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Vita di Vittorio Alfieri, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

Riassunto dell'autobiografia di Vittorio Alfieri

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2018/2019

In vendita dal 29/01/2019

Maurizio.R
Maurizio.R 🇮🇹

4.6

(44)

16 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Vita di Vittorio Alfieri e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Vita (Vittorio Alfieri: n. Asti 1749 - † Firenze nel 1803) La Vita dell’Alfieri è una delle innumerevoli autobiografie del secolo dei lumi. È la prima in lingua italiana moderna. L’Alfieri senza rinegare il privilegio della sua alta posizione sociale, decide di vivere secondo altri schemi. Ricco di beni e di risorse, intraprende il grand tour; consuetudine che all’epoca era appannaggio di ricchi giovani dell’aristocrazia europea, e consisteva nel viaggiare per l’Europa allo scopo di perfezionare il sapere e le lingue. Fu una particolare coincidenza per lui trovarsi a Parigi il 14 luglio del 1789, durante la presa della Bastiglia. Pur desiderando la totale libertà di espressione, prende comunque le distanze dalla violenza dei rivoluzionari francesi che, dopo il crollo dell’aristocrazia, decapitano quelli della sua classe sociale, perciò è costretto a fuggire da Parigi, quasi a seguito di un presentimento. L’Alfieri autobiografo non è un uomo che celebra di se stesso, il suo motivo è molto più onorevole: è quello di raccontare gli usi e costumi del periodo in cui è vissuto, e quindi quello che meglio conosciuto. Con questo libro quindi intende allargare l’attenzione su l’uomo in generale, e il modo migliore per farlo è raccontare di se stessi. Ogni istante dell’esistenza ha un preciso significato, perfino l’infanzia, che nei racconti classici viene messa da parte. Alfieri ha una memoria ferratissima, riguardo all’infanzia ricorda dettagli minuti con estrema chiarezza. I primissimi anni della sua vita sono definiti come una “stupida vegetazione”, un’età verde piena di rigoglio ma anche d’immaturità. È un’infanzia nella quale emergono le esperienze sensoriali: il gusto dei confetti regalati dallo zio, la forma bizzarra dei suoi stivali, a punta quadrata. Perciò il passato si riattiva attraverso reminiscenze, che sono i mattoni per la costruzione di un ricordo, e pertanto sono l’elemento fondante di una vita. L’uomo di oggi affonda le sue radici nel bambino di ieri. Vita è scritta a Parigi, la prima stesura termina nel maggio del 1790. Nel 1792 la seconda stesura. Pubblicata dall’amico Abate di Caluso 1806. L’Alfieri è polemico nei confronti della società contemporanea; è conservatore, dà particolare attenzione ai classici. In quanto scrittore è sostanzialmente un tragediografo. Vita, è testo che scrive a 41 anni, un’età un po’ insolita per fare memoria. Altri autori si dedicano molto più tardi a quest’opera: Giannone tra i 60 e 64 anni, Goldoni quasi a 80 anni, Gozzi a 60; per non parlare di Casanova, Goethe, Da Ponte, Rousseau, Cellini. Il motivo dell’autobiografia è da ricondurre, probabilmente, o a una crisi esistenziale dopo le false attese della presa della Bastiglia, o a una sua personale disposizione vista la salute piuttosto cagionevole. Perciò Alfieri, dopo il periodo delle tragedie, degli scritti teorici, in particolare del diario tenuto tra il 1774 e 1777, scrive questa autobiografia. Il motivo, come egli stesso dice, è per informare i suoi lettori e spettatori, che dopo aver assistito alle sue opere teatrali, potrebbero essere incuriositi dalla sua vita. Il libro, dunque, è una storia interiore, quella di un solo personaggio, il conte Vittorio Alfieri, che si ascolta mentre parla severamente di sé; a tratti emergono anche elementi e ricordi più dolci, leggeri, ma sostanzialmente è un ricordo segnato dal rammarico per il tempo perduto a non studiare. Scrittore estremamente prolifico: 21 tragedie (19 in vita + 2 postume); 17 satire; 6 commedie; prose politiche; rime; traduzioni di classici greci e latini. Introduzione: Fin dalle prime righe è palese come Alfieri scriva per amor proprio: l’amore per se stessi unisce una cognizione ragionata dei propri mezzi con un illuminato trasporto per il vero e per il bello. Si ripromette di dire il vero! Suddivide la sua vita in cinque epoche: puerizia, adolescenza, giovinezza, virilità, vecchiaia. Ma, di fatto, riuscirà a scriverne solo quattro. Epoca I – Puerizia 17 gennaio 1749 da "nobili", "agiati", "onesti" parenti. La “nobiltà”, egli dichiara, gli offre la possibilità di descriverla anche nelle sue contraddizioni, conoscendola dall’interno. L’essere “agiato” lo rende libero e puro, cioè orientato sempre verso la verità. Essere di famiglia “onesta” fa sì che non si deve mai vergognare di nulla. 1752 il ricordo dello zio per i suoi confetti e per le scarpe a punta quadrata. 1753 1754 dolorosa separazione dalla sorella maggiore Giulia mandata in convento. 1754 1755 Iniziano le prime pulsioni affettive che, seppur diverse per intensità e fini, sono le stesse che accompagnano lo sviluppo di un uomo, dalla tenera età fino alla vecchiaia. Avverte una sorta di effetto profondo per il suo primo precettore. In seguito, il distacco dalla sorella Giulia, già prima doloroso, va acquietandosi, e proietta sui giovani novizi dei Frati, la sua pulsione; che però intende vedere come padri: amore e rispetto per i chierici, ma anche bisogno inconscio di una figura paterna, mancata troppo precocemente. 1756 tenta per la prima volta il suicidio senza neanche sapere che cos’è, mangiando l’erba del giardino. Costretto poi a confessare alla madre l’accaduto, come castigo, è costretto ad andare a Messa con la reticella da notte in testa. C’è l’episodio del furto del ventaglio alla nonna, alla quale però non ha il coraggio di chiedere alcun regalo. 1757 episodio della sua difficoltà nella prima Confessione con il padre carmelitano a lui sconosciuto, e la penitenza sacramentale, nel chiedere perdono pubblicamente alla madre, attraverso la prosternazione. Il fratello maggiore che si formava dai Gesuiti torna temporaneamente a casa, ad Asti. Al piccolo Alfieri, saperlo più avanti di lui negli studi e nell’esperienza di vita, provoca per la prima volta il sentimento dell’invidia, sebbene mitigata dalla felicità di avere finalmente un compagno di giochi. Questi, talvolta, abbastanza pericolosi, dal momento che si ferisce al sopracciglio sinistro, facendo il passo del soldato Prussiano. 1766 finisce la sua formazione all’Accademia e inizia la sua carriera militare come portainsegna nel Reggimento provinciale di Asti. L’incarico militare e la disciplina gli vanno davvero stretti. Con un raggiro riesce così a farsi mandare a Roma e a Napoli per un anno. Conclude, rivolgendosi al lettore, che questi suoi 8 anni all’Accademia sono stati tutti all’insegna dell’infermità corporea e dell’ignoranza intellettuale. Epoca III – Giovinezza 4 ottobre 1766 Inizia la sua avventura di viaggio con un nuovo cameriere e tutore Francesco Elia che lo accompagnerà in tutta la sua giovinezza. Ricorda con rammarico la sua ignoranza soprattutto della lingua italiana, parlando sia con i compagni sia con altre persone solo ed esclusivamente in francese. È amareggiato anche dalla visita nelle maggiori città italiane, come Bologna e Firenze. La sua quasi totale incapacità a riconoscere l’arte lo rende apatico al bello; solo la tomba di Michelangelo in Santa Croce riesce a farlo riflettere sulla grandezza di quell’uomo. Tra gli episodi che ricorda con più vergogna nel periodo fiorentino, c’è quello di non aver voluto addentrarsi nell’idioma toscano, ma anzi, di essersi messo imparare l’inglese. Questa sua ostinazione all’apprendimento dell’italiano è forse dovuta all’aver vissuto a contatto con inglesi e ad avere magnificato a loro potenza e ricchezza; in ogni caso, Alfieri vedeva un’Italia morta e gli italiani divisi e deboli, avviliti e servi. A Siena ode con stupore, anche dalle più semplici persone, un italiano meraviglioso, e finisce col dire che per lui era necessario uscire dall’Italia per conoscere e apprezzare li lingua e il paese. 1767 A Roma, da solo, senza compagnie e senza tutore. Incontra Papa Clemente XIII. Programma un viaggio in Olanda, Inghilterra e Francia, e riceve dall’amministratore dell’eredità paterna solo una cifra di 1200 Zecchini d’Oro, che dovrà gestire con grande oculatezza. Per la prima volta prova – come dice lui – un doloroso eccesso di sordida avarizia, prontamente vinta dal suo carattere giovanile e irrequieto. Si muove alla volta di Venezia, fino a tutto giugno. Meravigliato dalla bellezza della città, cade però, come suo solito, nella noia, nel vuoto dell’indolenza. Ritorna a Genova col desiderio di partire per Parigi, nonostante un innamoramento temporaneo. Alla volta di Tolone e poi a Marsiglia, per circa un mese. Arrivo alla tanto sognata Parigi intorno a metà di agosto, ma la prima impressione del sobborgo di San Germano fu tremenda; forse per la pioggia, forse per le strade fangose. Entrare a corte di Versailles e chiede di essere presentato a Luigi XV che non lo degna neanche di uno sguardo. Rimane a Parigi fino alla fine di dicembre, poi si propone di partire per Londra. Giunto oltremanica, imparò ad apprezzare e a ben conoscere Napoli, Roma, Venezia e Firenze. 1768 (19 anni) Londra e l’Inghilterra sono definite bei posti per il loro governo capace di distribuire equamente le sostanze. In Olanda incontra il primo vero amore e una vera amicizia, l’ambasciatore del Portogallo in Olanda. La partenza dell’amata per raggiungere suo marito in Svizzera lo sconvolge al punto di tentare il suicidio, scoperto dall’amico e prontamente impedito. Rientra in Italia nella villa della sua sorella a Cumiana. Il suo primo viaggio è durato poco più di 2 anni. Passando da Ginevra (per fare ritorno dall’Olanda in Italia) compra un baule intero di libri: Rousseau, Montesquieu, Helvetius, i principali esponenti della nuova cultura progressiva. La nuova esperienza della lettura lo aiuta a tenere la mente occupata per non pensare all’amore ormai sfumato. 1769 (20 anni) Continua a leggere libri in francese. Le vite parallele di Plutarco lo colpiscono profondamente, come anche altri classici. C’era una mezza idea di combinarsi in matrimonio con una ragazza ricca e facoltosa, ma la sua cattiva fama di girovago e di perditempo glielo impedirono, con una certa vergogna. Saltato il matrimonio, vanno a picco anche tutte le possibilità ambasciatorie, tipiche del suo ruolo e al suo rango. A 20 anni esce dalla potestà del curatore dei beni di famiglia e ottiene così una completa autonomia finanziaria. Nel maggio del 1769 parte per Vienna poi la volta della Danimarca. 1770 (21 anni) a marzo va in Svezia e poi in Finlandia, e infine a Pietroburgo (i russi definiti barbari mascherati da europei). Va notato che il suo disprezzo per i regnanti nasce dall’odio non verso l’aristocrazia in sé ma verso la tirannide di questi. 1771 (22 anni) ritorna a Londra. S’innamora di Penelope Pitt. Il marito di questa si accorge della relazione tra i due, e lo sfida a duello di spada. Alfieri con un braccio già slogato per via di una precedente caduta da cavallo, si batte con il marito della donna che gli risparmia la vita. Questo non gli impedisce di continuare a vedere la sua amata, ma poi scopre che ella aveva già da tre anni una relazione nascosta con lo stalliere. La lascia dopo un turbolento tira e molla. Sconvolto, lascia l’Inghilterra e parte per l’Olanda, poi alla volta della Spagna e del Portogallo. Il carattere irascibile e imprevedibile lo porta, senza ragione apparente, a infierire verso il suo fidato servo Elia, scagliandogli sulla tempia un candelabro; per una banalissima tirata di capelli con il pettine prima di coricarsi. 1772 Lisbona, conoscenza dell’Abate Tommaso di Caluso. Alfieri si può permettere di non vendere i cavalli, ma di regalarli. Il 5 maggio rientra a Torino torna un po’ malconcio, alla fine di un viaggio, il secondo, durato tre anni. 1774 Nuovo amore: Gabriella Falletti anch’essa sposata. Di quest’anno abbiamo il primo componimento in versi. Parte per sei settimane a Milano, ma non resiste senza vedere l’amata. 1775 la crisi nervosa si tramuta in ricerca di solitudine, sebbene fittizia, giacché, il suo appartamento è dirimpetto a quello della donna. Gli si riaccende la vena poetica scrivendo un sonetto di 14 rime che invia al padre Paciaudi. Questi lo apprezza dandogli così lo spirito giusto per continuare a scrivere. Inizia la bozza di Cleopatra, lasciata incompiuta, e riposta sotto a un cuscino di una sedia, in casa di Gabriella. Non ricusa i consigli e le correzioni di chi l’italiano lo conosce meglio di lui. Dopo aver abbozzato la tragedia, aggiunge un abbozzo del componimento in prosa I Poeti; in questo si firma con lo pseudonimo di Zeusippo. A fine capitolo Alfieri conclude con un commento sui tragediografi del periodo, ben più noti è più capaci di lui: «Le tragedie di costoro erano state il parto maturo di una incapacità erudita, la mia un parto affrettato di una ignoranza capace». Con la prima rappresentazione teatrale della Cleopatra termina l’epoca della giovinezza. Epoca IV – Virilità (dura 30 anni) 1775 (27 anni) inizia la stesura delle tragedie, il Filippo il Polinice, che aveva già abbozzato in francese. Padre Paciaudi e il conte Agostino Tana sono considerati punti di riferimento da Vittorio Alfieri, per i loro consigli e per il loro giudizio sulle sue opere; li definisce santi protettori, nella loro opera di epurazione dalle contaminazioni francesi. Paciaudi gli consiglia la lettura della prosa, definendola la nutrice del verso poetico. 1776 deve riprendere in mano gli studi del latino abbandonati da ragazzo, e nell’aprile ritorna in Toscana, risoluto nell’impresa di imparare l’idioma del luogo. È la volta anche dell’Antigone che gli nasce dalla lettura del XII libro di Statio Polibio, poeta romano del I secolo a.C. Fa voto di non leggere mai più le tragedie di altri prima di aver fatto le sue, per non incorrere nel pericolo di rubare: «Chi molto legge prima di comporre, perde l’originalità, se l’aveva». Grazie alla lettura di Seneca, gli nascono dalla penna altre due composizioni: l’Agamennone e l’Oreste. 1777 Sostiene che nel comporre una tragedia è fondamentale l’ispirazione iniziale, il sentirla, il vederla già fatta. Parla di tre fasi che definisce i respiri nella creazione di un’opera: Ideare, Stendere, Verseggiare. Se manca l’idea iniziale è inutile proseguire perché i versi non nasceranno. A Siena butta giù la prima bozza Della Tirannide. A Firenze s’innamora della quarta è l’ultima donna della sua vita Luisa di Stalberg, già moglie dell’anziano Conte Carlo d’Albany. 1778 stende la Virginia, tenta una spiemontizzazione, non tanto della lingua, ormai quasi totalmente acquisita, ma dell’appartenenza civile e militare al sovrano sabaudo, (in quell’anno lo scettro passava da Luigi Vittorio a Vittorio Amedeo II). Per facilitare quest’uscita dal Piemonte, decide di lasciare tutto il suo patrimonio alla sorella Giulia, e comprare così la sua libertà di scrivere e di stampare fuori dai confini dello Stato piemontese. Lui stesso cita nel libro la legge sabauda, sull’impossibilità per i sudditi, di stampare libri e di vivere fuori dai confini del regno senza un permesso regio che andava di volta in volta rinnovato. A seguito di questa concessione si ridimensiona anche nel suo stile di vita dapprima eccessivo ad estremamente morigerato.
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