non solo dal punto di vista metodologico, ma anche psicologico, dal momento che le evita la vergona di raccontare la sua storia in diversi uffici e di avere contatti con troppe persone; la vittima infatti fa riferimento unicamente all’ IDVA, il suo punto di riferimento principale, che si occuperà di filtrare le informazioni ricevute, trasmettendole all’ equipe multidisciplinare. Sulla base di ciò, l’IDVA realizza una valutazione del rischio attraverso lo strumento della Dash Risk Identification Check-list21, che consta nella somministrazione alla vittima di ventiquattro domande, ognuna delle quali prevede risposte affermative o negative relativamente ad un determinato episodio di violenza. Il questionario deve essere utilizzato dal professionista tenendo conto che il rischio, nelle situazioni di abuso domestico, è altamente mutevole e che quindi sarà necessario riproporre la check-list più volte all’utente al fine di aggiornarla. La check-list costituisce uno strumento semplice ed utile a disposizione del professionista per identificare il livello di rischio e se sia necessario l’intervento di una MARAC per gestirlo. 66 Le risposte della vittima possono limitarsi ad un “si”, “no”, tuttavia però l’IDVA può cercare attraverso l’intervista di ottenere più informazioni possibili e dettagli utili alla comprensione della specifica situazione della vittima, scoprendo dettagli, modalità relazionali e di agire violenza. E’ ovvio infatti che la donna provi paura, ma è importante capire perché la prova, se teme nuove minacce, percosse o traumi, oppure se teme per l’incolumità dei propri figli. Compreso questo, l’IDVA interviene proponendo soluzioni adeguate e concrete alle esigenze della vittima. Non è fondamentale che l’IDVA riporti tutto ciò che la vittima racconta alle MARAC, ma solo quello che ritiene utile per aiutarla. Dal punto di vista legislativo, i professionisti devono attenersi in materia di privacy al Data Protection Act e allo Human Rights Act. Patricia Scotland inoltre, ha istituito tribunali specializzati per casi di violenza domestica: i giudici hanno imparato a conoscere meglio la violenza domestica, ad agire tempestivamente, riducendo la durata delle udienze. Era inoltre responsabile della prosecution, assimilabile al pubblico ministero in Italia: oggi l’esame delle denunce è rigoroso, la ricerca delle prove meglio organizzata e la polizia e i servizi trattano le vittime di violenza con professionalità e compassione. Con questo metodo, solo a Londra, gli omicidi sono passati da 49 del 2003 a 5 del 2010. Non mancano conseguenze secondarie importanti, come la riduzione dei costi della sanità e la diminuzione delle assenze da lavoro a causa dei maltrattamenti e questo perché la presenza costante di una persona che c’è sempre, pronta ad incoraggiare ed intervenire, fanno la differenza in un piano di lavoro istituzionale. La donna vittima di violenza spesso è isolata e ha bisogno non solo di aiuto, ma di essere compresa, attesa nei suoi tempi e nelle sue possibilità; non si può pretendere un cambiamento repentino o una rapida presa di consapevolezza. Riuscire però a fare in modo che una vittima di violenza, torni ad essere un individuo forte, indipendente e fiducioso verso il futuro, anche se richiede tempo è un grandissimo traguardo e Patricia Scotland ha mostrato che non è irraggiungibile. 67 CONCLUSIONE Il lavoro è stato suddiviso in tre capitoli, allo scopo di fornire un quadro integrato e completo della violenza domestica sulle donne. Nel primo capitolo è stato analizzato il fenomeno nelle differenti modalità con cui si presenta, sono state messe in luce le caratteristiche e le conseguenze della violenza fisica e psicologica, ponendo su quest’ ultima maggiore attenzione. Partendo da un’analisi criminologica, essendo la criminologia la scienza che studia la fenomenologia dei reati, le cause della criminalità e delle condizioni che fanno dell’«uomo delinquente» un individuo diverso dai cittadini che rispettano la legge, si è poi analizzato il ruolo della vittima, le sue caratteristiche personologiche ed infine ogni aspetto riguardante l’autore di reato. Dopodiché sono state analizzate le relazioni maltrattanti, con un focus sulle modalità relazionali, sulle motivazioni che tengono unita la coppia, sugli aspetti individuali e il peso che essi svolgono all’ interno della relazione stessa. Un’ attenta analisi criminologica ed una maggiore comprensione del fenomeno sono fondamentali per prevenire ed agire al meglio nel sostegno alle vittime di violenza, garantendo loro una maggiore protezione. Inoltre, una corretta conoscenza della violenza psicologica è necessaria per iniziare a addentrarsi nel perverso molto del Gaslighting. Su questo si concentra il secondo capitolo, che ha inizio con una descrizione del Gaslighting come comportamento altamente manipolatorio, che spinge l’alto a dubitare di se stesso e delle proprie facoltà mentali, minando la fiducia che la vittima ripone nei suoi giudizi e mettendo in discussione le sue percezioni e valutazioni. Il gaslighter confonde la vittima, fino a convincerla di essere o di stare per diventare pazza e la vittima si trova spiazzata, disorientata, isolata e incapace di fidarsi di chiunque, soprattutto di se stessa. Di questo fenomeno non si parla molto ed è ancora poco conosciuto, a differenza della violenza fisica, è invisibile e a differenza della violenza psicologica, è molto più subdolo, poiché l’aggressore mette in atto certi comportamenti, partendo da una semplice ironia, che muta poi in svalutazione, isolamento, fino ad una fase depressiva, in cui la vittima è convinta di essere impazzita. La cosa peggiore è come la violenza sia dissimulata dalla parvenza di bontà e amore per l’altro, con cui il gaslighter si protegge, celando la vera natura delle sue azioni ed evitando così di essere accusato di un reato punito dal codice penale; convince la donna di agire per il suo bene, di occuparsi di lei e tenere quindi alla sua immagine, alla sua salute, alla sua felicità. Essendo un fenomeno così complesso, non può che essere affrontato con un approccio integrato e multidisciplinare. 70 BIBLIOGRAFIA ▪ Abruzzese, S. (2011). Minori e Violenze. Dalla denuncia al trattamento. 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Eppure qualche riga però mi sento di scriverla lo stesso, o forse ancor più di prima, in bilico tra il passato e il futuro, tra ricordi bellissimi e una grande speranza: la speranza che tutto vada bene, che la nostra vita riscopra un valore nuovo, che inizi finalmente la mia vita lavorativa, attesa in questi anni di formazione e che ogni esperienza sia vissuta intensamente, assaporandone ogni istante. Spesso presi dalla frenesia delle nostre vite, dalla corsa agli obiettivi, dai traguardi da raggiungere e dalle mete da conquistare, ci perdiamo le cose importanti, ci dimentichiamo di conoscerci, parlarci, viverci, ascoltarci. Io sono partita per Roma ignara di cosa avrei trovato, da una parte curiosa ed entusiasta, dall’ altra un po’ spaventata: il mio obiettivo in fondo era acquisire competenze e conoscenze, affacciarmi sul mondo della criminologia e delle scienze forensi, apprendere strumenti utili al lavoro, concentrarmi sulla mia preparazione individuale e sono riuscita a farlo in un ambiente stimolante, con professori preparati che ci hanno aperto porte su mondi da esplorare e approfondire, in base ai nostri interessi e predisposizioni; per questo ringrazio ognuno di loro, per aver messo a nostra disposizione la sua conoscenza, la sua preparazione e averci trasmesso la passione e l’impegno che questo lavoro richiede. Grazie veramente di cuore. Sento il bisogno inoltre di ringraziare i miei compagni di avventure, per aver condiviso questo anno meraviglioso: senza di voi non sarebbe stato lo stesso. E allora grazie….
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