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Visioni post-strutturaliste: morte dell’autore e nascita del lettore responsabile., Tesine universitarie di Letteratura

In questa breve dissertazione ci concentreremo sulla figura dell’autore dal punto di vista delle teorie post- strutturaliste di Michel Foucault e Roland Barthes.

Tipologia: Tesine universitarie

2020/2021

In vendita dal 04/01/2021

DADAGabò
DADAGabò 🇮🇹

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Scarica Visioni post-strutturaliste: morte dell’autore e nascita del lettore responsabile. e più Tesine universitarie in PDF di Letteratura solo su Docsity! Visioni post-strutturaliste: morte dell’autore e nascita del lettore responsabile. Giulia Bocciero, 881639, giulia.bocciero@edu.unito.it Introduzione Negli anni Settanta, il mondo letterario vive un momento di forte transizione. Oltre al lento sgretolarsi della funzione civile dell’autore, la società assiste a una progressiva perdita del monopolio dell’informazione da parte delle istituzioni e risponde alla crisi che coinvolge partiti e stati nazionali con una maggiore partecipazione politica dal basso. In questa situazione, si ha un forte allontanamento dalla tradizione del romanzo così come una costante presenza di contributi extra-letterari che trasformano irreversibilmente la letteratura. Perfino il libro, oggetto già ben noto, attraversa una fase di cambiamento, passando dall’essere un oggetto di studio all’essere (anche) un oggetto di consumo. Alla fine di questo controverso decennio, il dibattito intorno al valore della letteratura si fa intenso, specie dalla parte di chi ha visto il prima e intuisce il dopo. In questa breve dissertazione ci concentreremo sulla figura dell’autore dal punto di vista delle teorie post- strutturaliste di Michel Foucault e Roland Barthes. Sarà importante chiarire la loro concezione di linguaggio e letteratura per poter arrivare alle relazioni autore-opera, opera-lettore, autore-lettore. L’autore come lo conosciamo, sembrerebbe essere stato vittima di una grande manipolazione che avrebbe permesso un maggiore controllo del materiale letterario. Barthes lo chiama “Autore” per differenziarlo, riferendosi a una figura nata in epoca moderna, più vicina all’autore-persona che non all’autore come locutore fittizio. Nell’ottica barthesiana, l’autore si configura come un eroe tragico destinato a scomparire per poter realizzare il suo compito: non imporre il proprio discorso pur condividendo con il resto del mondo la propria opera e lasciare spazio al postero lettore. Il lettore acquista così un ruolo attivo e importante per l’interpretazione dell’opera: egli, infatti, partecipando al gioco letterario, in assenza dell’ingombrante figura dell’Autore, sarebbe capace di accogliere l’opera e confermarne l’unità. Osservare le opere letterarie come «oggetti ricchi e complessi» (Barbero 2013) ci permette, non solo di sospendere il giudizio su quel che riguarda il loro potenziale valore in termini di utilità e consequenziale sviluppo cognitivo, estetico o morale, ma anche di analizzarle, da un lato, nella loro composizione e, dall’altro, nella loro possibile comprensione in quanto artefatti linguistici nati in un contesto sociale e re-inseriti costantemente in contesti sociali sempre nuovi. Lo spostamento di focus dal creatore all’opera ci permette di concepire la letteratura non più come un prodotto, un bene, una proprietà ma come uno spazio aperto ed elastico in grado di ospitare più combinazioni, una “fabbrica” di significati, significanti e mondi possibili. Prima di entrare nel linguaggio e abbandonare l’autore alla sua triste sorte, è necessario collocarlo in un sistema di valori, di divieti e desideri. Kristeva sostiene che Barthes abbia cambiato il regime stesso del discorso della e sulla letteratura 1 trattandola non più come un oggetto ma coabitando con l’esperienza letteraria, senza sottometterla a una comprensione generale: conversando con essa (Kristeva 2015) quasi si trattasse di un famigliare o di una confidente. Il semiologo francese, forse confermando una visione essenzialista della letteratura, ha saputo tracciarne i confini, le possibilità, i doveri e gli obblighi in funzione di una sua rivalutazione in quanto potente mezzo sovversivo di analisi e indagine sulla realtà. 1 Comment parler à la littérature colloque de Julia Kristeva pour le centenaire de Roland Barthes (2015) - trascrizione del discorso indicato: « Barthes a changé le regime même du discours de ou sur la littérature. […] L’expérience du langage tel que Barthes l’a vécue et étudiée progressivement à travers les diverses étapes de son œuvre se distingue parce que très spécifique: il ne traite pas la littérature […] comme un objet qui seurait extérieur. Il cohabite avec cette expérience là sans la soumettre à la compréhension et encore moins se substituer mais pour converser avec elle. » dimensione verticale e solitaria del pensiero 6 , il segno di una proprietà e insieme di un limite che, marcando la differenza, esclude tutto il resto. La solitudine non è solo un altro cliché nell’immaginario collettivo della figura dell’autore ma è anche la prima conseguenza, secondo Barthes, di questo processo di « transmutation d’une Humeur. » (Ibidem) legato alla nascita dello stile. Eppure anche lo stile, come l’intenzione, per quanto possa attirare l’interesse di studiosi di vario genere - critici, filosofi o semiologi - non può darci ulteriori dettagli sulla responsabilità che l’autore ha nei confronti della sua opera e della sua interpretazione. Forse gli intenzionalisti possono darci degli indizi sul livello di autorità dell’autore ma non sul grado di indipendenza che l’opera letteraria può avere in quanto potenziale artefatto linguistico autonomo; non, dunque, sulla sua essenza e sul ruolo che l’autore - oltre ad averla creata - può avere dopo che essa si è allontanata da casa. Basti pensare alle numerose opere strumentalizzate, rilette, censurate - quelle di Swift, Sade, Marx, Nietzsche, Pasolini così come quelle di tanti altri autori e autrici. L’interpretazione non è solo legata alla fruizione dell’opera d’arte letteraria in sé per sé ma anche al messaggio e al valore che essa porta con sé: qualcosa che va oltre alla fabula e all’intreccio, qualcosa che rappresenta tanto l’intenzione dell’autore quanto il potenziale dell’arte di « [...] problematize what had previously seemed unproblematic. » (Elgin 2002). Prima di ritornare sul ruolo dell’autore sarebbe forse importante fare qualche passo indietro e soffermarci un momento sul quesito ontologico posto dalla filosofia della letteratura:“Che cos’è la letteratura?”. Non è dunque una domanda di critica letteraria, né una domanda che storici e sociologici si pongono davanti a un certo fatto di linguaggio. È piuttosto una cavità che si è aperta nella letteratura; una cavità dove la letteratura dovrebbe collocarsi e raccogliere tutto il suo essere. (Foucault 1964) La risposta di Foucault ci pone di fronte a una grande complessità. Essa si configura come una risposta mista, se pensiamo alle due correnti di pensiero essenzialista e antiessenzialista, poiché offre un preciso disegno di ciò che la letteratura sia, eppure essa consiste in una non- essenza come se, d’improvviso, la letteratura fosse caduta dentro se stessa, in attesa di trovare un senso interno alla sua pratica. Foucault distingue tre elementi: Innanzitutto, c’è il linguaggio. […] il linguaggio è contemporaneamente tutto l’insieme delle parole accumulate nella storia e il sistema stesso della lingua. Dunque da un lato c’è il linguaggio, dall’altro c’è l’opera. Esiste cioè una configurazione del linguaggio che si ferma su di sé si immobilizza, costituisce uno spazio che le è proprio […]. Poi c’è un terzo termine che non è esattamente né opera; né linguaggio: è la letteratura. La letteratura […] è in qualche modo un terzo termine, il vertice di un triangolo attraverso il quale passa la relazione tra il linguaggio e l’opera e tra l’opera e il linguaggio. (Foucault 1964) La letteratura completerebbe il triangolo la cui base è formata dall’infinito mormorio della lingua e dalla sua possibile configurazione immobile dunque dal Linguaggio e dall’Opera (in un certo senso comparabili alla Langue e la Parole saussuriane per il loro carattere 6 La parola consisterebbe nella dimensione orizzontale. rispettivamente universale e specifico). Il vertice-Letteratura fungerebbe da trait d’union fra opera e linguaggio così come fra linguaggio e opera, sarebbe, insomma, lo spazio d’incontro fra questi due elementi che, a sua volta, genera un nuovo spazio ma questa volta vuoto, al centro del triangolo. Di qui spiegata la cavità di cui parla il filosofo. Secondo Foucault, alla base del paradosso - ovvero la nascita del triangolo - ci sarebbe il forte cambiamento intervenuto fra linguaggio e opera, nel corso dei secoli. Un rapporto che: […] a partire da un certo momento, ha cessato di essere un rapporto puramente passivo di sapere e di memoria, ed è divenuto un rapporto attivo, pratico, un rapporto oscuro e profondo tra l’opera mentre si compie e il linguaggio stesso; o ancora tra il linguaggio nel momento della sua trasformazione e l’opera che sta per realizzarsi. Il momento storico nel quale la letteratura è diventata il terzo termine attivo del triangolo, si situa […] nel momento in cui il XVIII secolo si volge a noi, chiude su sé e porta con sé qualcosa che ora ci è sottratto, ma su cui dobbiamo soffermarci a riflettere, se vogliamo rispondere alla domanda « Che cos’è la letteratura? » […] La letteratura è un terzo punto, differente dal linguaggio e dall’opera, esteriore alla loro corrispondenza, che disegna uno spazio vuoto, un biancore essenziale dove nasce la questione « Che cos’è la letteratura? », un biancore essenziale che, in verità, è questa stessa domanda. Di conseguenza, questa domanda non si sovrappone alla letteratura, non si aggiunge alla letteratura attraverso una coscienza critica supplementare: è l’essere stesso della letteratura, originariamente lacerato e fratturato. (Foucault 1964) L’interrogativo costituisce l’identità stessa della letteratura: uno spazio vuoto in cui forze interne ed esterne agiscono, in cui si rispecchia la storia e la crisi dell’individuo, in cui realtà e finzione si mescolano all’agire dell’essere umano. Nell’introduzione al saggio Le degré zéro de l’écriture (1953) Barthes si sofferma sul forte legame che intercorre fra Letteratura e Storia: L’Histoire est devant l’écrivain comme l’avènement d’une option nécessaire entre plusieurs morales du langage; elle l’oblige à signifier la Littérature selon des possibles dont il n’est pas le maître. […] il n’y a pas de Littérature sans une Morale du langage. (Barthes 1953) Ogni Letteratura sarebbe caratterizzata da una precisa scelta: una Morale del linguaggio influenzata dal contesto di creazione e dunque dalla coscienza del tempo. A questo proposito, un esempio chiarificatore è - come sottolinea Barthes - l’importanza che l’unità della coscienza borghese avrebbe avuto sul passaggio, avvenuto fra il XVI e il XVII secolo, dall’immagine dello scrittore « témoin de l’universel » a quella dell’autore che soffre la propria « conscience malheureuse ». Partie d’un néant […] l’écriture a ainsi traversé tous les états d’une solidification progressive: d’abord objet d’un regard, puis d’un faire, et enfin d’un meurtre, elle atteint aujourd’hui un dernier avatar, l’absence: dans ces écritures neutres, appelées ici « le degré zéro de l’écriture » […] comme si la Littérature, tendant depuis un siècle à transmuer sa surface dans une forme sans hérédité, ne trouvait plus de pureté que dans l’absence de tout signe […]: un écrivain sans Littérature. (Barthes 1953) Per arrivare alla letteratura come medium non più socialmente privilegiato e perciò come « un linguaggio consistente, profondo, pieno di segreti, a volte restituito come sogno o minaccia » (Ibidem) bisognerà attendere la fine del XVIII secolo e solo durante il XIX potrà concretizzarsi pienamente l’idea di creazione letteraria come fabrication fino ad arrivare alla visione mortifera di Mallarmé di una letteratura, cadavre del linguaggio che la precede. (Ibid.) La scrittura - osserva Barthes, nel brano citato - dopo aver attraversato tutti gli stadi di una progressiva solidificazione, sembrerebbe trovarsi, oggi (nei primi anni cinquanta 7 ) del Novecento - in un nuovo stato: un’assenza, caratterizzata dalla costante ricerca di un linguaggio neutro 8 . La letteratura o, meglio, la Letteratura, non trovando più tracce di purezza, ha bandito qualsiasi segno, abbandonando lo scrittore a sé stesso. Così, l’autore si è ritrovato come intrappolato in « un sistema di valorizzazione » (Foucault 1971) all’interno del quale si riteneva necessario indagare sulla personalità di chi scrive, sulle attribuzioni e sulla loro autenticità, come se l’autore dovesse sempre essere ridotto alla persona. I personaggi di Samuel Beckett si caratterizzano per la loro inconsistenza corporea: spesso sono mutilati, invisibili, bizzarri o semplicemente intrappolati in una condizione di immobilità. Le loro stesse intenzioni non hanno modo di realizzarsi, si direbbe quasi che – prendendo in prestito l’espressione bergsoniana rivista da Minkowski – il loro èlan personnel sia in fin di vita, al limite come la fiammella di una candela consumata dall’usura. Il loro linguaggio è frammentato e incapace di agire sulla realtà, è un linguaggio volutamente semplice contro il gonfiore del linguaggio joyciano e proustiano (Volli 2019) vicino al grado zero della scrittura individuato da Barthes. Il tema dell’impossibilità delle storie e del loro svuotamento (Ibidem) si lega profondamente al disgregarsi dell’identità dei personaggi: la loro esistenza non è niente di più che un’impressione di sé 9 ricercata dal soggetto stesso, il quale ormai non nutre alcun tipo di speranza nella narrazione e attende la fine di tutto, senza soffrire, ritualizzando la propria realtà. (Ibid.) Questa insensibilità, questa indifferenza rappresenta per Foucault il punto di partenza nella sua analisi sulla figura dell’autore in relazione alla letteratura. È in questa indifferenza, penso, che bisogna riconoscere uno dei principi etici fondamentali della scrittura contemporanea. Dico « etico » perché questa indifferenza non è tanto un tratto che caratterizza la maniera di parlare o di scrivere, quanto piuttosto una sorta di regola immanente, sempre ripresa e mai applicata del tutto, un principio che non segna la scrittura come risultato, ma che la domina come prassi. (Foucault 1971) Ma c’è un pericolo sostiene, Foucault, non nell’esaltazione del gesto di scrivere o nell’aver incastrato il soggetto in un’azione ma nell’aver aperto uno spazio in cui la soggettività di chi scrive non può far altro che continuare a sparire (Foucault 1971), nell’aver nutrito il vuoto senza riempirlo. Cosa rappresentano l’autore e il gesto di scrivere? Che cosa significa perdere l’autore? Come si riempie la mancanza dell’autore? Se la soggettività viene a mancare significa che la letteratura può costituirsi solo come oggetto, come merce? Sono tutte domande legate all’urgenza di chiarire non tanto l’essenza della letteratura quanto piuttosto la sua relazione con l’autore, la natura e le conseguenze dell’« insensato gioco di scrivere ». (Blanchot 1969) L’autore, per Foucault, rappresenta un’operazione complessa, una delle specificazioni possibili della funzione- 7 Ci sarebbe da interrogarsi sulla potenziale attualità delle parole del semiologo francese. 8 A dire di Barthes, particolarmente ricercato da alcuni suoi contemporanei come Queneau, Cayrol, Blanchot e Camus. 9 “Proviamo sempre qualcosa, eh Didi? Per darci l’impressione di esistere…” da Aspettando Godot di S. Beckett (1953). scuola di Palo Alto 12 - fare silenzio equivarrebbe a manifestare una forma di dissenso ma quanto potrebbe durare? 13 Come uscire dal linguaggio senza rinunciarvi fino in fondo? Se ne può uscire solo al prezzo dell’impossibile […]. Ma a noi, che non siamo dei cavalieri della fede e nemmeno dei superuomini, non resta altro, se mi è dato dire, che barare con la lingua, che truffare la lingua. Questa truffa salutare, questa finezza, questa magnifica illusione, che permette di concepire la lingua al di fuori del potere, nello splendore di una rivoluzione permanente del linguaggio, io la chiamo: letteratura. (Barthes, 1978) Il testo letterario si configura come uno spazio pluridimensionale e dinamico capace di giocare con il linguaggio e di raggirare le norme che lo governano. Al lettore si affida il compito di non fermare il senso, di non chiudere la scrittura e lasciare che essa esprima il suo carattere rivoluzionario. In quest’ottica, anche il ruolo dell’autore assume un valore diverso, egli ha infatti due nobili doveri: quello di intestardirsi (s’enteter) (se necessario con ostinazione), e di saper abiurare (abjurer) qualora la propria opera venga strumentalizzata. Queste due azioni rimangono all’autore, solo di fronte alla sua creazione. Pasolini con la sua abiura dalla Trilogia della vita (1975), rappresenta per Barthes l’autore esemplare che prende coscienza della propria strumentalizzazione e abiura, senza rinnegare il passato ma mettendosi da parte, rinunciando alla propria opera. La riflessione post- strutturalista ci aiuta ad osservare come la figura dell’autore abbia vissuto una serie di trasformazioni a livello sociale e di conseguenza come sia cambiato il suo ruolo in relazione alla creazione letteraria e al lettore. Viene messa in evidenza l’importanza della disgregazione dell’Autore, in quanto figura preponderante, per permettere la nascita di un lettore consapevole, in grado di mantenere vivo quello spazio a più dimensioni che è il testo letterario garantendone l’unità, sulla base del riconoscimento delle diverse scritture che esso contiene. Il lettore dovrebbe quindi riscoprire il proprio statuto di “persona umana” e dimenticare l’attitudine da osservatore passivo, contenitore, e scegliere di partecipare a quella splendida rivoluzione permanente che è la letteratura, lasciandosi trasportare emotivamente, accentando di mettersi in crisi, accogliendo il testo che sta leggendo, conscio del fatto che non può esistere un unico senso prodotto da un Autore-Dio perché se così fosse si realizzerebbe il carattere totalitario del linguaggio di cui con voce tremante parlava Barthes. Insomma, « […] per restituire alla scrittura il suo avvenire, bisogna rovesciarne il mito: prezzo della nascita del lettore non può essere che la morte dell’Autore. » (Barthes 1984) l’autore, in fin di vita, come un personaggio beckettiano resta solo con sé stesso, in attesa, a osservare la propria opera nel presente - ciò che può imparare è prendere le distanze e, senza imporsi, difenderla da ciò che la violenta. 12 Secondo il quale: è impossibile non comunicare. 13 Roland Barthes ha indagato nel suo primo corso presso il Collège de France, intitolato Comment vivre ensemble (1976-1977), sulla vita degli eremiti e la loro dichiarazione di allontanamento dalla comunità. Bibliografia Barbero, Carola. 2013. Filosofia della letteratura. Roma: Carocci editore Barthes, Roland. 1978. Leçon: Leçon inaugurale de la chaire de sémiologie littéraire du Collège de France, prononcée le 7 janvier 1977. Paris: Seuil Barthes, Roland. 1953. Le degré zéro de l’écriture. Paris: Seuil Barthes, Roland. 1988. Il brusio della lingua. Torino: Einaudi Beckett, Samuel. 1955. Fin de partie. Paris: Edition Minuit Blanchot, Maurice. 1969. L’entretien infini. Paris : Gallimard Foucault, Michel. 1971. Scritti letterari. Milano: Feltrinelli Foucault, Michel. 1971. L’ordre du discours. Paris : Gallimard Kristeva, Julia. 2015. Comment parler à la littérature. [online] www.college-de-france.fr. Ultimo accesso 22/05/2020 Pasolini, Pier, Paolo. 1969. Lettere Luterane. Torino: Einaudi Searle, John, R. 1975. The Logical Status of Fictional Discourse. Volli, Ugo. 2019. Fin de partie WEB. [online] www.youtube.com/watch?v=8gX7oMJaDaM&t=2837s Ultimo accesso 29/05/2020
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