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Vita e opere di Dante, Sannazzaro, Petrarca, Boccaccio e Poliziano, Appunti di Letteratura Italiana

Vita e opere di Dante, Sannazzaro, Petrarca, Boccaccio e Poliziano

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 09/02/2023

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Scarica Vita e opere di Dante, Sannazzaro, Petrarca, Boccaccio e Poliziano e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! DANTE Dante è uno degli autori italiani di cui abbiamo meno notizie biografiche certe. Non abbiamo certezze neanche per il nome. Probabilmente si chiamava Durante Alighieri o della famiglia De Alighieris e il nome “Dante” rappresentava un diminutivo. Nacque tra il maggio e il giugno del 1265, a Firenze e apparteneva ad una famiglia della piccola nobiltà cittadina. Suo padre arricchiva le ricchezze familiari con l’usura mentre sua madre Bella morì molto presto. Se volessimo rappresentare la sua famiglia, la rappresenteremo come una parabola la cui concavità è rivolta verso il basso e su cui vertice si trova il suo trisavolo Cacciaguida, cavaliere nobiliare nominato tale da Corrado III, che combatté in una crociata. Dante incontrerà Cacciaguida nel Paradiso. A soli 12 anni fu promesso sposo a Gemma Donati, discendente della casa Donati, che sposò dopo pochi anni, nel 1285, e da cui ebbe tre o quattro figli: Pietro, Iacopo, Antonia e Giovanni. Negli stessi anni comincia ad interessarsi della letteratura e a dedicarsi a studi filosofici. Comincia a frequentare i circoli culturali e fa amicizia con Guido Cavalcanti. L'evento più significativo della sua giovinezza, secondo il suo stesso racconto, fu l'incontro con Beatrice, la donna che amò ed esaltò come simbolo della grazia divina, prima nella Vita Nova e successivamente nella Divina Commedia. Gli storici hanno identificato Beatrice con la nobildonna fiorentina Beatrice o Bice Portinari, che morì nel 1290 neanche ventenne. Dante la vide in tre occasioni ma non ebbe mai l'opportunità di parlarle. Per un paio di anni dopo la sua morte, Dante decide di non parlare più della sua donna fin quando, nel 1292-1294 non scrive la Vita Nova, prima e unica opera non composta in esilio. on si sa molto della formazione di Dante, ma le sue opere rivelano un'erudizione che copre quasi l'intero panorama del sapere del suo tempo. A Firenze fu profondamente influenzato dal letterato Brunetto Latini , scrittore del libro “Tresor”, e sembra che intorno al 1287 frequentasse l'Università di Bologna (dove conosce la corrente poetica dello Stil Novo). Firenze, a quel tempo, era divisa in Guelfi e Ghibellini, fazioni politiche opposte. Inoltre, in questo periodo, Dante comincia ad interessarsi di politica. Combatté, nel 1289, nella Battaglia di Campaldino, tra guelfi e ghibellini, definendo la decisiva sconfitta dei ghibellini e il trasferimento del potere nelle mani dei guelfi. Nel 1294 (stesso anno di stesura della Vita Nova) sorgono in Firenze le prime cooperazioni politiche. Chi voleva partecipare alla vita politica cittadina doveva necessariamente iscriversi ad una cooperazione. Dante, che cominciava ad interessarsi della politica fiorentina, decide di iscriversi alla cooperazione dei “Medici e Speziali” a cui si iscrivevano gli artisti. Da qui in poi, Dante comincia a ricevere incarichi molto importanti per il Comune, finché nel 1300, non viene nominato Priore di Firenze, ma si ritrova a governare una città ulteriormente divisa in Guelfi Bianchi e Neri. I guelfi Bianchi volevano governare la città senza che il potere universale della Chiesa si intromettesse, mentre i guelfi neri volevano che il Papa influenzasse le decisioni comunali. A capo di ogni fazione vi erano delle case nobiliari fiorentini: per la fazione dei Guelfi Bianchi vi era la casa dei Cerchi; per quella dei Neri la casa dei Donati. Dante si schierò con i primi, che avevano il governo della città. Ricoprì il ruolo di priore con senso di giustizia e fermezza, tanto che, per mantenere la pace in città, approvò la decisione di esiliare i capi delle due fazioni in lotta quasi quotidiana, tra i quali l'amico Guido Cavalcanti. Fu quasi sicuramente uno dei tre ambasciatori inviati a Roma per tentare di bloccare l'intervento di papa Bonifacio VIII a Firenze. Bonifacio VIII voleva governare Firenze, ma per farlo doveva deporre il potere dei Guelfi Bianchi. Così inviò le truppe angioine che deposero i neri per far salire al potere i Bianchi. (novembre 1301). Durante il viaggio di ritorno, Dante fu sopraggiunto dalla notizia di essere accusato di corruzione e fu condannato in contumacia prima a un'enorme multa e poi a morte (marzo 1302). Iniziò così l'esilio (nel quale furono in seguito coinvolti anche i figli) che sarebbe durato fino alla morte. Dopo alcuni tentativi militari di rientrare a Firenze, fece "parte per se stesso". In questo periodo, scrive le sue più importanti opere fra le quali “Il Convivio” (1303-1304), “De Vulgari Eloquentia” (1305). Alla notizia dell'elezione al trono imperiale di Enrico VII di Lussemburgo, sperando nella restaurazione della giustizia entro un ordine universale, si avvicinò ai ghibellini, ma la spedizione dell'imperatore in Italia fallì. Scrive il “De Monarchia”, in corrispondenza dell’ascesa di Arrigo VII in Italia. Comincia la stesura della Divina Commedia, con la scrittura dell’Inferno. Negli anni dell'esilio Dante si spostò nell'Italia settentrionale e forse si spinse fino a Parigi tra il 1307 e il 1309. Si recò poi insieme ai figli, forse nel 1312, quando aveva già concluso il Purgatorio, a Verona presso Cangrande della Scala, dove rimase fino al 1318. Da qui si recò a Ravenna, presso Guido Novello da Polenta, dove riunì attorno a sé un gruppo di allievi tra cui il figlio Iacopo, che si accingeva alla stesura del primo commento dell'Inferno. Morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, e neppure le sue spoglie tornarono mai a Firenze. I primi commentatori della Divina Commedia furono i suoi figli Pietro e Iacopo e si dice che abbiano finito il Paradiso. Opere: Vita Nova letteralmente significa “vita rinnovata dall’amore. E’ il primo esempio di romanzo autobiografico d’amore scritto in volgare. Fu composta nel 1293-1294 ed è la prima e unica opera non composta in esilio. Strutturalmente è un prosimetro, cioè composto da parti in prosa e parti in versi. Le parti in prosa si dividono in parti narrative e parti esegetiche: le parti narrative spiegano come è nato il componimento, mentre quelle esegetiche, la sua struttura. E’composto da 42 capitoli, in cui si articolano 31 testi poetici, 25 sonetti, 5 canzoni e 1 ballata. Lo stile dominate è quello elegiaco. La Vita Nova è un componimento interamente dedicato a Beatrice. Beatrice è la musa di Dante, rappresentata come una creatura angelica e lodata secondo tutti i criteri stilnovistici. Si narra l’amore di Dante verso costei, riportando tutte le tipologie stilnovistiche, ovvero a)amore per lode disinteressata, b)amore provato solo da cor gentile, c) trinomio saluto-salute-salvezza. La morte di Beatrice rappresenta il compimento dell’amore di Dante che si perfeziona e la stessa diventa l’anello di congiunzione fra Dio e l’uomo. Quindi Beatrice si incarna nella figura di donna-angelo e l’amore di Dante verso Beatrice diventa l’amore che L’uomo prova verso Dio. Dante conclude la Vita Nova dicendo che non avrebbe mai più parlato di Beatrice finchè non fosse riuscito a dire qualcosa che nessun uomo avesse mai detto alla propria donna, cosi anticipa l’incontro di Beatrice e Dante nel Paradiso e il loro viaggio attraverso il regno dei Cieli. Convivio: “Convivio”, letteralmente, significa “banchetto”. È il primo esempio di prosa saggistica scritta in volgare. Dante voleva scrivere 15 libri ma non ci riuscì anche perché era troppo impegnato nella stesura della Divina Commedia. Dante vuole allestire un banchetto in cui vuole spezzare, metaforicamente, il pane della conoscenza anche agli esclusi. Egli intende mettersi a capo di una classe sociale i cui componenti avessero in comune la nobiltà d’animo e un amore disinteressato per la cultura, cioè dalla cultura non traggono nessun tipo di guadagno e ricchezza. Il convivio tratta del volgare ma anche di temi filosofici ect… Inoltre tratta dei 4 sensi secondo i quali devono essere interpretate le scritture: 1. SENSO LETTERALE, cioè il senso alla lettera; 2. SENSO MORALE, cioè il principio morale; 3. SENSO ALLEGORICO cioè il significato nascosto. L’allegoria si divide in allegoria dei poeti e in quella dei teologici. Nell’analisi di miti, fiabe, racconti i poeti non tengono conto di fatti realmente accaduti a differenza dei teologici; 4. SENSO ANAGOGICO cioè un senso che va oltre quello morale e prefigura l’aldilà; De vulgari eloquentia Trattato linguistico, di stilistica e critica letteraria iniziato nel 1304, ma interrotto nel 1305. E’ un elogio in latino del volgare e Dante nell’opera continua a riferirsi a quella classe sociale che trae guadagno dalla cultura, gia interpellata nel Convivio. Dante è alla ricerca del volgare letterario, ovvero un volgare che avesse quattro caratteristiche principali: 1. ILLUSTRE, cioè chi parla deve dare lustro al volgare e il volgare dà importanza a chi lo parla. 2. AULICO cioè elevato, di stile. 3. CURIALE cioè, se in Italia ci fosse una Curia Papale, esso dovrebbe essere parlato lì, comunque in luoghi formali. 4. CARDINALE cioè deve rappresentare il cardine attorno al quale girano gli altri volgari. BOCCACCIO Giovanni Boccaccio nasce tra il giugno e il luglio del1313 a Firenze, il padre era però originario di Certaldo, si trasferisce a Firenze poiché agente mercantile della compagnia dei Bardi. Intorno al 1325 segue il padre a Napoli per fare pratica nel campo bancario e mercantile, qui impara a conoscere la vita di questa città, frequentando gli ambienti di corte. Boccaccio non è portato per la pratica mercantile, il padre lo indirizza quindi agli studi di diritto canonico, ma non prosegue nemmeno questi. Si dedica quindi alla letteratura e agli studi umanistici, scrivendo in latino, ma soprattutto in volgare. Rientrato a Firenze si inserisce nella vita culturale cittadina e compone diverse opere: la commedia delle ninfe e l’amorosa visione. Nel 1349 inizia a scrivere il Decameron e nel 1350 conosce Petrarca, il poeta lo porta ad avere maggiori interessi umanistici. Nonostante il comune di Firenze gli affidi incarichi prestigiosi torna a stabilirsi a Napoli. Per un colpo di stato tra il 1360-61 essendo sospettato poiché coinvolti parecchi suoi amici, è costretto a ritirarsi a Certaldo. Rincontra Petrarca e influenzato da lui continua la stesura delle opere umanistiche scritte prevalentemente in latino. Dopo aver ripreso posto nella repubblica fiorentina inizia una serie di viaggi, cura un’edizione delle opere di Dante, viene poi incaricato dalla signoria fiorentina di leggere pubblicamente la Commedia ma la lettura viene interrotta poiché la sua salute peggiora. Boccaccio si ritira a Certaldo dove muore il 21 dicembre 1375. Tra il 1349 e il 1351 inizia la stesura del Decameron, l’opera più nota di Boccaccio. In una Firenze colpita dalla peste sette donne e tre uomini decidono di abbandonare la città per rifugiarsi nelle campagne fiorentine. Per trascorrere il tempo i giovani decidono di raccontare a turno una novella. Nel Proemio il poeta si rivolge alle donne per dedicare loro l’opera. L’opera si suddivide in 10 giornate, in ogni giornata ognuno dei 10 novellatori racconta la propria novella. All’inizio di ogni giornata viene eletto un re o una regina che decide il tema del giorno su cui dovranno essere le novelle narrate, solo la prima e la nona giornata hanno un tema libero, poiché Dioneo si sottrae alla scelta del tema e decide di raccontare la sua novella sempre per ultimo. Il narratore principale, ovvero Boccaccio costituisce la Super-cornice, egli parla direttamente solo nel proemio e nell’introduzione alla quarta giornata. I narratori secondari ovvero i 10 novellatori, costituiscono la Cornice che ha funzione di collegamento tra una novella e l’altra. È nel proemio che viene presentata la vicenda che ha permesso ai 10 giovani d’incontrarsi: i 10 decidono di passare alcuni giorni fuori dalla città colpita dalla peste. La decisione è delle sette donne incontratesi nella chiesa di S.Maria Novella, Pampinea, Ellissa, Lauretta, Neifile, Fiammetta, Filomena e Emilia a cui si aggiungono tre amici Panfilo, Filostrato e Dioneo. I ragazzi appartengono all’agiata borghesia cittadina. Un mercoledì si recano in un bel palazzo da cui si sposteranno la domenica dopo essere arrivati, rimangono fuori città per due settimane. Con loro portano qualche servitore, il venerdì e il sabato si riposano. Opere: Opere del periodo napoletano Le opere scritte dal poeta nel suo soggiorno a Napoli riflettono gli ideali cortesi e cavallereschi della letteratura medievale (amore come fonte di ingentilimento, culto del gesto altruistico, gusto per l’avventura), i testi classici e anche le forme letterarie popolari quali i cantari (poemi cavallereschi cantati nelle piazze). La caccia di Diana Poemetto di 18 canti in terzine, che celebra in chiave mitologica (ninfe) alcune donne conosciute dal poeta presso la corte. Le ninfe, seguaci di Diana (dea della caccia), si ribellano alla dea ed offrono le loro prede di caccia a Venere, che trasforma gli animali in bellissimi uomini; Tra questi vi è anche il giovane Boccaccio che, grazie all’amore, diviene un uomo pieno di virtù: il poemetto racchiude, dunque, la concezione cortese e stilnovistica dell’amore che ingentilisce ed eleva l’uomo. Il Filostrato Il Filostrato (in greco «vinto d’amore») è un poemetto scritto in ottave che ricava il suo argomento dalla narrativa medievale in lingua d’oil, in particolare da un romanzo del ciclo classico: il Romanzo di Troia. Boccaccio presenta le vicende di personaggi del mito omerico con vesti e psicologie feudali e cavalleresche. L’opera contiene la dedica alla donna amata e il titolo fa riferimento al soprannome che l’autore stesso assume nel proemio dell’opera. Il poeta proietta l’esperienza autobiografica dei suoi amori napoletani. La narrazione è lineare ed elegante per rispondere ai gusti cortesi del pubblico. Il Filocolo Il Filocolo (in greco «fatica d’amore») è un romanzo questa volta in prosa. La storia ha come protagonisti Florio, figlio di un re saraceno, e Biancifiore, schiava cristiana abbandonata da bambina. I due fanciulli crescono assieme e da grandi, in seguito alla lettura del libro di Ovidio Ars Amandi si innamorano (come era successo per Paolo e Francesca dopo avere letto Ginevra e Lancillotto). Tuttavia il padre di Florio decide di separarli vendendo Biancifiore a dei mercanti. Florio decide quindi di andarla a cercare e dopo mille peripezie (da qui il titolo Filocolo) la rincontra. Infine, il giovane si converte al Cristianesimo e sposa la fanciulla. L’opera è sempre ispirata ad un poemetto in lingua d’oil: il Cantare di Florio e Biancifiore. Caratteristiche --> ampie descrizioni e prosa complessa. Opere del periodo fiorentino La comedia delle Ninfe fiorentine È una narrazione in prosa, alternata a componimenti in terzine cantati da vari personaggi (genere detto prosimetro); riprende elementi della poesia pastorale antica (idealizzazione della vita dei pastori). Vi si racconta la storia di Ameto, un rozzo pastore che un giorno incontra delle ninfe devote a Venere e si innamora di una di esse, Lia. Nel giorno della festa di Venere le ninfe si raccolgono intorno al pastore e gli raccontano le loro storie d’amore. Alla fine Ameto è immerso in un bagno purificatore e comprende così il significato allegorico della sua esperienza: infatti le ninfe rappresentano la virtù e l’incontro con esse lo ha trasformato da essere rozzo e animalesco in uomo. Temi dell’amore che ingentilisce l’animo, celebrazione della bellezza femminile, edonismo. L’amorosa visione È un poema in terzine di cinquanta canti. L'autore racconta di aver visitato in sogno un castello, dove ha visto dipinti i trionfi della Sapienza, della Gloria, dell'Avarizia, dell'Amore e della Fortuna e accompagna la sua descrizione con numerose digressioni di carattere enciclopedico. Anche in questa opera, come si vede, lo schema allegorico dantesco è trasformato in senso laico: non si tratta di un viaggio mistico a Dio, ma della conquista di una saggezza morale tutta umana. L’elegia di Madonna Fiammetta È un romanzo in prosa narrato dal punto di vista di una dama napoletana abbandonata e dimenticata dal giovane fiorentino Panfilo. La sua lontananza le crea grande tormento accresciuto dal fatto che Fiammetta è sposata e deve nascondere al marito il motivo della sua infelicità. L’opera ha la forma di una lunga lettera, rivolta alle donne innamorate; la confessione di Fiammetta consente una minuziosa introspezione psicologica. La narrazione dal punto di vista della donna è un elemento assolutamente innovativo rispetto ad una tradizione letteraria nella quale la donna era stata oggetto e non soggetto amoroso. Concezione naturalistica dell’amore, legittimo in ogni sua manifestazione, concetto che sarà alla base del Decameron. Il Decameron Il libro è costituito da una raccolta di 100 novelle, narrate in 10 giorni da 10 giovani: da qui il titolo, che dal greco significa appunto “di 10 giorni” (sottinteso “novelle”). Le novelle sono inserite in una struttura narrativa chiamata cornice che serve proprio ad incorniciare le 100 novelle dando loro un ordine. Il libro di apre con un Proemio in cui Boccaccio dichiara qual è lo scopo principale per cui ha composto l’opera: le donne che sono afflitte da pene d’amore che, non avendo possibilità di trovare distrazione da esse (poiché a loro sono vietate tutte le attività che occupano l’esistenza dell’uomo come la caccia, il gioco...) devono intrattenersi in qualche modo. Subito dopo il Proemio, è inserita l’introduzione alla I giornata, che contiene una lunga e angosciante descrizione della peste e di come essa stia disgregando i valori sociali, civili e i raffinati costumi. L’obbiettivo dei dieci giovani è infatti quello di mantenere in vita le regole essenziali della socialità: celebrazione della forza e intelligenza dell’uomo. Le vicende sono, per la maggior parte, ambientate nella realtà cittadina, borghese e mercantile, contemporanea o di un recente passato. Boccaccio dedica molta attenzione al mondo mercantile per esaltare l’intraprendenza dell’individuo. Ciò non vuol dire però che Boccaccio non riconosca i limiti della logica mercantile e borghese, infatti comprende che l’esclusivo attaccamento ad essa può anche generare una crudeltà disumana. Accanto a questo, nel Decameron si coglie anche una nostalgia del mondo cavalleresco e al valore della cortesia, che secondo lo scrittore, è un mondo conciliabile a quello mercantile, poiché chi si dimostra abile con il denaro, può conservare una sincera ammirazione per le antiche virtù (culto della misura, magnanimità…). I temi sono la fortuna propria del mondo mercantile, e non solo, è l’idea che la realtà sia dominata da una forza imprevedibile: la Fortuna. Essa consiste in un complesso accidentale di fenomeni e circostanze, non più regolato da una volontà superiore  visione pienamente laica. Anche l’Amore è visto in una prospettiva laica. Esso è una forza che scaturisce dalla Natura una forza sana e positiva, che è vano e anzi una colpa cercare di reprimere. Boccaccio dimostra un’aperta disponibilità verso la vita in ogni sua manifestazione, senza scelte idealizzanti. Nei suoi racconti appaiono figure appartenenti a tutti i gradi della società e ogni tipo di ambientazione, nello spazio e nel tempo. Egli predilige il mare perché, con il suo mutare imprevedibile, diventa metafora della Fortuna e la città, in particolare Firenze, spazio aperto a tutte le esperienze. Queste presenze molteplici però, non appaiono caotiche nel complesso, ma si coglie chiaramente il proposito di Boccaccio di ordinarle in schemi armonici. Boccaccio non si sofferma mai a descrivere oggetti, ambienti per il puro gusto di rappresentarli: essi hanno rilievo solo in quanto sono funzionali allo svolgimento dell’azione narrativa. I profili dei personaggi, allo stesso modo, si compongono per lo più attraverso le azioni. Al centro della concezione boccacciana vi è infatti l’agire dell’uomo. SANNAZZARO Nato a Napoli nel 1457, Sannazaro vive nel pieno del travagliato passaggio dalla dinastia aragonese alla dominazione castigliana (1501) e riflette alla perfezione, nella sua personale esperienza, la progressiva dissociazione tra attività letteraria e militanza politico-intellettuale che caratterizza questa fase della cultura napoletana. Precoce è il suo impegno nella letteratura volgare, fin dagli anni Ottanta del Quattrocento, e costante l’applicazione nella produzione in latino. Un tratto unificante, pur nella diversità della scrittura in volgare e in latino, è rappresentato dalla viva percezione della fragilità umana e della fugacità dell’esistenza, minacciata dalla presenza costante della morte. Sannazaro muore a Napoli nel 1530. L’Arcadia, un’opera poetico-narrativa di ambientazione pastorale, composta in volgare e in forma di prosimetro (misto di versi e prosa), è l’opera maggiore di Sannazaro, e costituisce il capostipite del genere nella tradizione letteraria europea. Nella sua forma definitiva, l’opera è aperta da un prologo e articolata in dodici prose, premesse ad altrettante egloghe di varia forma metrica; è quindi conclusa da un congedo. Dal punto di vista narrativo, la trama racconta la vicenda del poeta che, abbandonata Napoli in seguito a una delusione amorosa, si rifugia in Arcadia (regione della Grecia) assumendo il nome di Sincero e vivendo alla maniera dei pastori-poeti, dediti al pascolo e al canto accompagnato dal flauto. Dopo un sogno angoscioso, Sincero decide di tornare in patria; una volta rientrato a Napoli, apprende della morte della fanciulla amata. Dietro questa trasfigurazione allegorica si nasconde il personale itinerario umano e culturale compiuto da Sannazaro stesso. Fonte principale del genere pastorale sono le Bucoliche di Virgilio, archetipo classico di cui Sannazaro fu uno dei massimi cultori. L’inusuale (per il periodo) struttura prosimetrica è ispirata dalla Vita nova dantesca e, soprattutto, dalla Commedia delle ninfe Fiorentine di Boccaccio, mentre sul Filocolo sono modellate le sezioni prosastiche dell’Arcadia. L’opera spazia tra fonti classiche ricercate e fonti moderne: Sannazaro affidò alla ricerca stilistica gran parte del suo impegno letterario, sia nelle prose sia nelle parti in poesia.
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