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Vita di casa: abitare, mangiare, vestire nell'Europa Moderna, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto completo del libro di Raffaella Sarti

Cosa imparerai

  • Come i ruoli di genitori e figli, di uomini e donne, e di servi hanno variato in diverse società?
  • Come la presenza di servi ha influenzato la vita privata delle famiglie?
  • Come la casa e la sua forma hanno influenzato la vita quotidiana delle famiglie?
  • Come le nuove forme di lavoro e la divisione del lavoro tra uomini e donne hanno influenzato la famiglia moderna?
  • Come il cattolicesimo e il protestantesimo hanno influenzato il valore attribuito al matrimonio?

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 09/07/2020

anna-zapparoli
anna-zapparoli 🇮🇹

4.5

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Scarica Vita di casa: abitare, mangiare, vestire nell'Europa Moderna e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! RAFFAELLA SARTI VITA DI CASA: ABITARE, MANGIARE, VESTIRE NELL’EUROPA MODERNA PREMESSA Il libro si propone di indagare e delineare l’ampio ventaglio di funzioni che poteva venire attribuito agli oggetti e ai beni nella vita famigliare e domestica, in un’epoca in cui le condizioni materiali e i modelli di consumi erano molto diversi da quelli attuali. Il libro assomiglia ad un pranzo in cui le pietanze sofisticate si alternano a semplici insalate solo leggermente condite. Ciò che dei secoli è sopravvissuto è cucinato in modi diversi per gustarne al meglio il sapore e per cercare di suggerire l’aroma di ciò che è perduto per sempre. è immaginato come un quadro, in cui il pittore, con un pennello sottile ha dipinto tutti i minimi particolari e con tratti più grossi ha abbozzato panorami più vasti, variando la scala di rappresentazione in modo che le informazioni e le conoscenze convogliate nella sua opera non risultassero appiattite, ma fossero variegate La storia dell’abitare, del mangiare e dell’abbigliarsi presente in questo libro è partita dall’interesse per la storia delle donne, dell’identità di genere, della famiglia e della casa. È la storia della famiglia dal punto di vista della sua vita materiale e allo stesso tempo una storia della vita materiale che assume la famiglia come punto di osservazione. CAPITOLO 1 – Casa e famiglia: “pars destruens” o smontaggio In età moderna c’è una grande quantità di popolazione (senzatetto, vagabondi, pezzenti ecc.) che non hanno fissa dimora e che tirano a campare di elemosina e furti. Tra questi molti sono senza famiglia. Nei periodi di crisi a questa massa si aggiungono altre persone che a causa appunto della crisi, della perdita del lavoro o a causa di malattie, scivolano sotto il livello minimo di sussistenza. Nei momenti acuti di crisi i poveri possono arrivare ad essere fino al 70% della popolazione. Di questa massa di poveri non tutti sono senzatetto, il loro numero cresce nei periodi peggiori della crisi: molti contadini divorati dalla fame abbandonano la campagna per recarsi in città. Chi vaga in cerca di cibo spesso ha perso o abbandonato la famiglia, la miseria può essere alla base dello sciogliersi delle famiglie ma può essere anche alla base della perdita di una fissa dimora per la famiglia intera. Non sempre chi era senza casa era anche senza famiglia. Vi è una fitta rete di girovaghi di vario tipo: dagli zingari che nel ‘400 girovagano portandosi con sé la propria casa, agli attori dei circhi. Ci sono poi i pastori e guardiani di cavalli che abitano in abitazioni mobili, a nord i cacciatori di renne spostano il proprio accampamento ogni 2/3 settimane; buona parte dell’Europa dell’età moderna è percorsa da persone che per i più svariati motivi si muovono in continuazione. Accanto a questi però vi sono però le persone che vivono in fisse abitazioni rudimentali, dovute alla miseria e al possibile bisogno di doversi muovere. I ricchi invece hanno molte residenze: palazzi, ville e castelli. Date le tante e diverse possibilità, anche il rapporto casa – famiglia si articola nei modi più disparati: famiglie disperse, famiglie unite sotto lo stesso tetto. La precarietà abitativa non esprime solo la tipologia dell’abitazione, ma anche il rapporto instaurato con la casa chi non riesce a pagare l’affitto si sposta di casa in casa. Precarietà abitativa e precarietà famigliare vanno a braccetto: ad esempio le donne vedove o si risposano in tempi brevi o sono costrette a traslocare. Il matrimonio e la convivenza - Il matrimonio era un processo costituito da diverse fasi, accompagnate da riti e cerimonie, variabili questi ultimi in base alle zone e alle persone coinvolte. Ciò che restava costante erano invece le fasi. - Contatti tra le famiglie - Accordo tra le parti - Promessa di matrimonio (costituisce un impegno formale) - Scambio dei consensi (vengono dichiarati marito e moglie) - Nozze e festeggiamenti legati anche al trasferimento della sposa nella sua nuova dimora In alcune zone (Corsica, Inghilterra) non erano rare le convivenze pre-matrimoniali, soprattutto usate per testare se la coppia era feconda. Chiesa concezione diversa del matrimonio: per essa si tratta di un sacramento, incentrato su un solo momento e non a tappe in cui gli sposi erano gli unici protagonisti, il matrimonio non doveva essere un evento mondano. Per sposarsi secondo la chiesa era sufficiente essere in età nubile, non essere legati da legami di parentela, dichiarare liberamente di volersi sposare, in chiesa, alla presenza di un prete. Non era necessario dunque essere preventivamente impegnati con una promessa, né avere il consenso dei genitori. Permettendo ai giovani di sposarsi senza il consenso dei genitori, la chiesa sottraeva i matrimoni al controllo delle famiglie, che spesso sceglievano i futuri sposi per convenienza. La chiesa modo diversi di concepire il matrimonio rispetto alla legislazione La situazione si complica ulteriormente quando Lutero dichiara che il matrimonio non è un sacramento: da qui in poi la concezione del matrimonio si arricchisce di una nuova differente visione, tra la chiesa cattolica e quella protestante. Proprio questo porterà la chiesa di Roma a sancire norme più precise in merito al matrimonio. La chiesa cattolica riafferma il valore del matrimonio come sacramento e, con il concilio di Trento (1545- 63), stabilisce norme volte ad unificare le cerimonie nuziali. La chiesa ribadisce la possibilità di sposarsi senza il consenso delle famiglie; dichiara non valido il matrimonio realizzato al di fuori della chiesa; legittima solo la sessualità che avviene all’interno del matrimonio; concubinato, prostituzione e meretricio vengono aspramente condannati così parte dei matrimoni celebratisi prima della riforma vengono considerate unioni di concubinato. Le nuove regole ovviamente richiedono un po’ di tempo per imporsi e implicano un forte cambiamento del modo di concepire il matrimonio. Tuttavia, le vecchie tradizioni non si lasciano cancellare facilmente, soprattutto in alcune zone. Ad ogni modo, con il concilio di Trento, la chiesa cattolica cerca di imporre una definizione unitaria di matrimonio e nel farlo deve confrontarsi con persone che hanno le proprie tradizioni, non sempre facili da sradicare. Mondo protestante Lutero sosteneva che il matrimonio fosse una questione mondana, seppure non priva di valore religioso; non era un sacramento e dunque doveva essere portata avanti da autorità laiche. Così, le aree europee che passarono al protestantesimo furono caratterizzate da una tendenza alla secolarizzazione dell’istituzione matrimoniale. In Inghilterra (riformata), dal 1563, la chiesa nega il carattere sacramentale del matrimonio, ma non viene preso nessun provvedimento atto a riorganizzare la materia. La situazione dunque resta a lungo confusa. Corti ecclesiastiche, tribunali civili e altre istituzioni regolamentano ognuno l’atto in modo diverso e questo porta ad una grande confusione. Nel 1753, per mettere fine a questa confusione, si decide che il matrimonio debba essere celebrato davanti ad un ministro della chiesa anglicana e debba essere registrato con la firma degli sposi. Diviene inoltre obbligatorio il consenso dei genitori se gli sposi sono minorenni, in Inghilterra come in gran parte delle aree riformate. I matrimoni celebrati in altro modo vengono considerati nulli. Il controllo dell’applicazione della legge passa dai tribunali ecclesiastici a quelli secolari, molto più efficaci. Il marriage act, però, non viene esteso alla Scozia, dove da allora si recano le coppie che in Inghilterra non “Famiglia” e famiglia in età moderna, come oggi, il termine famiglia veniva usato con diverse accezioni. Si tratta di un concetto in movimento, senza una definizione data una volta per tutte. Alcune accezioni del termine sono prevalenti in un certo momento e poi declinano, mentre altre si affermano. Stando alle definizioni dei dizionari la famiglia è: - La comunità dei genitori e dei figli, ed eventualmente di altri parenti, che vivono insieme sotto allo stesso tetto - Gruppo ampio di persone legate da vincoli di parentela, matrimonio o affinità, senza necessariamente essere conviventi - Insieme di coloro che abitano insieme, compresi eventuali domestici L’accezione di famiglia come gruppo di servi, mogli e figli al cui capo vi è il padre (paterfamilias), è quella dominante. Si tratta di una visione gerarchica. Il padre ha dunque, in accordo con le leggi, potere su tutti i suoi sottoposti e sulle loro scelte. In età moderna, la parola famiglia è connotata da un’accezione servile, quando si riferisce a gruppi dipendenti dal padre. Non è però detto che in pratica le relazioni siano sempre davvero improntate su rigide gerarchie, è la morale di ogni nucleo ad intervenire. La regola generale viene stabilita non sull’eguaglianza ma su una gerarchia, poi ogni famiglia decide di stabilire le proprie relazioni su base più o meno gerarchiche. La gerarchia resta, andando però ad essere progressivamente meno rigida, già a partire dal ‘700, la famiglia si basa sempre più sulla relazione genitori- figli. Tali trasformazioni sono in parte legate al modificarsi del concetto di casa. La nascita della famiglia come la intendiamo noi oggi, infatti, presuppone il legame ad un’abitazione e la perdita di quel carattere comunitario che aveva in precedenza. Se una gran parte della popolazione era dunque senzatetto, c’era anche chi aveva case che vincolavano addirittura la propria identità: le famiglie nobili, ad esempio, traevano spesso il proprio cognome dai propri possedimenti e castelli oppure ogni fattoria aveva un nome che si trasmetteva tra tutte le famiglie che l’abitavano. In molte zone, i cognomi delle persone vengono fissati solo nel XIX secolo. Tale innovazione dipende solo da esigenze della burocrazia statale. Il sistema, dunque, cambia radicalmente e la vita di casa assume un altro sapore. Conclusioni nell’Europa di età moderna: - Non c’è coincidenza tra casa e famiglia: certo, molte persone senza casa sono anche senza famiglia, ma ci sono anche intere famiglie che sono prive di casa. - Il concetto di casa è molto elastico: non tutte le cose sono dotate di tetto, porte e finestre; molte abitazioni sono mobili. - Gran parte della popolazione vive in condizioni di precarietà. - La povertà poteva sia derivare dalla perdita di parenti, soprattutto del padre, sia essere causa dell’impedimento della nascita di una famiglia, perché appunto non in grado di mantenerla. - La difficoltà nel creare una famiglia, era uno dei motivi principali della presenza di molte convivenze, più o meno stabili. A inizio età moderna, il confine tra convivenza e matrimonio è molto labile, si fa più netto col tempo. - Soprattutto in area cattolica, durante la controriforma, cresce l’interesse per la moralità femminile, dunque vengono prese precauzioni (istituzioni assistenziali e reclusorie di vario genere) affinché le donne non cedessero alla prostituzione. - Si moltiplicano così vari tipi di istituzioni in cui si conduceva una vita comunitaria non familiare e in parte sostitutiva alla famiglia. - Spesso i figli delle famiglie ricche sono costretti alla vita religiosa per preservare le ricchezze, seppure contro la propria volontà. Questa tendenza si cerca di combatterla nel mondo riformato, meno in quello cattolico. - Ai maschi di tutta Europa era infine permesso anche di entrare nell’esercito, che divenne uno dei maggiori sbocchi per i figli dei più ricchi, in alternativa alla vita ecclesiastica. CAPITOLO II – Casa e famiglia: “pars costruens” ovvero metter su casa Sposarsi nell’Europa dell’età moderna i matrimoni non implicano per forza la formazione di una famiglia autonoma, di una nuova unità coresidente: non sempre chi si sposa mette su casa per conto proprio. Nella Carinzia rurale, infatti, ci sono addirittura servi agricoli che dopo le nozze non vanno ad abitare con il coniuge e in Svizzera si sa di uomini costretti a sposare donne con cui hanno avuto rapporti sessuali dietro promessa di matrimonio che, dopo il matrimonio si rifiutano di coabitare con la moglie. Inversamente, la formazione di un nuovo aggregato domestico non necessita sempre di un matrimonio, soprattutto in alcune zone e in alcuni ceti sociali (Europa orientale), i maschi che si sposano portano le loro mogli in casa dei genitori, dando così vita a famiglie multiple. In queste ultime, quando crescono troppo, alcuni membri si staccano e vanno a vivere soli con la propria famiglia, questo origina nuove famiglie non direttamente scaturite da un matrimonio. Ci sono poi molte coppie che invece mettono su casa per conto proprio dopo il matrimonio, formando famiglie autonome, formate da genitori, figli ed eventuali servi (famiglie nucleari). Le famiglie nucleari erano più numerose in città che in campagna, probabilmente per alcune caratteristiche proprie della città (spazi ristretti, scarsa diffusione della proprietà immobiliare, mortalità più alta ecc.). Sono poi soprattutto i ceti artigiani e medio-bassi ad abitare in famiglie nucleari, mentre i ricchi tendevano di più a vivere in famiglie complesse. In campagna I braccianti senza terra soprattutto famiglie nucleari, mentre i contadini erano più spesso insediati in un podere, loro o del proprietario terriero. Contadini con podere (loro o del proprietario terriero) famiglie complesse, soprattutto perché necessitavano di braccia da sfruttare per il lavoro nei campi. C’erano anche poi i casi (rari ma non assenti) in cui era il marito, dopo le nozze, andava ad abitare nella casa dei genitori della moglie. Questo avveniva in situazioni particolari, come ad esempio nel caso in cui un uomo sposava una donna, figlia unica, la quale ereditava una fattoria. Cassoni, corredi, letti “compìti” al momento del matrimonio, la nuova famiglia poteva godere della dote fornitagli dai genitori della sposa. In gran parte dell’Europa moderna, tra i beni che le donne portavano con sé, ce n’era uno che aveva una importanza centrale: il letto. Anche le famiglie più povere facevano sacrifici per poter dotare la sposa almeno di un letto, che spesso era la cosa più preziosa della dote delle contadine. Vi era comunque ancora molta gente che il letto non poteva permetterselo. Letto valore pratico e simbolico: segno di carnalità e fecondità. Oltre al letto, la dote femminile prevedeva anche altri oggetti per lo più di uso domestico. L’entità dipendeva ovviamente sia dalla zona, sia dal ceto sociale: c’era chi riceveva soldi e pezzi di terra, chi pezzi di arredamento o addirittura la casa coniugale, chi campi o prati. Ma, chi pagava le doti? Non vi è una risposta univoca, ma possiamo tentare delle classificazioni: Ricchi e poveri una prima variabile di cui tener conto è senza dubbio quella ricchezza / povertà. In linea di massima più gli sposi erano poveri, meno potevano attingere alle risorse famigliari quando si sposavano. Spesso gli sposi dovevano lavorare anni per accumulare il capitale necessario a mettere su una casa indipendente e solo allora potevano dunque sposarsi. Non era scontato riuscire nell’intento, in tal caso si restava celibi a vita. La quota dei non sposati saliva nei periodi di crisi. Non sposarsi voleva spesso dire continuare a fare lavori servili per tutta la vita. I ricchi, invece, vedevano coinvolti dal punto di vista patrimoniale, non solo gli sposi ma anche i genitori: in linea di massima questo coinvolgimento era tanto più ampio quanto più era elevato il ceto di appartenenza e quanto maggiore era la parte della ricchezza impiegata a gettare le basi della nuova coppia che derivava dalla famiglia di origine piuttosto che dal lavoro individuale. In tali casi ben poco era lasciato alla scelta e alle preferenze dei singoli: gli interessi e le strategie di alleanza del gruppo famigliare spesso prevalevano sui sentimenti dei figli. Trasmettere beni la possibilità di attingere alle risorse famigliari in occasione del matrimonio non dipendeva solo dal fatto che la famiglia di origine fosse ricca o povera. Nei casi in cui la famiglia d’origine aveva qualche proprietà, tale possibilità dipendeva dal modo in cui veniva trasmessa ai figli: se passava da una generazione all’altra solo nel momento della morte dei genitori, chi voleva metter su famiglia per conto proprio doveva arrangiarsi o aspettare il loro decesso. Il caso era diverso in contesti in cui era prevista una forma di aiuti dei genitori ai figli quando questi se ne andavano di casa e/o quando si sposavano. Le ragazze sarde, ad esempio, dovevano contare su se stesse perché i genitori, se avevano qualcosa da lasciare loro, lo facevano solo dopo la morte. Dunque, se volevano farsi una dote, dovevano arrangiarsi da sole, per questo motivo si sposavano tardi, pare non prima dei 25 anni. Le siciliane e le meridionali, invece, venivano solamente dotate dai loro genitori e si sposavano molto giovani. Nelle zone in cui i giovani, quando si sposavano, portavano le mogli nelle case dei genitori, il problema di accumulare un gruzzolo in vista del matrimonio, non si poneva. Ciò favoriva una bassa età al matrimonio sia dei maschi, sia delle femmine, una scarsa presenza di servi e di persone destinate a restare celibi o nubili, e anche la presenza di numerose famiglie complesse. I mezzadri maschi portavano in casa dai genitori le mogli dopo le nozze, quasi tutti si sposavano e anche piuttosto presto, ma al crescere della popolazione la terra coltivabile iniziò a scarseggiare: per molti iniziò a profilarsi il rischio di divenire braccianti alla continua ricerca di un lavoro. I mezzadri cominciarono pertanto a restringere l’accesso al matrimonio, sia per iniziativa, sia perché pressati dai proprietari terrieri che cercavano di ottimizzare lo sfruttamento dei poderi anche controllando la nuzialità dei contadini. A partire dagli ultimi decenni del ‘600 cominciò ad aumentare l’età in cui ci si sposava, e insieme ad essa aumentò anche la percentuale di quelli che non si sposavano mai. Se infatti in una fattoria c’erano molti adulti (uomini soprattutto) e pochi bambini, migliorava il rapporto tra le braccia che lavoravano la terra e le bocche da sfamare. Inoltre, si riusciva a tenere sotto controllo la crescita della popolazione che nelle generazioni successive avrebbe dovuto vivere in quei poderi. Contemporaneamente aumentò (Prato) il numero delle donne che si trasferivano dalla campagna in città e nei borghi per impegnarsi come serve o in altre attività. Nel corso del tempo, dunque, la scarsità di terra portò ad espellere dalla campagna una gran parte della popolazione e a restringere, per chi restava, le possibilità di sposarsi e avere figli. Divisioni inique e divisioni eque pur essendo privi di terre proprie, i mezzadri, avevano sempre la possibilità di trasferirsi in un altro podere quando le dimensioni della famiglia divenivano inadatte alle dimensioni della terra in cui erano insediati. Tale possibilità non l’avevano i contadini proprietari e quelli che, pur non possedendo la terra, si vedevano riconosciuto dai padroni il diritto di trasmetterla ai figli. Per loro dunque trovare un modo per equilibrare la divisione del terreno tra le famiglie era davvero difficile. La divisione tra tutti i figli, infatti, rischierebbe di assegnare un appezzamento talmente piccolo ad ognuno, da non riuscire a viverci. Ne viene dunque privilegiato uno, che sarà destinato a subentrare ai genitori nella conduzione del fondo. Gli altri fratelli avrebbero allora potuto continuare a vivere con lui nella casa paterna senza sposarsi in una posizione più o meno servile andarsene, di solito, con una liquidazione ridotta della loro eredità. Dunque, la condizione del figlio privilegiato è migliore rispetto a quella degli altri fratelli. C’erano anche figli che, piuttosto che stare da sposati nella casa paterna, decidevano di abbandonare la casa, rinunciando all’eredità e solitamente ricevendo solo un certo compenso stabilito dal padre. Il sistema dotale prevedeva la distinzione dei beni tra i coniugi, e le doti delle donne erano amministrate dagli uomini, ma in caso di vedovanza dovevano essere restituite alle mogli. Col tempo però, anche alla morte della moglie, il marito tendeva sempre di più a controllare parte della dote della moglie o anche la sua interità e a ridurre sempre più la libertà, anche economica, delle donne. Nelle zone in cui dominava la comunione dei beni tra coniugi, diffusa per lo più nell’Europa nord- occidentale (regime dotale diffuso per lo più in Europa mediterranea), la dote, per quanto auspicabile, non era dovuta dai parenti alle figlie, non era dunque indispensabile. In queste zone, essendo comunque necessario un capitale, seppure minimo, per sposarsi, le donne svolgevano lavori extradomestici. Che l’avessero ottenuto lavorando o che l’avessero ottenuto dalla famiglia, comunque, al momento del matrimonio, il patrimonio della sposa si fondeva con quello del marito, quest’ultimo diveniva l’amministratore. Anche qui, dunque, le donne erano ufficialmente tagliate fuori dalla gestione dei beni, se non in caso di vedovanza. Chi paga? per la dote della ragazza aiuta anche la vastità delle reti di relazioni che potevano essere coinvolte nel finanziamento della nuova coppia. Questo poteva infatti interessare l’intera comunità ai quali i futuri sposi appartenevano. In alcune zone dell’Inghilterra, per esempio, al momento delle nozze, tutti gli amici e i parenti provvedevano ad aiutare i futuri sposi, con regali e collette di denaro. Quindi, sia lo sposo che la sposa contribuivano a finanziare la fondazione della nuova famiglia. Nel mondo contadino, e soprattutto in quello aristocratico, la terra era soprattutto un apporto maschile, mentre la donna portava per lo più beni mobili e denaro (specialmente il letto). I modi in cui uomini e donne si procuravano tali beni era diverso, in base a contesti economici, sociali e culturali. Ad ogni modo possiamo dire che le nozze attivano grandi flussi di beni. Il significato delle cose la funzione del contributo maschile e femminile al matrimonio non era solo economica. La casa in cui la nuova coppia avrebbe abitato, i vestiti e i gioielli che avrebbe indossato, i cibi che avrebbe mangiato e così via, valevano come indicatori di status. L’ostentazione degli abiti e dei cibi offerti ai banchetti nuziali sono due tra i maggiori elementi che definiscono la ricchezza della coppia, al momento della celebrazione. I matrimoni erano dunque anche occasione di scambio di beni e di circolazione di essi, con funzione spesso simbolica. Soprattutto l’anello viene caricato di significato, derivava da una lunga tradizione in parte mutata col tempo. Dal XI secolo la chiesa iniziò a fare dell’anello il simbolo centrale del matrimonio legittimo. La consegna dell’anello finì per incarnare la concezione ecclesiastica del “vero” matrimonio e inoltre sarà l’unico oggetto che sarà universalmente lecito nel quadro della cerimonia del matrimonio. Rappresentando il punto di avvio di una nuova entità, i matrimoni sono dunque ricchi di gesti augurali, ridondando di significati simbolici che di fatto coinvolgono anche i beni materiali in cui la nuova unione si incarna o che costituiscono l’orizzonte materiale in cui essa è destinata a vivere. Passaggi nella vita degli uomini quanto in quella delle donne, il matrimonio rappresenta un importante momento di passaggio, spesso indicatore del passaggio all’età adulta, messo in evidenza anche con riti come il corteo nuziale, atto al transito dei beni personali della sposa. Il corteo nuziale e il transito materiale del cassone o dell’armadio con il corredo erano l’espressione visibile e materiale del passaggio che si compiva nella vita della donna; a piedi, su un carro o cavallo, accompagnate o precedute dai loro beni con il corteo nuziale le donne passavano così contemporaneamente dalla casa della famiglia d’origine a quella in cui avrebbero abitato con il marito. Ma il matrimonio era molto importante anche nella vita degli uomini: in molti casi oltre a rappresentare il punto di avvio della propria famiglia esso si intrecciava con i cambiamenti di status nel mondo del lavoro, per molti coincideva con l’assunzione della conduzione di un podere o di una bottega segnando l’uscita da una situazione di dipendenza. Il passaggio, tuttavia, non era esattamente parallelo per maschi e femmine: mentre per i primi spesso coincideva con il raggiungimento dell’indipendenza finanziaria, per le donne tale indipendenza era possibile solo durante lo stato vedovile (se arrivava). Ma non è solo nella vita di coloro che si sposano che i matrimoni rappresentano un importante momento di passaggio, sono importanti anche in quella delle loro famiglie e della loro comunità di appartenenza. Non stupisce, dunque, che questi riti di passaggio accompagnino tanto la promessa di matrimonio quanto le nozze. Tali riti possono essere classificati in: riti di separazione, riti di margine e riti di aggregazione. La rottura con la vita adolescenziale prevede una serie di pratiche molto varie, in base alle culture, alle zone e allo status. Una volta sancita la separazione, anche la nuova aggregazione ha i suoi rituali, tra i quali, l’unione tra i due sposi, che per la chiesa si esplicita con la consegna dell’anello, rito simbolo di questa unione, ma non l’unico. CAP. III – Forma della casa e forma della famiglia Le funzioni della casa la casa delle famiglie formate dalle coppie che vanno ad abitare per conto loro, dando vita ad un aggregato domestico nucleare, sono più piccole rispetto a quelle degli sposi che risiedono insieme alla famiglia di origine del marito o della moglie (aggregato domestico complesso) Le case sono spesso molto piccole e le neo-famiglie vivono in una o due stanze, soprattutto in città. Le famiglie delle campagne, che spesso sono complesse, vivono invece in costruzioni coloniche ampie ed articolate. Il potere e il successo di una famiglia si misurano anche con la capacità di attrarre e /o offrire protezione e dunque, anche un tetto sulla testa, ai parenti (e i servi). C’è quindi un nesso tra posizione sociale elevata, famiglia complessa e dimora ampia. La dimensione della casa, infatti, non risponde solo all’esigenza di offrire rifugio. In età moderna, la casa infatti, oltre ad essere un rifugio, diviene anche un luogo di lavoro, come nel caso dei contadini che sfruttano le famiglie allargate per il lavoro nei campi e organizzano gli spazi della casa proprio seguendo le esigenze lavorative. Nel ‘700, le dimore dei contadini che lavorano in aziende medio-piccole, si fanno più spaziose. Ciò però non toglie che, fino al ‘900, continuano ad esistere e ad essere abitate, nelle campagne, case molto piccole in cui si ammassa tutta la famiglia rurale. Non erano solo le case rurali ad avere una pluralità di funzioni, lo stesso poteva valere per quelle di artigiani e commercianti. La dimora aristocratica tentava di essere una cellula quasi totalmente autosufficiente, di fatto si trattava di un obiettivo quasi del tutto ideologico, visto che anche le famiglie aristocratiche erano inserite nelle trame dei rapporti commerciali e di mercato. Tuttavia, le famiglie nobili si nutrivano dei prodotti delle proprie terre lavorate da contadini: i loro palazzi erano dotati di magazzini per conservare i cibi e anche di strutture per lavorare i prodotti, accanto ai magazzini e alle cantine avevano poi delle rimesse per le carrozze e le stalle per i cavalli. Questa ricchezza e varietà di spazi assolveva anche alla funzione di status symbol. Il palazzo, comunque, non è solo segno di prestigio e ricchezza, esso infatti incarna anche spesso la continuità della famiglia. Si cerca di far sì che il patrimonio passi intatto di generazione in generazione, divenendo l’immagine di forza della famiglia perpetuante. Famiglie in movimento l famiglie, ad ogni modo, non sono strutture stabili e statiche, sono al contrario in continuo movimento: si ampliano, si assottigliano, possono essere composte solo da genitori e figli, o anche dalla famiglia e qualche parente, alcuni giovani rimangono, altre volte si accolgono parenti in difficoltà. Questo dinamismo famigliare, ovviamente, non si concilia con la fissità dei muri e dei parenti. L’abitazione, dunque, influenzava essa stessa le possibilità di crescita delle famiglie allargate. La coabitazione di diversi nuclei famigliari sotto lo stesso tetto, quindi, dipendeva da una serie di elementi, che disegnavano un perimetro entro il quale potevano essere fatte le scelte. Andar d’accordo e litigare condividere gli spazi della vita quotidiana con i parenti non era sempre cosa semplice e di libera scelta. Così si vengono a creare diverse condizioni che regolamentano la convivenza. Ad esempio, in Europa Centrale e settentrionale, non di rado, si firmavano contratti secondo cui si stabilisce che se genitori e figlio/nuora non andranno d’accordo, si costruirà una casa separata dove farli abitare, o addirittura alcuni stabiliscono che i figli pagheranno ai genitori l’affitto di un’altra casa. In altre zone, invece, le fattorie erano dotate di una casupola separata per i genitori, che si ritiravano, sempre che non si decidesse di darla in affitto a terzi. Non tutti potevano scegliere liberamente se convivere o meno con i propri familiari e compagni, in base ai propri sentimenti, frequentemente erano le esigenze economiche a prevalere. La convivenza, se stabilita, comunque, non aveva alternativa. E bisogna ricordare che, se uno dei membri se ne andava dalla casa paterna, aumentava la quota ereditaria di chi rimaneva. Le tensioni erano dunque all’ordine del giorno. Diversa la situazione nella Polonia del 1700, dove, i signori feudali cercavano di evitare che i figli dei contadini, quando si sposavano, restassero con i genitori. Ciò perché non era vantaggioso dal punto di vista economica: la quota da dare al padrone era proporzionale all’appezzamento e non al numero dei lavoratori/abitanti. Allo stesso tempo, però erano necessari uomini che lavorassero il terreno, quindi i successori celibi, una volta al potere, dovevano sposarsi. A seconda delle situazioni, dunque, all’interno delle famiglie si hanno casi diversi, e una stessa famiglia può addirittura sperimentare diverse forme in vari momenti. Coresidenza e parentela importante è anche la dimensione della parentela. Medioevo forti legami non di sangue, ma volontari, e madrine, padrini, amici, figli adottati, si trovavano a vivere nella stessa casa o in case attigue Età moderna si vanno privilegiano i legami di parentela sanguinea e crebbe di importanza la parentela agnatica, cioè la linea maschile della famiglia, ma comunque i legami di parentela femminile non scomparvero. Nel corso dell’età moderna, dunque, si assiste ad una riconfigurazione delle costellazioni di parentela. L’appartenenza ad una famiglia implicava ovviamente dei comportamenti e degli obblighi, andava insomma a plasmare gli appartenenti. In generale, possiamo dire che in Europa centro-settentrionale deboli legami famigliari = si insegnava ai figli, fin da piccoli, a staccarsi al più presto dai genitori Europa mediterranea i figli erano obbligati a prendersi cura dei genitori anziani, non per forza abitano sotto lo stesso tetto (Roma ad esempio) La convivenza, comunque, non comportava necessariamente la condivisione dei redditi, anzi, soprattutto nelle case dei contadini, ognuno doveva arrangiarsi. Il rapporto tra casa e parentela, dunque, si articola in modo diverso a seconda dei contesti. CAPITOLO IV - Abitare Contadini e cittadini con significative differenze tra una zona e l’altra, nel periodo che va dal XVI al XVIII secolo, la maggioranza della popolazione europea vive in campagna, anche se le città stanno iniziando a crescere. La popolazione rurale però non è tutta uguale. Una prima distinzione può essere fatta tra: La costruzione di case a più piani, dotate di stufe o caminetti, richiedevano materiali più solidi. Dal ‘600, dunque, si tende a sostituire i materiali da costruzione più deperibili con pietra o mattoni, i tetti di paglia con tegole ecc. Le costruzioni in muratura vennero, dapprima, usate per gli edifici più importanti (chiese, dimore più abbienti), solo dopo si diffusero anche nei ceti meno abbienti. Le strutture in muratura avevano molti vantaggi: erano più durature, riducevano il rischio di incendi, offrivano meno riparo a insetti e topi, portatori di malattie. Ovviamente, però, la pietra costava molto di più rispetto ai materiali vegetali. Dunque, la costruzione di case in un certo tipo di materiale piuttosto che un altro, dipendeva anche dalla disponibilità di quel materiale o l’altra nel luogo nella costruzione (es nella zona mediterranea prevaleva la pietra, dunque anche le case più povere erano fatte di questo materiale). Questo condizionamento era in parte alleviato dal fatto che si era sviluppato un commercio di materiale da costruzione, che rendeva disponibile il materiale in molti più luoghi rispetto a quello di produzione. Nel ‘600 e poi ancor di più nel ‘700, le case contadine non sono più sempre piccole e mal fatte: le catapecchie sono ora presenti solo tra i più poveri o nelle zone più povere. Per i contadini, in genere, le case, nell’età moderna, divengono più apie e spaziose in gran parte d’Europa. Una casa tipo di un contadino benestante a inizio ‘600 era così articolata: - Piano terra ingresso principale, che da una parte dà sul cortile e dall’altra sul ruscello vicino. Da un lato di questo passaggio vi sono stanze che fungono da magazzini per le provviste e forse anche una lavanderia. Dall’altro lato c’è la stalla che dà sul cortile. Sotto la scala che conduce al primo piano c’è un ciocco per macellare le bestie, un pollaio e una gabbia per i maialini. La presenza di spazi separati per uomini e animali è il segno di una cultura abitativa piuttosto raffinata. Questo, infatti non era vero in tutte le abitazioni: soprattutto tra i più poveri, c’erano forme di convivenza tra animali e uomini; non di rado, un’unica stanza serviva da cucina e stanza da letto per la famiglia, nonché da stalla per il bestiame. - Primo piano stube, la principale stanza di abitazione, isolata dalla stalla degli animali. È una stanza luminosa: vi sono finestre con vetri, una stufa che permette di avere un ambiente caldo ma senza fumo, delle panche e la culla del figlio piccolo. L’acqua calda è quasi sempre presente in casa, l’arredamento è semplice: grosso tavolo, panche fissate al muro, cassone contenente vestiti e stoffe, scodelle di terracotta, abiti e utensili. In questa stanza si mangia, si accolgono gli ospiti, ma si lavora anche. Qui però non si prepara il cibo dimostrazione di una specializzazione degli spazi - Cucina troviamo qualche pentola di ferro e di rame, stoviglie in terracotta e legno, contenitore per l’acqua, cesti, coltello, ceppo per lavorare la carne. La stufa serve anche per cucinare, non vi è il camino, che comparirà solo nel ‘700. In genere troviamo poi altre stanze per il riposo: non sono riscaldate e d’inverno sono fredde. Camera dei coniugi cassone per la biancheria. Letti i figli spesso condividono lo stesso, perché erano oggetti preziosissimi e costosissimi. In età moderna, avere un letto tuto per sé non era così comune. Le famiglie più modeste spesso avevano un solo letto per tutti. Si tratta dunque di una casa spaziosa, che non obbliga alla convivenza tra uomini e animali, riscaldata, con stanze da letto separate per genitori e figli. Non vi sono servizi igienici, ma complessivamente è un’abitazione con diversi comfort. Una casa del genere, a inizio ‘600, era abbastanza rara, ma la situazione era in movimento. Tra ‘500/’600, vi fu una tendenza al miglioramento delle abitazioni, dell’arredamento e del comfort. Le case divennero mediamente più ampie, solide e salubri. La crescita ovviamente coinvolse in modo non uniforme ceti sociali e zone geografiche, ma a inizio ‘700, la casa più diffusa avrà per lo più tre vani, e si moltiplicheranno le case in mattoni, sebbene continuassero ad esistere quelle fatte di materiali meno resistenti. Il lusso dei contadini prendendo come esempio una zona ricca della Gran Bretagna, caratterizzata da attività agricole e dallo sviluppo di attività commerciali e artigianali in piccole città e villaggi, osserviamo che nella seconda metà del ‘600, l’80/90% dei capifamiglia più poveri possedeva un letto con un telaio, e tutti avevano almeno un materasso da mettere per terra. Anche tra la popolazione meno abbiente, la maggioranza possedeva un tavolo, ma solo la metà di essa aveva sedie, panche e sgabelli. Questi ultimi erano invece presenti nelle case di tutti coloro che avevano un reddito maggiore, e contavano una casa con almeno 5 stanze. Solo pochi decenni più tardi, i possessori di tavoli e sedie erano notevolmente aumentati. Nella seconda metà del ‘600, quasi la metà dei poveri aveva un armadio, in genere piccolo e di scarso valore. Pochi invece possedevano una credenza o un guardaroba. Vi erano poi pentole e un po’ di terraglie. Relativamente raro era invece tutto ciò che noi associamo ad una tavola apparecchiata: le tovaglie erano poco presenti e ancora meno i coltelli e le forchette. Altri oggetti che rappresentano raffinatezza non erano però del tutto assenti: a volte c’erano oggetti d’argento, qualche libro Si affermano gli orologi segno dell’imporsi di un rapporto con il tempo sempre meno regolato solo dall’alternarsi tra giorno e notte. Scarsa era ancora l’illuminazione (le candele di cera sono ancora un bene di lusso), la luce tuttavia si sta facendo strada. La velocità di arricchimento delle diverse zone è varia, ad esempio in Normandia sembra essere più lenta, rispetto all’Inghilterra. 1700 sono diffusi i cassoni, quasi tutti posseggono pentole e recipienti per bollire i cibi, la tavola sembra più improntata alle buone maniere: si moltiplicano i bicchieri e le posate, anche i piatti e le tovaglie aumentano con anche una rapida fortuna per le forchette (fenomeno élitario, i contadini mangiano con le mani e cucchiai di legno) 1800 si diffondono gli armadi e i comò Le trasformazioni non si muovo in modo uniforme, ad esempio nell’Inghilterra Orientale, i beni si diffondono più precocemente. Nel ‘700 pezzi di biancheria e arredamento domestico si moltiplicano, infatti sono circa il doppio di quelli che normalmente una famiglia possedeva nel’500, proprio in questo periodo, infatti si inizia a parlare e discutere del cosiddetto “lusso dei contadini”, questo dibattito riflette la percezione del cambiamento delle condizioni di vita in una parte del mondo rurale. Adottare o adattare? le differenze tra città e campagne sono sempre state evidenti, complessivamente, infatti, in città trovare certi beni era più facile perché beni e negozi erano più concentrati. Era più facile anche imparare a conoscere le novità e apprezzarle, anche a causa della struttura sociale più articolata lì presente. I beni acquistati dai diversi ceti sociali in base alla propria identità e alla propria disponibilità economica, contribuivano a definire e ridefinire le identità di gruppo. Tra il ‘500 e il ‘700, le élites europee furono ossessionate dagli oggetti. Ostentare era necessario per mantenere il proprio status. Città e campagne avevano dunque stili di vita differenti (una differenza tra le maggiori fu quella delle tende per le finestre, molto presenti in città, pochissimo in campagna). La crescita delle città durante l’età moderna cresce il numero di centri medio-grandi e cambia la geografia della loro distribuzione (prima concentrate soprattutto nell’area mediterranea, risultano sempre più concentrate nel Nord- Europa). Le città però non si limitano a crescere: il loro aspetto cambia. In alcuni casi il mutamento è legato al fatto che vi si stabilisce una corte. Le città diventano capitali e assumono una nuova importanza: essere sedi del potere le trasforma. Lo sviluppo delle fortificazioni, l’ammodernamento dei porti, i progressi tecnologici, la crescita demografica implicano interventi sul tessuto urbano e sul patrimonio architettonico anche in città che non sono capitali. L’ambiente urbano gran parte delle città europee in età moderna, sono circondate da mura, che dal XVI vengono sostituite con costosi bastioni e terrapieni in grado di resistere alle cannonate. Questa trasformazione rende impossibile modificare i confini dello spazio urbano limitandosi ad abbattere le cinta e a ricostruirne una più ampia. Bisogna però riuscire a trovare una soluzione per la popolazione che cresce, si cerca allora di sfruttare gli spazi liberi all’interno delle mura. Le case si allungano all’interno, si sviluppano gli stabili ad appartamento e il numero dei piani aumenta. In molte città fuori dalle mura crescono caotici sobborghi che in alcuni casi stemprano il confine tra il mondo rurale e quello cittadino. Il paesaggio urbano di differenziava sempre di più da quello rurale, sebbene nella città continuassero ad esistere orti e giardini e la campagna continuasse a pervadere la vita cittadina. Quanto più le città erano grandi tanto meno si sarebbe potuto sentire al loro interno il profumo dei campi: come in molte case contadine, le sensazioni olfattive nell’ambiente urbano erano assai forti e sgradevoli. Rifiuti e immondizia l’alta densità di popolazione rendeva più problematico lo smaltimento dei rifiuti. Pare che, in Europa, le uniche città pulite fossero quelle olandesi. Negli altri stati le strade erano imbrattate dal letame degli animali e dagli escrementi degli uomini, gettati in strada, come avveniva anche per i rifiuti. In città vi erano quindi cumuli di escrementi animali e umani e spazzatura sulle strade. Europa occidentale mancavano quasi completamente i bagni pubblici Oriente bagni pubblici diffusi Lo stesso era per l’acqua: vista con grande sospetto dagli occidentali, al contrario di quanto avveniva per i musulmani. Oltre a questi rifiuti, per le strade, c’erano anche quelli, fortemente inquinanti, derivanti da determinate attività (es. macellai). Ruolo fondamentale di questa sporcizia era anche la composizione del fondo delle strade: la pavimentazione nella maggior parte delle città, infatti, manca del tutto, e quando c’è è limitata alle vie principali. Per il resto le strade sono sterrate o coperte solo di sabbia/ciottoli. Pioggia, acque di scolo e rifiuti danno vita a pozzanghere, fango e melma. Fine del ‘400 iniziano ad essere presenti le strade lastricate. A causa delle strade così composte, oltre a sporcarsi le scarpe, i rifiuti penetravano nel terreno e andavano a infiltrarsi nelle fosse biologiche. Fine dell’età moderna almeno un gabinetto in ogni stabile. Nelle abitazioni più abbienti, i gabinetti potevano essere più numerosi e anche collocati vicino alle stanze da letto. Ma poiché le fognature erano rare, i rifiuti finivano comunque nelle fosse biologiche o nei pozzi neri. Il gabinetto più igienico di diffonde solo a fine età moderna. L’uso delle latrine era dunque affiancato dall’uso dei vasi da notte, che venivano poi vuotati nei pozzi neri o addirittura per strada. Il problema dell’infiltrazione dell’inquinamento delle acque era dunque molto grave. Approvvigionamento idrico l’inquinamento dei pozzi, che era una delle principali fonti di approvvigionamento idrico, rendeva ancora più grave il problema dell’approvvigionamento dell’acqua necessaria, problema assai diverso in città e in campagna. Campagna difficoltà legate alle distanze da percorrere per raggiungere fontane e pozzi, compito riservato a bambini, servi e soprattutto alle donne. Città le fonti di approvvigionamento erano infatti più numerose e varie. Spesso il valore die nuovi beni non è solo economico, ma anche affettivo (quadri o armadi tramandati di generazione in generazione). Le nuove abitudini di consumo portarono ad una decrescita dei sospetti nei confronti delle ricchezze e del lusso, frequenti in età medievale. Ovviamente non muore ogni condanna verso l’abbondanza, ma le critiche diminuiscono. Diffusione armadi, comò, cassettiere e guardaroba permettono di ordinare i beni in categorie in base all’uso L’uso del cassone pertanto diminuisce già dal ‘500 ‘600 diffusione di credenze e comò. Camere e corridoi a partire dal ‘400 la casa diviene oggetto di crescenti sforzi di razionalizzazione. Ai vertici della scala sociale viene abbandonato il palazzo ‘fortezza’ e nasce un nuovo tipo di abitazione, il palazzo di città, legato allo sviluppo urbano: spendere per costruire diviene, nell’ideale del tempo, vantaggioso sia per chi acquista la casa, sia per l’abbellimento della città. Le case iniziano ad essere dunque divise in zone di servizio, di rappresentanza e private. Chi può permetterselo, dal ‘400, inizia a riservare alcune stanze al suo uso personale. Se fino ad ora gli ospiti venivano ricevuti nella stanza da letto del padrone di casa, adesso qualcuno inizia a sentire il peso del via vai di gente in una stanza dove custodisce le sue cose più preziose. Si diffonde quindi l’anticamera costruita davanti alla camera, serve per ricevere amici e conoscenti, per mangiare, per conservare oggetti, per farci dormire i servitori, così vicini alla stanza del padrone in caso di bisogno, ma non troppo. Nel ‘500 prende avvio l’abitudine di costruire una seconda camera dotata di un letto, diversa da quella in cui si ricevono gli ospiti. Accanto alla stanza da letto, inoltre, si inizia a far costruire il gabinetto, lo studio dove ritirarsi (nuovo bisogno di privacy), e il disimpegno. Nasce così una sorta di casa nella casa, detta appartamento, ad uso privato dei proprietari. Un appartamento per essere completo deve avere almeno 4 stanze: - anticamera - camera - gabinetto - guardaroba - scala segreta, che permette di uscire senza passare dagli spazi pubblici. Mogli e mariti hanno spesso un appartamento ciascuno, e così spesso anche i figli o gli altri parenti che vivono in casa. Nei palazzi rinascimentali, aree di rappresentanza, di servizio sono divise. I mobili presenti nelle stanze sono specifici e spesso identificano le stanze stesse. Nonostante ciò, nei palazzi rinascimentali, molte stanze restano multifunzionali. Nelle stanze da letto private, oltre a dormire si fanno lavori di ricamo, si legge e talvolta si mangia anche. Non esiste infatti uno spazio specifico per mangiare. Quando non vi sono ospiti, ci si raccoglie in una stanzetta detta salotto per mangiare, oppure ciascuno mangia nel proprio appartamento, da solo o in compagnia. ‘600/‘700 spazio destinato ai pasti non ancora definito. Le anticamere spesso divengono luoghi in cui mangiare, ma più spesso vengono usate le sale da pranzo, che tendono sempre di più a diffondersi in tutta Europa, inizialmente solo tra i ceti più alti. La maggior parte delle stanze sono delle ‘chambres’ (stanze multiuso), ossia luoghi in cui si dorme e si riceve. I più poveri sono costretti a fare tutto in una stanza (mangiare, dormire, ricevere, lavorare). 1700 - si diffonde la definizione di “sala da pranzo” - - si diffondono i salons - Si diffonde la definizione di “camera da letto” (seconda metà del ‘700) Nel ‘700, tra ostentazione e comodità, nelle case, si tende a prediligere la comodità (diversamente da prima). Il nuovo obiettivo degli architetti è costruire stanze funzionali e comode, oltre che belle. Così importante diviene anche la specializzazione tra gli spazi, soprattutto la camera da letto diviene spazio consacrato al sonno e alle attività private. Nel 1700 a Parigi, ancora solo 1/10 della popolazione ha una vera stanza da letto separata. Anche le cucine, adibite solo alla preparazione del cibo, sono rare. Sale da pranzo, salotti e saloni sono ancora sconosciuti a gran parte del ceto medio. Si fanno sentire nuovi bisogni che portano alla costruzione di sottoscala, ripostigli, anticamere e di stanze adibite all’intimità. Nel ‘700 le abitazioni erano per lo più sviluppate verso l’alto gli spazi, quindi, erano molto piccoli ma suddivisi su più piani. Nelle città, poi, erano spesso presenti ghetti, dove vivevano per lo più ebrei. Erano spazi talmente sovraffollati, complice anche il continuo crescere della popolazione, che spesso scoppiavano risse. Nel ghetto, si vivevano in una stanza, massimo due, dunque inutile era accumulare beni e oggetti, piuttosto si investiva sull’arricchimento interiore. Rispetto alle città, le campagne non sono sempre arretrate, vivono momenti di sviluppo paralleli che però talvolta si intrecciano. In alcune zone rurali, in età moderna, vengono create dimore ampie, con la specializzazione degli spazi. Nel ‘400, in molte abitazioni, vi è già la distinzione tra cucina e camera del capofamiglia e, successivamente quella tra cucina e stanze da letto (è raro trovare il letto in cucina). La divisione degli spazi è ovviamente legata alla diversità dei ceti rurali. Il mondo contadino non è così incivile come spesso viene descritto. In campagne, le problematiche relative allo spazio erano meno impellenti rispetto alle città, dunque la specializzazione dello spazio era più facile, anche se ad esempio frequente era la condivisione dei letti. Verso la specializzazione gli spazi si specializzano e attorno allo spazio ‘primordiale’ dell’abitazione, si sviluppano altri ambienti. Tempi e tappe di tali trasformazioni variano a seconda dei contesti: la metà del ‘700 è comunque un momento di grandi trasformazioni in molte zone. I cambiamenti all’interno delle abitazioni ridisegnano nuovi confini tra i gruppi sociali: la cosa più importante è che si iniziano a distinguere spazi più privati e spazi più aperti, all’interno dell’abitazione. Vengono quindi ridisegnate le relazioni tra le persone e gli spazi all’interno dei vani della casa. Nei palazzi rinascimentali e dell’età moderna, le stanze dei palazzi sono collegate in modo tale che non era possibile spostarsi da una stanza all’altra senza passare dalle altre stanze collocate tra queste due. Facilitare gli spostamenti significava allora, come prima cosa, moltiplicare le porte. Una casa strutturata in questo modo era simbolo del fatto che qualsiasi attività potesse essere interrotta in ogni momento, dal passaggio di qualcuno, perciò nei grandi palazzi si decide di erigere una grande barriera di anticamere e di costruire appartamenti personali dotati di uscite e scale segrete. Questa soluzione permetteva di non dover interrompere le attività altrui e di fuggire senza essere visti, ma ancora non permetteva di isolarsi in modo netto. Corridoio la sua introduzione avrebbe permesso una forte riorganizzazione dello spazio e dei rapporti tra le persone che vivevano sotto lo stesso tetto. Il concetto di corridoio esisteva già, ma non corrispondevano a ciò che intendiamo noi oggi, cioè spazi lunghi e stretti sui quali si apre la porta di ogni singola stanza. E le tendenze rinascimentali andarono a distruggere quelle piccole tracce che avvicinavano il corridoio di allora a quello odierno. Infatti, il concetto di filtraggio reso possibile dalle anticamere era in netto contrasto con il concetto di corridoio e, allo stesso tempo, la struttura secondo cui le stanze dovevano sfociare le une nelle altre, era preferita per ragioni simboliche: permetteva di ostentare la vastità del palazzo. Tutto ciò, però, era evidentemente molto scomodo. Il primo corridoio moderno risale al 1597 e si tratta di una lunga entrata che attraversa tutta la casa (Inghilterra). Questa novità inizia a diffondersi rapidamente, grazie all’architettura italiana. Questo permetteva ai domestici di non passare dalle stanze dei padroni, per sbrigare le proprie faccende. Il modello della camera dotata di una sola porta che si affaccia sul corridoio non fu subito adottato, solo pian piano divenne molto comune tra i ricchi. Alla fine, i motivi funzionali avrebbero avuto il sopravvento su quelli estetici, trasformando così ogni stanza in un’unità isolata. La comunicazione, in tal modo, veniva favorita, e diminuiva la possibilità di incontrarsi furtivamente. Questa struttura incarnava un nuovo senso del pudore, una progressiva voglia di privacy. Al di fuori della nobiltà, il corridoio si impose solo nell’800-900. Privacy questo bisogno si esplicitava soprattutto come bisogno di privacy dai servi, massicciamente presenti in tutte le case, soprattutto quelle dei più ricchi. Nei palazzi rinascimentali esistevano già spazi riservati alle attività svolte dai domestici, ma il modo in cui le stanze erano distribuite facevano sì che i servi fossero più o meno onnipresenti. C’erano spazi a loro dedicati anche per la notte, dunque spesso padroni e servi non stavano gomito a gomito, solo in campagna o nelle abitazioni dei ceti medi e medio-bassi, vi era maggiore promiscuità. Tuttavia, anche nelle dimore dei ricchi, dove esistevano stanze e camerette per i servi, per rispondere ai più vari bisogni della notte dei padroni, almeno un domestico anche di notte stava nelle sue immediate vicinanze. Spesso i servi si occupavano nei confronti dei padroni di operazioni che oggi consideriamo molto private, il senso del pudore in età moderna era diverso da quello attuale, in particolare trattando con persone di rango inferiore ci si poteva permettere una certa spudoratezza che in alcuni casi serviva anche a marcare le distanze e a sottolineare la propria superiorità, Luigi XIV ad esempio aveva trasformato un compito servile come mettergli la camicia la mattina in un onore per chi lo compiva, regolato fin nei minimi particolari, il rituale del risveglio mattutino del re era una rappresentazione del suo potere. Coloro che lo aiutavano a vestirsi erano rappresentanti dell’aristocrazia per i quali accede all’ “intimità” del sovrano costituiva un privilegio. In Inghilterra questo crescente bisogno di privacy aveva portato a 4 tipi di innovazioni: - Superamento della tradizionale promiscuità grazie alla creazione di stanze separate tra padroni e servi - Tendenza a relegare la servitù nel seminterrato o in un’ala separata collegata al corpo centrale della residenza tramite un passaggio che poteva essere chiuso - Introduzione di corridoi e scale di servizio - Sistema di funi e campanelli in modo che i servi possano dormire nelle proprie stanze ed essere chiamati all’occorrenza dai padroni. La presenza dei servi, insomma, crea un problema e più si va avanti nell’età moderna, e più si sente l’esigenza di dover risolvere questo disturbo: chi se lo può permettere, cerca di allontanare sempre di più i servi dalla vita privata della famiglia e anche i servi sembrano essere desiderosi di avere una vita privata. ‘600 aumento dei servi che non abitano più con le famiglie che servono ‘500/‘600 credenza popolare rispetto al fatto che la donna che allattava dovesse evitare di avere rapporti sessuali e per questo il marito sceglieva spesso di far allattare il figlio dalla balia, così da poter avere rapporti con la moglie. Convinzione che l’allattamento ritardasse il ritorno della fertilità nelle donne = motivo in più per ricorrere alle balie. L’allattamento e la cura dei bimbi erano visti dai nobili come un compito noioso e che quindi era da far fare ai servi. I valori erano insomma diversi rispetto ad oggi ma ciò non sta a significare che le madri non volessero bene ai figli. Tra i ceti popolari, invece, si occupavano le balie solo dei bambini abbandonati nelle strutture. In campagna, le contadine di solito allattavano sia i propri figli sia quelli degli altri, che prendevano a balia. In città, il ricorso alle nutrici era più diffuso, soprattutto per le donne che lavoravano in ambienti malsani o che avevano ritmi lavorativi incompatibili con l’allattamento. In grande maggioranza, insomma, i bambini non venivano allattati dalle proprie madri. ‘600 primi cambiamenti le mamme delle classi medie olandesi, iniziano a sentire che l’allattamento e la custodia dei figli erano doveri morali e anche religiosi quindi progressivo abbandono della pratica della balia, probabilmente favorito anche dal controllo delle nascite, che permetteva di dedicare più tempo ad ogni figlio, dal ritrovato benessere derivante dall’allattamento sia per le madri sia per i bimbi, dalla comparsa di più mezzi artificiali per l’allattamento. maggiore sensibilità per le condizioni igieniche non sempre ottimali nelle case delle balie. Si inizia a diffondere così una nuova concezione della famiglia, degli affetti e del ruolo della donna. Questa evoluzione andò in direzioni opposte però alla base della scala sociale, con il crescere del lavoro in fabbrica, le donne del popolo dovettero far maggiore ricorso alle balie. Età moderna differenze di ceto e di cultura = rapporto poco lineare tra donne e preparazione del cibo Donne dei ceti più alti cuochi maschi e facevano allattare i propri figli Donne ceti più bassi cucinavano e allattavano. 1700 i vari compiti del nutrire hanno sempre più accomunato le donne di tutta Europa e di tutti i ceti sociali, al punto da divenire un elemento centrale nella definizione della femminilità. Dimmi quando e cosa mangi e ti dirò chi sei di rado vi sono orari fissi per mangiare, sia che si faccia parti dei ceti popolari che di classi sociali nobili, il numero di pasti e loro cadenza non sono sempre gli stessi. Chi lavora in campagna diritto ad un surplus alimentare, tanto che si può arrivare, dunque, a sette pasti al giorno. Anche in occasione di alcuni festeggiamenti, ad esempio, si può stare a tavola per ore ed ore. Fin dall’antichità, la scansione regolare dei pasti è segno di una condotta civile regolare, che si oppone a comportamenti sfrenati. In età moderna non tutti mangiano lo stesso numero di volte, né alla stessa ora, questa situazione, inoltre, cambia in base alle stagioni e si trasforma con il passare dei secoli. Col passare del tempo, lo scarto orario tra i pasti dell’élite e quelli delle classi popolari si approfondisce. Èlite arriva a mangiare sempre più tardi, a causa dei ritmi di vita più mondani che la portano a rientrare più tardi la sera e dunque a svegliarsi molto tardi la mattina, facendo così slittare tutti i pasti. A lungo vi fu la credenza che tutti dovessero mangiare in base alle proprie qualità e quindi secondo la propria posizione sociale e quindi non solo cioè, secondo la propria costituzione. Si tendeva ad associare l’alto con il positivo e il basso con il negativo, secondo la convinzione che Dio avesse dato alla natura quanto alla società umana, una struttura gerarchica. Quindi ogni essere veniva classificato secondo il proprio grado di nobiltà. Si iniziò così a pensare e considerare i volatili come cibi destinati al re, mentre il maiale era ritenuto adatto per i contadini. Ognuno doveva mangiare i cibi adatti al suo rango, poiché i cibi ingeriti avrebbero contribuito a forgiare le caratteristiche attribuite ad ogni gruppo sociale. In età moderna succedeva anche che commensali alla stessa tavola, mangiassero cibi differenti. Anche nelle case provate, soprattutto in quelle più ricche, servi e padroni mangiavano cibi diversi e bevevano bevande diverse. L’alimentazione delle campagne l’alimentazione della città erano molto diverse Città si mangia tendenzialmente il pane bianco e più era bianco, più si saliva sulla scala sociale Contadini si cibavano di pane nero, preparato con ingredienti diversi dal grano: pane di segale, d’orzo, d’avena, di miglio. Strati sociali medio-alti pane fresco tutti i giorni Altri strati pane duro in modo da consumarne meno, venivano usate le zuppe e bevande per riuscire ad ammorbidirlo. I contadini consumavano anche cereali inferiori, sotto altre forme (es polente). Mangiar pane, mangiar carne l’importanza del pane nell’alimentazione europea derivava dall’integrazione di due culture diverse, quella romana, centrata su pane, vino e olio, e quella dei barbari, che privilegiava carne, latticini, birra e sidro. L’integrazione aveva portato soprattutto due fenomeni: - Mangiare carne - Diffusione del pane. A lungo, grazie al diffondersi della tradizione che avevano portato le tribù germaniche del mangiare grandi quantità di cibo in segno di potere, le élites furono super-alimentate, ma consumi del genere finivano anche per avere ripercussioni negative sulla salute. Valore della carne diffuso con le vittorie delle tribù germaniche, Valore del pane diffuso con il cristianesimo, che aveva fatto di questo cibo l’elemento centrale del suo culto. Protestanti e cattolici la rottura religiosa provocata dalla riforma ebbe contraccolpi anche sull’alimentazione. I protestanti rigettarono la normativa dietetica della chiesa romana, che imponeva nel calendario annuale numerosi giorni di magro. Ciò portò al riacutizzarti di numerose differenze - nord vorace di carne - sud frugale e vegetariano. In questo modo si delineano due Europe che si fronteggiano sia sul piano religioso che su quello alimentare. Europa protestante affamata di carne e grassi animali Europa cattolica più sobria e affezionata ai prodotti della terra, e nel cui calendario religioso venivano proibiti carni e grassi animali per 140/160 giorni l’anno. Vi erano poi anche l’Europa Balcanica e quella orientale: Europa Balcanica pensava che esaltare la frugalità come facevano i cattolici volesse dire difendersi dall’invasione islamica Europa orientale si imponeva un calendario ancora più fitto di giorni di magro rispetto ai cattolici Pratiche alimentari e identità di gruppo per definire l’identità di gruppo sono un elemento molto importante le varie pratiche alimentari. Ogni religione si caratterizza e spesso di distingue dalle altre, per il consumo di alcuni cibi, spesso vietati nelle altre religioni. Ad esempio, la battaglia tra islam e cristianità si giocava anche a livello alimentare. Lo stesso vale per la distinzione tra cristiani ed ebrei, che per alcuni aspetti culinari si contaminano, per altri si distinguono nettamente. La carne la diffusione del pane tra i popoli germanici si era realizzata in concomitanza con il procedere della cristianizzazione. La sua produzione era legata all’abbandono del nomadismo delle tribù barbare e alla diffusione delle pratiche agricole. Epoca medievale consumo di pane e cereali era integrato con prodotti di allevamento e caccia anche tra le classi sociali più povere Con il IX secolo, l’aumento della popolazione e l’espansione dei campi coltivati, i boschi diminuiscono e di conseguenza diminuiscono anche gli spazi dedicati all’allevamento di pecore e maiali, determinando così un cambiamento radicale per quanto riguarda l’alimentazione dei contadini, la carne fresca e la selvaggina comparivano sempre più di rado sulle loro tavole trasformando così la dieta, la quale era, dunque, diventata fortemente vegetariana (verdure e cereali). XII/XIII secolo opposizione tra il regime alimentare dei contadini e quello dei cittadini. A partire dal 1270, però, a causa dell’aumento demografico, si era tornati alla fame e, da lì a 80 anni, era tornata la peste, che aveva colpito la gente indebolita dalla fame. Chi riuscì a sopravvivere tornò ad avere un regime alimentare più ricco ed equilibrato. Metà del ‘500 l’Europa torna ad essere carnivora, ma le differenze nate negli anni precedenti non vengono eliminate, ma riproposte in diversa forma. Ceti superiori privilegiano la selvaggina fresca, Cittadini abbienti consumano per lo più bovini Cittadini più poveri si orientano sulla carne ovina, per cercare di distinguersi dai contadini Contadini mangiano carne di maiale salata. Ovviamente ricorrono poi forti differenze tra le diverse zone: ad esempio, si consuma soprattutto carne di maiale nell’Europa centro-settentrionale, mentre carne ovina in penisola balcanica e tra gli ebrei. Da metà ‘500 si fa vivo di nuovo, il problema di non riuscire ad espandere la produzione al ritmo della crescita demografica: espandere i campi non basta, si dovrebbe riuscire a incrementare la produzione. Infatti, le nuove tecniche agrarie diffuse nel Medioevo sono state applicate solo in alcune zone (Olanda, Pianura Padana). Nel ‘700 ci sarà la rivoluzione agricola, questa risulterà necessaria a soddisfare le esigenze alimentari degli europei. Nel ‘500 quindi, la popolazione europea torna a livelli simili a quelli raggiunti alla vigilia della peste del ‘300, e nel corso dell’età moderna aumenta ancora. Le condizioni alimentari finiscono per deteriorarsi e diminuisce di nuovo il consumo di carne. Come conseguenza a questa diminuzione del consumo di carne per molte persone e sempre più spesso, la minestra diviene il piatto principale anche senza essere accompagnata dalla carne. Il consumo di carne diminuisce ma aumenta il consumo aumenta quello del pane, la cui però, qualità peggiora. Pane inizia a diventare più scuro al frumento vengono sempre più mescolati cereali inferiori o legumi. La produzione di pane cresce esponenzialmente e la dieta diventa incentrata sul consumo di pane e cereali. L’alimentazione, in questo modo, torna ad essere dipendente dal ciclo delle stagioni e in particolare dall’annuale andamento della produzione cerealicola se i raccolti vanno male, essi hanno un forte impatto sulla mortalità. Questa connessione tra aumento del prezzo dei cereali e crescita della mortalità diminuirà leggermente nel 1700, grazie anche al commercio cerealicolo. Comuni erano poi le zuppe fatte di cipolle, legumi, cavoli, patate che spesso venivano mescolate al pane duro. Cavoli e rape erano presenti in tutta Europa. Europa meridionale abbondanza di verdure e queste erano immancabili sulle tavole Europa mediterranea altri cibi chiave erano le olive, i fichi secchi e la frutta Europa centro-settentrionale si consumavano ciliegie, mele e pere, c’erano poi i semi oleosi, importanti per il loro apporto calorico e di grassi (mandorle, noci, pistacchi) I contadini mangiavano di rado polli e conigli che di solito venivano riservarti ai padroni e alla vendita, si mangiavano però le uova. Lavori femminili abbiamo già visto come la divisione sessuale del lavoro “domestico” relativo alla preparazione dei cibi fosse diversa a seconda dei ceti sociali: nelle case dei più ricchi, servitori di sesso maschile non di rado svolgevano compiti che nelle case di ceto medio e basso venivano svolte dalle serve o dalle donne di casa. In questo caso si possono smontare molti pregiudizi che vorrebbero legare la divisione sessuale del lavoro a pretese inclinazioni naturali di uomini e donne non solo cercando le donne negli spazi pubblici, ma anche guardando dentro gli spazi domestici e scoprendo quindi folte schiere di uomini che impastavano la sfoglia ad esempio. Le donne di città e di campagna, ricche e povere, nubili, sposate o vedove, giovani e vecchie e così via, non facevano di certo le stesse cose. Molte ricerche ci offrono una vivida immagine delle donne, come instancabili e continuamente affaccendate, da un’indagine risulta che in Gran Bretagna - Preparazione del cibo = 3/4 ore - Procurarsi acqua e legna = 1 ora circa - 1 ora = tenere il fuoco acceso e allattare e nutrire i bambini Totale = 6/7 ore, a cui si aggiungeva - L’orto (1 ora) - Accudire e mungere gli animali (2/3 ore) - Fare pane e birra (3 ore a settimana per ciascuna attività) - Fare conserve e cose simili Ma questi compiti legati alla sfera dell’alimentazione non esaurivano le attività femminili: - Cura dei bambini = circa 3 ore al giorno - Pulizia della casa = circa 2 ore al giorno - Confezionare abiti e altre attività = circa 2 ore - Fare il bucato = 4 La vita delle donne si divide in mille faccende da svolgere. Nelle famiglie contadine però una parte dei compiti femminili non ha nulla a che vedere con le attività di pulizia che oggi sono fortemente associate all’idea di lavoro domestico, inoltre la linea che divide il lavoro domestico da quello extra-domestico è molto sottile, ad esempio un ruolo di solito fatto svolgere alle donne (o ai servi) è quelli di andare a prendere l’acqua, questo si svolge fuori dalle mura domestiche e lo stesso si può dire per il bucato e per la ricerca del combustibile (non sempre però compito delle donne). Ovviamente, comunque, molte donne dell’Età moderna svolgono anche compiti “extra-domestici” nel senso odierno del termine ma anche quelle che non lo fanno si destreggiano tra mille attività. CAPITOLO IV – Vestire In età moderna, le donne filano moltissimo, filano per produrre i loro corredi, una volta sposate per le necessità della loro famiglia. In quest’epoca, tuttavia, filano anche per il mercato. Se nella filatura meccanizzata della seta (sviluppatasi a Bologna) sono presenti anche maschi, la filatura domestica è un’attività quasi esclusivamente femminile e lo è in misura maggiore rispetto alla tessitura. La tessitura organizzata da mercanti che forniscono la materia prima ai lavoratori a domicilio vede coinvolti anche uomini accanto alle donne. La produzione tradizionale di filati e tessuto per l’autoconsumo rappresenta la trama in cui si inserisce lo sviluppo proto-industriale incentrato sulla produzione a domicilio. Nella confezione di vestiti e biancheria, le attività di filatura e tessitura si accompagnano al lavoro con ago e filo per produrre abiti nuovi o riadattarne di usati: è un gioco senza fine di adattamenti e riadattamenti, il commercio dell’usato aveva dunque un ruolo importante. I padroni davano i propri abiti vecchi ai servi, ma anche i vestiti dei defunti venivano venduti, ecco perché il numero dei venditori ambulanti cresce notevolmente già nel ‘600. L’egemonia della produzione domestica di vestiti resta forte nell’età moderna, ma è sempre più intaccata dallo sviluppo dell’industria tessile e dal commercio di stoffe e vestiti. Soprattutto grazie ai prodotti tessili si apre una breccia nell’economia attraverso la quale passano movimenti economici. Consumi e scambi crescono: camicie, lenzuola e biancheria sono più numerosi nel ‘700. Il costo relativo ai tessuti cala già prima dell’arrivo dell’industrializzazione e poi, con l’industrializzazione si ha una decrescita ancora più evidente. Nonostante ciò, però, le dotazioni di vestiti e biancheria crescono. Questo è dovuto: - Ai prezzi più bassi - A un maggiore interesse nei confronti di abiti e biancheria Diffusione biancheria legata anche alle concezioni dell’igiene e del corpo, che si erano imposte a partire dal ‘500. Fino ad allora aveva continuato ad esistere il vecchio sistema dei bagni romani, associati alla pulizia e al piacere. Peste del ‘300 si iniziò a pensare che i bagni pubblici fossero luoghi che potessero facilitare la trasmissione de contagio di malattie e perciò se ne scoraggiò la frequentazione durante le epidemie. Nel ‘500 la forte volontà di lottare contro le malattie, mise sotto accusa ancora più aspra i bagni, che chiusero massicciamente e l’acqua iniziò ad essere vietata. Si inizia a pensare che il bagno sia pericoloso, perché i vapori dilatano i pori facilitando così la contaminazione di malattie e facendo uscire gli umori utili al corpo, in questo contesto solo le mani e la bocca continuano a venir lavate con acqua, spesso allungata da aceto, alcool o vino. Si sviluppa una concezione “asciutta” dell’igiene e della pulizia, che perdura fino all’illuminismo, quando le élite iniziano ad essere prese dalla smania del bagno, soprattutto freddo, che tonifica il corpo. Sarà nel ‘700 dunque, che si diffonderanno stanze e vasche da bagno, ma la loro diffusione sarà lenta. La scomparsa del bagno nel ‘500, comunque, non implica un venir meno della preoccupazione per la pulizia, anzi tale preoccupazione cresce, ma la pulizia inizia ad essere associata non all’acqua, bensì all’asciugatura del sudore e alla profumazione. In ciò la biancheria gioca un ruolo fondamentale, si crede infatti che assorba il sudiciume del corpo, limitando così il generarsi di pulci e pidocchi. Biancheria viene vista come la soluzione più efficace per tenersi puliti senza l’impegno del bagno, dotata di questo importante ruolo essa si moltiplica e diviene un simbolo visibile della pulizia della persona che la indossa, oltre che sfoggio di lusso e raffinatezza, grazie a pizzi e merletti. In realtà colletti e polsini diventano staccabili dal resto degli indumenti e lavabili singolarmente quindi, in realtà, dicono poco della pulizia della persona. La pulizia resta per molto tempo una questione sociale e per questo i ceti inferiori ne vengono esclusi: essere puliti diviene un lusso di chi ha un certo numero di pezzi di ricambio o comunque la possibilità di lavare la biancheria costantemente. Biancheria non è alla portata di tutti, anche per i costi elevati. Il bucato risulta quindi, momento chiave per le pratiche igieniche, lavare i panni è compito delle donne o di lavandaie specializzate. Il sapone, in età moderna, è un prodotto ancora costoso, spesso è quindi sostituito con ranno fatto di cenere del camino oppure orina contenente ammoniaca o ancora letame disciolto in acqua o orina. In età moderna non si usava cambiarsi le mutande tutti i giorni, ma la camicia sì. Molti, fino ancora al ‘700, non posseggono nemmeno le mutande, sebbene sia comunque un indumento molto antico. L’uso delle mutande esteso anche alle donne è stato a lungo oggetto di contrasti - Favore = permettevano di proteggere le parti intime da sguardi indiscreti - Contrati = un’usurpazione dell’abbigliamento maschile e quindi un travestimento immorale. Comunque, tra le donne stentano ad imporsi in particolare se si tratta di donne del popolo. A lungo, le mutande sono diffuse tra prostitute, attrici e cacciatrici. Solo a fine ‘700 risultano più diffuse, ma ancora piuttosto rare. Il capo di biancheria più diffuso non sono dunque le mutande, ma la camicia. Camicia si diffonde nelle campagne italiane nel ‘400 e spesso è l’unico capo che si possiede. In Francia la camicia è diffusa nello stesso periodo nelle corti, ma non in campagna. Nel ‘700, anche in Francia, è il capo più diffuso e, col passare dei secoli, anche il lavaggio e il cambio della camicia diviene più frequente. Proteggersi e farsi belli proteggersi e ripararsi sono le due funzioni principali che i vestiti assumono durante l’Età moderna. Proteggono dal freddo uno dei bisogni a cui rispondono i vestiti, dei quali si dice generalmente che svolgano tre funzioni: - Coprire le parti ritenute vergognose - Riparare dal freddo - Ornare Gli abiti svolgevano anche un’azione di difesa e protezione ad un altro livello: rappresentano una corazza contro la peste e le altre malattie. In tempo di peste si arrivava addirittura a proporre un abbigliamento specifico che potesse proteggere dal contagio e per far si che i miasmi pestilenziali potessero scivolare via senza fare danno. Con la scomparsa della peste del ‘700, torna l’usanza del bagno e si ha l’alleggerirsi degli indumenti, dunque, i tessuti si fanno più leggeri, ariosi e colorati. Un ruolo primario in questo contesto, ce l’ha lo sviluppo dell’industria tessile e delle speculazioni imprenditoriali. In questi stessi anni anche l’uomo del popolo inizia ad avvicinarsi alla moda. ‘600 e ‘700 i capi principali per salariati e domestici divengono - Giacca - culotte (cioè pantalone al ginocchio) - lunga sopravveste. Qualcuno ha poi (solo i più fortunati) - mantello - cappotto - cappello 1775/1790 cambia la situazione: - spopolano gli abiti completi con giacche e culotte abbinate - gilè sostituisce la sopravveste - soprabito presente anche nel popolo, spodestando il cappotto. - i pantaloni sono ancora rari. - Quasi tutti hanno cappello e scarpe. Tra ‘700 e ‘800 si imporrà un nuovo stile di abbigliamento di ispirazione neoclassica, fatto di - vestiti leggeri - scollati - colorati - con la vita libera - scarpe senza tacco. Poi negli anni 20, busti e crinoline torneranno in auge. CAPITOLO VII – Conclusioni Produzione e consumo negli stessi anni in cui stava maturando l’idea che la libertà dell’abbigliamento dovesse essere presente tra i diritti di ciascuno, l’abbigliamento stesso divenne più libero e in particolare quello delle donne appartenenti alle élite. Tra ‘700 e ‘800 si impose un nuovo stile di imposizione neoclassica. Se il movimentarsi delle mode e l’estendersi del loro dominio dalle cerchie ristrette delle corti e della nobiltà a più ampi strati della popolazione avevano contribuiti a minare le basi della società di Antico Regime. Non si può negare che le donne avessero giocato a molti livelli un ruolo importante in tale trasformazione: come produttrici di filati e tessuti e come sarte, merlettaie, decoratrici; come rivenditrici di abiti e come acquirenti di capi di abbigliamento; come autrici dei primi giornali di moda e come lettrici del nuovo genere letterario. Nel ‘700 in particolare, in molte zone, lo stock di vestiti posseduto da ogni famiglia mostrò una tendenza alla crescita. Il fenomeno non coinvolse però maschi e femmine allo stesso modo, in particolare tra i salariati. All’inizio del secolo Valore medio degli abiti più o meno equivalente tra uomini e donne del popolo = 17 e 15 livres Prima della rivoluzione Vestiti maschili il valore si raddoppia = 39 livres circa Vestiti femminili il valore si moltiplica addirittura per 6 volte = 92 livres Uomini e donne, inoltre, consumavano in modo differenziato: in Inghilterra, ad esempio, a parità di occupazione o di dimensioni dell’azienda agricola, le donne possedevano beni nuovi e decorativi più degli uomini. Ma anche il loro modo di considerare gli oggetti e le cose era lo stesso: le donne avevano un rapporto emozionale con gli arredi domestici e con gli affetti personali, mentre gli uomini ne parlavano spesso in modo distaccato. Le donne ne parlano come di oggetti propri, che hanno contribuito a plasmare la loro vita, che esprimono la loro individualità e possono dunque trasmettere ricordi condivisi e la loro stessa stria. Le donne si mostravano attaccate soprattutto agli oggetti su cui potevano vantare diritti di proprietà, i beni che sarebbero rimasti a loro anche una volta rimaste vedove e quelli di cui pensavano di potersi appropriare: dunque oggetti su cui potevano contare, che esse potevano e sapevano usare in modo creativo nella loro vita quotidiana e nelle loro reti di relazioni. Inoltre, i beni ai quali le donne mostravano tanto attaccamento erano, almeno in parte, loro creazioni. Non possiamo definire e stabilire con certezza se le donne fossero davvero più spendaccione degli uomini, poiché in molti casi gli oggetti a cui le donne erano affezionate non erano stati acquistati da loro. Non è detto, poi, che se anche possedevano più vestiti, gioielli e oggetti vari ciò fosse espressione diretta di una loro spiccata propensione al consumo. Il fatto che le donne avessero ricchi abiti non era sempre, infatti, espressione di una libera scelta femminile. Rispecchiava piuttosto, le scelte degli uomini, che peraltro, in molti casi dei vestiti mantenevano la proprietà. Le donne, attraverso la loro eleganza, potevano fungere da “vetrine” dei maschi, della loro ricchezza, del loro potere e del loro successo. Se poi si iniziano a considerare altri beni in molti casi erano gli uomini a possederne i più delle donne: è il caso degli orologi e dei cavalli con le carrozze (come le auto di oggi). 1974 uno studioso ha sostenuto, rispetto al periodo dell’industrializzazione, che l’impiego di forza- lavoro infantile e femminile, pagata male ma pur sempre pagata, da un lato costituiva una minaccia per la figura del paterfamilias, dall’altro rendeva possibili nuovi consumi: creava una domanda di beni di centrale importanza per lo stesso sviluppo industriale. Nuovi confini e nuove gerarchie Il nascente giornalismo femminile, in parte considerevole rappresentato dai giornali di moda, offriva alle donne nuova possibilità di intervento nella sfera pubblica e un nuovo pulpito dal quale esprimere le proprie idee. Dai salotti ai teatri, nel corso del ‘700, le loro voci si stavano moltiplicando. Alla base della scala sociale le donne erano attivamente impegnate a vari livelli nei settori produttivi e nei servizi, e stavano diventando importanti protagoniste nel primo settore che stava iniziando ad industrializzarsi: il settore tessile. Agli occhi dei contemporanei questo loro protagonismo era visto come la base di uno sconvolgimento delle tradizionali gerarchie di genere, e se appariva tale era soprattutto per le caratteristiche del lavoro di fabbrica: - netta divisione tra gli spazi domestici e quelli lavorativi - orari di lavoro più rigidi - maggior importanza dei salari femminili e infantili nei bilanci famigliari - crescente possibilità di salari individuali in Francia, grazie alla Rivoluzione si importarono alcune importanti riforme nella legislazione a favore delle donne, questi miglioramenti si estero via via anche nel resto d’Europa: - parità tra gli eredi maschi e femmine - introduzione del divorzio - introduzione della maggiore età che dava il permesso alle donne non sposate di amministrare i propri beni Tutto ciò fu favorito dall’inserimento di queste innovazioni all’interno del Codice Napoleonico, questo influenzò la legislazione ottocentesca di vari stati. Progressivamente il vecchio ordine sociale viene rotto, anche grazie al decrescere delle paure maschili nei confronti dell’ascesa dell’altro sesso. Durante la Rivoluzione francese, tuttavia, le donne vennero escluse dalla possibilità di partecipare alla sfera pubblica eleggendo i propri rappresentanti o venendo elette. Nel caso degli uomini si arrivò ad affermare compiutamente, il principio del suffragio universale (anche i servitori furono esclusi). L’appartenenza ad una famiglia restava dunque un tratto fondamentale per la definizione dell’identità sociale: continuò a sussistere una dipendenza dal paterfamilias che finiva per precludere la partecipazione alla vita politica degli altri membri della famiglia, delegata al solo vertice della gerarchia: il padre. Tra le varie motivazioni che hanno a lungo determinato l’esclusione delle donne, giocava un ruolo di primo piano il fatto che molti le consideravano per “natura” destinate a svolgere solo compiti nell’ambito domestico. Secondo alcuni autori, questo era dato dal fatto che, in casa, venivano rispecchiate le stesse gerarchie attive nella società extra-domestica e soprattutto in quella politica, che vedevano il padre esercitare poteri di supremazia nei confronti degli altri membri (idea molto diffusa tra ‘500/‘600). Altri autori invece sostengono invece che la casa debba essere luogo di felicità privata, in cui la donna regna, organizza, ordina e dispone. Si tratta, in questa visione, di qualcosa di totalmente diverso rispetto alla realtà extra-domestica, dove la donna non ha alcun potere governativo. Vi sarebbe dunque una divisione del lavoro tra donna e uomo molto netta: la prima si occupa della felicità della propria famiglia; il secondo della giustizia della legge. Si può dedurre, quindi, che alle donne, in base alle epoche, vennero attribuiti ruoli molto diversi e legittimità maggiori o minori relative al loro operato. Per le donne, l’unica alternativa legittimata dalla chiesa, al divenire madri e mogli, era il convento. I rapporti interni alla famiglia non sono sempre stati uguali, anzi. È solo dal ‘600 che il valore affettivo tra genitori e figli inizia a farsi esplicito, ed è solo in questo secolo, inoltre, che i bambini iniziano come soggetti di cui i genitori devono essere responsabili. Una cosa certa rispetto alla nascita della famiglia moderna, i suoi tempi e le sue modalità, è che vi fu un cambiamento radicale della sensibilità di uomini e donne nei confronti della famiglia e soprattutto un aumento dell’affettività. Per moltissimi secoli le relazioni famigliari, tra coniugi e tra genitori e figli, erano legami freddi e anaffettivi, precari poiché spesso e soprattutto a causa delle malattie e delle morti, soprattutto infantili e dei continui cambi di residenza, le famiglie erano costrette a scomporsi e ricomporsi con frequenza. A ciò si univa il fatto che la mortalità era alta e dunque spesso le relazioni coniugali erano interrotte da morti precoci. Dal ‘600, con il decrescere del ricorso alle nutrici da parte delle élites, ci fu una diminuzione della mortalità infantile e si iniziarono a creare legami sempre più stretti e solidi tra madre e figli, a ciò si unisce anche il fatto che si diffondono i contraccettivi e il rischio di morte per parto si riduce, controllando anche maggiormente le nascite. Inoltre, la differenza di età tra coniugi venne ridotta, così da vedere decrescere il numero delle vedove. Come già sappiamo, per moltissimo tempo la scelta del marito, soprattutto nei ceti più elevati, dipendeva dalle decisioni dei genitori della sposa: solo col tempo questa pratica perderà importanza. Gli appartenenti ai ceti più bassi erano da sempre stati più liberi in tale scelta, anche a causa della scarsità di beni che possedevano. Dopo il 1660, solo ai livelli più alti dell’aristocrazia, i genitori non concedevano ai figli la possibilità di rifiutare lo sposo/la sposa che sceglievano per loro. Con il ‘700, il potere patriarcale è diminuito e i figli sono decisamente più liberi nella scelta del matrimonio. Si diffuse così la consapevolezza che l’amore era ingrediente fondamentale per un matrimonio felice. Tutto ciò però avvenne in modi e tempi diversi nelle varie parti d’Europa. Italia il concilio di Trento (1542) aveva stabilito che non era necessario il consenso dei genitori per la validità del matrimonio, perciò, la chiesa, negli anni successivi, aveva cercato di imporre ai genitori il rispetto delle volontà dei figli. Da questa decisione le donne furono coloro che trassero maggior vantaggio e che finalmente, erano in misura minore viste come pedine da muovere per assecondare le esigenze della famiglia, ma le alternative sono ancora due: matrimonio o monastero. Una delle maggiori novità, però, è che le donne ora possono scegliere quale delle due strade intraprendere. Nel ‘600, però, con il rafforzarsi del patrilignaggio e con l’affermarsi di una società rigidamente gerarchizzata, ossessionata dalla salvaguardia della distinzione tra ceti, ecco che giuristi ed ecclesiasti, si mostrano più propensi ad accettare le logiche familiari. Non manca così chi cerca di dare maggior peso a quello che vogliono i genitori. Ciò creava differenze, soprattutto tra le élites, tra figli primogeniti e secondi, facendo aumentare la conflittualità famigliare, complice anche la diffusione del fedecommesso (destinatario stabilito dall’erede, di tutta la propria eredità in caso di morte). Queste disuguaglianze furono abolite con l’arrivo dei francesi, che soppressero primogeniture e fedecommessi e introdussero la parità tra gli eredi, maschi e femmine. Da qui in poi si moltiplicano i cicisbei (uomini che accompagnano le donne nelle occasioni pubbliche e mondane e le assistono nelle operazioni di toilette). Grazie a queste innovazioni si riuscì a rendere sempre di più i figli autonomi determinando, così la crescita dei sentimenti famigliari. L’uso del tu nei rapporti genitori-figli diverrà la norma solo nelle generazioni dopo il 1820. A fine età moderna, le relazioni in famiglia risultavano più informali e confidenziali.
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