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Vita e opere di Dante e Petrarca, Appunti di Italiano

Dante e Petrarca ben approfonditi per una terza liceo. Il file descrive la loro vita e le loro opere più significative.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 30/06/2024

flavio-olivieri
flavio-olivieri 🇮🇹

Anteprima parziale del testo

Scarica Vita e opere di Dante e Petrarca e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Dante e Petrarca Dante (Ipocoristico: nome proprio di persona modificato in un diminutivo o vezzeggiativo) Durante => Dante. Nacque nel 1265 a Firenze, figlio di Alighiero di Bellingione Alighieri (nipote di Bellingione) e Bella degli Abàti, entrambe le famiglie appartenevano alla piccola nobiltà cittadina di parte Guelfa, ma non erano in buone condizioni economiche. Nonostante questo, Dante riuscì comunque ad avere un’educazione raffinata. La madre di Dante muore giovane e il padre concordò il matrimonio fra Dante e Gemma Donati. Il matrimonio si consumò dopo la morte di Alighiero Alighieri (1285, Dante ha 20 anni). Nascono 4 figli: Giovanni, Pietro, Iacopo e Antonia. Dante non amava la moglie, ma Beatrice (Bice di Folco Portinari). La incontrò a nove anni: lei era più o meno coetanea, ma visto che apparteneva all’alta nobiltà fiorentina i due non poterono avere una relazione. Beatrice sposa il nobile Simone dei Bardi nel 1287 (matrimonio combinato). Dante la chiama Beatrice perché significa “colei che rende beati” (non è un senhal). Beatrice morì nel 1290, molto giovane; questa data segna per Dante un momento di smarrimento, ma anche di svolta, perché gli permise di uscire dal mondo dello stilnovismo (incentrato tutto sull’amore) ed ampliare i suoi orizzonti culturali (esempio: studi filosofici, da lui considerati un mezzo per “cacciare e distruggere ogni altro pensiero”). Dante si trovava in una città molto ricca, in grado di stimolare la sua curiosità meglio di molti altri luoghi: a Firenze. Lì c’erano tre conventi importantissimi: Santa Croce, Santo Spirito e Santa Maria Novella. In questi conventi si trovavano università rinomatissime (quella di Santa Croce paragonabile a Oxford e Cambridge di Londra o a Sorbonne di Parigi). Dante riconosce come suo maestro Brunetto Latini (1220-1294 c.a., autore del Tresor (“tesoretto”) scritto in D’oil (Francia del nord). È un poemetto enciclopedico diviso in tre libri che affronta tematiche di vario genere). Brunetto Latini è uno degli intellettuali più influenti della Firenze duecentesca e probabilmente fu lui a insegnare a Dante “l’arte del ben parlare e dello scrivere” (2 qualità indispensabili per partecipare alla vita pubblica cittadina). Dante voleva partecipare attivamente alla vita pubblica di Firenze, che doveva affrontare le continue lotte fra Guelfi neri e bianchi (Dante diventò poi un guelfo bianco, i difensori del popolo, riuniti sotto la famiglia dei Cerchi, la più rappresentativa delle “genti nuove”, quelle che si erano arricchite grazie a commerci e traffici). I guelfi neri rappresentavano l’antica nobiltà feudale, capeggiati dai Donati (famiglia della moglie di Dante). Nel 1300 Dante venne eletto priore (magistrato cittadino) in uno dei momenti più difficili per Firenze (siamo prossimi allo scontro fra guelfi). Papa Bonifacio VIII voleva ridurre Firenze sotto il proprio controllo grazie all’appoggio interno dei guelfi neri, che lo aiutavano per ricevere in cambio la cacciata dei guelfi bianchi da Firenze. Il conte Carlo di Valois viene inviato dal papa in toscana per fungere da mediatore, ma era segretamente di parte (era stato inviato per favorire i guelfi neri). Dante viene mandato a Roma dal papa per trovare un compromesso, ma nel frattempo i guelfi neri si impadroniscono della città, saccheggiarono le case dei guelfi bianchi e li cacciarono da Firenze il 7 novembre 1301. Dante viene citato in giudizio per baratteria (corruzione politica con denaro), ma si accorge che è un processo strumentale (un modo per attirarlo a Firenze per imprigionarlo) e non si presenta. Il 27 gennaio del 1302 Dante viene condannato in “Contumacia” (condanna in Contumacia: verdetto pronunciato in assenza del condannato – Contumacia: rifiuto di presentarsi in tribunale per il processo). La condanna era il pagamento di 5000 fiorini (somma spropositata) ed esilio per 2 anni. Dante continuò a non presentarsi, e il 10 marzo 1302 venne condannato al rogo. Da oggi non tornerà più a Firenze. Dante non perde la speranza di tornare a Firenze e partecipa ai movimenti rivoluzionari dei Guelfi Bianchi. Lui trova rifugio a Forlì presso Scarpetta Ordelaffi (il signore di Forlì) poi si sposta a Verona presso Bartolomeo della Scala che è vicario imperiale. All’inizio del 1304 Dante fa ritorno in Toscana e nel frattempo nel 1303 ci fu la morte di Papa Bonifacio VIII e fu sostituito da Papa Benedetto XI e i Guelfi Bianchi sperano di poter rientrare a Firenze, ma ciò non avvenne. I Guelfi Bianchi cercano un compromesso ma dato l’insuccesso ricorsero alle armi e vennero sconfitti alla Lastra nel 1304. Dante dopo questa sconfitta iniziò a provare dissenso nei confronti dei suoi compagni d’armi che erano privi di ragione e ostinati e li definiva una “compagnia malvagia e scempia”. Dopo l’abbandono Dante comincia il suo vero e proprio esilio abbandonando ogni speranza di fare ritorno a Firenze. Dante comincerà a firmarsi “Exul Immeritus” esule immerito ovvero esule senza colpa e per lui sarà un momento di grani difficoltà economiche e depressioni. Dante cominciò a frequentare le corti presso i signori feudali: nel 1306 si ritrovò a ricoprire incarichi diplomatici in Lunigiana ed è ospite dei Malaspina; nel 1307 si trova in Casentino ed è ospite di Guido da Battifolle. Dopo il 1310 Dante ebbe la possibilità di tornare a Firenze ma fu lui a non volerlo. In due anni (nel 1311 e nel 1315) il comune di Firenze decretò due amnistie (atto legislativo con il quale si annulla il reato e si condona la pena). Quella de 1311 venne fatta per molti Guelfi Bianchi usciti da Firenze e prende nome di “Riformagione di Baldo da Guiglione” e prevedeva che molti dei Guelfi Bianchi potevano far ritorno a Firenze ma con il pagamento della multa: Dante però non si trovava nella lista. Nel 1315 l’amnistia prevedeva l’esborso di una multa e l’umiliante procedura dell’oblazione a San Giovanni (oblazione = offerta resa come segno di gratitudine, per i condannati invece è il pagamento di una multa o la sottomissione volontaria a un atto di pubblica ammissione di colpa); nel dettaglio dovevano recarsi in processione vestiti solo con un sacco con una candela in mano e una mitra derisoria. Dante si riteneva innocente, perciò, scelse di rimanere in esilio. Dante trascorse gli anni che seguirono tra Verona (1313-1318 ospite di Cangrande della Scala, al quale dedicherà il Paradiso della Commedia: questa informazione la troviamo nella epistola 13) e Ravenna (1318-1321 è ospite di Guido Novello da Polenta). Nel 1321 Dante si recò in ambasceria a Venezia dove contrasse la malaria, pochi mesi dopo tornato a Ravenna tra il 13 e 14 novembre morì. Vita Nova Nei primi anni del 1290 Dante decide di raccogliere insieme i testi scritti in onore di Beatrice in un libello (libro di piccole dimensioni). Con la morte di Beatrice si chiude la prima fase della vita di Dante che viene testimoniata nella Vita Nova che risulta essere un diario della vita interiore di Dante durante questa fase. La Vita Nova può essere considerata una autobiografia dove il tema centrale è l’amore di Dante per Beatrice, dal primo incontro fino alla morte della donna e al rapporto che ha il poeta con l’anima di questa donna. Gli eventi presenti che sono esterni all’amore sono volutamente esposti in modo non realistico (città di Firenze chiamata semplicemente città; mai citati nomi dei personaggi a eccezione di Giovanna ovvero la musa ispiratrice di Cavalcanti). A differenza delle normali autobiografie dove l’io è il protagonista dell’azione, l’io è il testimone di eventi memorabili ovvero la vita e la morte di Beatrice. Il libello si apre con la promessa di Dante di registrare in modo veritiero ciò che la memoria serva e prosegue poi nel capitolo due con il primo incontro con Beatrice avvenuto a nove anni. Nel terzo capitolo si ha il terzo incontro nove anni più tardi che sancirà l’innamoramento di Dante. Fin dal capitolo uno Dante si rappresenta nei panni tipici dell’amante cortese (spasima per il saluto da parte dell’amata e aspetta da lei qualche segno di attenzione nei suoi confronti, la nostalgia della lontananza). Dante per evitare i mal parlieri usa il - Il primo trattato doveva avere un carattere introduttivo: doveva inquadrare i destinatari e spiegare la scelta del volgare - Dal secondo trattato in poi ogni trattato era costituito da una canzone iniziale e da un commento che accompagnava la canzone chiarendola e rivelandone il suo significato allegorico nascosto. Dante scrisse solo il primo trattato e tre canzoni, lasciando l’opera incompiuta. Gli argomenti affrontati sono: - Metodo di lettura allegorico; - Un inno alla sapienza, che per Dante rappresentava la somma perfezione dell’uomo; - Il problema morale di quale fosse la vera nobiltà, che infine Dante ritiene essere quella che si conquista grazie all’esercizio delle virtù. De Vulgari Eloquentia Per parlare di questo testo è necessaria una riflessione: tra il XII e il XIV secolo si scriveva solo in latino ed era raro trovare prose e poesie in volgare, infatti nelle chiese, università, uffici si scriveva ancora in latino. Fondamentalmente per rendersi conto del coraggio e della creatività di Dante nel “De vulgari eloquentia”, cioè un saggio sull’eloquenza volgare, ovvero un saggio sulle lingue e sullo stile volgare. Dante all’inizio dell’opera osserva che occuparsi scientificamente sul volgare fosse un’impresa nuova e Dante si serve del latino per scrivere il testo per rivolgersi ai dotti e non al popolo, perché loro sono quelli che con il loro esempio e i loro scritti potevano aiutare Dante a sostenere la diffusione del volgare come mezzo di comunicazione letteraria. La scelta del latino si giustifica con l’obiettivo di difendere la dignità della lingua e letteratura italiana nel modo più illustre possibile. Dante si dedica alla stesura del “De vulgari eloquentia” dal 1303/1304 fino al 1307 e lascia l’opera incompiuta, poiché essa doveva contenere 4 libri ma Dante ne concluse solo 1 e mezzo. Il primo libro imposta il problema del volgare illustre, quindi un volgare che sia in grado di competere con il latino come lingua della comunicazione aulica. Quando comincia questo progetto, Dante, identifica 14 diversi volgari e quindi inizialmente si interroga su quale volgare possa diventare volgare illustre e si accorse che nessuna lingua ne era degna; perché del volgare illustre si trova almeno una traccia in ogni lingua. Il volgare illustre diventa quindi un’unione di tutti i volgari; il volgare illustre non rappresenta perciò per Dante il prevalere di una lingua sulle altre ma la miglior sintesi possibile. Vediamo poi una contraddizione con la “Divina commedia” tanto che dei critici moderni hanno pensato che forse il “De vulgari eloquentia” non fosse stato scritto da Dante o comunque l’abbia scritto per sminuire Firenze. Per Dante il volgare illustre doveva avere tre caratteristiche: - Doveva essere cardinale, cioè doveva fare da cardine fra i diversi volgari - Doveva essere aulico, cioè la lingua utilizzata nelle corti - Doveva essere curiale, perché risponde a quelle esigenze di eleganza e dignità che si possono trovare solo all’interno della curia. Il secondo libro parla dei rapporti tra volgare illustre e letteratura, Dante afferma infatti che il volgare illustre debba essere usato solo per gli argomenti più nobili: - L’amore/La passione amorosa; - Valore nelle armi; - La virtù o rettitudine morale, che per Dante era il più importante. La forma metrica utilizzata dal poeta per concretare lo stile del volgare è la canzone. Commento: ”Tanto gentile onesta pare” In questo sonetto, che è una delle espressioni più intense della lode della scuola stilnovista, il passaggio lungo la via di Beatrice rappresenta un momento beatifico, e Beatrice rappresenta una creatura celestiale dalle alte qualità morali e di ineffabile dolcezza. Manca del tutto l’accenno alle sue qualità fisiche perché al centro del componimento c’è la descrizione delle caratteristiche interiori della donna e i fenomeni da ella causati (le emozioni). Nel primo verso Dante utilizza due aggettivi: - Gentile - Onesta Questi aggettivi, in questo contesto hanno due significati diversi: - Il primo allude al carattere nobile e dall’animo elevato; intendendo l’aspetto interiore e quindi le virtù morali; - Il secondo si riferisce ad un comportamento dignitoso e rispettoso, pieno di decoro, questa volta accennando all’aspetto esteriore, quindi i gesti ed il comportamento. Dante mira a descrivere la bellezza della sua anima, perché Beatrice non è solo una bella donna, ma anche una creatura che avvicina l’uomo a Dio; in sostanza un angelo. Per questo suo essere celestiale, il saluto di Beatrice ha il compito di diffondere il messaggio di salvezza inviato da Dio a coloro che lo sanno cogliere. Per conferire oggettività alla sua lode, Dante, dà a tutti gli aggettivi un tratto di oggettività (verità) attraverso l’uso degli indefiniti, per esempio “altrui” (vv2), “ogne lingua” (vv3); l’unico riferimento soggettivo si trova al verso 2: “La donna mia”. In questo sonetto Dante si presenta come un amante disinteressato: poiché lui rappresenta Beatrice mentre sta salutando una folla e non solo lui, folla che la ammira; l’occasione tanto sospirata dell’incontro e del saluto diventa una collettività, infatti al verso 3 non sarà Dante l’unico ad ammutolirsi, lo farà anche tutto il resto della folla, inoltre gli effetti amorosi sono distesi “a chi la mira” (vv 3), infine anche “l’anima” a cui si riferisce Dante sembra che non sia solo la sua, ma anche quelle del resto della folla. L’amore di Dante perde così ogni possessività e si è dunque spogliato di ogni forma di egoismo, perché il valore di Beatrice è così divino che non può non essere condiviso e Dante non può che rallegrarsi che anche le altre persone si uniscano a lui nell’adorazione di Beatrice. De Monarchia Di difficile datazione, 1310-1313 o 1312-1313, perché una delle ipotesi più probabili è che sia stato scritto tra la discesa in Italia e la morte di Enrico VII di Lussemburgo (imperatore del Sacro Romano Impero tra il 1312 ed il 1313, quando morì). Lo scopo del “De Monarchia” è di dimostrare l’indipendenza del potere laico dal potere religioso; quindi, è un trattato di teoria politica il cui intento principale è di difendere l’autorità dell’impero contro le pretese temporalistiche della chiesa; Dante, infatti, si oppone alle tesi teocratiche che più volte erano emerse nelle chiese di Roma e che avevano trovato appiglio in papa Bonifacio VIII. Bonifacio VIII, nel 1302promulgò una bolla: “Unam santam ecclesiam” o “Una santa chiesa”, bolla che riafferma la supremazia del potere spirituale su quello temporale, ed in quell’occasione il papa usò la celebre allegoria del “Sole e della luna”, associando infatti il Sole alla Chiesa e la luna all’impero, si afferma che il potere imperiale deriva proprio dalla Chiesa, come la luce che emette la luna deriva dal Sole. Dante, quindi, solleva la teoria dei due soli: i due poteri dispongono di dignità autonome perché riferiti ad ambiti differenti, inoltre anche la loro sfera d’azione è differente: - L’ impero si occupa del raggiungimento della felicità dell’uomo in questo mondo; - La Chiesa si occupa del raggiungimento della beatitudine eterna. Quello che Dante sostiene è la coesistenza di Papa ed Imperatore, con la condizione che l’Imperatore mostri reverentia verso la Chiesa, perché sul piano morale il potere ecclesiastico è più nobile di quello temporale. Vista la tendenza di quest’opera, dopo la morte di Dante, il “De monarchia” venne messo al bando. Il trattato fu scritto in latino ed era organizzato in tre libri: nel primo libro Dante risponde alla domanda se fosse necessario l’impero per un buon ordinamento del mondo; quindi, alla pace universale che pe Dante era il sommo bene dell’umanità; in più solo l’impero poteva garantire la pace e la tranquillità necessarie per raggiungere la beatitudine terrena. Nel secondo libro Dante prosegue con il rispondere ad un'altra domanda: “Il popolo romano ha assunto legittimamente il potere imperiale?”, e la risposta trovata dal poeta è che i romani presero il potere grazie ad un disegno provvidenziale, ed il “De monarchia” dimostra come l’autorità imperiale sia stata concesso da Dio al popolo romano, che ebbe il compito di unificare e pacificare il mondo in modo tale da accogliere il messaggio divino. Il terzo libro (il più importante) riguarda il rapporto tra papa ed imperatore; Dante, infatti, si chiede se l’autorità del monarca dipenda da Dio o dal suo vicario: “L’imperatore è sottomesso o è allo stesso livello del Papa?”. Dante conclude ponendo allo stesso livello le due autorità perché derivanti entrambi da Dio; l’imperatore risulta soggetto al papa solo quanto uomo e secondo il poeta è falsa la dottrina secondo la quale il papa media l’investitura divina dell’imperatore, inoltre sostiene che al papa non spetti nessuna autorità temporale; infatti, Dante affronterà anche il tema della “Donazione di Costantino, etichettato da lui come apocrifo, cioè non autentico. Questo documento risalente al 400 d.C., veniva usato dalla Chiesa per giustificare la nascita del potere temporale della stessa. Costantino aveva lasciato Roma e di conseguenza l’Impero Romano d’occidente nelle mani di papa Silvestro secondo l’editto; ci siamo resi conto che era falso perché Costantino non aveva l’autorità di donare territori romani al papa ed il papa, secondo i dettami evangelici, non poteva accettare tale donazione. Dante in merito a questa questione sostenne che: - L’impero non può essere considerato soggetto alla Chiesa perché nato prima della Chiesa stessa; - Nulla e nessuno mai hanno dato alla Chiesa la virtù e l’autorità di potere al principe romano; - Gesù ha affermato che il suo regno non è di questo mondo intendendo che non aveva cura del modo terreno. Per queste ragioni il potere dell’imperatore dipende direttamente da Dio e la sua sfera d’azione è autonoma rispetto a quella del papa, perché il papa deve guidare gli uomini verso la salvezza eterna mentre l’imperatore deve guidare gli uomini verso la felicità terrena. Le Epistole Ci sono giunte di Dante 13 lettere in latino, sono lettere ufficiali composte secondo le regole medievali delle artes dictandi (dictandi = comporre un testo), sono state scritte secondo uno schema molto elaborato e tutte sono databili agli anni dell’esilio dantesco; la maggior parte di queste lettere si riferisce all’attualità politica della situazione Fiorentina. La lettera più importante e controversa (alcuni addirittura negano che sia stata scritta da Dante) è l’epistola 13, scritta tra il 1316 ed il 1317, composta per Cangrande della scala, è così importante perché contiene la dedica Chiesa secondo lui, perché rappresentava il modello perfetto di uomo intellettuale. L’opera di Sant’Agostino più importante per Petrarca è le “Confessioni di Sant’Agostino”, un’opera autobiografica composta da 13 testi, scritta nel 398 d.C.; questo testo diventerà per lui un modello di vita Questo incontro tra classicità e cristianesimo dà luogo sul terreno dell’etica, nella ricerca e definizione dei fondamenti morali dell’uomo. A Petrarca interessa restaurare la veridicità storica di fatti e testi: attribuire correttamente le opere ai propri autori, la data delle annotazioni, il significato dell’opera, infatti Petrarca andrà contro la cultura medioevale perché a nessuno interessava chi avesse scritto l’opera, o il come ed il perché l’avesse scritta; con tutto ciò nasce l’atteggiamento della filologia moderna, ed è per questo motivo che Petrarca viene considerato l’anticipatore dell’umanesimo. Petrarca quindi scrive due testi in volgare: - Il “Canzoniere” - I “Trionfi” Perché per Petrarca la lingua volgare è la lingua della poesia, scriverà poi anche poesie in latino, ma un latino che cerca i essere molto più vicino a quello di Seneca, Virgilio e Cicerone piuttosto che a quello Medioevale. De Secreto Confictum Curarum Nearum Questo testo è scritto in prosa latina ed il titolo significa “sul segreto conflitto delle mie angosce”. Non sappiamo precisamente quando sia stato scritto, è un dialogo e le date tra cui si svolge tale dialogo sono 1342 ed 1343, sappiamo questa data perché Petrarca afferma che erano passati ormai 16 anni dopo aver conosciuto Laura, ma questa è solo la data dell’ambientazione del testo e non necessariamente quella della composizione, anche se quella più probabile è tra il 1347 ed il 1353, perché ci sono stati vari rimaneggiamenti databili in quell’arco di tempo. Già il titolo originale dell’opera fa capire di cosa si parlerà nel testo: problemi ed ansie nascoste, appartenenti solo all’intimo dell’autore, ma per Petrarca abbastanza dignitose per essere divulgate, anche se lui non considerò mai l’opera finita e quindi non la pubblicò mai. Il testo è formato da un proemio e da tre libri , il dialogo si svolge tra Francesco e Sant’Agostino, la discussione si svolge in tre giorni in presenza di una bellissima donna, la figurazione allegorica della Verità, che non prenderà mai la parola. Nel proemio la Verità personificata appare a Petrarca e chiama Sant’Agostino a guarire le malattie spirituali del poeta. Nel 1° libro Agostino affronta insieme a Francesco il tema della cronica infelicità di quest’ultimo, cercando di convincerlo che nessuno può essere infelice contro la propria volontà, ciò significa che dipendeva da Francesco uscire da quella situazione ed infatti Agostino gli rimprovererà anche la sua scarsa forza di volontà. Nel 2° libro Agostino, quasi in veste di confessore, passa in rassegna i 7 peccati capitali, e si sofferma soprattutto sulla lussuria e sull’accidia, cioè la negligenza, perché quella che più gravemente affligge Petrarca, una sorta di inerzia morale che paralizza completamente la volontà di Francesco e Mina. Nel 3° libro Agostino mette a fuoco i 2 problemi della vita di Francesco: - L’aspirazione alla gloria - L’amore verso Laura, tra i due il più grave Per quanto riguarda il primo punto si tratta dell’aspirazione, del desiderio di ottenere la gloria terrena, che lo distoglie dalle cose eterne; Agostino spinge poi Petrarca ad abbandonare le opere erudite e di concentrarsi a fare un grande esame di se stesso. Il 2° problema per Agostino era il più pericoloso, poiché secondo lui fu dal momento in cui Francesco conobbe Laura che iniziò la sua degradazione; Petrarca cerca di difendere il suo amore per Laura, ma Agostino lo ravvisa su come questa passione abbia impedito ai talenti naturali del poeta di svilupparsi pienamente. Naturalmente anche se il dialogo oppone Agostino e Francesco c’è sempre Petrarca dietro ad entrambe le figure, e quindi Agostino funge da terapeuta per il poeta. Le ragioni di Agostino, che sono sempre quelle di Petrarca, sono quelle che guardano la vita in modo costruttivo, per cercare di trovare una via di redenzione nella sua insoddisfazione personale; mentre le ragioni di Francesco sono quelle in cui Petrarca adduce a se stesso per rispondersi sul motivo per il quale non riesca a superare le sue angosce interiori. L’opera, in questo modo, proietta ad un dialogo tra due diversi personaggi, un continuo e tormentoso dialogo interno all’autore. Il dialogo è tutto pervaso dallo scopo di raggiungere la pace interiore, ma alla fine tutte le contraddizioni del poeta rimangono aperte, e tutto ciò misura la distanza che separa l’esperienza spirituale di Petrarca da quella di Dante, perché Petrarca non riesce a far commettere all’anima nella selva oscura un percorso che la porterà alla salvezza e alla pace. Raccolte Epistolari Petrarca era uno scrittore estremamente prolifico di lettere perché le considerava come lo strumento più idoneo per la morale, rifacendosi al modello classico (Cicerone e Seneca). In momenti diversi della sua vita, Petrarca riunì le sue lettere, tutte in latino, perché il latino è la lingua che usa per la prosa. Le raccolte sono diverse: FAMILIARES (Familiarum Rerum Libri XXIV): divise in 24 libri per un totale di 350 lettere scritte tra il 1325 e il 1361. Si arriva a quest'anno perché è l'anno di morte del dedicatario dell'opera, Ludwig Van Kempen, amico di Petrarca e musico (musicista arcaico) e collega quando lavora dai Colonna. Queste familiares illustrano quasi giorno per giorno la vita e l'evoluzione intellettuale del poeta. Il 24° libro accoglie al suo interno lettere fittizie scritte a personaggi famosi dell'antichità, che stanno a sottolineare il rapporto di familiarità che Petrarca aveva con il mondo classico. La maggior parte delle lettere risulta essere fortemente rielaborata rispetto a quelle effettivamente spedite ai destinatari, perché Petrarca teneva una copia delle lettere per sé, e le modificava in vista di una pubblicazione futura. SENILES: le lettere della vecchiaia. Sono 17 libri formati da 125 lettere composte tra il 1361 e il 1374, ovvero subito dopo le familiares fino alla sua morte. Il dedicatario di quest'opera è Francesco Nelli, che Petrarca ribattezza con il nome di Simonide (riprende Simonide di Ceo autore del IV/V secolo a.C. che era, come loro, sacerdote e poeta). POSTERITATI: Ai posteri. È un'opera rimasta incompiuta. Scritto nei primi anni ‘60 e messa a punto da Petrarca appena prima di morire; è importante perché è una sorta di autobiografia nella quale il poeta giustifica la sua vita e le sue opere agli occhi di un immaginario un lettore futuro SINE NOMINES: senza nome, perché non c'è il destinatario. È un'opera di 19 lettere, che vengono scritte tra il 1342 e il 1358 ma raccolte insieme intorno al 1360. Si parla soprattutto di questioni politiche religiose, con duri attacchi alla curia avignonese, dato che Petrarca era tra i fautori per riportare la Curia Papale a Roma, che dal 1309 al 1377 era stata spostata ad Avignone. EPYSTOLAE METRICAE: epistole in versi. Sono 66 lettere in esametri latini, risalgono tra il 1330 e il 1360 e vennero riunite da Petrarca in 3 volumi. Gli argomenti sono vari: da un carattere familiare a meditazioni oggettive morali e filosofiche. Per questo sono anche chiamate “Varie”. Nella stesura originale, le lettere non erano utilizzate come colloqui con destinatari, ma erano dei veri e propri componimenti letterari perfettamente elaborati. Nel raccogliere e rivedere tutto il materiale per la pubblicazione, Petrarca lo sottopone a un ulteriore elaborazione dove toglie ogni riferimento troppo preciso a fatti, persone e luoghi e sostituisce a questi pseudonimi e ai luoghi delle perifrasi classicheggianti. Le lettere petrarchesche non sono documenti immediati di vita vissuta ma una trasfigurazione letterale della realtà, che porterà Petrarca a individuale l'immagine ideale del letterato, cioè il modello di vita intellettuale che deve essere seguito. Africa È un poema epico in esametri latini iniziato a Valchiusa tra il 1338 e il 1339 e anche quest'opera non è mai stata portata a termine. È importante perché con esso Petrarca intende rinnovare le grandi tradizioni dell'epica Latina: per fare ciò lui non sceglie un evento contemporaneo, ma un episodio glorioso della storia romana: la vittoria di Scipione l'Africano contro i cartaginesi (seconda guerra punica 218-202 a.C.) nella battaglia di Zama del 202 a.C. Il proposito che muove il poeta è quello di esaltare la gloria e la grandezza di Roma, e vuole parlare della seconda guerra punica perché per lui era un argomento che non era ancora mai stato trattato. Decide di raccontare la storia seguendo LE STORIE di Livio, storico romano. In realtà qualcuno ne aveva già parlato: Silio Italico aveva scritto “PUNICHE”. De Viris Illustribus È un'opera scritta tra il 1338 e il 1339 ed è rimasta incompiuta. è una raccolta di biografie dedicate ai grandi personaggi della storia romana Da Romolo fino a Tito. Mentre il tentativo di AFRICA era ridare vita all'epica latina, questo riprende un luogo comune della storiografia medievale: gli EXEMPLA. Petrarca apporta delle novità: lui ha un diverso rapporto con le fonti erudite, cioè non si limita a ripetere quello che vi è scritto ma fa un'opera da storiografo, cioè confronta le varie opere e le emenda dagli errori (libera il testo dalle imperfezioni tramite delle correzioni). Petrarca ha un atteggiamento laico di fronte ai personaggi ritratti, che sono apprezzati non tanto per la loro funzione provvidenziale quanto per le loro virtù umane. Ha una rigida selezione dei biografati, perché dice che non parlerà mai di medici o filosofi in generale, ma solo di coloro che si distinsero per le grandi virtù militari e per il grande amore per la Patria. Anche quest'opera è animata dall'intento di celebrare la grandezza di Roma, e come nell'AFRICA troviamo gli stessi punti pessimistici sulla fugacità della gloria e sulla miseria della condizione umana, dato che Petrarca proietta sui personaggi da lui descritti le sue inquietudini e i suoi dubbi. I Trionfi Petrarca inizia a scriverli quando è a Milano, dai Visconti, e lo terranno impegnato fino alla sua morte. Sono un poema di terzine, detto anche poema in terza rima, ispirato alla commedia dantesca anche in quanto argomento: I trionfi sono una visione nella quale Petrarca da un lato passa in rassegna i grandi Spiriti del passato, e dall’altro riflette sul suo amore per Laura e sul suo destino ultraterreno. Con il termine Trionfo, Petrarca vuole indicare un preciso tipo di situazione spettacolare. Il trionfo è un grande carro addobbato e guidato dal personaggio celebrato in quell'occasione. L'opera è articolata in sei trionfi. ciascun Trionfo è diviso in uno o più canti. In questo poema vediamo come l’autore protagonista, Petrarca, si trova Valchiusa, il 6 aprile di un anno non precisato, sicuramente è l'anniversario del giorno Laurano, ovvero il giorno in cui Petrarca
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