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Virgilio, Bucoliche, Georgiche ed Eneide, Sintesi del corso di Latino

Virgilio, Bucoliche, Georgiche ed Eneide Appendix Vergiliana Commento di passi antologizzati: Ecloga I(Titiro e Melibeo), Ecloga IV, Il labor un dono degli dèi, La peste tra gli animali (Georgiche III, vv. 478-536), Il giardino di un vecchio saggio (Georgiche IV, vv. 125-146), La colpa di Aristeo (Georgiche, IV, vv 453-503) , La morte di Orfeo (Georgiche IV, vv 504-527) , Proemio Eneide, Enea sacerdote della patria (En. II), L’addio a Creùsa (En.II), La missione di Roma (En. VI), Libro IV Eneid

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 02/02/2021

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Scarica Virgilio, Bucoliche, Georgiche ed Eneide e più Sintesi del corso in PDF di Latino solo su Docsity! Virgilio 1. La vita Di virgilio ci giungono ben quattro ​Vite (da ricordare soprattutto Elio Donato e Servio) a cui si sommano i ​riferimenti testuali dello stesso Virgilio. Nacque il 15 ottobre del 70 a.C. ad ​Andes​, ovvero l’attuale Mantova​, che allora faceva parte della ​Gallia Cisalpina. Compì i primi studi grammaticali a ​Mantova e Cremona e poi si trasferì a ​Napoli per studiare filosofia dall’​epicureo Sirone​. La prima opera di Virgilio è costituita dalla già matura raccolta delle ​Bucoliche, dieci componimenti di contenuto pastorale scritti fra il 42 e il 39 a.C. Nello stesso periodo Virgilio subì ​l’esproprio delle terre per la redistribuzione ai veterani di Ottaviano dopo la battaglia di Filippi​, vicenda a cui si allude nelle ecloghe I e IX però non si capisce se il poeta abbia evitato la confisca grazie all'intervento di Asinio Pollione o abbia solo riottenuto​ da Ottaviano i propri possedimenti. Negli anni dopo la stesura delle Bucoliche entra a far parte del circolo di Mecenate ​e grazie a quest’ultimo tra il ​37 e il 30 a.C. di dedica alla stesura delle Georgiche. A partire dal ​29 a.C. Virgilio si dedicò alla stesura dell’Eneide c​he già nel 26 era ritenuta quasi compiuta, mentre ​il poeta continuò a rifinire il testo fino all'ultimo giorno di vita​, senza arrivare a una redazione definitiva. ciao simo vedo che anche tu hai fatto Ctrl+F “Eneide” Nel 19 a.C Virgilio compì un viaggio in Grecia ma morì a Brindisi​. Nonostante avesse pregato l’amico Vario di bruciare il poema alla sua morte ​Ottaviano vietò che fosse fatto, anzi affidò allo stesso Vario l'incarico di pubblicare l'opera. Nel poema vi sono infatti 58 esametri incompleti, che Virgilio chiamava tibicĭnes, ​cioè "puntelli" provvisoriamente collocati in attesa della definizione del verso. Viene ​sepolto a Napoli​. La città natale è citata nel primo canto dell’inferno. L’epitaffio (accennato da Dante nel 6 canto dell’Inferno) è inciso nella sua tomba come un distico elegiaco. ​“Mantova mi ha generato, la Puglia mi ha rapito e ora mi tiene Partenope, cioè Napoli”​. Sono poi detti i suoi eventi importanti. Fa riferimento alle Bucoliche, le Georgiche e l’Eneide oltre all’Appellix Virgiliana (due carmi). 2. Le Bucoliche E’ l​a prima opera di Virgilio, composta tra il 42 e il 39 a.C.​, costituita da una raccolta di dieci componimenti in esametri. Nel titolo sottintende ​carmina​, cioè carmi bucolici. Al singolare sono dette ​egloghe. Bucolica deriva dal greco neutro plurale ​boukoliká ​e significa ​cose dei pastori​, quindi Carmi Pastorali, Idillio Pastorale. I protagonisti sono diversi pastori. La struttura dell’opera è molto calibrata​, le egloghe ​dispari ​hanno forma di ​dialogo e/o di gara musicale tra pastor​i mentre quelle pari ​hanno una struttura narrativa ​e, inoltre, togliendo la decima, le altre hanno una ​struttura simmetrica. La prima e la nona (esproprio delle terre), la seconda quarta (monologhi amorosi), terza e quinta (gare poetiche tra pastori) e quarta e sesta (tematiche al di fuori delle bucoliche) hanno tematiche uguali. Nell'insieme, è evidente ​il desiderio del poeta di creare una raccolta organica​, in cui la successione dei componimenti non segue l'ordine di composizione. Con le Bucoliche Virgilio trasferisce nella poesia latina il ​genere bucolico, fondato in età ellenistica da Teocrito di Siracusa​. Virgilio riprende infatti l’i​dealizzazione dei pastori, l’utilizzo del ​locus amoenus, utilizzato anche in Chiare fresche e dolci acque​. Virgilio rappresenta i luoghi con i un paesaggio spirituale e ideale, ​rappresenta un’alternativa consolatoria alla violenza della storia contemporanea. Dal punto di vista filosofico si rivolge all'epicureismo, quindi cerca consolazione e l’atarassia in questi paesaggi e questi temi. Il paesaggio è anche ​arcadico, l’Arcadia era una regione montuosa del Peloponneso, considerata una sorta di paradiso popolato da pastori e poeti​. Ci sono poi riferimenti a Mantova e alla Sicilia​. I temi sono quelli dei canti poetici e l’amore. Rispetto al modello di Teocrito ​Virgilio inserisce riferimenti a eventi contemporanei come l’esproprio delle terre nel primo e nono libro. Nella quinta egloga utilizzando un pastore per fare l’apoteosi di Giulio Cesare, cioè la divinizzazione post mortem (in Oriente c’era invece una divinizzazione in vita). Un’opera di Seneca si chiama apocolocintosi, fa una parodia dell’apoteosi, trasformazione in zucca. L’amore è visto come furor​, cioè come follia, visto nelle Bucoliche quanto in ​Didone nell’Eneide​, questo tema deriva proprio ​dall’epicureismo che condanna l’amore come passione​. Nella quarta egloga si parla di un ​fuer, identificata come possibile previsione di Gesù. Si parla di questo ​fanciullo e fa riferimento a quanto si stesse meglio nell’età classica. 3. Le Georgiche Le Georgiche sono ​la seconda opera ​di Virgilio, e costituiscono un ​poema didascalico (con il fine di insegnare qualcosa) in esametri. ​Il poema è suddiviso in ​4 libri​, composti tra il 39 e il 29 a.C. Il titolo è anch’esso di derivazione greca (​gheorghikós​), che significa ​“che si riferisce ai contadini”,​ “agricolo”.​ Il poema è strutturato in ​2 diadi (4 libri): nella sua ​pietas​, che lo induce ad accantonare le proprie esigenze individuali e a sperimentare tormento e dubbio (controfigura di Augusto). Altri valori del ​mos maiorum sono quelli della ​fides (non inteso come fedeltà, ma come lealtà), della ​virtus ​(il valore in battaglia, il coraggio), della ​clementia​. Gli dei intervengono all’interno del poema aiutando o ostacolando l’eroe, ma sopra di loro viene posto ​il ​fatum (participio perfetto del verbo ​fari ossia dire)​, che indirizza la storia verso una finalità provvidenziale e che può essere accostato per molti aspetti al ​Logos degli stoici​. Tutti gli elementi e i personaggi che si oppongono al volere del fato sono destinati alla sconfitta. La passione tra la regina Didone ed Enea figurava già nel ​Bellum Poenicum di Nevio​, dove aveva la funzione di motivare sul piano mitico la ​rivalità storica da Roma e Cartagine​, nell'Eneide invece l’elemento amoroso ha un peso del tutto nuovo. La regina Infatti ​domina incontrastata il libro IV ​mettendo in ombra il protagonista stesso e le sue superiori ragioni. Virgilio prova empatia verso Enea, ovvero immedesimazione nel suo personaggio e la comprensione delle sue ragioni, e prov simpatia verso personaggi come Didone, tutt'altro che eroici, che rappresentano i vinti. Emergono la ​perplessità di Virgilio sul ​senso del dolore insito nelle vicende umane e la compassione​ verso la sofferenza dei tanti vinti dal destino. Questo ​pessimismo sulla giustizia del fato rende l'​Eneide un'opera moderna​, capace di porre al lettore ​domande esistenziali senza offrire soluzioni semplicistiche o superficialmente consolatorie. Tutto ciò è visibile anche nella particolare ​modernità delle tecniche narrative​, allo stile impersonale dell'antico epos, Virgilio contrappone una ​visione soggettiva​, immedesimandosi nei personaggi con una partecipazione emotiva estranea al mondo remoto degli aedi Greci. Spia di questa affettività dello stile sono i ​frequenti interventi diretti ​del poeta, la ​scelta del punto di vista e gli ​epiteti con cui caratterizza alcuni personaggi. 5. L’Appendix Vergiliana Si tratta di testi per lo più ispirati ​a quelli dei poetae novi​, che dovrebbero risalire alla produzione giovanile del poeta ma che in massima parte sono opera di qualche imitatore. In genere vengono ritenuti ​autentici due soli carmi​, il quinto e l'ottavo tra quelli contenuti nella raccolta intitolata ​Catalepton​. L'Appendix comprende 2 ​epilli​ in ​esametri​, ​Culex​ e ​Ciris​. Una sorta di monologo lirico in distici elegiaci è la ​Copa​, mentre il ​Moretum è un bozzetto in esametri di argomento agreste. In esametri sono anche il poemetto ​Aetna e le ​Dirae​, mentre in distici elegiaci sono la ​Lydia e le ​Elegiae in Mecenatem​. 6. La lingua e lo stile Le opere di Virgilio sono accomunate da una ​forma espressiva equilibrata e armoniosa frutto di un attentissimo lavoro di ​rifinitura formale​. La poesia è di estrema sobrietà e naturalezza​, i singoli vocaboli acquistano spesso nuova suggestione da accostamenti inusuali all'interno del verso, con ​effetti polisemici e ambigui​. Il lessico evita i colloquialismi e l'accesso di magniloquenza, mentre la sintassi predilige la struttura lineare e la ​paratassi​. Ricorrenti sono le figure di suono. Lo stile di Virgilio nel corso del tempo si modifica gradualmente, passando dalla studiata esilità della poesia bucolica​, alla ​forma più elevata del poema didascalico​, fino al confronto diretto con il modello omerico​. Sempre più sicura si fa inoltre la padronanza metrica dell'​esametro​, utilizzato come duttile strumento narrativo e marcato dal frequente ricorso all’​enjambement​. Tipici di Ennio sono i ​termini dello stile elevato​ quali ​ales​, ​amnis​, ​ensis​, ​letum​. Dal modello omerico invece ricava le ​espressioni formulari​, utili a innalzare lo stile e a svolgere una funzione espressiva. Passi delle opere di Virgilio Bucoliche Ecloga I I temi Strutturata in forma dialogica, può essere divisa in tre sequenze, che riportano temi di presente passato e futuro. La celebrazione di Ottaviano ha una posizione centrale, infatti l’elogio del ​deus è riportato in tutte e tre le sequenze. L'ecloga trova il suo equilibrio artistico proprio nel contrasto tra gli opposti sentimenti dei due pastori. Virgilio sembra mostrare un atteggiamento critico nei confronti del potere politico. La lingua e lo stile In linea con l'ispirazione umile del genere pastorale, Virgilio si rifà a un ideale espressivo di semplice naturalezza, senza trascurare l’accurata rifinitura formale. Lo stile è espresso direttamente da Titiro al v.2, con un valore di programma poetico. Sequenza I Titiro e Melibeo La prima ecloga introduce il lettore nel mondo pastorale virgiliano. Il dialogo tra i protagonisti del passo, Titiro e Melibeo, è riportato in un paesaggio idilliaco. Titiro rappresenta l’alter ego di Virgilio perchè riottiene le sue terre, grazie all’aiuto di un ​deus​, la cui identità è ipoteticamente affiancata quella di Augusto, mentre Melibeo non riesce a sfuggire alla sorte dell’esproprio e diventa simbolo di tutte le vittime delle guerre civili. Il componimento presenta un equilibrio tra il tema pastorale e quello politico. Virgilio non si ferma a imitare l’Idillio di Teocrito ma tratta specificatamente gli eventi storici. Traduzione​ ​da v. 1 a v. 18 MELIBEO: O Titiro, tu stando mollemente ​sdraiato sotto l’ombra di un largo faggio, ​intoni un canto silvestre con una morbida zampogna, noi lasciamo i confini della patria e i dolci campi coltivati. Noi fuggiamo dalla patria; tu, O Titiro, mollemente sdraiato sotto l’ombra insegni alle foreste a cantare la bella Amarillide. TITIRO: O Melibeo, un dio ci ha regalato questa pace: e infatti per me quello sarà sempre un dio, e spesso un tenero agnello preso dai nostri ovili bagnerà l suo altare. Egli ha permesso alle mie mucche di vagare, come puoi vedere, e a me stesso di intonare sul flauto ciò che volevo. MELIBEO: In verità non ti invidio, piuttosto provo stupore: fino a tal punto da ogni parte c’è scompiglio in tutti i campi. Ed ecco, io stesso, a stento, (benché) debole, spingo avanti le caprette; a malapena, o Titiro, mi porto dietro anche questa. E questa, infatti, poco fa fra i folti noccioli, ha partorito due gemellini, speranza del gregge, e, ahimé, li ha lasciati sulla dura pietra. Ricordo che spesso le querce, colpite dal fulmine, ci predicessero, se la mia mentre non fosse stata offuscata, questa sfortuna. Se tuttavia questo dio è qui, diccelo, bastardo. Sostantivo ​tegmine​: significa ​copertura​, rivestimento, deriva dal verbo ​tego ​che da una radice indoeuropea significa coprire e proteggere. Dal participio passato di tego deriva poi ​tectum​, il tetto e la tegula​, con lo stesso significato italiano. Derivano poi la toga e il tegamen. ​Dai composti come detego derivano anche l’inglese detective (colui che scopre) e metal detector. Sequenza II Il viaggio a Roma e l’incontro con il divino ​iuvenis Titiro ricorda il suo viaggio a Roma, fatto per liberarsi dalla schiavitù materiale e alla passione che lo legava a Galatea. A Roma ​incontra il dio ​che gli ha permesso di mantenere le terre. Attraverso la riconoscenza di Titiro e l’elogio di Roma viene fuori un palese ​motivo encomiastico nei confronti di Ottaviano. Sequenza III La fortuna di Titiro, la sfortuna di Melibeo. Concluso il flashback relativo al viaggio di Titiro a Roma, si ripropone il ​contrasto tra la sfortuna di Melibeo e la fortuna di Titiro​, sempre riconoscente nei confronti del dio misterioso. Melibeo si concentra allora sul proprio destino, immaginando già ​l’esilio in terre lontane e inospitali e, declinando l'invito di Titiro a fermarsi ancora una notte in campagna, l'infelice pastore abbandona per sempre la serenità del mondo pastorale. questa egloga per formare la propria figura, come la fondazione degli Ludi Saeculares​, la cui fondazione era stata profetizzata proprio dalla sibilla, oltre alla nascita del nuovo calendario, richiamata nell’egloga. Ritorna anche il riferimento al dio Apollo. Anche nel ​carme di Orazio​ viene riportata la IV ecloga. Il caso più interessante è ​la profezia di un aruspice Etrusco chiamato Vulcatiu​s, si racconta che ​quando Ottaviano celebrava i funerali del padre apparve una stella splendente​, un presagio che ​annunciava la gloria di Ottaviano​. Però Ottaviano stesso volle che si interpretasse come una manifestazione della divinizzazione del padre. Questo aruspice predisse che quella era una cometa che rappresentasse il passaggio dal IX al X secolo, ​per poi morire lì davanti a tutti per renderla ancora più credibile. Sono gli stessi concetti che Virgilio usa nella IV, un nuovo secolo che nasce. Dice ​Svetonio ​che lo stesso Augusto raccontava questo evento nel secondo libro delle sue memorie. Inoltre lui amava molto presentarsi in modo divino. La sua propaganda diceva che lui fosse figlio di Apollo. Sono interessanti ​dei segni raccolti da Svetonio che accompagnarono la nascita di Ottaviano​, momento di gran significato che stabilisce il destino di una persona. La manifestazione del volere delle Parche che attribuisce anche il nome al bambino. ​Ad esempio Agrippa era nato per i piedi, segno allora di sventura. Svetonio raccoglie i segni dei Cesari, quelli di Ottaviano sono tantissimi ma i più importanti sono: ​a Ottavio, il padre, appare in sogno il proprio figlio su un carro ornato di alloro​, impugnando il fulmine con lo scettro , le armi di Giove, richiamate da Virgilio nella IV. In un altro sogno, Quintus Catulus vede un puer seduto ai piedi della statua di Giove, si avvicina e prova a toglierlo dalla statua ma Giove glielo impedisse come se quel bambino fosse stato lì per diventare la base della repubblica, il giorno dopo vede Ottaviano e lo riconosce come quel bambino​. O l’altra versione del ​bacio di Zeus. Persino ​Cicerone viene implicato, sarebbe andato da Cesare a raccontargli un sogno di un bambino calato giù dal cielo con una bacchetta d’oro e una flagello di Giove​, che somiglia sempre al puer. Chi stava a Roma a quei tempi tendeva ad identificare il puer come Augusto. Le Georgiche Il ​labor: ​un dono degli dèi. Nell’arco di tutto il primo libro Virgilio insiste sulla durezza del lavoro agricolo​. Ci da la motivazione che Virgilio adduce a ​Giove del lavoro​. Rendere ​labor con lavoro non rende giustizia del significato latino​. Nell’idea del Labor latino c’è la ​fatica, ed è significativo perché in questo passo si parla del perché Giove ha deciso che, dopo l’età dell’oro, decide di far faticare gli uomini, di farli lavorare, per ​liberarli dalla pigrizia indotta dalla natura generosa e mai ostile ​e per praticare l’esercizio dell’ingegno​. Il termine labor ​è di origine indoeuropea. Non è un sinonimo della parola lavoro perché significa anche affaticarsi quanto essere in pericolo. Mentre oggi il lavoro è diritto e dovere nel mondo latino non era così. L'attività lavorativa, quindi, rientra in un ​disegno superiore che spinge gli uomini ad affinare la propria capacità tecnica nell'esperienza quotidiana: è ​il fondamentale presupposto del progresso civile​ e il simbolo dell'​impegno del singolo a beneficio della collettività. La distanza dal disimpegno delle giovanili Bucoliche e l'esaltazione dei valori augustei non potrebbero essere più evidenti. La peste tra gli animali (​Georgiche III, vv. 478-536​) Nel cupo finale del libro terzo, la sezione dedicata alle malattie del bestiame si conclude con la visione dell’​epidemia animale che si scatenò nel Nòrico (attuale Austria). Essa colpisce in modo indifferenziato animali di ogni specie, senza risparmiare quelli più utili al contadino e alla vita agreste​, come i cavalli e i tori. Descrivendo la malattia con sintomi realistici, Virgilio si sofferma con compassione su ciascun animale colpito dal morbo, specialmente sul cavallo e il toro già sopracitati. Vede come l’epidemia che li ha colpiti ha ​influenzato la loro condizione psicologica​, e conseguenzialmente anche l’esito dei riti in onore degli dèi. Virgilio si focalizza anche sul ​punto di vista del contadino​, il ​pius agricola​, che dopo tanto labor incessante, riceve questa disgrazia in compenso dagli dèi​, rimanendone spiazzato e deluso, tanto da interrompere il suo lavoro che fino a quel momento non aveva mai interrotto. <A che giovano il lavoro e i meriti? A che scopo aver rovesciato col vomere i terreni pesanti?> < Alla merda> <a> Il giardino di un vecchio saggio (​Georgiche IV, vv. 125-146​) Excursus ​descrittivo​. Virgilio avrebbe voluto trattare anche il tema dell'orticoltura ma non può per la mancanza di spazio. Descrive la figura di un ​vecchio giardiniere​, ​originario della Cilicia, che ha trasformato un campo infecondo ​nei pressi di Taranto in un meraviglioso giardino​. Sebbene la natura non produca più spontaneamente i suoi frutti, come nell'età dell'oro, ​la terra appare comunque come un'alleata dell'uomo, e lo ricompensa per il ​labor​. I temi sono quelli della ​iustissima tellus ​(la terra giustissima), ​l’operosità, la celebrazione dell’​auterkeia ​(autarchia)​, ​autosufficienza morale e materiale incarnata dal vecchio. Nella sua figura, sospesa tra realtà e simbolo, si concentrano infatti la sobrietà, il senso del limite e la capacità di non farsi turbare dall'ambizione e dall'avidità, nella convinzione che la felicità risiede in noi, non in beni e oggetti materiali. La colpa di Aristeo (​Georgiche, IV, vv 453-503​) A questo ampio epillio, introdotto con tecnica eziologica per illustrare l’origine della bugonia, ovvero la presunta generazione spontanea di insetti nella carcassa di animali in putrefazione, è affidata la conclusione delle Georgiche. Narra del​ mito di Aristeo​, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, il quale apprese da Pròteo di essere stato punito per aver causato indirettamente la morte di Euridice, con la morte dei suoi sciami. Offrendo agli dei però solenni sacrifici dalle carcasse degli animali immolati rinasce un nuovo sciame. Le vicende di ​Aristeo e Orfeo hanno una stretta correlazione​, entrambi perdono un bene prezioso e per recuperarlo affrontano dure prove (discesa negli abissi del mare e degli Inferi). Aristeo, ​modello del​ ​pius agricola ​(buon contadino)​, è però contraddistinto dalla ​pietas, che gli permette di riappropriarsi del suo sciame, mentre Orfeo, schiavo del furor amoroso perde ogni cosa. Al verso 473 ritroviamo una metafora aerea “milia avium” che ci riporta alla mente il canto di Paolo e Francesca della Divina Commedia. augusto omosessu La morte di Orfeo (​Georgiche IV, vv 504-527​) Il dio marino Proteo prosegue a raccontare ad Aristeo quel che accadde a Orfeo dopo avere perduto ​definitivamente l'amata Euridice​. Inconsolabile, egli pianse l'amata per mesi finché, incapace di dimenticarla, fu ucciso dalle donne di Tracia che, sdegnate per il suo rifiuto amoroso e per il paragone con le Baccanti, sacerdotesse del dio Bacco, lo ridussero a pezzi in una sorta di invasamento bacchico. I temi La catàbasi (in greco "discesa", da katá "giù" + baíno "vado") di Orfeo era ben nota ai lettori antichi e ciò permette a Virgilio di adottare una tecnica narrativa che, senza indugiare sui particolari della vicenda, procede per quadri lirici separati, soffermandosi sui momenti di maggior ​pathos ​emotivo. Il testo si può suddividere in sei sequenze: • nella prima sequenza Proteo, dopo avere chiarito il motivo dell'ira divina verso Aristeo, evoca la morte di Euridice. • la seconda sequenza descrive la disperazione di Orfeo. («​Mantova​ mi ha dato i natali, la Puglia mi ha dato la morte e ora sono sepolto a Napoli; ho cantato i pascoli, i campi, i condottieri) L’addio a Creùsa (En.II) Enea, durante la notte della caduta di Troia, scappa dalla città con il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio per mano. Cerca di raggiungere le porte della città ma durante la fuga perde di vista la moglie Creùsa. Decide allora di ritrovarla ricompiendo la strada al contrario ma durante il tragitto gli apparve un fantasma che gli rivolge accorate parole di addio. Creùsa, di fronte al fato non potè insistere, in quanto chi andava contro il suo volere era destinato alla sconfitta. Dunque invita Enea ad accettare il destino, gli profetizzò la fondazione di una nuova stirpe con una nuova donna di nome Lavinia, figlia dei re latini, lo rassicurò della sua sorte e gli raccomandò di tenere d’occhio il figlio comune Ascanio. La missione di Roma (En. VI) Il ​padre Anchise​, arrivato nei Campi Elisi, decise di mostrare a Enea cosa preservava il futuro della città di Roma​. Rivolse allora al figlio e a tutti i romani un ​solenne avviso​, dichiarando che la città di Roma dovrà imporre il suo dominio su tutta la Terra portando pace con armi e leggi. Per questo diventerà famosa, a differenza dei Greci che erano noti per le loro arti o per le loro abilità nelle scienze. Roma doveva nascere per comandare, ma con rispetto sempre dei sottomessi A Enea (e discendenti) è affidato questo arduo compito. Virgilio definirà Roma come signora del mondo, sottolineando la sua forza bellica e civile, facendo riferimento alla vocazione imperialistica del principato augusteo fondata nel volere divino. Libro IV Eneide Il ​libro IV dell’Eneide è probabilmente il più noto e amato dai lettori. Viene presentata la storia ​dell’impossibile amore fra Enea e Didone​, considerata una storia all’interno di un’altra storia (​narrazione a incastro​). Questo episodio ha anche un ​valore eziologico in quanto rappresenta l’antefatto mitico della ​rivalità tra Roma e Cartagine (Didone era la regina di Cartagine). Il ​finale sarà necessariamente ​tragico ​in quanto Enea, durante questa particolare situazione, non ha sicuramente tratto benefici. La passione di Didone è preda di una pericolosa follia (​furor​). Successivamente all’abbandono di Enea che doveva compiere il suo dovere della fondazione di Roma, Didone scelse la ​morte​. Didone è l’emblema di tutte le ragioni di tutti i vinti del poema. Didone abbandonata (En. IV) Enea viene avvisato dal divino messaggero ​Mercurio ​di dover proseguire il suo viaggio alla volta del Lazio. La moglie Didone, non potendo comprendere le ragioni di Enea, affronta un drammatico confronto nel quale prega il marito a desistere a questo compito, scongiurando di rimanere insieme in nome del legame tra i due. In questo monologo, Didone appare come una donna abbandonata, ​tradita dal fato e dalla sua passione come furor​. Inoltre accusa Enea di aver sfigurato il suo ​pudor​, in quanto regina di Cartagine. Virgilio, implicitamente, condanna ​l’eccesso del suo sentimento facendo emergere la pericolosità che può raggiungere la passione amorosa. Prima del discorso di Didone, il narratore interviene evidenziando le sensazioni, in particolare il furor, di Didone. Successivamente Didone inizia il suo discorso caratterizzato da interrogative e frequenti inversioni che mostrano ​la sua concitazione e la sua scarsa lucidità​. Il suo ​pathos ​è invece sottolineate da numerose figure di suono e diverse anafore (nec...nec...nec). Ogni parola è molto rilevante all’interno di questo testo. Alcune sono evidenziate dalla presenza di ​enjambements​, altre mostrano la follia di Didone che si riversa sia contro Enea tramite vocativi di significato forte (perfide) sia contro se stessa tramite climax crescenti. La replica di Enea (En. IV) Dopo il discorso di Didone nella speranza di fargli cambiare idea, Didone non potè non rispondere. Egli affermò con fermezza la necessità di ​voler continuare il viaggio in quanto era un compito assegnatogli dal ​fato​. Per fondare una nuova città e una nuova stirpe, doveva essere pronto a s​acrificare qualunque tipo di bene o qualunque tipo di desiderio personale​, non in forma di insensibilità, ma in forma di coraggio e ​durezza d’animo​. In questo modo avrebbe potuto liberarsi del sentimento ed evitare ogni ripensamento. Il suicidio della regina (En.IV) Didone, regina di Cartagine, assistette dall’alto della rocca della sua città la partenza di Enea al seguito della flotta troiana. Una volta partito Enea, Didone allontanò la sorella Anna e la fedele nutrice con un pretesto, disse le sue ultime solenni parole e non potè fare altro che togliersi la vita​. Rievocò, nelle sue ultime parole, ​le tappe della sua vita tra le quali vi era la fondazione della città di Cartagine. Al termine del soliloquio, si suicidò ​con la spada donata dallo stesso Enea​. Le ancelle videro atterrite la regina accasciata a terra in un lago di sangue. Qui, Didone rivela la sua fisionomia di ​personaggio tragico che ricorda il dramma di ​Medea​ nella tragedia di Euripide a lei intitolata. Didone viene definita ​effera ​(furente) e ​furibunda ​(furiosa). Il primo termine deriva da ​fera (ex+fera), termine legato al greco Ther che allude a una bestia selvatica priva di razionalità e presa dei suoi istinti​. Furibundus invece deriva dal greco thorein o forse alla radice indoeuropea bhreu da cui deriva “ribollire d’ira”. Nella mitologia greca, le Furiaes erano ​divinità immagini della vendetta. Topos dell’eroina abbandonata Archetipo della donna sedotta e abbandonata è ​Medea​, figlia del re della Colchide. Dopo aver aiutato l’eroe greco ​Giasone ​a conquistare il vello d’oro, viene da lui stesso ​ripudiata ritrovandosi straniera in Grecia. Il suo dramma è presentato ​nella tragedia di Euripide a lei intitolata, e nel libro III delle Argonautiche. Oltre Medea, modello di Didone è ​Arianna nel carme 43 di Catullo, ​principessa cretese abbandonata da ​Teseo ​sull’isola di Nasso. Nella letteratura italiana questo modello è stato ripreso ​nell’Orlando furioso di Ariosto con l'episodio di ​Olimpia​, nella ​Gerusalemme liberata di Tasso con l’episodio della ​maga Armida​ lasciata da ​Rinaldo​. Eurialo e Niso I latini, durante la guerra, attaccarono approfittando dell’assenza di Enea. Eurialo e NIso, nel pieno della notte, avvertirono l’eroe, attraversano le linee nemiche e uccisero un buon numero di soldati. Successivamente però, Niso si accorge di essere rimasto solo in quanto Eurialo era stato circondato da guerrieri a cavallo. Niso allora tenta disperatamente di salvare l’amico. Il comandante avversario reagisce uccidendo definitivamente Eurialo. Niso vendicando l’amico, cade ucciso a sua volta. In questa descrizione, si intravede la commossa partecipazione del poeta alla morte prematura dei due Troiani fino al punto di spingere Virgilio stesso ad infrangere il canone dell’oggettività commentando l’episodio esaltando l’eroismo e l'amicizia dei due giovani guerrieri.
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