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"Vita di Pericle" di Plutarco - Vite parallele, Sintesi del corso di Storia Antica

Sintesi dettagliata completamente sostitutiva dell'Introduzione ("Plutarco biografo" - "La fortuna di Plutarco e le Vite" - "Introduzione" di Stadter) e della "Vita di Pericle" di Plutarco (testo). Manca la "Vita di Fabio Massimo". Università degli studi di Milano, corso monografico su Pericle (docente: Michele Faraguna).

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 25/03/2019

Costanza.1998
Costanza.1998 🇮🇹

4.6

(50)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica "Vita di Pericle" di Plutarco - Vite parallele e più Sintesi del corso in PDF di Storia Antica solo su Docsity! 1 VITA DI PERICLE, Plutarco PLUTARCO BIOGRAFO Plutarco nacque tra il 46 e il 48 d.C. da una famiglia benestante, a Cheronea, in Beozia. Rimase per tutta la vita legato alla sua terra natale, ma la pace che il dominio imperiale sapeva assicurare lo spinse a sottomettersi con rassegnazione ai funzionari romani. In Beozia un giovane non poteva che acquisire un’istruzione superficiale, perciò il padre di Plutarco mandò i figli ad Atene. Plutarco studiò retorica, imparando a padroneggiare la lingua scritta e quella parlata. Entrò poi nella scuola filosofica dell’Accademia, nella quale apprese la matematica (da Ammonio) e le discipline filosofiche: fu così che la filosofia lo avvinse definitivamente. Rimase ovviamente seguace dell’Accademia, ma non volle diventare decente. Per quanto riguarda le scienze naturali, egli preferiva la scuola peripatetica e strinse anche rapporti con la Stoà di Posidonio. Il padre di Plutarco cercò di coinvolgerlo nei suoi affari e lo mandò dal proconsole a Corinto e poi fino a Roma, dove soggiornò piuttosto a lungo. Plutarco si recò a Roma più di una volta, riuscì anche ad ottenere la cittadinanza romana (il padre doveva probabilmente avere delle conoscenze)...egli rimarrà comunque un greco, anche se il viaggio a Roma ebbe naturalmente un’importanza decisiva per la sua conoscenza del mondo, degli uomini e per il suo giudizio storico. Andò anche ad Alessandria, non lo immagineremmo se non fosse lui stesso a raccontarlo, perché non sembrò mostrare interesse per i Tolomei o per i membri del Museo. Si sposò presto: lui e la moglie si sposarono senza l’approvazione dei genitori, che erano in aperta inimicizia. In un dialogo egli scrisse dell’importanza del matrimonio e della spontaneità...in opposizione alla morale filosofica e al costume antico, secondo lui la donna aveva il diritto di innamorarsi e persino di prendere iniziativa. Il loro si dimostrò un buon matrimonio, allietato da molti figli e sorretto da sentimenti profondi. Con il matrimonio egli si stabilì definitivamente nella sua piccola patria, rinunciando ad ogni prospettiva di carriera altrove. Visse senza titoli, né professione, eppure la sua casa riceveva sempre diverse visite sia da Greci che da Romani. Verso la fine degli anni ‘90 assunse la carica vitalizia di uno dei due capi sacerdoti di Apollo Delfico e la mantenne fino alla morte. La maggior parte delle sue opere, fra cui le importanti Vite Parallele, furono scritte mentre era sacerdote. Compì occasionalmente persino studi di grammatica. Grammatici e medici facevano parte del suo ambiente e il loro modo di vedere le cose gli era famigliare, tanto che dalla medicina ricavò molte metafore. Egli era dell’idea che l’uomo debba mantenersi in buona salute, prima di tutto, grazie anche all’educazione e alla filosofia, intesa come “ragion pratica”. Plutarco ha scritto anche di filosofia in senso stretto, ma nel complesso non ha fatto che tradurre nel suo stile personale alcune polemiche tardo-ellenistiche (ricordiamo che egli non fu e non volle essere un pensatore originale). Vastissima produzione letteraria che pochissimi sono stati in grado di abbracciare. Il centro della sua attività letteraria sta però negli scritti di filosofia morale, in questi più che altrove percepiamo l’azione educativa che Plutarco esercitò nella sua vita. Secondo lui uomini e donne, vecchi e giovani, devono e possono vivere la propria vita in modo retto e proficuo. Questo insegnamento non era astratto, ma sempre calibrato sulle condizioni in cui vivevano i Greci della sua epoca e del suo ambiente. A questo si aggiunge un linguaggio elegante, ma libero dalle preziosità del classicismo, con scorrevoli periodi lunghi eppure ben torniti (armoniosi)...costernati di metafore e passi di poesie. Le sue idee derivavano in grandissima parte della filosofia ellenistica e Plutarco non fu, né volle, essere un pensatore originale e questo vale per tutte le sue opere. Egli lesse tantissimo e lesse di cose svariate, dalle quali ricavò estratti rielaborandoli in appunti, di cui egli stesso parla...e ce ne sono giunti alcuni, evidentemente pubblicati dopo la sua morte (lasciati nello stato frammentario in cui si trovavano). È possibile che molta roba d’altri sia stata collocata sotto il suo nome. Possediamo solo una parte di quanto è autentico. Lo scopo delle Vite parallele (accostamento di un condottiero e politico Romano con uno Greco) è anche quello di suscitare l’interesse di lettori di entrambe le nazionalità. Vediamo così come già allora i due popoli si mescolassero, come in Grecia, i Romani intrattenessero rapporti paritari, più o meno durevoli, con i nobili notabili locali. In questo quadro Plutarco è il miglior rappresentante di parte greca: con la sua padronanza della lingua latina e con la sua approfondita informazione su culti e su costumi romani. Egli collocò le sue biografie al servizio del nuovo corso di governo di Traiano, un corso che Adriano intensificò poi fino a dare la 2 preferenza ai Greci, in totale opposizione con il regime dei Flavi. N.B. Nelle Vite parallele non compare nessuno degli imperatori romani, né alcuno dei re successori di Alessandro (non vi è in lui alcun interesse nei confronti del culto dell’imperatore). Tutti i personaggi di cui racconta compaiono nella veste di uomini d’azione: i Romani avrebbero così imparato che, anche in tale campo, gli antichi Greci potevano essere alla loro altezza. Di esplicito si dice solo che questi uomini sono esempi (“è una rassegna di eroi”). Quando alcune coppie come Alcibiade-Coriolano e Demetrio-Antonio presentano dei caratteri di dubbia moralità allora lo scrittore si scusa apertamente di averli accolti fra gli “eroi”. Anche se chi legge una biografia spesso ha un interesse puramente storico, non bisogna dimenticare che Plutarco non è né vuol essere uno storico, ma un biografo e un filosofo. Limiti di Plutarco: mancanza di critica storica e con essa la capacità di calarsi in un’altra epoca e in un’anima rivolta a fini diversi. LA FORTUNA DI PLUTARCO E LE VITE Furono grandi ammiratori di Plutarco Montaigne (“è un filosofo che insegna la virtù”), in Inghilterra Shakespeare (la cui lettura di Plutarco offrì ispirazione per le tragedie Coriolano, Giulio Cesare, Antonio e Cleopatra); in Germania Goethe, Schiller e in Italia D’Azeglio, Leopardi, Alfieri. Alla suggestione di Plutarco non si sottrassero neppure gli uomini di potere, principi assoluti come Enrico IV di Francia e Giacomo I d’Inghilterra e illuminati come Federico II di Prussia, rivoluzionari e repubblicani come Robespierre e Napoleone. Nell’800 tuttavia la scena cambia, l’entusiasmo per Plutarco si attenua soprattutto nell’ambito della cultura tedesca di ispirazione romantica, segnata dalla tendenza anticlassicistica e antiretorica. Nel corso del secolo l’affermarsi della storiografia scientifica attenua la differenza verso uno scrittore giudicato scarsamente attendibile come fonte storica e privo di rigore filologico-strutturale. Plutarco più volte dichiara di non voler scrivere storia, ma piuttosto mettere in evidenza il carattere di un eroe perché altri possono imparare da lui. Oggi il biografo Plutarco viene apprezzato soprattutto dallo storico per quello che gli offre e che non si trova altrove. Oggi sempre più numerosi contributi di studiosi hanno potuto dimostrare come Plutarco abbia attinto direttamente a molte delle fonti da lui citate (una delle frequenti accuse: non conoscere di prima mano pressoché nessuna delle fonti che cita e rifarsi a raccolte di aneddoti e riassunti ad uso delle scuole di retorica). Non poche notizie da lui citate e in passato ritenute semplici curiosità si sono rivelate esatte in base a reperti archeologici, topografici ed epigrafici. Oggi si indaga sulle semplificazioni, operazioni compiute da Plutarco, di situazioni storiche complesse e sulla “compressione” cronologica attuata al fine di perseguire determinati effetti d’insieme e ancora sulle ragioni che lo hanno condotto a scegliere certi eroe e ad escludere degli altri. Ci risulta che sono andate perdute una notevole parte delle opere plutarchee, in particolare delle Vite di singoli personaggi. Delle Vite parallele pare manchi solo una coppia (Epaminonda e Scipione l’Africano). Confrontando sistematicamente un Greco e un Romano, Plutarco intendeva contribuire alla comprensione reciproca tra i due popoli, le due culture, descritte nei loro aspetti comuni e nelle loro diversità. INTRODUZIONE: VITA DI PERICLE DI PLUTARCO - Stadter 1. Gli obbiettivi di Plutarco nello scrivere il PERICLE: Plutarco pone Pericle accanto a Fabio Massimo, il Temporeggiatore, nel X volume delle sue Vite Parallele. Il motivo di tale abbinamento non appare subito chiaro: - Pericle: imperialista ateniese, oratore dinamico, politico in una democrazia; - Fabio Massimo: dittatore romano, generale che sfiancò Annibale negandosi al combattimento, membro oligarchico del senato. Motivo del confronto: carattere dei due personaggi + fine morale dello scrittore. Le biografie di Plutarco si differenziano dalla pura narrazione storica per il rilievo conferito alle qualità morali dei protagonisti. L’intento principale della biografia è quello di portare il lettore a riflettere sulle buone azioni ed a ammirarle (“così come l’occhio si rafforza ammirando i colori” cit. Plutarco). La contemplazione ci fa ammirare le azioni e suscita in noi il desiderio di imitarle, di modellare la nostra vita conformemente alle virtù di coloro che le compiono. 5 Il momento più glorioso della carriera politica di Pericle è la condotta durante guerra del Peloponneso. Plutarco non approva il rifiuto di Pericle di abrogare il decreto di Megara, perché per Plutarco è un errore per Greci combattere contro Greci; ma una volta iniziata la guerra, egli descrive le azioni di Pericle con ammirazione. Pericle resiste alla foga irrazionale della folla, agli incitamenti degli amici e agli insulti degli avversari. Con il rifiuto di combattere contro Sparta in Attica, egli mette in salvo la città. Gli atti di Pericle si accordano con quelli che Plutarco considera gli ideali più alti dell’arte di governo, ponendo la calma del filosofo e il bene dello stato al di sopra degli interessi personali. Soprattutto Pericle dimostra praotes (virtù che Plutarco considera fondamentale in Pericle). L’ultima parte della Vita continua a rivelarci le virtù del personaggio, così come le vedeva Plutarco, sebbene compaiono anche alcune avvisaglie della sua debolezza (es. piangere al funerale del figlio Paralo, supplicare l'assemblea di legittimare il figlio avuto da Aspasia). Plutarco mette in risalto il controllo di Pericle nel suo dolore, il riconoscimento da parte del demos delle sue capacità di comando e la valutazione di Pericle stesso della propria grandezza sul letto di morte (autoencomio). La struttura della Vita dall’inizio alla fine viene usata come mezzo di persuasione. La retorica è riflessa anche nelle tecniche utilizzate da Plutarco: selezione - amplificazione - evocazione di ethos e di pathos. La narrazione è resa incompleta dalla scarsezza di fonti e dai criteri narrativi adottati. Importante: esclusione di personaggi politici contemporanei e di quasi tutto il contesto storico di Pericle...ma anche notizie sulla famiglia di Pericle vengono omesse (es. notorietà dei figli, spendaccioni e perdi tempo, la sua tutela di Alcibiade) per non interrompere la scorrevolezza della Vita. È frequente che nel Pericle la figura retorica della amplificazione (= dilatazione di un argomento), operata per accrescerne l’importanza: es. nell’esposizione del pensiero di Anassagora e del suo influsso su Pericle, nella valutazione oratoria di Pericle, nell’esaltazione del suo aristocratico stile di governo, nell'ammirazione per la sua fermezza nei confronti della folla, nel programma di costruzioni. Ethos (carattere del personaggio), come il tutte le biografie di Plutarco è il tema centrale, ma l'autore lo utilizza anche come mezzo di persuasione. Egli ci chiede spesso di condividere i suoi giudizi, ci vuole partecipi della usa indignazione verso Idomeneo, i poeti comici o Stesimbroto...creando così familiarità con i lettori (= indice del sua grande successo come biografo). All’inizio Plutarco ci permette di formarci un’idea del carattere del personaggio (idea preliminare), sulla quale poi si fonda per spiegarci le altre azioni. Noi siamo portati in tal modo ad accettare che Pericle non era di natura democratico, nonostante cercasse consenso popolare e che non avrebbe potuto uccidere Efialte, poiché non c’era in lui ombra di violenza. L’immagine della capacità di Pericle di autocontrollo contribuisce a avvalorare le ragioni presentate da Plutarco per il suo rifiuto di combattere gli invasori peloponnesiaci dell’Attica. Il pathos, appello esplicito all’emozione, trova posto nell’epilogo, nello stupore e nell’ammirazione che la calma di Pericle suscitano nello scrittore (cap. 39). Questo paragrafo riassume molti dei temi della Vita, attribuendo infine a Pericle qualità quasi divine. 3. Il valore storico del Pericle La Vita di Pericle non è un encomio sofistico, né un esercizio retorico. Sebbene l’intento di Plutarco non fosse preminentemente storico, usò materiale storico di prim’ordine, oggi quasi tutto irreperibile. Riteneva infatti che il modo migliore per raggiungere il suo fine morale fosse di fornire esempi di uomini veri nel contesto in cui erano vissuti. La carriera di Pericle (470-429) non era stata narrata in modo dettagliato da nessuno storico: la narrazione di Erodoto si conclude nel 479; quella di Tucidide inizia verso il 434 (+ pentekontaetia). Anche Eforo (uno storico del IV secolo) fa un resoconto di questo periodo. Plutarco dovette ricostruire la carriera politica di Pericle da annotazioni di fonti disparate (Tucidide e Aristofane sono le uniche che ci sono pervenute), quasi tutte scritte per altre ragioni. Plutarco è importante perché preferì fonti contemporanee al fine di indagare il carattere del suo personaggio. Tucidide è importante sia per Plutarco che per noi: Plutarco accettò la sua interpretazione secondo la quale Pericle governò ad Atene in modo aristocratico, sebbene costituzionalmente la città fosse una 6 democrazia (e lo usò come base per la sua narrazione dal cap. 22 in poi). Plutarco non usa però i tre discorsi di Pericle che sono in Tucidide come indicazione di personalità del suo eroe, perché Plutarco sospettava dell’autenticità dei documenti. Egli asserisce che i veri e propri discorsi di Pericle non furono mai messi per iscritto. Plutarco per definire sia il carattere di Pericle che le minacce al suo potere utilizza i decreti e le imputazioni attinte da una raccolta di documenti probabilmente fatta da Cratero nell’ultima parte del IV sec. (es. decreto di Pericle per il richiamo di Cimone, decreto che invitava i Greci a un congresso panellenico..). In realtà non sappiamo quanti di questi documenti siano autentici (documenti simili a questi sono stati ritrovati, incisi su pietra, negli scavi archeologici ad Atene, ma non sono attribuibile a Pericle). La Commedia antica di Aristofane e dei suoi contemporanei arricchisce la Vita di testimonianze sugli atteggiamenti dei contemporanei verso Pericle, in particolare riguardo all’ostilità suscitata dal suo predominio sulla città. Dai poeti comici attinge: Pericle rappresentato come Zeus, tiranno come Pisistrato, deriso per la testa a cipolla marina e per il rapporto con Aspasia. Accusa di Aristofane: Pericle responsabile della guerra del Peloponneso a causa delle prostitute di Aspasia o per salvare Fidia e altri suoi amici. L'ultima accusa è riportata anche dallo storico Eforo. Plutarco si fida poco dei poeti comici (vita sregolata e diffamatori nelle opere). Plutarco cita inoltre Stesimbroto di Taso (declamatore professionista di poemi omerici, si presentava come interprete di Omero e come sofista) e Ione di Chio (rispettato come poeta tragico e autore di varie altre opere, es. Visite): Plutarco lo cita qui a proposito della presunta superbia di Pericle e del confronto fra la guerra di Samo e quella di Troia. Plutarco attribuisce direttamente a Pericle il merito dei meravigliosi monumenti di Atene: sia per la decisione di utilizzare il denaro della lega delio-attica, che per la continua supervisione del lavoro, condotta con l’ausilio del suo amico Fidia. Un tempo le costruzioni monumentali erano volute dai tiranni per esautorare i loro sudditi, in modo tale che non avessero la forza di ribellarsi; sotto le monarchie ellenistiche e l’impero romano, invece, la costruzione di grandiosi edifici di pubblica utilità era divenuta per i monarchi e i cittadini facoltosi prassi per sfoggio di potere e per suscitare l’ammirazione dei sudditi e dei concittadini. Plutarco ricorre anche a fonti di epoche successive: Fedro di Platone (nel quale viene lodata l’arte oratoria di Pericle per confutare il giudizio negativo espresso nel Gorgia) + cita la Costituzione degli Ateniesi di Aristotele (dove tratta del conflitto tra l’Areopago e Cimone) e la Costituzione dei Sami (a proposito della guerra di Samo). Cita occasionalmente anche gli scrittori Eforo e Duride di Samo e i filosofi Idomeneo ed Eraclite del Ponto. Infine Teopompo di Chio (le cui Filippiche contengono una digressione sui demagoghi ateniesi) deve essere stato un una delle fonti di Plutarco, anche se non viene espressamente citato. Plutarco, nel mettere a fuoco la vita e il carattere di un personaggio, incorre in qualche libertà narrativa, in particolare semplificando la narrazione storica. Per es. preferisce un ordinamento della materia non cronologico, bensì per argomento + salto cronologico di 6 anni fra i capitoli 23 e 24. Plutarco si affidava alla memoria e ad appunti, per questo faceva errori elementari. Troviamo due errori di questo tipo (entrambi nel cap. 35): Plutarco pone l’eclissi solare nel 430 invece che nel 43, come afferma Tucidide + fonde le due spedizioni (quella contro Epidauro e quella contro Potidea). Egli opera volutamente una semplificazione. Ascrive inoltre a Pericle azioni che le fonti attribuivano semplicemente agli Ateniesi (es. decisione di inviare navi a Corcira). Allo stesso modo avvenimenti importanti che non hanno però diretta attinenza con l’eroe vengono a volte omessi o narrati schematicamente. Plutarco è un abile letterato, la sua scelta e interpretazione dei fatti dipende dalla Vita a cui attende. Infatti, nel Pericle dedicò maggior spazio al suo eroe, citando solo quando erano necessarie le azioni di Cimone per capire quelle di Pericle, ma selezionò i fatti e li interpretò in modo tale da rafforzare la propria impostazione dell’argomento. N.B. Notare, per esempio, la diversità delle due versioni del processo di Cimone dopo l’assedio di Taso: nel Pericle il ruolo di Pericle viene smussato in modo tale da farlo risultare semplicemente “uno fra gli accusatori”, mentre nel Cimone egli è il “più violento degli accusatori”. Ci sono quindi distorsioni storiche reali o apparenti, causate dal taglio che Plutarco dà alla biografia. La sua interpretazione si basa sulle lettura di testimonianze e sulla sua sensibilità nel comprendere le sfumature della personalità umana (molto importante per noi). 7 Speranza di Plutarco: suscitare il desiderio nei lettori di vivere la loro vita emulando Pericle. Ci fornisce un esempio stimolante di ciò che deve essere l’uomo di stato: padrone di sé, retto e lungimirante. Non spaventato dalla realtà del potere, ma pronto ad affrontare il popolo e a sostenere il proprio punto di vista; un oratore persuasivo, un capo militare prudente e un cittadino che antepone al proprio benessere quello del suo paese. Testo: 1.Si racconta che Cesare (probabilmente Ottaviano Augusto) vedendo girare per Roma alcuni ricchi forestieri che tenevano in braccio dei cagnolini e delle scimmiette, coprendoli di moine, domandò se al loro paese le donne non mettevano al mondo bambini, ammonendo loro di riversare sugli animali quell’istintivo bisogno d’affetto che è innato in noi e che bisognerebbe riservare ai nostri simili. Certo i nostri sensi sono esposti alla percezione di tutto ciò che si offre loro...bisogna tuttavia seguire ciò che vi è di buono se si vuole non solo vedere, ma trarre dall’osservazione un nutrimento spirituale. Le gesta virtuose suscitano in chi le guarda un sentimento di emulazione e un entusiasmo che sprona ad imitarle. Così come l’occhio si rafforza ammirando i colori. In altri campi l’ammirazione per un’opera non determina di necessità il desiderio di riprodurla, al contrario accade spesso che pur traendo piacere da un prodotto ne disprezziamo l’artefice. Es. Apprezziamo i profumi e i tessuti di porpora, ma consideriamo tintori e profumieri volgari artigiani, non uomini liberi. 2. Un’opera può dilettare con la sua grazia, senza per questo che chi ne è autore sia necessariamente degno di emulazione (es. nessun giovane ben nato dopo aver visto la statua di Zeus a Pisa o quella di Era ad Argo ha mai desiderato di essere Fidia o Policleto). Ma le imprese virtuose, mentre le si osserva, dispongono subito l’anima in modo tale che si desideri di emulare chi le ha compiute. Questo X libro contiene le biografie di Pericle e Fabio Massimo, colui che combatté contro Annibale: uomini simili, oltre che per le virtù, soprattutto per la mitezza d’animo, la rettitudine, la capacità di sopportare le stoltezze del popolo e dei colleghi di governo, rendendosi utilissimi alla loro patria. 3. Pericle era della tribù Acamantide e del demo di Colargo e apparteneva a una famiglia (sia da parte di madre che da parte di padre) tra le prime della città. Santippo (colui che vinse a Micale contro i Persiani) aveva sposato Agariste, nipote di Clistene, che aveva cacciato i Pisistratidi abbattendo la tirannide e dato ad Atene nuove leggi. Agariste sognò di generare un leone e pochi giorni dopo diede alla luce Pericle: un bambino perfetto in tutte le sue parti del corpo, tranne che nella testa che aveva molto lunga e asimmetrica. I poeti attici lo chiamarono per questo “schinocefalo” letteralmente “testa di cipolla”: si dà il caso infatti che la cipolla marina in Attica venga chiamata anche schinos. Il comico Cratino fu ammiratore di Cimone e critico verso Pericle: nelle sue opere paragona Pericle a Zeus. “La Discordia e il Crono (padre di Zeus), unitisi, procrearono un grandissimo tiranno che gli dei chiamano Cefaloghereta (= adunatore di teste)”. Teleclide lo prende in giro per la forma della sua testa. Anche Eupoli (comico contemporaneo) espresse critiche vivaci su Pericle. 4. La maggior parte delle fonti riferisce che egli fu istruito nella musica da Damone (ateniese sofista, molto noto per le sue teorie sulla musica: intima affinità tra musica e inclinazioni dell’anima. Fu maestro di Pericle anche nella politica. Fu ostracizzato come fautore della tirannide e colpito da critiche da parte dei poeti comici). Secondo Aristotele invece egli avrebbe studiato musica con Pitoclite (musicista). Pericle seguì anche le lezioni di Zenone di Elea (scolaro di Parmenide, trattava dei problemi della natura, come il maestro, si ricorda soprattutto per alcune argomentazioni in difesa delle teorie del maestro e cioè contro il movimento e contro la molteplicità: uso di argomentazioni apposte). Ma colui che fu più intimamente legato a Pericle è Anassagora di Clazomene (cercò una spiegazione del mondo e fu il primo ad introdurre il concetto di Nous o Mente, e non il caso o la necessità, come principio ordinatore dell’universo. Omeomerie: particelle che costituiscono tutte le cose, ordinate ad azione del Nous). 5. Grazie ad Anassagora Pericle acquisì profondità di pensiero e grande eloquenza, la calma, il tono pacato della voce e altre qualità simili che riempivano tutti di ammirazione. Aneddoto: una volta, per esempio, fu offeso e insultato da un individuo maleducato che lo seguì fino a casa continuando ad offenderlo. Sulla soglia di casa Pericle, poiché era ormai buio, ordinò a uno dei suoi servi di prendere una torcia e scortare 10 I Propilei furono terminati dopo 5 anni (sotto la direzione dell’architetto Mnesicle). Aneddoto: il più abile degli operai scivolando cadde a grande altezza e rimase in condizioni gravissime, Pericle fu profondamente addolorato della disgrazia, ma la dea gli apparve in sogno e gli indicò la cura adatta, grazie alla quale riuscì a guarire l’infortunato. Per questo Pericle fece erigere sull’acropoli anche la statua, in bronzo, di Atena Igea, protettrice della salute. La statua crisoelefantina della dea fu invece opera di Fidia, il cui nome è scritto sul basamento (anche se, come abbiamo detto, tutti i lavori erano sotto la sua direzione grazie all’amicizia di Pericle)...questo provocò l’invidia degli altri: si diceva, per esempio, che Fidia accogliesse nella sua casa donne di buona famiglia per conto di Pericle. I comici raccolsero subito la diceria e diffusero calunnie sulla sua dissolutezza. Secondo Plutarco queste sono “calunnie di Satiri cont7ro uomini più potenti”...d’altra parte (dice Plutarco) è difficile e arduo rintracciare la verità. 14. Intanto gli oratori che sostenevano Tucidide accusavano Pericle di dissipare il denaro. A quel punto Pericle chiese, in assemblea, al popolo se sembrava che fosse stato speso molto denaro e tutti risposero “moltissimo”. Allora Pericle ribatté che avrebbe fatto in modo che la spesa fosse messa a nome suo e anche le dediche...a questo punto i cittadini o perché ammirati dalla sua grandezza d’animo o perché desiderosi al pari suo del merito di quelle opere gridarono a gran voce di accingere pure dai fondi del tesoro pubblico. Infine Pericle sfidò Tucidide alla prova dell’ostracismo e riuscì a farlo allontanare dalla città. 15. Finalmente la città risultava priva di contrasti. Ma anche lui non era più quello di prima, così disponibile verso il popolo e pronto a cedere e ad assecondarne i desideri. Da quella demagogia egli ne trasse un sistema di governo aristocratico e regale, giungendo in molti casi a guidare e ad ammaestrare il popolo che lo seguiva con la forza della persuasione (metafora medica: Pericle = medico, persuasione = medicina). Pericle era il solo in grado di dominare le passioni con equilibrio, dimostro che l’eloquenza come diceva Platone era una forza incanta dice dell’anima. Tuttavia la sua autorità non era semplicemente la sua grande capacità oratoria, come dice Tucidide, ma egli aveva anche grande reputazione e il popolo riponeva in lui fiducia . Era un uomo incorruttibile e superiore al denaro (non crebbe di una sola dracma il patrimonio che aveva ricevuto in eredità dal padre). 16. Eppure i poeti comici continuarono a paragonarlo ad un tiranno. Pericle fu “il primo, per 40 anni, in mezzo a uomini come Efialte, Leocrate, Mironide, Cimone, Tolmide e Tucidide” e quando Tucidide venne ostracizzato egli ebbe nelle mani un potere assoluto che mantenne per almeno 15 anni (eppure non si lasciò mai vincere dal denaro). Pericle faceva la spesa giorno per giorno e ogni entrata, ogni spesa era la calcolata. A tenere le fila di questa rigorosa economia di Pericle era un solo servo di nome Evangelo, abile come nessun altro (o per naturale disposizione o perché addestrato dal padrone stesso). Si dice così che Pericle avesse abbandonato la casa e lasciato le sue terre incolte dall’esaltazione per i suoi alti concetti. Narrano inoltre che lo stesso Anassagora trascurato da Pericle per via dei suoi molti impegni si era messo a letto col capo velato, vecchio come era, a lasciarsi morire. Come venne a saperlo Pericle, sconvolto, accorse immediatamente da lui, lo scongiurò con ogni mezzo di tornare, manifestando dolore non per Anassagora, ma per sé stesso: semmai fosse rimasto privo di un tale consigliere. Anassagora rispose: “Pericle anche quelli che hanno bisogno di una lucerna versano in essa dell’olio”. 17. Pericle fece approvare un decreto con cui si invitavano tutti i Greci d’Europa e d’Asia a mandare dei delegati ad un congresso tenuto ad Atene per deliberare sui templi greci, incendiati dei barbari e sui sacrifici che i Greci dovevano agli dei, e infine per discutere di accordi riguardanti la sicurezza del traffico marittimo e la salvaguardia della pace (non possediamo altre testimonianze di questa iniziativa periclea). Ma non si concluse niente, perché gli Spartani si opposero. Plutarco tuttavia dice di aver ricordato questa iniziativa per mettere in evidenza la saggezza di Pericle. 18. In campo militare Pericle acquistò fama soprattutto per la sua ponderatezza. Aneddoto: dissuase Tolmide che si accingeva ad attaccare la Beozia, in un momento per nulla opportuno. Inizialmente le sue parole riscossero un grande successo, ma qualche giorno dopo, quando giunse la notizia che Tolmide era stato ucciso, sconfitto in battaglia presso Cheronea, l’evento portò a Pericle grande fama e consenso (si riconobbe in lui un uomo saggio e pieno d’amore per i suoi concittadini). 19. Tra tutte le spedizioni militari quella più apprezzata fu quella nel Chersoneso che risultò proficua per i Greci che abitavano in quella regione. Pericle infatti vi trasferì lì mille coloni ateniesi irrobustendovi la 11 popolazione del luogo. Infine cinse di fortificazioni tutto l’istmo. Grande ammirazione suscitò, anche presso gli stranieri, il fatto che egli avesse circumnavigato il Peloponneso: durante questa spedizione infatti Pericle non si limitò a devastare gran parte della costa, come aveva già fatto prima di lui Tolmide, ma si spinse all’interno costringendo gli abitanti a rifugiarsi dentro le mura, solo a Nemea i Sicioni gli opposero resistenza, ma egli li volse in fuga. Egli si era così rivelato temibile ai nemici e sicuro ed energico ai concittadini. 20. Salpò poi per il Ponto, con una flotta numerosa e molto equipaggiata (data di questa spedizione incerta, gli studiosi oscillano tra il 450 e il 435). Mentre ai popoli barbari confinanti mostrò la grande potenza degli Ateniesi, ai Sinopei egli lasciò 13 navi e dei soldati al comando di Lamaco, per combattere il tiranno Timesilao. Quando egli fu cacciato dalla città Pericle fece votare una legge in base alla quale 600 volontari ateniesi si sarebbero recati a Sinope e avrebbero abitato insieme ai Sinopei. Per il resto invece non ha assecondato i progetti dei concittadini e non permise che, esaltati da tanta potenza e tanto successo, tentassero nuovamente di attaccare l’Egitto (vi erano già state due spedizioni, una nel 459 e una nel 449, entrambe fallite). 21. Plutarco dice che Pericle continuò a frenare gli impulsi e troncò la smania d’azione volgendo invece le forze ateniesi a difendere e consolidare i territori conquistati. Durante la guerra sacra nel 448 gli Spartani avevano inviato un esercito nel santuario di Delfi (occupato dai Focesi) e restituito agli abitanti di Delfi il territorio sacro. Appena essi si furono allontanati Pericle inviò una spedizione e riportò nuovamente nella città i Focesi. 22. Subito dopo insorse l’Eubea contro la quale egli mosse le sue truppe (446). Subito dopo arrivò la notizia che i Megaresi erano passati al nemico e che un esercito di Peloponnesiaci, comandati dal re di Sparta Plistonatte, si trovava ai confini dell’Attica. Pericle tornò rapidamente dall’Eubea e tentò un’intesa segreta con il giovane Plestonatte, riuscendo a corromperlo. Indignati, gli Spartani, condannarono il loro re ad una forte multa di denaro e siccome egli non era in grado di pagarla lo esiliarono lontano da Sparta. 23. Quando Pericle presentò il rendiconto della sua attività di stratega segnò un’uscita di 10 talenti spesi “per necessità”: il popolo approvò senza interessarsi. Secondo il filosofo Teofrasto egli con questi talenti corrompeva Sparta: non per comprare la pace, ma il tempo con cui prepararsi in piena tranquillità per poter poi affrontare il conflitto. Subito dopo egli si rivolse contro i ribelli e cacciò da Calcide i cosiddetti “Ippoboti” letteralmente “allevatori di cavalli” (erano gli aristocratici dell’Eubea), mentre gli Estiesi li fece allontanare tutti dal paese, inviando allora posto dei coloni ateniesi. 24. Dopo questi fatti tra Atene e Sparta viene stipulata una tregua trentennale (446/445: status quo tra Atene e Sparta). Pericle fece votare dal popolo una spedizione navale contro Samo, il pretesto fu quello di non aver obbedito all’ordine loro impartito di interrompere la guerra con Mileto (444/439: Samo faceva parte della lega, ma aveva una sua flotta indipendente. Era entrata in guerra con Mileto, per il processo di Priene). Si dice però che egli avesse iniziato la guerra per compiacere Aspasia. È noto che lei fosse nativa di Mileto, si dice che avesse rapporti con gli uomini più potenti (si dice che seguisse il modello di un’antica cortigiana Ionica di nome Targhelia). Aspasia si dice conquistò l’amore di Pericle per una sua certa saggezza ed acutezza politica. Lo stesso Socrate la frequentava talvolta, insieme ai suoi discepoli; i più intimi conducevano da lei anche le mogli. Sebbene non avesse una professione decorosa, in quanto educava nella sua casa delle giovani cortigiane. (Eschine afferma che addirittura il mercante di pecore, Lisicle, uomo di umile estrazione divenne il primo cittadino di Atene per il solo fatto di essersi unito ad Aspasia, dopo la morte di Pericle). Nel Menesseno di Platone si dice esplicitamente che quella “donnetta amava intrattenersi a discutere di retorica con molti Ateniesi”. Pericle era sposato e aveva due figli Santippo e Paralo, non soddisfatto del matrimonio consentì che la donna si unisse ad un altro uomo a lei gradito e lui prese con sé Aspasia, che amò appassionatamente. Si dice che ogni giorno, quando usciva di casa per andare all’agorà e quando rientrava la salutava sempre con un bacio. Cratino la definisce come una “concubina con lo sguardo di cagna”. Pare che Pericle abbia avuto da lei un figlio illegittimo. 25. Della guerra contro i Sami si incolpa soprattutto Pericle, che l’avrebbe decisa per compiacere i Milesi su preghiera di Aspasia. I Sami stavano per vincere quando gli Ateniesi ordinano loro di cessare le ostilità, ma i Sami non obbedirono. Pericle allora si mosse con una flotta e abbatté il regime oligarchico vigente nell’isola, 12 pendendo come ostaggi 50 cittadini dei cittadini più abbienti, che spedì a Lemno. Eppure si racconta che ciascuno di questi ostaggi avrebbe dato un talento per la propria libertà, anche il Satrapo persiano Pissutne legato da una certa amicizia alla città avrebbe dato del denaro, intercedendo per la città, ma Pericle non accettò nessuna di queste offerte. Mise in atto quanto aveva già deciso per i Sami (regime democratico) e tornò ad Atene. Tuttavia i Sami insorsero, sostenuti anche da Pissutne, Pericle allora si mosse nuovamente contro di loro e riportò una grande battaglia navale (nei pressi dell’isoletta che chiamano Tragia). 26. Dopo aver vinto, Pericle, si impadronì del porto e assediò i Sami, che trovarono ancora la forza di combattere, ma quando da Atene giunse un’altra flotta più numerosa Pericle si portò in mare aperto con l’intenzione di affrontare una flotta fenicia che stava giungendo in aiuto dei Sami (si dice). Secondo Stesimbroto (discepolo di Parmenide di Elea) invece diretto a Cipro, il che non sembra molto credibile. Qualunque fosse il suo piano egli fallì, Melisso, generale dei Sami, persuase i concittadini ad affrontare gli Ateniesi rimasti a Samo, e i Sami ne uscirono vincitori. Fatti prigionieri molti nemici per ricambiare l’offesa subita, impressero sulla fronte dei prigionieri ateniesi una civetta giacché gli Ateniesi avevano bollato i prigionieri di Samo con una “samena” (nave con la prua a muso di porco, e la chiglia larga, adatta a portare carichi e allo stesso tempo a navigare veloce...così chiamata perché apparve la prima volta a Samo). 27. Pericle informato della sconfitta del suo esercito accorse rapidamente in aiuto, vinse e mise in fuga Melisso. Dopodiché pose in assedio le mura della città...poiché non era facile trattenere gli Ateniesi, malcontenti e impazienti di combattere, Pericle divise l’esercito in 8 gruppi e procedette per sorteggio: al gruppo che estraeva la fava bianca era concesso di starsene a riposo a banchettare, mentre gli altri avrebbero combattuto (si dice che derivi da qui l’abitudine di chiamare “bianca” la giornata che si trascorre in piacevoli divertimenti). Eforo racconta che in quell’assedio Pericle impiegò macchine meravigliose per la loro novità. 28. Dopo 8 mesi di assedio i Sami finalmente si arresero, Pericle abbattè le mura della città, prese possesso delle navi e punì la cittadina con forti ammende (una parte delle quali fu subito pagata dai vinti, i quali consegnarono anche degli ostaggi). A questi fatti Duride di Samo (scolaro di Teofrasto, storico e uomo politico) aggiunge alcuni particolari drammatici, denunciando la grande crudeltà degli Ateniesi e di Pericle, cosa di cui né Tucidide, né Aristotele fanno parola. È probabile che egli non dica il vero quando asserisce che Pericle fece condurre trierarchi e marinai di Samo sulla piazza di Mileto e dopo averli tenuti legati per 10 giorni alla gogna...ordinò poi di farli uccidere a colpi di bastoni sulla testa e fece poi gettare i cadaveri senza dar loro sepoltura. Qua Plutarco dice che Duride non ha l’abitudine di rimanere “entro i limini della verità”, a maggior ragione egli sembra accentuare le sventure della patria al fine di calunniare gli Ateniesi. Quanto a Pericle, tornò ad Atene e celebrò solenni onoranze funebri per i cittadini caduti in guerra pronunciando (com’è costume) un discorso sulle loro tombe, suscitando grande ammirazione. Sceso dalla tribuna, si dice, che Elpinice gli si avvicinò accusandolo di aver fatto morire tanti concittadini per una guerra, non contro i Fenici o contro i Medi, come aveva fatto suo fratello Cimone, ma sconfiggendo una città confederata (per di più della stessa stirpe). Ione sostiene che Pericle era estremamente superbo ed orgoglioso per aver sconfitto i Sami: diceva che mentre Agamennone aveva impiegato 10 anni per espugnare una città barbara (si riferisce a Troia) a lui erano bastati 9 mesi per battere i più potenti fra gli Ioni. In realtà questa alta considerazione di sé non era ingiustificata poiché la guerra era stata effettivamente molto dura. Dopo questi avvenimenti Pericle persuase il suo popolo a spedire aiuti ai cittadini di Corcira, in guerra con i Corinzi, e a stringere amicizia con essa che disponeva di cospicue forze navali (anno 433, una delle cause “appratenti”). Quando l’assemblea popolare votò per gli aiuti egli inviò il figlio di Cimone, Lacedemonio, gli assegnò solo navi 10, mandandolo contro la sua volontà, sperando che egli fosse accusato di filolaconesmo, come il padre. Difatti egli riscosse molte critiche per aver recato scarso aiuto a gente che lo aveva chiesto. Pericle allora mandò a Corcira altre navi, che giunsero quando la battaglia era ormai finita. A Sparta si lamentarono oltre ai Corinzi, anche i Megaresi, che si lamentarono di essere stati esclusi da tutti i mercati e da tutti i porti controllati da Atene (e ciò andava contro la pace trentennale). Anche gli Egineti, sentendosi danneggiati, si lamentarono a Sparta, ma in segreto, non osando denunciare apertamente gli Ateniesi. Anche Potidea, città soggetta ad Atene, ma colonia dei Corinzi, si ribellò e per questo fu cinta d’assedio: il che contribuì notevolmente ad accelerate lo scoppio della guerra. Vennero tuttavia inviate delle ambascerie ad Atene dal re di Sparta Archidamo che cercava di placare le controversie dei confederati. Dunque non ci
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