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Violenza sulle donne, Appunti di Sociologia

Violenza sulle donne Stupro: a chi oggi la parola?

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 23/01/2020

anna.lu
anna.lu 🇮🇹

4.3

(44)

83 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Violenza sulle donne e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! © DEP ISSN 1824 - 4483 Stupro: a chi oggi la parola? di Gianna Candolo Negli articoli pubblicati da DEP sul nostro libro “Traumi di guerra” compare spesso il tema dello stupro etnico sia per criticare una supposta reticenza sia per esprimere altri punti di vista o approfondire questo argomento. Si ha l’impressione che occupandosi di guerra sia inevitabile e persino banale occuparsi anche di stupro. Questa impressione è naturalmente vera: ogni guerra ha comportato lo stupro di donne e lo stupro in pace è una guerra dichiarata alle donne. Oggi è necessario approfondire questo intreccio tra guerre ai popoli e guerre alle donne: lo stupro è uno strumento di dominio, controllo esercitato da alcuni uomini su alcune donne sempre, sia in pace sia in guerra (cfr. il bell’excursus storico-politico di Judith Herman in Guarire dal trauma, Magi Editore, 2005). Nel nostro testo la questione dello stupro etnico è stata trattata nella sua specificità in base all’ascolto nel gruppo composto dalla maggioranza di donne, più due uomini, e rimanendo fedeli al nostro intento di rimanere a contatto con ciò che le donne porgevano all’ascolto senza forzare o avanzare ipotesi lontane dalla possibilità di essere riprese e utilizzate. A pag. 59 scriviamo “perché le donne stuprate non denunciano lo stupro subito? Nei primi tempi della guerra quando gli stupri furono scoperti ci fu la denuncia da parte della nazione. Allora l’accoglimento sociale, la solidarietà dei primi d tempi della guerra, fu sentita come un genitore che protegge e consente la dichiarazione pubblica di essere state vittime di tale crimine.” Oggi non direi solo che la solidarietà comunitaria è “un genitore che protegge”: è una necessità per poter trovare il coraggio per testimoniare o denunciare gli abusi subiti e vincere il biasimo che sempre cala su una donne stuprata. Se manca l’appoggio comunitario e simbolico una donna non può lanciare le sue accuse perché cadono nel vuoto: in pace e in guerra. Tutto quello che le nostre interlocutrici hanno detto su questo aspetto è stato raccolto e restituito: nel libro ci sono frasi, riflessioni disseminate e lasciate volutamente “in sospeso” o insature per permettere al lettore/ce di inserire i suoi pensieri ed esperienze. Molti si stupiscono di questo “silenzio”, nostro, delle donne bosniache, che sembra reticenza ma quando noi stesse ci siamo interrogate su questo argomento abbiamo curiosamente condiviso lo stesso silenzio delle donne bosniache. In un incontro serale a Bologna sono emersi episodi di molestie varie che ognuna aveva sperimentato durante l’infanzia e adolescenza e non erano state confidate. Il ricordo di quella serata in cui ci siamo confrontate noi di Bologna e le donne bosniache che hanno vissuto traumi ben più estesi mi hanno riportata ad altri Gianna Candolo DEP n.4 / 2006 52 momenti condivisi con le donne sui vari aspetti del trauma dello stupro nella vita di chi l’aveva subito. Vado con il pensiero all’elaborazione nei gruppi di autocoscienza, di pratica dell’inconscio, nelle discussioni pubbliche attorno alla legge in Italia contro la violenza sessuale, alla ricerca di parole di donne su queste esperienze che tutte, in modo differente, abbiamo attraversato. Nelle differenti modalità di percezione del proprio corpo, nella trasformazione dall’infanzia all’adolescenza, tutte avevamo sperimentato forme di mortificazione della propria femminilità: nei nostri gruppi le avevamo denominate “stupri simbolici” per focalizzare l’attenzione non tanto e non solo sull’esperienza del corpo ma anche su quella della mente che non riusciva a trovare pensieri per poter esprimere questa specifica esperienza femminile. Avevamo quindi differenziato la ferita narcisistica dovuta alla difficoltà ad accettare il corpo che cambia, che è uguale nei due sessi, dalla mortificazione e svalorizzazione della femminilità quando questa non si uniformava al modello sociale, declinato al maschile. L’elemento più traumatico era per l’appunto la perdita della voce, il piombare nel silenzio, nella rimozione, nella perdita di alcuni aspetti di sé, sia fisici sia affettivi che venivano svillaneggiati, manipolati, distrutti. Potevano essere attenzioni sessuali precoci da parte di adulti, amici di famiglia per lo più, apprezzamenti ingiuriosi su parti del corpo, apprezzamenti esterni a cui non corrispondeva una interna valorizzazione, modelli imposti di essere mogli, figlie, sorelle che non corrispondevano alla percezione di sé. Questo tipo di esperienze lo sperimentano solo le donne e fa parte della costruzione-costrizione , o distruzione, della femminilità. Solo il condividere, confrontarsi, sperimentare assieme alle altre differenti modi di vivere il corpo ha permesso alle donne di cominciare a denunciare abusi e mortificazioni, a scoprire che certe esperienze cariche di vergogna e colpa non erano private ma comuni e contemporaneamente affermare un altro punto di vista corpo e sessualità. Il silenzio, il non riuscire a trovare la propria voce ci aveva esposte tutte ad aggravare il senso di mortificazione quando si avverte il danno ma non si ha accesso alla reazione. Solo il lavoro comune, la costruzione di una comunità femminile ha permesso di ritrovare voce e parole per esprimere esperienze indicibili: non è da molto che le donne stuprate possono, con fatica anche ai nostri giorni, pretendere giustizia da un reato che il carnefice non avverte come tale. E nessuno può dimenticare la fatica e le lacerazioni che una legge come quella sulla violenza sessuale ha portato in Italia e altrove proprio perché mai come nello stupro i confini tra vittima e carnefice sono labili e confusi. Fino ad arrivare in questi ultimi anni a iscrivere lo stupro come crimine contro l’umanità. Queste riflessioni mi danno la possibilità di connettere e intrecciare esperienze con donne di altre culture per dare un altro possibile significato al silenzio che in una certa misura ci riguarda tutte. Non si tratta di proporre similitudini ma ampliare la conoscenza delle identità, stabilire differenze non percepite, simbolicamente, socialmente, affettivamente tra carnefice e vittima. Tutti gli studi sullo stupro,
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