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Virginia Woolf - To the Lighthouse (Gita al Faro), Appunti di Letteratura Inglese

Biografia e commento sulla poetica, attività critica e stile. Sintesi e riassunto del romanzo "Gita al Faro", suddiviso in sezioni. Analisi e commento sull'opera, caratterizzata dallo stream of consciousness.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 24/08/2020

Nell-90
Nell-90 🇮🇹

4.4

(49)

42 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Virginia Woolf - To the Lighthouse (Gita al Faro) e più Appunti in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! VIRGINIA WOOLF Adeline Virginia Woolf, nata Stephen (Londra, 25 gennaio 1882 – Rodmell, 28 marzo 1941), è stata una scrittrice, saggista e attivista britannica. Considerata come una delle principali figure della letteratura del XX secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i due sessi; fu, assieme al marito, militante del fabianesimo. Nel periodo fra le due guerre fu membro del Bloomsbury Group e figura di rilievo nell'ambiente letterario londinese. Le sue più famose opere comprendono i romanzi La signora Dalloway (1925), Gita al faro (1927) e Orlando (1928). Tra le opere di saggistica emergono Il lettore comune (1925) e Una stanza tutta per sé (1929); in quest'ultima opera compare il famoso detto: «Una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi.» Woolf iniziò a scrivere professionalmente già dal 1905, inizialmente solo per il supplemento letterario della rivista Times, poi come autrice di romanzi. La sua prima opera, La crociera fu pubblicata nel 1915 dalla casa editrice fondata da Gerald Duckworth. Questo romanzo era stato originariamente intitolato Melymbrosia, ma Woolf cambiò più volte il suo progetto. Una recente versione è stata ricostruita da una celebre studiosa moderna di Woolf, Louise DeSalvo, ed è ora a disposizione del pubblico. DeSalvo sostiene che molti dei cambiamenti operati dalla scrittrice nel testo sono adattati per rispondere ai cambiamenti nella propria vita. Woolf pubblicò romanzi e saggi per un pubblico intellettuale, e sia da questi ultimi che dalla critica ottenne un immenso successo. Molto del suo lavoro fu auto- pubblicato attraverso la Hogarth Press, fondata da lei e dal marito Leonard. Già in vita fu salutata come una delle più grandi romanziere del XX secolo e uno dei principali personaggi modernisti. Fu considerata una profonda innovatrice dello stile e della lingua inglesi. Nella sua opera complessiva sperimentò la tecnica del flusso di coscienza e dotò i suoi personaggi di uno straordinario potere psichico ed emotivo. La sua reputazione ebbe un forte calo dopo la Seconda guerra mondiale, ma la sua preminenza aumentò nuovamente con l'aumento della critica femminista negli anni settanta. Le peculiarità individuate nel lavoro di Virginia Woolf come scrittrice di narrativa hanno oscurato la forza centrale della sua qualità stilistica: la grande liricità della sua prosa. I suoi romanzi sono altamente sperimentali: un racconto, spesso banale, è rifrangente e, talvolta, quasi disciolto in caratteri di squisitamente ricettiva coscienza. Intenso lirismo e virtuosismo stilistico sono fusi per creare un mondo sovrabbondante di impressioni visive e uditive. L'intensità poetica di Virginia Woolf eleva normali impostazioni – spesso ambienti di guerra – nella maggior parte dei suoi romanzi. Ad esempio, ne La signora Dalloway (1925), romanzo centrato sulla figura di Clarissa Dalloway, una donna di mezza età, e sul suo sforzo di organizzare una festa. La vicenda è però vista parallelamente con quella di Septimus Warren Smith, un veterano che è tornato dalla Prima guerra mondiale con cicatrici psicologiche profonde. Gita al faro (1927) è impostato su due giorni, e dieci anni. La trama ruota attorno alla famiglia Ramsay, in anticipazione alla visita a un faro e le tensioni familiari connesse. Uno dei temi principali del romanzo è la lotta nel processo creativo che affligge la pittrice Lily Briscoe (che sembra ricordare la sorella di Virginia, Vanessa Bell) mentre lotta per dipingere in mezzo al dramma familiare. Il romanzo è anche una meditazione sulla vita degli abitanti di una nazione nel bel mezzo di una violenta guerra[12]. Lingua e stile Con le stesse tecniche operate da James Joyce in Irlanda, Marcel Proust in Francia e Italo Svevo in Italia, Virginia Woolf abbandonò la tecnica di narrazione tradizionale per svilupparne una più moderna. Eliminando la forma comune di dialogo diretto e la struttura tradizionale della trama porta l'attenzione del romanzo al monologo interiore del soggetto preso in questione. Il tempo si differenzia per l'assenza di una cronologia precisa. La narrazione procede attraverso spostamenti in avanti e all'indietro nel tempo, assieme la maggior parte delle volte a pensieri e ricordi suscitati dall'ambiente circostante. Woolf è in grado di rappresentare lo scorrere del tempo in dodici ore (La signora Dalloway), in pochi giorni (Tra un atto e l'altro), in diversi anni (Gita al faro) o addirittura in tre secoli (Orlando). Il linguaggio si presenta particolarmente raffinato e ricercato, ricco di similitudini, metafore, assonanze, e allitterazioni usato per esprimere il flusso di coscienza. Il tempo non è visto come uno scorrere perenne bensì come una serie di momenti staccati successivamente riuniti dall'associazione di idee o dall'immaginazione[19]. La psicologia dei vari personaggi è continuamente sfruttata nelle trame e continuamente la forma letteraria e stilistica viene alterata dall'identità della figura, in uno scambio continuo, un'attenta corrispondenza tra l'esigenza psicologica e quella linguistica. Attività critica Dal dicembre 1904 a marzo 1941, Virginia Woolf pubblicò anche diversi articoli e recensioni su giornali e riviste, soprattutto su The Times Literary Supplement, quindi su Athenaeum, New Statesman, London Mercury e Criterion in Inghilterra, e New Republic, Vogue, Dial, New York Herald Tribune e Yale Review negli USA. In questi saggi, gusto letterario e critica sociale spesso si fondono, utilizzando anche schizzi biografici e note di immaginazione, secondo una tradizione che può risalire a William Hazlitt, Thomas de Quincey e Walter Pater, ma con maggiore attenzione all'arte di scrivere in quanto tale e al contesto in cui le autrici e gli autori vengono ritratti, soprattutto quando donne. In generale, Woolf adottò una prospettiva di vicinanza e simpatia come critica e così suggerì di fare come lettrice, avvicinandosi quasi fosse possibile essere concretamente presente alla persona, all'opera e al periodo che prese in esame. In Modern Fiction (1919) e in Mr. Bennett e Mrs. Brown (1929) distinse scrittori detti "Edwardians" (come H. G. Wells, Arnold Bennett o John Galsworthy) da altri detti "Georgians" (E. M. Forster, D. H. Lawrence, James Joyce, Lytton Strachey e, senza nominarsi ma chiaramente, se stessa), accusando i primi di essere troppo materialisti e non Leslie Stephen, padre della scrittrice e probabile modello per il personaggio del signor Ramsay, iniziò ad affittare come casa delle vacanze Talland House a St. Ives in Cornovaglia nel 1882, subito dopo la nascita della scrittrice. I luoghi descritti dalla Woolf all'interno del romanzo sono basati su quelli nei dintorni di Talland House. Molte delle caratteristiche della baia di St. Ives sono state trasposte all'interno del romanzo, tra cui il vicino faro di Godrevy Island[1]. Nel romanzo però i Ramsay ritornano alla loro casa delle vacanze dopo la guerra, invece la famiglia della scrittrice in quel periodo non aveva più questa casa per le vacanze. Comunque, dopo la guerra, Virginia insieme alla sorella Vanessa visiterà Talland House e ripeterà tale viaggio, da sola, molto tempo dopo la morte dei genitori. To the Lighthouse is a 1927 novel by Virginia Woolf. The novel centres on the Ramsays and their visits to the Isle of Skye in Scotland between 1910 and 1920. Following and extending the tradition of modernist novelists like Marcel Proust and James Joyce, the plot of To the Lighthouse is secondary to its philosophical introspection. Cited as a key example of the stream-of-consciousness literary technique, the novel includes little dialogue and almost no action; most of it is written as thoughts and observations. The novel recalls childhood emotions and highlights adult relationships. Among the book's many tropes and themes are those of loss, subjectivity, and the problem of perception. In 1998, the Modern Library named To the Lighthouse No. 15 on its list of the 100 best English-language novels of the 20th century.[1] In 2005, the novel was chosen by TIME magazine as one of the one hundred best English-language novels from 1923 to present ENGLISH NOTES Plot summary Part I: The Window The novel is set in the Ramsays' summer home in the Hebrides, on the Isle of Skye. The section begins with Mrs Ramsay assuring her son James that they should be able to visit the lighthouse on the next day. This prediction is denied by Mr Ramsay, who voices his certainty that the weather will not be clear, an opinion that forces a certain tension between Mr and Mrs Ramsay, and also between Mr Ramsay and James. This particular incident is referred to on various occasions throughout the section, especially in the context of Mr and Mrs Ramsay's relationship. The Ramsays and their eight children have been joined at the house by a number of friends and colleagues. One of them, Lily Briscoe, begins the novel as a young, uncertain painter attempting a portrait of Mrs. Ramsay and James. Briscoe finds herself plagued by doubts throughout the novel, doubts largely fed by the claims of Charles Tansley, another guest, who asserts that women can neither paint nor write. Tansley himself is an admirer of Mr Ramsay, a philosophy professor, and his academic treatises. The section closes with a large dinner party. When Augustus Carmichael, a visiting poet, asks for a second serving of soup, Mr Ramsay nearly snaps at him. Mrs Ramsay is herself out of sorts when Paul Rayley and Minta Doyle, two acquaintances whom she has brought together in engagement, arrive late to dinner, as Minta has lost her grandmother's brooch on the beach. Part II: Time Passes The second section gives a sense of time passing, absence, and death. Ten years pass, during which the four-year First World War begins and ends. Mrs Ramsay dies, as do two of her children - Prue dies from complications of childbirth, and Andrew is killed in the war. Mr Ramsay is left adrift without his wife to praise and comfort him during his bouts of fear and anguish regarding the longevity of his philosophical work. Part III: The Lighthouse In the final section, “The Lighthouse,” some of the remaining Ramsays and other guests return their summer home ten years after the events of Part I. Mr Ramsay finally plans on taking the long-delayed trip to the lighthouse with daughter Cam(illa) and son James (the remaining Ramsay children are virtually unmentioned in the final section). The trip almost does not happen, as the children are not ready, but they eventually set off. As they travel, the children are silent in protest at their father for forcing them to come along. However, James keeps the sailing boat steady and rather than receiving the harsh words he has come to expect from his father, he hears praise, providing a rare moment of empathy between father and son; Cam's attitude towards her father changes also, from resentment to eventual admiration. They are accompanied by the sailor Macalister and his son, who catches fish during the trip. The son cuts a piece of flesh from a fish he has caught to use for bait, throwing the injured fish back into the sea. While they set sail for the lighthouse, Lily attempts to finally complete the painting she has held in her mind since the start of the novel. She reconsiders her memory of Mrs and Mr Ramsay, balancing the multitude of impressions from ten years ago in an effort to reach towards an objective truth about Mrs Ramsay and life itself. Upon finishing the painting (just as the sailing party reaches the lighthouse) and seeing that it satisfies her, she realises that the execution of her vision is more important to her than the idea of leaving some sort of legacy in her work. Major themes Complexity of experience Large parts of Woolf's novel do not concern themselves with the objects of vision, but rather investigate the means of perception, attempting to understand people in the act of looking. [3] To be able to understand thought, Woolf's diaries reveal, the author would spend considerable time listening to herself think, observing how and which words and emotions arose in her own mind in response to what she saw. Complexity of human relationships This examination of perception is not, however, limited to isolated inner-dialogues, but also analysed in the context of human relationships and the tumultuous emotional spaces crossed to truly reach another human being. Two sections of the book stand out as excellent snapshots of fumbling attempts at this crossing: the silent interchange between Mr. and Mrs. Ramsay as they pass the time alone together at the end of section 1, and Lily Briscoe's struggle to fulfill Mr. Ramsay's desire for sympathy (and attention) as the novel closes. Narration and perspective The novel lacks an omniscient narrator (except in the second section: Time Passes); instead the plot unfolds through shifting perspectives of each character's stream of consciousness. Shifts can occur even mid-sentence, and in some sense they resemble the rotating beam of the lighthouse itself. Unlike James Joyce, however, Woolf does not tend to use abrupt fragments to represent characters' thought processes; her method is more one of lyrical paraphrase. The lack of an omniscient narrator means that, throughout the novel, no clear guide exists for the reader and that only through character development can we formulate our own opinions and views because much is morally ambiguous. Whereas in Part I the novel is concerned with illustrating the relationship between the character experiencing and the actual experience and surroundings, the second part, 'Time Passes' having no characters to relate to, presents events differently. Instead, Woolf wrote the section from the perspective of a displaced narrator, unrelated to any people, intending that events be seen related to time. For that reason the narrating voice is unfocused and distorted, providing an example of what Woolf called 'life as it is when we have no part in it. Allusions to autobiography and actual geography Woolf began writing To the Lighthouse partly as a way of understanding and dealing with unresolved issues concerning both her parents[8] and indeed there are many similarities between the plot and her own life. Her visits with her parents and family to St Ives, Cornwall, where her father rented a house, were perhaps the happiest times of Woolf's life, but when she was thirteen her mother died and, like Mr. Ramsay, her father Leslie Stephen plunged into gloom and self-pity. Woolf's sister Vanessa Bell wrote that reading the sections SINTESI E RIASSUNTO Il romanzo “Gita al faro” è suddiviso in tre parti. La prima parte, intitolato “La finestra”, è essenzialmente la descrizione della famiglia Ramsay insieme a tutti gli amici. James Ramsay ha sei anni e attende con ansia la gita al faro, la madre, la signora Ramsay, gli promette che la gita al faro sicuramente si farà mentre il padre, cinico, pieno di sé e iper- razionale – per questo irritante agli occhi dei figli – afferma che il giorno dopo sarà una brutta giornata. In questo episodio si traccia già un profilo netto dei caratteri dei primi personaggi presentati: la madre molto affettuosa e gentile, ella è molto attenta ad avere il giusto tatto nell’approccio con il prossimo ma contemporanea-mente è determinata in ogni sua azione; per questo motivo lei è definita tirannica dai suoi otto figli ma è molto stimata e adorata. Non si può dire lo stesso del padre. Egli appare un guastafeste che insieme all’ospite Charles Tansley, soprannominato l’ateista, sono una coppia pronto a sputare la cruda verità senza lasciare spazio a sentimenti di speranza o di romanticismo. La narrazione procede in modo ecfrastico, spaziando ampiamente sui dettagli riguardante il paesaggio e sulle reazioni dei membri della famiglia. Dopo una serie di digressioni sul pensiero dei personaggi si riesce a tracciare un profilo generale della famiglia Ramsay; la famiglia è composta dalla coppia Ramsay e gli otto figli: la bellissima Prue, lo sterminatore di uccelli Jasper, il matematico Roger, l’acchiappa granchi Andrew, l’intraprendente Nancy, la casalinga Rose, la piccola peste Cam ed infine il dolce sognatore James. I figli spesso erano troppo vivaci e desiderosi di avventura e, dato il risentimento nei confronti dell’impassibilità dell’ateista, spesso erano irrispettosi: la madre, l’eroina della famiglia, era il ponte tra i figli e Tanslay. Verso la via del paese, la signora Ramsay e alcuni figli incontrano vari personaggi tra cui Carmicheal, persona descritta dalla madre come un grande filosofo rovinato da un matrimonio sfortunato. Infatti negli episodi successivi viene descritto l’approccio della moglie di Carmicheal, incontro che ha dato luogo a valutazioni negative nella mente della Signora Ramsay. In seguito la narrazione si sposta focalizzandosi su Lily Briscoe, amica dei Ramsay e ospite nella pensione sul mare a Cornovaglia. Ella era una pittrice e una ammiratrice della Signora Ramsay. L’inquadratura si sposta di nuovo e adesso siamo di nuovo nelle stanze della pensione, dove la signora Ramsay sta prendendo le misure per ricamare dei pantaloni al figlio del guardiano del faro, minacciato di tubercolosi. Intanto mille pensieri le balenano in testa come ad esempio la casa: la pensione in cui vivono era un luogo pienamente carico di ricordi, ormai già un po’ vecchio e consumato, veniva continuamente logorato dai figli sconsiderati. Poi pensa alla ragazza svizzera che aiuta nelle faccende di casa e di quell'episodio in cui questa, guardando le montagne, sospirava assalita dalla nostalgia. La tristezza negli occhi della ragazza era infinita poiché aveva il padre malato di cancro alla gola. A questi pensieri i gesti della signora Ramsay mutano, e invece che il suo solito calore umano, i suoi gesti ora trasmettono fredda severità. Ma al pensiero della routine giornaliera, la madre si rallegra: la semplicità con cui si riesce a comprende i sentimenti dell’altro all’interno della famiglia è rasserenante. Il figlio chiede nuovamente se era possibile andare in gita al faro poiché i giorni precedenti il brutto tempo ebbe la meglio. La moglie annuisce calorosamente mentre il padre, arrabbiato per l’innocente affermazione perché di malumore, assicura che il giorno dopo ci sarebbe stato maltempo. La moglie dà ragione al marito vedendolo arrabbiato e questo suscitò i sensi di colpa del padre, il quale bisbiglia poi che forse il giorno dopo poteva esserci bel tempo. Da qui il padre pensa che vorrebbe dare sicurezza alla famiglia, proteggere la bellissima moglie e i figli, ma forse la propria permalosità era un ostacolo. La narrazione dunque cade in una digressione sul bisogno di affetto e di calore umano del signor Ramsay. Il prossimo scenario mostra la signora Ramsay leggere a James una favola sul pescatore, e mentre è dedita alla lettura ella pensa a tutti i figli, usciti per un’escursione sulle spiagge, e agli ospiti, coinvolti in diverse relazioni sentimentali. La scena finale si ambienta nel salotto dei Ramsay in cui tutti gli ospiti e i figli sono seduti a tavola. La cena è descritta con tutti i pensieri che stanno nella mente di coloro che vi partecipano mentre in secondo piano sono i dialoghi tra i commensali. La signora Ramsay, mentre serve il piatto francese di arrosto che ha fatto preparare, pensa a tutte le occasioni sprecate della sua vita – come ad esempio i libri mai letti – ma anche a quanto amava i figli e come avrebbe voluto averli sempre vicini, sperando che non crescessero mai. Lily invece pensa al signor Carlo, un giovane assistente del professor Ramsay, con un misto di fastidio e attrazione. Carlo intanto pensa ai suoi studi e al suo aspetto, agli abiti dimessi – nessuna donna l’avrebbe mai considerato – mentre Paolo al suo amore appena dichiarato per Minta. Il signor Bankes parla di politica col padrone di casa, mentre il prof. Ramsay nota con disappunto Carmicheal prendere due volte la minestra quasi come fosse insofferente all’altrui ingordigia. Quando tutti sono a letto e i coniugi sono gli unici rimasti svegli, la moglie vorrebbe esprimere la propria devozione, ammirazione e amore per il marito, ma l’imbarazzo la vinse e così disse solo che il giorno dopo pioverà. Il marito comprende cosa si cela in tale affermazione e si rallegra nel profondo del suo cuore ma senza che il senso di felicità sia visibile all’esterno. La seconda parte intitolata “Passa il tempo” è una sezione che fa comprendere che, appunto, molto tempo è passato. Gli avvenimenti sono narrati con un ritmo incalzante, tutto il paesaggio è ora mutato e fatti tragici sono accaduti: Andrew è deceduto in battaglia durante la Prima Guerra Mondiale, la bellissima Prue è morta dopo un parto e anche la signora Ramsay è passata a miglior vita. Passati dieci anni la casa in Cornovaglia si riempie di sterpi e piante rampicanti, alberi cresciuti troppo hanno invaso le finestre con i loro rami. Ha subito inizio la terza parte intitolata “Il faro”: sono ancora presenti il signor Ramsay, la pittrice Lily, Augustus Carmicheal e alcuni figli – difatti molti erano erano andati per la loro strada – per un soggiorno presso la pensione di Cornovaglia. Finalmente il membro più piccolo della famiglia Ramsey, ormai già ragazzo, può realizzare il suo sogno di una vita andare in gita al faro, così sulla barca James, la sorella Cam e il padre partono. Durante il viaggio c’è un certo attrito tra i figli e il padre a poiché non c’è più la madre a mediare le due parti. Tuttavia i membri sulla barca sono disponibili ad avvicinarsi l’uno all’altro tanto che i figli sopportano in silenzio le letture che il padre faceva riguardante il faro. La gita al faro si rivela un po’ deludente, non c’è quel calore e quel divertimento che da bimbo James si aspettava, probabilmente perché i partecipanti sono ridotti di numero. Il faro è quasi raggiunto e il padre si complimenta con il figlio per aver guidato ottimamente il timone della barca. James nascondendosi dietro a una finta reazione indifferente, rimane profondamente appagato dalla lode del padre: in realtà da lungo tempo aspettava che lui trapelasse qualche buona parola invece di ricevere il solito cinismo. I complimento del padre risolleva dunque l’atmosfera della gita. Nel frattempo Lily sta dipingendo sulla spiaggia: sta finendo il ritratto della signora Ramsay che tanto ammirava. In lei erano condensati il tema dell’affetto, dell’amicizia e del bello del particolare. I colori che la signora Briscoe stendeva nel telo erano insoliti ma rispecchiavano i suoi pensieri. Ella si immagina di quando stava a fissare la signora Ramsay dalla finestra mentre lei cuciva con un’espressione che alla pittrice pare una sintesi del concetto di umanità. Viene finalmente completato il quadro: il ritratto sembra davvero capace di esteriorizzare tutto quello che la reale signora Ramsey riusciva a trasmettere. Con Gita al faro di Virginia Woolf, il romanzo del Novecento si arricchisce di nuovi elementi, rispetto a quelli già introdotti da altri romanzieri appartenenti alla stessa epoca. Tralasciando il caso di Joyce, che con il suo Ulisse merita un discorso a sé, molto complesso e articolato, pensiamo a Proust, a Svevo, a Mann: siamo su un piano del tutto diverso rispetto al romanzo storico o a quello d’avventura dell’ottocento. L’influenza delle teorie freudiane ha ispirato i più grandi personaggi novecenteschi, portati all’introspezione psicologica, all’analisi dei sentimenti e dei rapporti interpersonali. Insieme con Mrs Dalloway, Gita al faro (To the Lighthouse, 1927) è l’opera più significativa di Virginia Woolf. Il romanzo si divide in tre parti: La finestra, Il tempo, Il faro. Ogni parte è strettamente organica all’altra. così che nell’istante stesso in cui piombavano giù era possibile vedere le parole torcersi per disegnare chissà mai quale intreccio sul fondo della mente della bambina.” Si vedano anche le parole che costruiscono le immagini di Lily Briscoe, dagli “occhietti da cinese e la sua faccia avvizzita”, intenta a dipingere la signora Ramsay affacciata alla finestra con il figlio James, al quale sta leggendo una fiaba dei Fratelli Grimm. Sono parole nervose, smaniose, inquiete, alla ricerca di qualcosa che non è mai ciò che sembrano voler descrivere. Come in Henry James, è ciò che non ha corpo che costituisce il personaggio reale in questa tormentata autrice, che con l’immateriale si è trovata a fare i conti per tutta la sua breve vita. James Ramsay ha sette tra fratelli e sorelle: Prue, Jasper, Roger, Andrew, Nancy, Rose, Cam, la più piccola dopo di lui, e due genitori opposti l’uno all’altro: autoritario, egocentrico, sarcastico il padre, insegnante ultrasessantenne; tollerante ma inquieta la madre, di dieci anni più giovane, “una bella donna” che ha “forse nelle vene il sangue di quella casata italiana di grande nobiltà”, i cui sentimenti verso il marito oscillano tra l’ammirazione e la compassione. Hanno in programma una gita al faro. Il tempo non promette niente di buono, sentenzia il padre; migliorerà, invece, secondo la madre. Il faro, dunque, si delinea già come una meta ambiziosa e difficile; come accade tutti i giorni nella vita, si devono affrontare diffidenze, astiosità, incertezze e incomprensioni per guadagnarsi ciò che agogniamo. A rafforzare il lato peggiore del padre, ci pensa il giovane Charles Tansley, dalla “cospicua pancia”, che su ogni cosa ha sempre da dire la sua con il fine di mettere in risalto le proprie qualità di analisi e ridicolizzare le altrui. Lontanissima la scrittura della Woolf da quella di connazionali un po’ più anziani di lei, come Dickens (1812–1870) e Hardy (1840–1928), essa mostra nell’ispirazione sensibile una qualche contiguità con quella di Sterne (1713-1768) e di Forster (1879–1970), dai quali si distacca per quella impervietà e spigolosità che troveranno il loro più alto concepimento nel coetaneo Joyce (1882–1941) che, vissuto al di là del mare d’Irlanda, condividerà con la Woolf non solo l’anno di nascita ma anche quello della morte. Non è estranea l’influenza che, come è noto, esercitò su di lei, Henry James, trasferitosi dagli Stati Uniti a Londra nel 1876, quando aveva trentatre anni, e sei anni prima che nascesse la Woolf. La signora Ramsay (“Le Grazie riunite sembravano aver lavorato di comune accordo in prati di asfodelo per creare quel viso.”) assume nel romanzo il simbolo tra i più vistosi, insieme con la pittrice Lily, di questa qualità narrativa, tutta speciale, della Woolf. È una figura quasi liquida (“per essere bevuta e consumata”), trasparente, ma granulosa allo stesso tempo, simile ad una vaporosa filigrana che si dispieghi sulle pagine, marcandole di una incorporeità con la quale ci si accinga a tessere la storia di un altro mondo. Ramsay, il marito, sembra, al contrario, muoversi come perforando qualcosa che appartiene alla mente, nascosta e intuita, e nel fare ciò si agiti alla stregua di una farfalla imprigionata dentro una luce troppo ardente e si dibatta per andare verso un altrove impossibile da raggiungere e dalla luminosità più nitida e rassicurante, ben al di là dei “deserti degli anni e la fine delle stelle.” Queste due opposte personalità, sfilacciate qualche volta dalla diffidenza dell’uno per l’altra, lontane nei corpi, vivono, al contrario, una attrazione che offre ad entrambe le ragioni della propria esistenza, come se nessuna delle due potesse concepirsi senza la presenza dell’altra: “Ogni battito sembrava, mentre lui si allontanava, racchiudere lei e il marito, e dare a ognuno quel sollievo che due note diverse, una alta, una bassa, suonate nello stesso istante, sembrano donarsi reciprocamente mentre si fondono.” La Woolf riesce come pochi a rendere manifesto l’universo brulicante (“gli alveari che erano le persone”) che si nasconde dentro la palpabilità delle azioni umane. Non è mai adeguata, sulla scorta della scrittura di questa autrice, una considerazione del tipo di quella che vorrebbe le azioni degli uomini ispirate da una volontà e da un pensiero dominanti. Tutto ciò è solo approssimazione, frivolezza, superficialità, giacché le azioni degli uomini sono quasi completamente vuote (non è un caso che la Woolf usi indicarle in molte occasioni tra parentesi) e solo un’indagine di rara potenza può riuscire a scorgere il mondo sommerso che ne esprime solo la minima parte. Siamo ben oltre gli strumenti offerti da Freud o da Jung. La Woolf fa di questa realtà nascosta l’essenza della stessa creazione, ben più forte e temibile della mente umana. L’opera letteraria nella Woolf, si potrebbe anche dire, proietta su di noi una specie di trasfigurazione attraverso la quale si lascia questo mondo, troppo piccolo e insufficiente, e forse perfino inutile. Eppure la società inglese appare finemente delineata, è la stessa di Thackeray (1811–1863); i cambiamenti intervenuti sono impercettibili se si pensi che l’opera più importante di questo scrittore, “La fiera delle vanità”, uscì nel 1848. La famiglia Ramsay non ha niente di particolare in sé, rispetto alle altre della metà del secolo XIX: gli stessi formalismi, le stesse regole, le stesse ipocrisie, le stesse abitudini, la stessa mentalità. Ma la Woolf la oltrepassa, sbriciolando il tutto e andando a ricercare quelle componenti che perpetuano anche nella specie umana gli impulsi e le vibrazioni universali. Pensate alla definizione che viene data dell’amore platonico di William Bankes per la signora Ramsay: “Era amore distillato e filtrato; amore che non cercava mai di afferrare il suo oggetto; ma, come l’amore che i matematici portano alle formule, o i poeti alle loro frasi, era destinato a diffondersi su tutto il mondo e a diventare parte della ricchezza umana.” Quello di Bankes è un ritratto che ci può dare anche una delle chiavi di lettura di questo romanzo, laddove si consideri questo amore, del tutto speciale, capace di produrre effetti risolutori e catartici: “la barbarie era domata, il regno del caos vinto.” Ma troveremo più avanti un altro passo significativo, che può spiegarci tutto il cammino di ricerca della Woolf. Si riferisce alla riflessione che la signora Ramsay fa a proposito dei suoi otto figli, così spensierati, vivaci e liberi: “Perché devono crescere e perdere tutto questo? Non saranno mai più così felici.” La pittrice Lily, trentatre anni, è alla ricerca, al contrario del contemplativo Bankes, di una via per penetrare, attraverso la contemplazione dei Ramsay e in special modo della signora Ramsay, i segreti della vita, “come nei tesori delle tombe dei re, tavolette con iscrizioni sacre, che avrebbero insegnato ogni cosa a chi avesse saputo decifrarle, ma non sarebbero mai state offerte apertamente, mai rese pubbliche.” Così che si potrebbe anche dire che è attraverso personaggi apparentemente minori, che la Woolf tenta quella lettura indecifrabile della realtà umana, o meglio, per usare le sue stesse parole, “di un regno fatato dall’altro lato della siepe.” Lily e Bankes sono spesso i raggi di sole che penetrano nell’oscurità illuminando il pulviscolo che, invisibile altrimenti, la riempie e le dà vita. Proprio l’operazione contraria a quanto accade nel secondo capitolo della seconda parte del romanzo, intitolata “Il trascorrere del tempo” (la prima ha il titolo: “La finestra”), allorché il diluvio che si scatena profonde nella casa l’oscurità “che strisciando dai buchi della serratura e dalle fessure, si insinuava nelle imposte, entrava nelle stanze da letto, inghiottiva qui un brocca e un bacile, là un vaso di dalie rosse e gialle, e ancora gli angoli acuti e la solida forma di un cassettone.” L’operazione tentata dalla Woolf è la illuminazione di una oscurità che va ben oltre la materialità, in cui le azioni, ossia, sono più il risultato di un automatismo inconsapevole, piuttosto che il frutto di una volontà determinata, e gli stessi pensieri che si intrecciano nella mente sono anch’essi qualcosa d’altro dalla stessa volontà. Agiscono e si intersecano con i pensieri altrui, sospinti da un movimento (come “aliti di vento”) che sembra soffiare al di fuori della corporeità dei personaggi per assoggettarli e farne strumento di un linguaggio nuovo. Che cosa scopre la Woolf attraverso di esso ha a che fare con una vitalità lacerante e scompositiva, che non è ancora la consunzione e la morte, bensì una dolorosa sospensione destinata a inquietarci e a flagellarci per un tempo indefinito, capace di trasmetterci una angoscia, una paura e un delirio costanti. Si smarrisce, ossia, la cognizione di sé in un trapasso che non riesce mai a compiersi del tutto: “una lunga sofferenza, un alzarsi e poi tornare a letto, e tirare fuori le cose e poi rimetterle dentro.” E ancora, continuando la descrizione della donna delle pulizie, McNab: “come se in verità al suo canto funebre si intrecciasse una incorreggibile speranza.” La ricerca, ossia, approda ad uno spazio dentro il quale si annida il vuoto, che si deve in qualche modo oltrepassare. L’incorporeità per essere compresa e posseduta richiede non solo il coraggio e la forza, bensì anche la capacità di andare oltre, evitando lo smarrimento e l’annullamento di sé, che nel romanzo trova uno dei suoi simboli più espliciti nella guerra: “molte famiglie avevano perso le persone più care.” La speranza che ancora vive in noi, insomma, non deve cedere ed assopirsi fino ad essere dimenticata, come per tanto tempo accade alla dimora dei Ramsay: “non avevano mai mandato nessuno; non erano mai venuti.” Nella terza parte, “Il Faro”, leggiamo una frase che riassume bene l’intento e la difficoltà della ricerca dell’autrice: “le parole divennero simboli, si tracciarono sulle pareti verde- grigio. Se soltanto avesse saputo ricomporle, pensava, scriverle in una frase, allora avrebbe colto la verità delle cose.” Colei che sta pensando è Lily. È tornata anche lei nella casa dei Ramsay, da che era stata abbandonata dieci anni prima. Tutto, però, risente del tempo trascorso. Lo sforzo che viene fatto dai protagonisti, e in particolar modo da Lily, è quello di colmare quel vuoto, di riprendere le cose dal punto in cui erano rimaste. Andare al faro, quel lontano desiderio di James, ecco ora si può e si deve fare. Ma non c’è gioia, questa volta, In letteratura questa frammentazione viene espressa attraverso la scomparsa del narratore onnisciente. La storia, lungi dal privilegiare un unico punto di vista, percorre molteplici strade che ci aprono ai sentimenti dei vari personaggi. Tuttavia, nonostante la nostra solitudine, esistono timidi tentativi di intrecciare un contatto. Dopo lunghe meditazioni e considerazioni, la signora Ramsay, a cena, esclama: “Sì […] ce n’è ancora per tutti.” Non dice altro, eppure, è meravigliosa. Con la sua presenza e la forza dei pensieri che le fluiscono dalla mente, vince ogni individualismo: spinge gli altri personaggi a scoprirsi e ad avvicinarsi, anche se solo per un attimo. (ibidem) Come scrisse la stessa Virginia Woolf, la signora Ramsay crea una pausa momentanea contro la confusione. (ibidem, pag. 603) “ Nel libro non ci sono fatti, ma pensieri, … l’unico fatto di Gita al faro: è il modo di essere al mondo della signora Ramsay, il suo esserci per il mondo e per gli altri è caratterizzato, quasi dominato dalla sua bellezza. (Coppola, 1996, pag. 73) Il tema della bellezza domina tutta la prima parte del libro, la bellezza della signora Ramsay dà piacere e rallegra. Questa bellezza non è chiusa e immobile, non è la bellezza di una statua, essa è viva, trasforma, agisce sul mondo e sugli altri. Nulla avrebbe fatto allontanare Ramsay. Eccolo là, fermo, a esigere simpatia. La signora Ramsay, che fino a quel momento era stata seduta e rilassata, stringendo il figlio tra le braccia, radunò tutte le sue forze, e girandosi a metà, sembrò come raddrizzarsi con uno sforzo, e subito eretta, riversare nell’aria, una pioggia d’energia, una cascata di spruzzi e mostrandosi al tempo stesso vivace e animata, come se tutte le sue energie si fossero fuse in una forza unica, che bruciava e illuminava (sebbene fosse ancora seduta e avesse ripreso in mano la calza). (Woolf, 2004, pag. 54) Di fronte alla crisi dell’uomo, all’incapacità dell’uomo di ritrovare un senso, la signora Ramsay reintroduce l’uomo nella vita, egli chiede alla moglie di salvarlo dalla peggiore morte possibile. E la bellezza della signora Ramsay è una forza generatrice, è apportatrice di senso, è il senso della vita. Lo spossamento della signora Ramsay è causato dal fatto che ella fa proprio il dolore del marito, se ne assume il peso e con ciò rende più sopportabile ciò che l’altro sopporta. E’ la voglia di vivere, il desiderio, il piacere della vita, che non appartiene al regno dei significati ma a quello del senso, che la signora Ramsay spande con sicurezza e competenza. (Coppola, pag. 76) La signora Ramsay è più una madonna che una donna, ha le caratteristiche di un personaggio stilnovistico, è definita nella sua funzione protettiva e rallegrante. Ella ha cura degli altri, ha cura dell’intero mondo ambientale e interpersonale che la circonda e tale cura si manifesta nell’attenzione che ella rivolge alle cose e alle persone. (ibidem, pagg. 81-85) Ma come spiegare questo strano rapporto tra cura e senso? Nell’allontanarsi dagli altri, nella sospensione della sua funzione benefica e provvidenziale, nella sospensione della cura, la bellezza della signora Ramsay si raccoglie nel suo essere- per-sé, in una sorta di astrazione trascendentale. (ibidem) Quando entriamo nei suoi pensieri vediamo che ella percepisce il mondo come privo di ragione, di ordine e di giustizia, pieno di morte e di miseria, e su questa visione tragica dell’esistenza poggia il potere salvifico della sua bellezza. La personalità della signora Ramsay è strutturata su un nocciolo d’ombra che nulla ha a che vedere con quella bellezza.” Perdendosi in quest’ombra ella trova pace e stabilità. “Il sé della signora Ramsay è una sensazione di eternità, e il suo senso può essere trovato solo in un nascondimento assoluto, nel trascendimento della vita… (ibidem) E ancora: L’Io della signora Ramsay è tutto racchiuso e determinato da una funzione etica drammaticamente e profondamente vissuta, è la virtù di chi non si sottrae al dovere umano di partecipare…(ibidem) La figura della signora Ramsay appare caratterizzata da una profonda contraddizione riassumibile in questo caso in due termini: virtù e ascesi. E’ virtù la sua Cura per gli altri, comprensione dell’altrui dolore, compartecipazione ad esso. È ascesi l’ombra in cui trova pace, libertà e riposo. (ibidem) Virginia Woolf, in Gita al faro, vuole anche sottolineare che il desiderio di conquista maschile richiede costante supporto e ammirazione delle donne e di conseguenza della loro autorepressione. Gita al faro si apre con le parole rassicuranti della signora Ramsay e della gioia di James per la gita progettata per il giorno dopo, subito bruscamente interrotte dal verdetto del padre: … non sarà bello (Woolf, 2004, pag. 27). Le parole del signor Ramsay rappresentano l’adesione incondizionata all’ordine delle cose, al principio di realtà, e si oppongono alla comprensione materna che è esplicita adesione alla legge del desiderio e del piacere. Le parole della madre sono fondate su un atto di fede: Ma può darsi che faccia bel tempo; secondo me farà bel tempo (Woolf, 2004, pag. 28) Il padre, ci spiega Pierre Bourdieu, rappresenta il punto di vista dominante e legittimo, … di colui che intende realizzare nel suo essere il dover-essere che il mondo sociale gli assegna (Bourdieu, pag. 88) l’ideale dell’uomo e del padre, di colui che dice sempre il vero, che tenta di educare i figli all’estrema durezza del mondo, che non vuole che i figli vivano di false speranze. Non tanto, quindi, il piacere di disilludere ma piuttosto un amore paterno che si esprime … rifiutando di abbandonarsi alla facilità colpevole di un’indulgenza femminile... (ibidem) Ma proprio il padre, l’uomo inflessibile, che è riuscito ad uccidere con una frase i sogni del figlio, si mostra agli altri tormentato da altre illusioni. Il vezzo del signor Ramsay di parlare tra sé e sé a voce alta che tanto inquietava la moglie era il manifestarsi dell’ illusio accademica. Un poemetto di Tennyson scatena nel signor Ramsay una fantasticheria nella quale l’evocazione dell’avventura guerresca si mescola al pensiero ansioso del destino postumo del filosofo, Quanto durerà la mia fama?. L’avventura guerresca è una metafora dell’avventura intellettuale e del capitale simbolico che essa persegue, ci spiega Bourdieu: L’illusio originaria, costitutiva della mascolinità è probabilmente alla radice di tutte le forme di libido dominandi, cioè di tutte le forme di illusio che si generano nei diversi campi.(…). Lasciandosi sorprendere in una fantasticheria ad occhi aperti che tradisce la vanità puerile dei suoi investimenti più profondi, il signor Ramsay mostra bruscamente che i giochi cui indulge, come gli altri uomini, sono giochi infantili che non vengono percepiti nella loro verità perché, appunto, la collusione collettiva conferisce loro la necessità e la realtà delle evidenze condivise. Il fatto che, tra i giochi costitutivi dell’esistenza sociale, quelli considerati seri siano riservati agli uomini, mentre alle donne spetta dedicarsi ai bambini e alle cose da bambini, contribuisce a far dimenticare che anche l’uomo è un bambino che gioca a fare l’uomo. (ibidem, pag. 90) E la signora Ramsay, in quanto donna esclusa dai giochi degli uomini, alla quale è concessa una partecipazione a distanza, tramite il marito o i figli, è capace di scorgere la vanità di questi giochi. Estranea ai giochi maschili e all’esaltazione dell’io e delle pulsioni sociali che essi impongono, la signora Ramsay vede con perfetta naturalezza che le prese di posizione apparentemente più pure e appassionate pro o contro Walter Scott non hanno spesso altra origine se non il desiderio di “farsi avanti”. (ibidem pag. 94) Mentre le donne sono educate a vivere in una posizione esterna e subordinata, non possono partecipare ai giochi di potere se non per procura, e sono destinate alla cura maschile, il loro sguardo deve essere di comprensione e di compassione fiduciosa, il loro compito quello di trasmettere sicurezza. Le due visioni, di Bourdieu e di Coppola, guardano allo stesso fenomeno mostrandoci aspetti diversi. Il rapporto tra i coniugi Ramsay può essere analizzato alla luce delle differenze di genere: in questo caso il ruolo viene interpretato come habitus sessuato, quindi come un insieme di disposizioni e atteggiamenti imparati e incorporati tramite la socializzazione. Ma possiamo anche osservare il rapporto tra i coniugi da un’altra
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