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vita di vittorio alfieri "scritta da esso" riassunto, Sintesi del corso di Storia Moderna

sintesi della vita dell'alfieri, utile per comprendere come quest'uomo, seppur vissuto nel 700 risenta e si comporti come un "romantico"

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 07/10/2022

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Scarica vita di vittorio alfieri "scritta da esso" riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Alfieri, La Vita scritta da esso 1749-1770 Inizialmente vive in compagnia di un precettore, per volere dello zio entrerà poi nell’accademia di Torino, destinata ad educare i nobili (nella biografia lascia un giudizio severe dell’accademia) dove alfieri resterà fino al 66. Poi fece il primo viaggetto a Genova, per una decina di giorni stette nella città. Lavorerà in seguito per l’esercito, ma si dimetterà nel 74. Viaggiò a lungo, ansioso di uscire dal Piemonte, in Italia –Firenze Roma Napoli bologna Venezia Padova Genova Marsiglia- e in Europa, alternando i viaggi a brevi soste nel paese di origine. I viaggi lo assorbiranno molto, ha una formazione cosmopolita. Nel 67 giunse a Parigi, e venne poi presentato a Luigi XV, poi partì per Londra e in Olanda –prima relazione- poi viaggiò a Vienna, Praga, Berlino, Copenaghen, Russia portandosi dietro dei libri. 1771 seconda vicenda amorosa con penelope pitt, moglie di un visconte, conclusa con un duello, un processo di adulterio ed il divorzio. Poi partì per l’Olanda, Francia, spagna, portogallo, e a Lisbona incontrerà l’abate Caluso, di cui diventa amico e gli fornisce spunti intellettuali. Il ritorno a Torino e conduzione di una vita libertina –appartamento in cui con gli amici si riunisce e discutono di letteratura e componimenti- 1773 muore carlo emanuele III ed è succeduto dal più tollerante vittorio amedeo III. Rompe una relazione amorosa con una marchesa, legame vissuto come soffocante, desidera liberarsi dalla vita poco produttiva condotta fin ora per occuparsi totalmente e con dedizione ad un attività: la letteratura. Periodo in cui inizia a comporre di più. 1776 parte per la toscana per imparare l italiano, ritrovare le radici linguistiche, a Pisa traduce certe opere e ne compone altre. Si stabilì poi a siena, città in cui conobbe Gori Gandinelli. Alla fine dell’anno conobbe luisa, contessa d’Albany, moglie di Edoardo Stuart pretendente al trono d’inghilterra. 1778 sceglie di rompere i cenni in cui nacque e dona alla sorella tutti i suoi beni in cambio di una pensione annua, ed essendo quindi libero di entrare e uscire dal Piemonte, senza chiedere permessi come il suo status sociale imponeva –fase di sradicamento e solitudine anni 70 80, molto preoccupato di stare vicino all’amata. Scrive, verseggia, lascia poi Firenze e si trasferisce a Napoli, poi a Roma, incontrandosi sporadicamente con luisa. Starà un periodo a Roma, in cui comporra e scriverà, finchè non si troverà costretto a lasciare la città a causa di alcune difficoltà con la contessa amata. 1883 inizia un viaggio pellegrinaggio per l’Italia, visita le tombe dei poeti, si reca poi in francia e infine in inghilterra, dove acquisterà molti cavalli. L’anno dopo torna a Siena e nell’estate riuscì a ritrovarsi con luisa in Alsazia. Anni in cui stampa, scrive, stende opere. 1789 acceso dall’entusuasmo per le prime insorgenze rivoluzionarie scrive l’ode Parigi sbastigliato, in seguito si chiuderà nel suo mondo, in cui rimarrà per il resto della sua vita, si rifugia in un mondo classico. 1791-92 viaggio con la contessa in Inghilterra in seguito lascia Parigi e si trasferisce a Firenze, dedicandosi allo studio dei classici, che non abbandonerà più. Scrive il Misogallo. 1799 durante l’occupazione francese si ritira in campagna (anni del disinganno). Morì nel 1803 e fu sepolto a Santa Croce Il primo viaggio più lungo e lontano lo fece nel 1766 in cui ebbe il primo “rapporto” con l’arte intesa nel senso stretto del termine, che non riuscì però ad apprezzare, essendo ancora negli abissi dell’ignoranza, andò poi a Napoli, ma vi stette poco e da solo tornò a Roma, dove fu introdotto al Papa Clemente XIII. Finito il viaggio in Italia, raggirando il governo di Torino, ottenne la licenza per viaggiare un altro anno, ma il curatore gli lasciò pochi denari. Bologna, Loreto, Ferrara finchè non arrivò a Venezia. Lì concluse il suo viaggio in Italia. Da Venezia passò da Padova, Vicenza, Verona, Mantova, Milano e Genova e lì decise di non voler più vedere nulla dell’Italia. Partì e andò verso Tolone, Marsiglia, Lione e poi Parigi, ma ne rimanendone piuttosto deluso, conobbe il re Luigi XV. Poi andò in Inghilterra, a Londra città che lo lasciò entusiasta. (1768) andò poi in Olanda, soggiorno gradevole, conobbe lì per la prima volta l’amore. (studi filosofici per metà anno nella casa della sorella, scoprendo Plutarco e ammirando la grandezza degli uomini del passato, inoltre, sotto le pressioni del cognato stava per prendere moglie, ma alla fine lei fu promessa ad un altro uomo e lui proseguì i suoi viaggi). Secondo viaggio: 1769 Milano, Venezia, Trento, Innsbruk, Augusta, Monaco, Vienna, Buda –Ungheria-, Vienna dove aveva la possibilità di frequentare un ritrovo di letterati/Metastasio ma lui non volle. Andò poi a Berlino e conobbe il re Federico (provando un senso di indignazione e di rabbia, lo osservò negli occhi e ringraziò di non essere un suo schiavo, in generale pare non apprezzi i tedeschi). Partì poi per Amburgo e raggiunse Copenhagen in Danimarca (gli piacque, era simile ai paesi dell’Olanda) e lì riprese contatto con la lingua italiana e il dialetto toscano, grazie ai consigli di un dotto conte, che allietò molto il suo soggiorno (Plutarco Montaigne). A fine marzo partì per la Svezia/Stokkolma e il governo svedese lo incuriosì, studio un po’ la storia della Svezia, ma in modo superficiale. Proseguimento del viaggio: Russia, Prussia, città termale nel Belgio –SPA-, Olanda, Inghilterra. Partì per San Pietroburgo e il viaggio per mare dalla Svezia fu travagliato, faceva così freddo che blocchi di ghiaccio nel mare impedivano alla nave di navigare senza intoppi e velocemente, ma si divertì molto. Sbarcò ad Abo e andò verso la S. Pietroburgo –maggio- ma non fu un soggiorno piacevole, le stagioni erano annullate e una strana luce lo confondeva, non facendogli capire ne il giorno ne l’ora ne il mese. Si era fatto molte aspettative sulla Russia, leggendo la storia di Pietro di Voltaire, e la sua fantasia aveva contribuito a disegnare la Russia come un posto magnifico, ma giunto lì fu subito disingannato, non volle conoscere nessuno del posto, neanche Caterina II, che neanche la volle vedere, odiava molto la tirannide e forse ciò contribuì a non fargli apprezzare la regina, tanto da non volerla neanche vedere, la chiama “genia soldatessa”, essa, subentrando al trono, voleva dare una giusta costituzione al popolo, ma Alfieri li trovò in una condizione di servitù, forse peggio di Berlino, e per questa ragione disprezzò quei popoli e aborrire i reggitori. non volle proseguire fino a Mosca, ma rientrò in Europa passando dalla Danzica, ciò che aveva visto gli faceva desiderare l’Inghilterra. A fine luglio entrò a Gottina e fu molto lieto di vedere un asinello, significava che era lontano dalla Russia, dato che dell’animale non poteva sopravvivere. Lasciò poi Francoforte poi Magonza e passò il Reno scendendo lungo il fiume, tornò a SPA e stette li fino ad agosto. Comperò due cavalli da un irlandese e passava il tempo cavalcando, quando il tempo si guastò volle tornare in Olanda a ritrovare l’amico –l’amata partì col marito a Parigi-. Andò con Elia verso Liegi e conobbe il principe di Liegi, proseguì poi verso Bruxelles, Anversa, Rotterdam fino all’ Haja, smanioso di vedere l’Inghilterra. Arrivò finalmente a Londra e li ebbe il secondo intoppo amoroso (con la donna sposata che tradì anche lui andando con lo stalliere). Passato un po’ di tempo, quando si riprese da mal d’amore, partì, a fine giugno, passando dall’Olanda (Haja) e stette un po’ lì con un amico, che lo consolava. Sentiva però crescere la malinconia e decise di partire alla volta della Spagna, si avviò per Bruxelles e delirando arrivò fino a Parigi solo, la città non lo entusiasmo, esattamente come la prima volta, stette li un mese (un italiano voleva presentarlo a Rousseau ma Alfieri lo trovava superbo e bisbetico, perciò non volle conoscerlo). A Parigi comprò una raccolta dei principali poeti e prosatori italiani in 36 piccoli volumi (Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Boccaccio, Machiavelli QUESTO è IL SECONDO RAPPORTO CHE HA CON LA LETTERATURA) e quegli scrittori lo accompagnarono fino in Spagna. Grazie a ciò scacciò l’ozio e la noia. Passò da Orleans, Tours, Poitiers, Bordeaux e Touluse, Barcellona fu la prima città che visitò, proseguì poi il viaggio piangendo e consolandosi leggendo Montaigne. I cavalli li aveva venduti tranne uno, rimasto a Londra. Perciò a Barcellona comprò altri due cavalli uno andaluso e uno cordovese. Lo sollevarono molto dalle sue afflizioni. A causa di un malessere stette a Barcellona fino a novembre e lesse un po’ si spagnolo es. don Chichotte . poi andò a Madrid cavallo riflettendo molto sui suoi stati d’animo dato che non poteva esprimerli con le parole/poesia. Arrivò fino a Madrid e conobbe un orologiaio (era così irrequieto che in questo soggiornò reagì malamente a quando, per sbaglio, il suo amico e servitore Elia gli tirò una cicco di capelli, i due però non vennero alle mani e Alfieri si fidò del suo amico e si vergognò per la sua reazione esagerata). Vivendo in ozio e solitudine terminò il suo soggiorno a Madrid, dove vide poche attrazioni, andò poi a Toledo e arrivò a Lisbona alla vigilia di natale. La città gli piacque molto, “un aspetto teatrale e magnifico” -1772- stette li per 5 settimane e conobbe l’abate Tommaso, che lo introdusse ad alcune poesie e gli fece apprezzare la letteratura (una sera ascoltando l’amico provò un senso di rapimento). A Lisbona si trattenne di più per via dell’abate, e si tenne ben in guardia dalle belle donne della città, avendo cara la salute dall’anima. Andò a Siviglia e a Cadice dove terminò il carnevale. Da Cadice tornò a Torino senza fare nemmeno una sosta (vide Cordova e Valenza, di quest’ultima apprezzò l’atmosfera e il paese in sé. Un cavallo lo regalò a delle donzelle l’altro lo diede ad un banchiere in cambio di ricevere delle cambiali per passare comodamente il confine (anche se il banchiere lo fregò e si prese una percentuale del suo denaro), poi Narbona, Montpellier, Provenza, Genova, Torino. Dopo essere rimpatriato incappò in un terzo amore –primi tentativi di poesia- Dopo ciò andò in Italia per fare un viaggio che gli permettesse di avere un contatto più stretto con la letteratura italiana e la lingua, stette per un periodo a Pisa dove conobbe il Gori e poi andò a Firenze. Li conobbe la contessa, ma quando si dovette separare da lei si spostò, prima viaggiò un po’ in Italia, poi tornò a Londra passando da Parigi. Epoca IV virilità: 1775 si mise d’impegno nello studiare, partendo dalle basi della grammatica italiana, come gli aveva consigliato i suoi dotti amici, scrisse altre due tragedie e cercò di allontanarsi da tutte le distrazioni e dall’uso della lingua francese (evitava persone francesi, si rifugia in un piccolo borgo nelle montagne, dove passò l’estate con due abati, imparò a suonare la chitarra e studiò tutti i poeti italiani più famosi, Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto ecc. 1776 impegnato negli studi italiani, decise di imparare il latino, ciò gli avrebbe permesso di leggere i grandi autori latini, e in questi studi si fece seguire da un esperto in letteratura latina. Tradusse le Odi di Orazio, studio molto impegnativo e nel frattempo postillava i grandi autori italiani Dante e Petrarca, verseggiava le tragedie. Decise poi, per migliorare la conoscenza dell’italiano di andare per un periodo in Toscana. Partì nel 76 per la Toscana. Nel viaggio conobbe dei letterati e degli stampatori famosi es. Bodoni. Si ridestò dal letargo imparando e rispolverando vecchie conoscenze. Si servì di un diario scrivendo prima in francese, poi in italiano, per appuntare pensieri/simili giornalieri. Sicuramente, il fatto di essere nato in una “città anfibia” gli recò non poche difficoltà con la lingua, dovette disfarsi del dialetto piemontese e del francese per dedicarsi esclusivamente all’italiano. Arrivò poi a Pisa dova conobbe professori ed intellettuali, da cui chiese consiglio per le tragedie. Nel periodo in cui stette a Pisa ideò altre tragedie e in molti le lodarono, anche se lui non si lasciava trasportare troppo dalle lodi e gli pareva di poter sempre migliorarla, rifinirle, limarle. Tradusse testi di Orazio, Seneca. Oramai era passato un anno dalla prima recita di Cleopatra e aveva scritto altre tragedie e acquisito una conoscenza della lingua migliore. Dopo Pisa andò a Firenze e conversava con i fiorentini, cercando di migliorare la lingua (una delle più grandi difficoltà per lui). Lì verseggio le tragedie e lesse gli “ottimi” sperando che così avrebbe tratto ispirazione involontariamente. Tornò poi a Torino e li la passione per i cavalli prese il sopravvento sulla passione per la letteratura, contrastando le muse. Si divertì ed oziò. L’abate di Caluso venne a trovarlo e gli consigliò di riprendere a scrivere e riacquisi li lume. Scrisse un sonetto dedicato al ratto di Ganimede, e uno su Prosperina. Nel 77 fece progressi nelle rime, continuò a verseggiare le tragedie e ne lesse alcune a dei letterati, e si rese conto che gli mancava uno stile, mentre il resto c’era. Sapeva che ciò era a causa della sua permanenza a Torino, dove si distraeva troppo, decise allora di tornare in Toscana. Secondo viaggio letterario in Toscana. Chiese il permesso del re, e decise che questa volta sarebbe stato di più in Toscana. Si avviò alla volta di Genova e arrivò a Lerici, ma a causa del vento sbarcò a Rapallo. Fu costretto a stare li qualche giorno e lesse Tito Livio, una forte ispirazione lo travolse e scrisse di getto una tragedia (ideò, più tardi la stese, poi la verseggiò e infine la rilesse limandola, procedimento valido per tutte le tragedie). Arrivato a Lerici si imbarcò per Pisa, e soggiornò poi a Siena (l’anno prima si era invaghito di una signorina, che se avesse voluto gli sarebbe stata concessa in moglie, ma l’ impegno nello studio lo voleva libero). Arrivò a Siena e conobbe Gori Gandellini, suo carissimo amico, gli diede consigli sinceri e ottimi riguardo ai suoi scritti, la conoscenza con quest’uomo ridiede ad Alfieri ispirazione e elasticità di mente, creò opere degne di lui. Ideò la congiura dei Pazzi, e la lesse nel Machiavelli, scrittore che conobbe solo grazie al Gori e dal Machiavelli si ispirò per scrivere due libri sulla TIRANNIDE, avvampando ad ogni pagina scritta. Si sentì poi interessato alle opere teatrali e ne stese alcune (a Torino vide, ma non lesse Voltaire, la Tragedia di Oreste e si decise a scrivere anche lui una tragedia con questo soggetto, quella del Voltaire però non la lesse, prima compose la sua, sotto consiglio del Gori). Il soggiorno a Siena fu molto utile al suo intelletto e quando arrivò l’inverno decise di Andare a Firenze, con l’idea poi di tornare a Torino. Ma a Firenze un fatto lo inchiodò, venne di nuovo incatenato dalle catene dell’amore. Vedeva spesso a Firenze una gentile signora, Luisa di Stolberg, moglie di un conte d’Albany. Lui si ritrasse negli studi, cercando di sfuggire all’amore, ma la bellezza della donna lo colpì ed i suoi pregi e la sua bellezza non riuscì a batterli. Nell’autunno un amico lo voleva introdurre in una casa di nobili, frequentata anche da lei (lui inizialmente non volle, temendo dell’amore che l’Inghilterra, terra un po’ più libera e diversa dalle altre. 1791 quarto viaggio in UK e Alfieri soffriva sempre di gotta. Nel giugno di quell’anno il re tentò la fuga, ma fu ripreso e ridotto prigioniero a Parigi, e loro si preoccuparono di come si mettevano le cose in Francia, anche perché molte entrate venivano da li. Dopo aver visitato un po’ le meraviglie inglesi si imbarcarono per tornare in Francia (e fu al porto che Alfieri rivide la sua vecchia fiamma, il suo terzo amore, che dopo la separazione dal marito era rimasta sola e disonorata, Alfieri gli mandò una lettera sulla nave e ricevette risposta). Passarono dall’Olanda e dal Belgio e stettero qualche settimana a Bruxelles, nel 1792 erano di nuovo a Parigi e passavano il tempo. Alfieri non volle mai entrare in contatto con quelli che portavano una falsa libertà, anzi li disprezzava, e contento del fatto che non ebbe mai rapporti con loro. Ricevette anche una lettera dalla madre, in cui le diceva che c’erano disordini anche in Piemonte. La congiura del 20 giugno fallì e la cosa si trascinò fino al 10 agosto. Dopo quell’avvenimento lui e la compagna si prepararono a partire, procurandosi i passaporti, fortunatamente Alfieri volle anticipare la partenza di due giorni, anche se ebbe comunque dei problemi alla dogana, la plebe, vedendo la carrozza, pensò che fossero nobili che volevano fuggire con tutti i loro tesori e lasciare la Francia nella miseria. Fortunatamente riuscirono a passare, grazie ad una guardia. Valicarono le alpi e raggiunsero l’Italia, lì Alfieri riprese i suoi studi e da Firenze non si mosse più. Piano piano si rimise sotto con lo studio, finì le traduzioni, ricominciò a scrivere e a Firenze passò un bel periodo di tranquillità, iniziò persino a recitare. La curiosità e la vergogna lo spinsero poi a leggere un grande classico greco: Omero e nel 96 i francesi invasero l’Italia, ciò rabbuiò l’intelletto di Alfieri, che vedeva sull’Italia miseria e servitù, ma si ostinò allo studio. Nel 78 iniziò, senza parlarne con altri, gli studi del greco, venne a trovarlo l’abate Caluso, che gli scrisse l’alfabeto greco, ma inizialmente per lui fu difficile imparare quella lingua, si esercitò a lungo per vedere progressi e solo dopo un anno riusciva a leggere per bene. Imparò i classici greci e scrisse altre opere traendo ispirazione dai nuovi saperi acquisiti, che l’abate lodò molto. La Lombardia era oramai invasa dai francesi 1796, e il Piemonte vacillava –trattato di Campoformio- anche Roma era a rischio e ricevette persino una lettera da un ambasciatore francese, che aveva piacere di conoscerlo, ma Alfieri declinò l’invito se si trattava di mera curiosità, se fosse stato obbligato sarebbe andato, ma così non era non lo conobbe. Alfieri aveva molto cara la sua indipendenza privata, e dopo aver detto ciò chiuse i rapporti con l’ambasciatore. Nel 1799 la Toscana si trovava sempre in maggior pericolo, già era stata conquistata Lucca, Firenze era minacciata, Roma occupata? –Misogallo opera importante che tratta il tema della libertà- decise quindi di scrivere nuovamente la vita, limando ciò che non andava e aggiustandola qua e là. Continuò a scrivere e a tradurre opere in greco, si diede degli impegni giornalieri relativi ai diversi studi da lui intrapresi. Sistemò i libri in una cassa e li mandò in una villa fuori Firenze, e poco prima che i francesi entrassero a Firenze lui e la sua donna se ne andarono fuori dalla porta San Gallo. Era comunque oppresso dalla tirannide, ma trovò rifugio in una villa a Montughi, li stette con l’amata e i suoi libri, e temeva che un giorno o l’altro li avrebbero catturati. Intanto a Firenze si proclamava la stessa libertà che proclamarono a Parigi prima, ma non durò molto, gli austriaci cacciarono prontamente i francesi da Firenze (gli giunse anche una lettera dal nipote, che era al servizio dei francesi e gli rispose che secondo lui sbagliava a servire gli oppressori dell’Italia, il re scappò in Sardegna prima dell’invasine e Alfieri provò compassione nel vedere il re così, che gli venne quasi voglia di servirlo, ma era tardi ormai). Scoprì poi che alcune sue opere erano state stampate da stampatori disattenti che avevano mutato le cose rispetto a come lui le voleva, questo lo addolorò e pubblicò sulle gazzette d’Italia un avviso in cui diceva che i beni gli erano stati confiscati e che quelle non erano le originali opere sue, a Parigi stavano pubblicando prose e versi sotto il suo nome. Lui desiderava avere le 6 balle delle edizioni non pubblicate, impedendone la circolazione. Non sapeva dove fossero finite, erano tutte in una cassa con scritto tragedie italiane. 1800 Battaglia di Marengo, l’Italia respira dalla morsa francese. Alfieri continuò a lavorare a degli scritti e nell’ottobre i francesi invasero di nuovo la Toscana, non ebbe il tempo di rifugiarsi nella villa e stette a Firenze rassegnandosi a quello che sarebbe potuto succedere, si chiuse in casa e mai volle vedere il Generale comandante di Firenze, sempre se non gli fosse stato imposto l’obbligo. Scrisse delle commedie, in un triste momento di schiavitù, ma lo spirito gli si riaccese e creò ben 6 commedie, di diverso genere. Nell’anno successivo si raggiunse finalmente la pace, che durò ma tenne tutta l’Europa in armi, in timore, in schiavitù. Continuò a lavorare alle commedie ma un nuovo attacco di gotta lo tenne a letto, si riebbe e finì di stenderle. Ebbe poi la notizia della morte del nipote, e si dispiacque molto, anche perché i beni che aveva donato alla sorella andavano non al nipote, ma ai mariti acquisiti delle altre nipoti. Una pessima pace tranquillizzò brevemente l’Europa e la fine del dispotismo francese. Lui e la sua donna vissero in modo discreto, e questo li fece arricchire un po’ e grazie ad un nipote in Francia cercò di riavere tutto ciò che li aveva lasciato. Nel 1802 rilavorò alle commedie e nell’agosto ebbe un nuovo attacco di gotta, proprio quando l’abate Caluso andò a fargli visita e anche se non poteva muoversi e parlare gli fece leggere le commedie. A ottobre guarì e finalmente terminò le commedie. 1803 FINE DELLA VIRILITÀ INIZIO DELLA VECCHIAIA: continuò gli studi e limò le opere già scritte, non stampò, data la fatiche che quest’attività comportava, ma lasciò dei bei manoscritti, inventò una collana, quasi come fosse una sorta di premio per lui stesso, di 23 poeti antichi e moderni, da cui pendeva un cammeo di Omero e dietro inciso il suo distico greco. La vita si conclude con la lettera dell’abate di Caluso, che scrive alla compagna quando ormai Alfieri non c’è più, in cui lascia un commento positivo sulla vita, dicendole di non farla leggere a nessuno se non ai veri amici e che era dispiaciuto della sua morte. Ad Alfieri venne un altro attacco di gotta, e smise di mangiare pensando che così sarebbe guarito prima, ma si indebolì ancora di più, nel frattempo persisteva nel lavorare alle commedie, finchè un giorno gli venne una febbre forte, vomito, e il medico ordinò bagni di vescicatori alle gambe, il male peggiorò e gli diedero dell’oppio, che gli fece riaffiorare i ricordi del passato e accese la sua fantasia. Prese poi dell’olio con della magnesia e la contessa lo trovò che soffocava, perdè la vista e morì. Non si erano trascurati i doveri nei confronti della religione, ma non si pensava che il male fosse così precipitoso e il confessore chiamato non arrivò in tempo. L’8 ottobre 1803 fu seppellito un Santa Croce, assieme ad altri uomini celebri. 3)I luoghi preferiti: Inghilterra l’apprezza molto, soprattutto perché vede in quella terra una terra diversa rispetto agli altri luoghi europei, è più libera, hanno un governo che gli è più congeniale, anche l’Olanda lascerà un bel ricordo in lui, poiché simile all’Inghilterra. Sarà soddisfatto anche di Copenaghen e Lisbona. 4)Gli autori preferiti: Tasso, Ariosto, Dante, Petrarca, ebbe occasione di leggerli “più da vicino” quando andò nel borgo alpino e fu aiutato da due dotti abati, uno dei quali divenne poi un caro amico e lo incoraggiò negli studi. Alfieri tanto ammirava i 4 grandi della letteratura italiana che in uno dei suoi tanti spostamenti in Italia fece persino una sorta di “pellegrinaggio letterario” andando a vedere le tombe dei suoi maestri. Inoltre apprezzò anche i classici latini es. Ovidio e i classici greci es. Omero. 5)Cosa costruisce Canova per Alfieri: come sappiamo dalla lettera che l’amico e abate di Caluso manda alla dolce metà di Alfieri, Luisa, quando quest’ultimo morì fu seppellito in Santa Croce la contessa incaricò l’artista 800esco di realizzare un mausoleo per il suo amato, da porre vicino a quello di Michelangelo. 6)L’amore per Alfieri: Già da primo viaggio si evince che Alfieri pensi che l’amore si auna catena e nel 1766 riuscì a “uscire salvo da ogni rete”. Il primo intoppo amoroso l’ebbe in Olanda, all’Haja e soffrì così tanto quando lei lo lasciò che tentò persino di dissanguarsi e perire (era una signorina sposata, ma la felicità olandese non durò a lungo, lui spesso provava forti passioni, forti emozioni che lo travolgevano, lei dovette lasciarlo perché andò nella villa della madre e poi seguire il marito, spesso in viaggio). Alfieri parla dell’amore come di “intoppo amoroso” o “rete”, evidentemente lo percepisce come un qualcosa che lo blocca, frena il suo spirito libero, incatenandolo. Grande amatore, che spesso si lascia rapire dalle donne, teme l’amore. Spesso sarà l’amore ad ispirarlo nelle sue opere. Il secondo intoppo amoroso l’ebbe a Londra, quando, ancora nella giovinezza, tornò dal viaggio in Russia. Si innamorò di una signora sposata, l’infausto morbo lo colse –rabbrividisce a raccontarlo- spesso aveva occasione di vedere quella nobil donna, inizialmente in casa di altri aristocratici, poi in escogitò un modo per andare a casa sua, dato che il marito era spesso fuori casa, una volta fu un po’ impudente, e il marito sospettava qualcosa, tanto che una sera incaricò una spia di vedere che succedeva in sua assenza (andava a trovarla anche nella villa in campagna, molto pericoloso, una volta cadde da cavallo e si ruppe il braccio, ma continuò ad andare a trovare la sua bella). Una sera Aflieri andò a vedere l’Opera e un signore lo chiamo, era il marito della donna, i due andarono a Green Park, inizialmente Alfieri negò il tradimento poi duellarono con le spade, ma senza farsi troppo male . In seguito il marito chiese il divorzio e Alfieri scoprì, perché glielo disse l’amata –temendo che lo scoprisse dalla gazzetta- che le spie del marito avevano visto un cavallo fuori dalla villa ed era sicuro che un uomo andava in casa sua, e che la spia stessa, ossia lo stalliere, era il secondo amante della donna e che il marito aveva riconosciuto Vittorio e il marito trovò i testimoni e subito andò a chiedere il divorzio legittimo –la donna aveva cercato di avvisarlo mandandogli una lettera, ma non gli fu recapitata, e all’inizio tutti lo diedero per morto- e lui, Alfieri non avrebbe voluto sposarla perché indegna a causa del rapporto con lo stalliere (la spia che rivelò i tradimenti della donna, vendicando se stesso e punire la donna e il suo rivale, ossia Alfieri). Lei quindi non si era confessata spontaneamente come credeva, ma l’aveva fatto perché la notizia era stata pubblicata sulla gazzetta. A quel punto Alfieri, sentendosi tradito la rifiutò, dicendogli che non l’avrebbe più voluta vedere, l’accompagnò in un monastero in Francia e tornò a Londra. Il marito si comportò con lui meglio di quanto avrebbe meritato, e il processo fu ratificato. Incappò nel 3 amore quando tornò dalla Spagna, aveva 23 anni, comprò casa in piazza S. Carlo e spesso si vedeva con i suoi amici li, stabilirono degli accordi tra loro formando una specie di accademia repubblicana, quando si ritrovavano leggevano e scherzavano, in quel momento Alfieri desiderava scrivere qualcosa, ma non aveva i mezzi per farlo. Era libero in questo periodo e aveva molti cavalli, tutte queste distrazioni non gli permettevano però di scrivere e vegetava finchè incappò in un amore, e quando ne uscì aveva molta voglia di sapere e di fare, che d’allora in poi non lo abbandonò più. Quest’ebrezza d’amore duro a lungo, era la donna che abitava di fronte a lui che provava un forte sentimento e lui ricambiò. Stettero insieme un anno e mezzo, lui si ammalò persino d’amore, e quando risanò si rese conto del dolore/vergogna che gli faceva provare quell’amore e voleva troncare il rapporto. Nel 1774 la donna si ammalò e lui, mentre stava con lei, dato che si annoiava molto, decise di scrivere un testo teatrale su Cleopatra e Plotino. Quando lei guarì lui sfrutto l’occasione di un litigio era deciso a fare un viaggio di un anno per allontanarsi dalla donna anche se non ci riuscì, e dopo qualche ora che si era allontanato, pieno di vergogna tornò a Torino. Fu solo nel 75 che riuscì a liberarsi di lei. Una sera, stufo di essere stato all’opera con la donna era deciso a voler rompere i legami per sempre. Decise di non uscire più di casa e di non cedere a nulla, era naufrago d’amore e non sapeva come uscire, così passò i giorni chiuso in casa, talvolta persino legato alla sedia, passarono 2 mesi, e aveva scritto un piccolo sonetto, il suo 1, che lo inviò a un dotto padre, il quale lo consigliò e lo corresse. Gli tornò in mente il componimento di Cleopatra, che si trovava a casa della donna, decise di scriverne uno con gli stessi personaggi ma più curato. Desiderava molto imparare e la casa si stava trasformando in un accademia di letterati, la sera si ritrovavano e discutevano. Dopo mesi di consulti poetici mise insieme gli atti scritti fin ora e compose Cleopatra tragedia. La fece leggere ad un suo amico dotto e piano piano l’aggiustò, nel giugno 75 una compagnia recitò l’opera di Alfieri, che, paragonata alle altre tragedie degli altri poeti, era meglio dato che le loro erano frutto di lunghi studi, la sua era un parto affrettato e inesperto. Anche un altro testo venne recitato: “i poeti”. Riscossero molto successo queste due composizioni, e con la composizione di queste due opere finisce il periodo della giovinezza. Il quarto amore, quello più forte e quello da cui non si separerà mai lo incontrò a Firenze (dopo il viaggio in portogallo). Le catene dell’amore lo tennero per sempre legato a questa donna, Luisa Stolberg.*vedi risp. Luisa. 7Alfieri e la sua passione per i cavalli: quanti ne compra in Inghilterra, che viaggio fa per tornare in Italia dopo averli comprati: la grande passione dei cavalli per Alfieri riveste un ruolo importante nella sua vita. Spesso quando, in periodi di sterilità poetica oziava più del solito, o soffriva a causa della lontananza della contessa Luisa, andava a cavallo per sollevarsi l’animo. Comperò molti cavalli nel corso della vita, che spesso poi regalò, talvolta erano gli stessi cavalli a distoglierlo dalla passione poetica. Arrivò a raggiungere il numero di ben 14. Terzo viaggio in Inghilterra –Pisa Parigi dove si fermò per un mese- e poi arrivò a Londra- li comprò dei cavalli, ben 14. Questa passione gli spossò la mente e la borsa, ma si rinsavì e riprese a scrivere. I cavalli gli costavano molto, ma si era affezionato e non voleva venderli. Passò così il tempo a Londra, oziando e con una certa sterilità poetica. In seguito passò da Parigi e tornò a Siena, il viaggio per portare i cavalli fu piuttosto impegnativo, e Alfieri si preoccupò molto ma alla fine riuscì a portarli sani e salvi a riva. La più ardua impresa fu passare le alpi con i cavalli, faticò molto per fare in modo che a bestie così grandi non succedesse nessuna disgrazia. I cavalli erano briosi e vivaci, e ciò non era un buon presupposto per passare dalle Alpi –valico di Moncenisio- decise allora di pagare degli uomini, uno per cavallo, che lo aiutassero a guidare il cavalli e li tenessero con una briglia corta. Arrivarono in cima e quando dovettero scendere i n Italia i cavalli affrettarono il passo e Alfieri prese tutte le accortezze per farli arrivare sani e salvi anche se gli costò molto pagare gli stallieri. Si fermò per un periodo a Torino e mandò i cavalli in Toscana. 8)Cos’ è l’ arte per Alfieri? Diversamente dal concetto di arte in senso stretto per Alfieri l’arte è la letteratura, è indicativo il fatto che nei suoi viaggi visiti molte città famose per il loro patrimonio/ricchezza culturale ma senza lasciarsi entusiasmare troppo dalle bellezze dei palazzi, delle sculture, dei quadri. Pare invece che per lui l’arte coincida con la poesia, la letteratura, una delle sue grandi passioni che permetterà anche di trovare un equilibro interiore ad un animo così impetuoso. 9Fin dove si spinge Alfieri nel viaggio (Russia): Dopo aver viaggiato a lungo in Europa Alfieri si spinse in Russia, andando dalla Svezia verso la Russia, partì per San Pietroburgo e il viaggio per mare dalla Svezia fu travagliato, faceva così freddo che blocchi di ghiaccio nel mare impedivano alla nave di navigare senza intoppi e velocemente, ma si divertì molto a fare in modo che la nave procedesse senza bloccarsi nel pezzi di ghiaccio. Sbarcò ad Abo e andò verso la S. Pietroburgo –maggio- ma non fu un soggiorno piacevole, le stagioni erano annullate e una strana luce lo confondeva, non facendogli capire ne il giorno ne l’ora ne il mese. Si era fatto molte aspettative sulla Russia, leggendo la storia di Pietro di Voltaire, e la sua fantasia aveva contribuito a disegnare la Russia come un posto magnifico, ma giunto lì fu subito disingannato, non volle conoscere nessuno del posto, neanche la regina Caterina II, che neanche la volle vedere, odiava molto la tirannide e forse ciò contribuì a non fargli apprezzare la regina, la chiama “genia soldatessa”, essa, subentrando al trono, voleva dare una giusta costituzione al popolo, ma Alfieri li trovò in una condizione di servitù, forse peggio di Berlino, e per questa ragione disprezzò quei popoli e aborrire i reggitori, non volle proseguire fino a Mosca, ma rientrò in Europa passando dalla Danzica, ciò che aveva visto gli faceva desiderare l’Inghilterra. A fine luglio entrò a Gottina e fu molto lieto di vedere un asinello, significava che era lontano dalla Russia, dato che dell’animale non poteva sopravvivere. Lasciò poi Francoforte poi Magonza e passò il Reno scendendo lungo il fiume, tornò a SPA e stette li fino ad agosto. 10Rapporto tra Alfieri e religione: Dal testo non è molto chiaro il suo rapporto con la religione, lui personalmente non si esprime in merito, e sappiamo che vede il Papa/la Chiesa non come una figura da stimare. L’unico elemento che ci può far sospettare del fatto che fosse religioso, ma forse è più adatto dire che, più che religioso, era una sorta di abitudine/consuetudine del costume è l’ultima lettera dell’ amico, abate di Caluso, in cui dice che il confessore era stato chiamato, ma non arrivò in tempo. 11Rapporto tra Alfieri e i regnanti che incontra: Dato il temperamento indipendente e libero dell’Alfieri il suo rapporto con i regnanti è piuttosto particolare, mai si pose in condizione di servitù senza però mancare di rispetto. In Russia non volle neanche conoscere Caterina II, dato che rimase molto deluso nel vedere il popolo russo sotto una “genia soldatessa” che aveva intenzione di rendere la Russia un luogo con la propria costituzione, ma in realtà si mostrò una reggente che teneva il popolo in una condizione di servitù. Il rapporto col regnante degli stati pontifici, il Papa, fu una sorta di eccezione dell’atteggiamento libero e indipendente dell’intellettuale, che dimostrò anche il fatto che era disposto ad umiliarsi per amore. Lusingò molto il Papa, facendogli reverenze e dicendogli che volentieri gli avrebbe donato/intitolato la sua tragedia biblica, il Saoul. In realtà Alfieri tenne questo atteggiamento solo per entrare nelle grazie del Papa, dato che, a causa del cognato di Luisa Stolberg e di alcuni preti (i quali parlavano al Papa delle frequenti e inopportune visite di Alfieri a casa della donna) se il Papa avesse voluto avrebbe facilmente cacciato Alfieri dai suoi stati, impedendogli di vedere la sua amate, e cercò quindi di tenerselo buono. Il rapporto col re del suo luogo natio, il Piemonte, dopo l’espatrio volontario ed il 3 viaggio in uk Soggiornò per un breve periodo a Torino, anche se gli amici di vecchia data non lo accolsero troppo bene e il re era in po’ offeso dal fatto che Alfieri non era più Piemontese, e si era volutamente fatto espatriare, ma Alfieri andò lo stesso a fargli reverenza, e la corte lo accolse bene –poteva persino ricevere un incarico, favore che lo intimorì- al re avrebbe fatto piacere se Alfieri si fosse fermato in patria, ma lei rispose che stava andando in Toscana per continuare gli studi, ringraziò e persistè nel dire no, gli pareva poco importante un incarico a corte rispetto alle sue tragedie. Di questo incarico che Alfieri rifiutò il re lo venne a sapere, e quando lo ricevette non menzionò il fatto. (il re era Vittorio Amedeo II nonostante Alfieri in genere non ami i re questo, paragonato agli altri re d’Europa gli parve migliore, sentiva affetto, e sapeva che le intenzioni di questo re erano ottime ed aveva una buona indole). Ma il suo temperamento non poteva sopportare di sottostare al volere di qualcuno e così dopo poco lasciò Torino 12Cosa pensa della rivoluzione francese: sicuramente non da un giudizio positivo alla rivoluzione, da grande amante della libertà, forse una libertà utopica, non approva per nulla l’invasione dei francesi in Italia ne tanto meno il trattato di Campoformio cosi come la rivoluzione stessa avvenuta qualche anno prima in Francia, sostenendo che si tratti di una schiavitù mascherata da libertà.
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