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Il Decameron di Giovanni Boccaccio: Analisi e Contesto, Appunti di Italiano

Un approfondimento sulle opere di giovanni boccaccio, in particolare sul decameron, esplorando il contesto storico-sociale del trecento, la nuova figura dell'intellettuale, la questione della lingua, la biografia dell'autore e la rielaborazione delle fonti. Inoltre, viene analizzata la struttura del decameron, il suo significato, il linguaggio, la sintassi e lo scopo dell'opera.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 22/02/2024

Lulù-03
Lulù-03 🇮🇹

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Il Decameron di Giovanni Boccaccio: Analisi e Contesto e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! APPROFONDIMENTO TRE CORONE ➢ Giovanni Boccaccio • Contesto storico-sociale Il Trecento è rappresentato dal culmine della civiltà medievale. Tutto questo secolo si presta ad interpretazioni contrastanti a seconda che si sottolinei la continuità con il passato o la rottura con esso. Il periodo che va dal secondo decennio del Trecento alla metà del Quattrocento è caratterizzato sul piano politico dall’affermazione degli Stati nazionali in Francia, Inghilterra e Spagna e di quelli regionali in Germania e in Italia; sul piano economico dalla crisi produttiva e dal crollo demografico in tutta Europa. A tale recessione economica corrisponde, tuttavia, un momento di grande fioritura artistica che fa del nostro paese la nazione-guida nella letteratura e nelle arti. All’inizio del Trecento è chiaro il fallimento delle istituzioni universalistiche del Papato e dell’Impero. Dopo la morte di Bonifacio VIII, la chiesa si subordina alla monarchia francese e trasferisce la propria sede ad Avignone. (Cattività Avignonese) Il fenomeno nuovo, che comincia già alla fine del Duecento ma si sviluppa soprattutto nel secolo successivo, è costituito dalla crisi delle istituzioni comunali e dal passaggio del Comune alla Signoria. Questa trasformazione è favorita dalla forte conflittualità interna che risulta ingovernabile nell’ambito dell’organizzazione civile e politica del comune. Non si tratta più di contrapposizioni tra due partiti, clan o famiglie ma di una lotta di classe che vede contrapposti arti minori e popolo minuto, oppure, arti maggiori e popolo grasso. Poteva accadere che la fazione vincitrice potesse attribuire tutto il potere ad un'unica persona; così un solo signore, concentrava su di sé tutta l’autorità, tutto il potere attraverso una burocrazia che rispondeva unicamente a lui. • La nuova figura dell’intellettuale Il rapporto con la realtà che emerge nelle Commedia di Dante non è più proponibile per gli autori della generazione successiva, quella di Boccaccio e di Petrarca. Incolmabile divario tra letteratura e realtà caratterizzata dalla crisi del sistema municipale. Il segno di quest’ultima è la crescente separazione degli intellettuali dalla realtà sociale e politica. Gli intellettuali cominciano a concepire la loro attività al di fuori del contesto pratico, politico e religioso; nasce così, un nuovo tipo di intellettuale, per il quale il possesso della cultura non era immediatamente connesso a un impegno civile o al mondo delle università. Di distinguono cinque categorie di intellettuali: 1. notai e giuristi; 2. mercanti o banchieri; 3. insegnati, cortigiani, chierici. La produzione e circolazione di alcuni intellettuali-scrittori risulta limitata ad alcune zone d’Italia, la regione con maggiori scrittori è la Toscana. • La questione della lingua Il grande successo della Commedia decide una volta per tutte la questione della lingua, comportando la vittoria del toscano e la decadenza di ogni altro dialetto; si ricordi che anche le opere della Scuola Siciliana vennero trascritte in Toscano. Nel Trecento, insomma, si gettano le basi per una lingua letteraria nazionale. I volgarizzamenti sono rivolti a opere latine, ed è anche questa una novità, rilevando la progressiva riduzione dell’aerea d’influenza d’oil e il crescente interesse per il latino e la cultura classica. A questi si dedicano grandi scrittori come Boccaccio; ciò favorisce un adeguamento della prosa volgare agli schemi di quella latina classica, una sistemazione sul periodo e sulla sintassi su un modello. Si cominciò ad utilizzare il latino non solo come lingua di cultura ma come lingua letteraria. • Biografia La critica ha ricostruito con una certa fatica la vita di Giovanni Boccaccio, dovendo fare i conti con le informazioni contradditorie fornite in proposito dall’autore stesso. Si possono distinguere sei fasi successive: l’infanzia fiorentina; la giovinezza napoletana; il primo decennio di attività fiorentina; il secondo decennio di attività fiorentina; il ritiro a Certaldo e l’ultimo decennio fiorentino-certaldese. Nato fra il giugno e il luglio 1313 a Certaldo o a Firenze, dal ricco mercante Boccaccio di Chelino. È un figlio illegittimo, ma il padre lo riconosce e gli fa compiere i primi studi nella propria casa di Firenze, sotto la guida di un maestro privato. Fin dai primi anni della sua giovinezza non dimostra nessuna inclinazione per la mercatura e per il lavoro di banchiere, per tal motivo viene indirizzato a proseguire gli studi ad indirizzo canonico. Tra i suoi professori ritroviamo Cino da Pistoia, attraverso il quale riesce a dedicarsi alla lettura e alla conoscenza della tradizione lirica in volgare. Sempre in questo periodo, ricordato come l’infanzia fiorentina, si avvicina alla corte angioina; durante la sua permanenza riuscirà ad apprendere i rudimenti del greco che studierà successivamente da autodidatta. Si crea un mito letterario, secondo la tradizione cortese e stilnovista: quello dell’amore per Fiammetta, presunta figlia di Roberto d’Angiò. Tornato a Firenze, si inserisce nella vita culturale cittadina, e compone due opere con le quali si collega alla tradizione allegorica toscana. Nel 1348, durante la peste, si trova a Firenze; quest’ultima gli porterà via il padre e la matrigna Bice. L’anno successivo inizia la stesura del Decameron. Nel 1350 conosce Francesco Petrarca, con il quale ha inizio un’amicizia decisiva per le sorti del preumanesimo. In questo periodo, la sua vita subisce una svolta per due ragioni: in seguito all’amicizia con Petrarca, gli interessi umanistici diventano sempre più vivi e pressanti; il comune di Firenze gli affida una serie di incarichi prestigiosi. Il suo ritiro nel suo paese di origine è dovuto al fallimento di un colpo di stato affrontato da alcuni suoi amici, che indirettamente ha colpito anche lui, venendo esonerato da ogni incarico. Contemporaneamente si dedica alla stesura di alcune opere in latino come Le donne illustri; Genealogia degli dèi pagani; il Corbaccio, che rileva un radicale cambiamento nel rapporto con le donne: dalla filoginia (amore per le donne) alla misoginia (odio per le donne). Tornati gli esuli può riprendere la collaborazione con la Repubblica fiorentina, ricomprendo l’ultimo incarico del Comune, quello di commentare la Commedia in pubblico, nella chiesa di Santo Stefano in Badia. (Giunge con il commento fino al XVII dell’inferno). Muore il 21 dicembre del 1375 a Certaldo. Il Decameron è un’opera di Giovanni Boccaccio e la sua stesura risale subito dopo alla fine della peste che colpì Firenze nel 1348. Il Decameron ragiona di chi liberamente o vero magnificamente alcune cose operasse intorno a fatti d’onore o d’altra cosa). Il fatto che l’autore abbia avvertito il bisogno di inquadrare le novelle in una cornice risponde a una esigenza di sistematicità di ordine che è tipicamente medievale. La stessa organizzazione delle novelle non è affatto casuale: non per nulla l’opera inizia con un episodio negativo e termina con uno positivo e nell’ultima giornata si assiste ad un innalzamento sia sociale sia morale della materia. Di qui la tesi di una struttura “ascensionale” dell’opera, che sottolinea il parallelismo tra Decameron e Commedia. In realtà la sua struttura è orizzontale: per Boccaccio, la verità, sempre relativa scaturisce da un rapporto interdialogico fra uomini, non da un’ascesa verso Dio. • La rielaborazione delle fonti La struttura del Decameron affonda le sue radici in tradizioni lontane: il ricorso alla cornice era tipico della novellistica orientale e araba, l’idea di una brigata di dieci persone che conversa dopo pranzo per alcuni giorni è già nei Saturnalia di Macrobio (scrittore latino del V secolo d.C.) storie di varie avventure, talora oscene sono nel filone greco e poi latino delle satire menippee che influenza le metamorfosi di Apuleio. Come repertorio tematico delle varie novelle Boccaccio ha utilizzato poi numerose fonti medievali, riprendendo lo stesso materiale del Novellino e qualche volte le novelle stesse di questa raccolta: come nella novella delle papere, raccontata dall’autore e inserita nella sua autodifesa nel corso nell’introduzione alla Quarta giornata. Confronto: il testo del Novellino è rapidissimo. Nella sua sinteticità il racconto precipita verso stupefatta battuta finale, con il cui il re-padre riconosce il potere (anzi, la tirannia) della bellezza femminile. Del re non si dice nulla, nemmeno il suo nome. Invece, il racconto di Boccaccio è analitico, densamente articolato tanto nella sintassi (che nel Novellino è elementare e schematica) quanto nella stratificazione narrativa ed è ricco di dettagli completi e di precisazioni (si indicano i nomi dei protagonisti e dei posti in cui la vicenda è ambientata, per esempio) mentre la tipologia de personaggi e dei luoghi resta nel Novellino astratta, la narrazione nel Decameron tende alla concretezza della rappresentazione e risponde a un’esigenza realistica. Inoltre, nel Novellino, non si fa questione di educazione, né la scelta del re è dovuta a ragioni morali (egli deve tenere il figlio all’oscuro perché non perda la vista). Invece Boccaccio insiste sui motivi educativi, morali e religiosi che inducono il padre a tenere segretato il figlio: egli decide di darsi al servizio di Dio e il simigliante fare del suo piccolo figliuol. Insomma, mentre il racconto del Novellino è fuori dal tempo e dallo spazio, quello di Boccaccio è fortemente attualizzante: egli intende polemizzare contro i moralisti del proprio tempo e rivendicare la necessità di rispettare la forza della natura, la quale si manifesta anche con il “concupiscibile appetito”, cioè con l’istinto sessuale. • Il tempo e lo spazio, il realismo e la comicità Boccaccio dichiara nel proemio di raccontare storie avvenute nei “moderni tempi come negli antichi”. Egli distingue dunque, con chiarezza già umanistica, il passato dal presente. Molto spesso, all’allontanamento nel tempo corrisponde quello dello spazio. I due poli del libro sono da un lato Firenze e le città Toscane, dall’altro il Mediterraneo. Le coordinate spaziali e temporali sono definite con precisione e caratterizzate con una preoccupazione di verosimiglianza che già introduce al tema del realismo boccacciano. Un primo aspetto del realismo boccacciano va riscontrato dunque nel trattamento dello spazio e del tempo, sempre ben individuati. Luoghi e personaggi, del passato o del presente, non sono più rappresentazioni schematiche e convenzionali. • L’ideologia del Decameron Vi sono “Due ministre nel mondo” spiega Pampinea: la fortuna e la natura. Da esse l’uomo è condizionato, con esse deve fare i conti in un conflitto che dura tanto quanto la vita umana. Le vicende umane stanno nelle mani della fortuna, spiega ancora Pampinea in un altro luogo. La fortuna ha un peso decisivo nelle vicende umane, determinando anzitutto la condizione sociale, (c’è chi nasce povero, chi ricco), e poi sottoponendo l’individuo al rischio continuo dell’imprevisto, sino al ribaltamento delle situazioni. Al tema carnevalesco della ruota della fortuna si aggiunge la percezione storica di una situazione di crisi e di rapidi cambiamenti economici e sociali, l’autore stesso assiste a diversi mutamenti, anche negativi. L’ingegno può servire non solo a contrastare la cattiva sorte o ad approfittare della buona, anche a controllare, almeno in parte, la natura. Questo determina anzitutto il temperamento individuale: se spetta alla fortuna l’origine individuale dell’individuo, è la natura che gli dà uno specifico carattere. Cosicché natura e fortuna possono essere in conflitto. Il discorso di Ghismunda contiene un’ampia esposizione teorica dei rapporti fra fortuna e natura e considera appunto il contratto tra l’una e l’altra. Ma la natura condiziona l’uomo soprattutto attraverso le sue spinte corporali, materiali. Boccaccio parla più volte delle “forze della natura” che bisogna imparare a riconoscere e a rispettare. L’eros è un aspetto serio e importante della vita, che merita ogni considerazione. Ciò non significa che bisogna sottoporsi ad ogni incondizionatamente alla spina dell’istinto, è necessaria una resistenza: essa assume l’aspetto dell’onestà, che è una virtù eminentemente sociale, e della gentilezza, che è invece una virtù individuale. Conduce, dunque una lotta su due fronti: anzitutto, e con maggiore energia, sul fronte dell’ipocrisia e della censura locale, rivendicando i diritti della natura e i propri di scrittore che ne riconosce l’importanza; in secondo luogo, contro l’irragionevolezza dell’eccesso, in favore di una convivenza sociale a forte impronta utopica, più libera, ma non anarchica: a favore, insomma, di un superiore compromesso fra natura e onestà, fra rispetto delle pulsioni e virtù sociali e individuali, fra liberazioni degli istinti e loro controllo. La nuova etica si definisce in questo: nel rifiuto del carattere di organicità e di rigida precettistica che era proprio di quella vecchia e nella proposta di un comportamento più aperto e problematico. ▪ Il significato di virtù Nel Decameron Boccaccio usala voce “virtù” con il significato laico di “gentilezza” e “onestà”. “Virtù” ha però molti significati. Derivata da latino virtus, virtutis (da vir, viri= uomo), la voce “virtù” ne mantiene anche il significato generale di “insieme delle doti fisiche e morali caratteristiche dell’uomo” (bravura, valore, capacità, ecc). Questo termine ha ereditato dal cristianesimo i significati di “disposizione a fare del bene” e di forza morale, Dante lo utilizzerà molto in questa accezione). Un significato particolare lo assume in Machiavelli nel Principe, l’uomo fiorentino intende la capacità dell’uomo di controllare gli aspetti imprevedibili delle realtà opponendosi alla fortuna (cioè al caso, alla sorte), ovvero la capacità di progetto assistita da una ragione storica. L’ingegno individuale che per Machiavelli è un valore in sé e il fondamento di una nuova etica, è inteso da Boccaccio come uno strumento positivo ma amorale che deve essere subordinato alle virtù, ovvero all’onestà e alla gentilezza. • La prosa del Decameron: il linguaggio, la sintassi, lo scopo Boccaccio aggiunge agli elementi della retorica medievale, prevalenti nelle opere giovanili, quelli della retorica classica. Sono quest’ultimi, a informare la prosa del Decameron. In generale Boccaccio tende ora a preferire il ritmo armonioso e concluso e le ampie volute dell’ipotassi, particolarmente nella “cornice” e nelle novelle tragiche, dove il linguaggio si innalza soprattutto nei discorsi più impegnati dei personaggi nobilmente esemplari. Frequente il ricorso al ritmo metrico, specialmente quello determinato dagli endecasillabi. Fanno parte di questa scelta imitante la prosa latina il verbo posto alla fine del periodo, l’uso degli iperbati, di inversioni e di disgiunzioni. Al pluristilismo corrisponde il plurilinguismo, il risultato è un linguaggio medio elegante che tende a cercare una sintesi fra gli estremi, pur entrambi presenti, dell’alto e del basso. L’intento del Decameron è edonistico, (l’aggettivo edonistico deriva dal greco hedonè, piacere, dunque indica ciò che, come fine o punto di riferimento, il piacere, il diletto), e utilitario: esso è stato scritto per dilettare le donne, consolandole dagli affanni d’amore, ma anche per istruirle su cosa evitare e su cosa invece “seguitare” (perseguire). Per la prima volta nella letteratura medievale il carattere edonistico è affermato con forza: accettare e rispettare l’istanza del piacere è d’altronde tema costante del libro.
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