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Vita e opere di Dostoevskij e Puskin, Schemi e mappe concettuali di Letteratura Russa

Vita ed opere di Dostoevskij e Puskin

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 19/04/2022

giulia-di-fusco
giulia-di-fusco 🇮🇹

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Scarica Vita e opere di Dostoevskij e Puskin e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! Fëdor Michajlovič Dostoevskij Fëdor Michajlovič Dostoevskij, celebre scrittore russo ed esploratore dell’animo umano è collocato tra i grandi della letteratura mondiale per queste attribuzioni. Nasce l’11 novembre 1821 a Mosca, secondogenito di sette fratelli, in una famiglia benestante. Il Padre, Michail Andreevič Dostoevskij, era un medico militare russo mentre la madre, Marija Fëdorovna Nečaeva, proveniva da una famiglia di ricchi commercianti russi. Nel 1831 Dostoevskij si trasferì con la famiglia nel governatorato di Tula in seguito all’acquisto del padre di un vasto territorio. Nel febbraio del 1837, appena adolescente, rimase orfano di madre. La morte della madre, da tempo ammalata di tisi, segnò profondamente il giovane Dostoevskij, il quale l’anno successivo fu mandato nella Scuola Superiore del genio militare di San Pietroburgo per studiare ingegneria militare. Qualche anno più tardi morì anche il padre, probabilmente ucciso dagli stessi contadini che lavoravano le sue terre e questo avvenimento insieme alla scomparsa della madre viene considerato dalla critica come probabile causa scatenante dell’epilessia che accompagnerà lo scrittore russo per tutta la vita. Nonostante le difficoltà, Dostoevkij concluse gli studi nella scuola militare di Pietroburgo prendendo però la decisione di lasciare il servizio militare per seguire la sua vocazione letteraria. La carriera che aveva intrapreso non lo appagava e fin da ragazzino grazie anche all’influenza della madre, i suoi interessi erano orientati verso la letteratura, la filosofia e la scrittura. Dal 1844 iniziò a scrivere racconti e romanzi. Entrò nel mondo letterario utilizzando come biglietto da visita la sua prima opera Povera gente (1846), composta in uno stato febbrile. È un romanzo in forma epistolare. La narrazione è semplice e l’autore utilizzò come palcoscenico la Pietroburgo dei mendicanti, degli affittacamere, cioè la Pietroburgo della povera gente. La trama ruota attorno a Varvara Aleksjejevna e Makar Djevuskin, due giovani che vivono in due camere, le cui finestre sono situate l’una di fronte all’altra. L’intera opera si sviluppa attraverso lo scambio epistolare che permette di conoscere a fondo i due protagonisti, svelando le loro attività passate e presenti, i loro rapporti con il mondo, i loro interessi. Attraverso l’espediente epistolare Dostoevskij racconta di due processi: il primo, non privato di qualche riflesso autobiografico, è l’ambizione di Makar di diventare uno scrittore mentre il secondo riguarda la fede che dovrebbe portare i due protagonisti e tutta la povera gente ad una condizione di quieto vivere. In quest’opera Dostoevskij focalizzò la sua attenzione sulla miseria e sul degrado del ceto degli impiegati e per questo fu molto apprezzato dai maggiori critici e scrittori letterari russi dell’epoca, suscitando però, anche molte polemiche. Nel 1846 scrisse il Sosia, sulla scia di Il naso e Memorie di un pazzo di Nikolaj Vasil'evič Gogol, dal quale lo scrittore rielaborò numerose note stilistiche. L’opera racconta delle avventure di M. Golijadkin attraverso l’espediente narrativo dello sdoppiamento dell’individuo. Il funzionario Godlijadkin, dominato da un forte sentimento di megalomania, una notte vede comparire in carne ed ossa il suo sosia. In un primo momento il suo doppio cerca di instaurare un rapporto di amicizia con lui, ma al finale tenterà solo di ridicolizzarlo. Quello che Dostoevkij inscena nel suo romanzo è la trasposizione del mondo reale attraverso il paradigma persecutore – perseguitato che porta inevitabilmente ad un delirio, alla perdita di sé stesso. I confini tra sogno, realtà e delirio, sono le corde su cui Dostoevskij decise di lavorare e per questo, tra i numerosi racconti che compose in questa prima fase è doveroso ricordare Le notti bianche (1848). Il titolo di questo racconto prende il nome dal periodo dell'anno, in cui nella Russia del nord, il sole tramonta dopo le 22. La denominazione dell’opera racchiude in sé un significato simbolico che proviene da un antico detto greco, presente nell’ Utopia di Tommaso Moro, che parla della fragilità delle decisioni prese di notte, al buio, quando la fantasia deforma i contorni della realtà. Ma l’autore non è attratto dal buio, al contrario, la sua è una notte bianca, piena di luce e proprio questo particolare rende possibile la realizzazione di un racconto surreale, ai confini della realtà, in bilico tra il mondo autentico ed il mondo immaginario. Il protagonista è un sognatore, un uomo solo ed incapace di instaurare qualsiasi tipo di rapporto che vive sempre inosservato e nascosto nell’ombra. Il protagonista-sognatore è una personalità complessa che incarna perfettamente le incertezze giovanili fatte di desideri, aspettative e amori. Egli immagina e progetta nella sua mente la vita che vorrebbe per sé stesso ma allo stesso tempo è consapevole del fatto che le sue fantasticherie non potranno mai realizzarsi. Il racconto si articola in quattro notti, durante le quali il sognatore incontra una giovane ragazza di diciassette anni, di nome Nasten’ka, che attira dal primo istante la sua attenzione. Il giovane, consolando Nasten’ka, che si strugge per un amore finito male (o per lo meno è ciò che crede), s’innamora e trova la sua vera realtà. Egli è un uomo incapace di reagire, di mutare: bloccato nella sua dimensione immaginaria si crogiola nell’illusione che un giorno ogni suo desiderio potrà essere realizzato. La rottura con il sogno avviene solo grazie all’incontro con Nasten’ka, la quale abbatte i muri del sognatore facendogli vivere attimi di vita vera. Il protagonista nei sentimenti per la ragazza trova una via di fuga e si autoconvince di poter finalmente iniziare a vivere nel senso più veritiero possibile ma ogni sua aspettativa svanisce con il ritorno dell’uomo amato da Nasten’ka. Il racconto si conclude con il ripristino della situazione: l’uomo è di nuovo bloccato nel sogno. Non vi è rabbia, rancore o disperazione. Egli si mostra semplicemente rassegnato ed accettando il suo destino, di uomo inetto, si rifugia nel suo mondo illusorio. Dostoevskij iniziò gradualmente ad abbandonare le tematiche sociali per avventurarsi nei meandri della psiche umana. In quegli stessi anni in Russia prendeva luogo una contestazione politica contro la censura e la servitù della gleba, a cui Dostoevskij partecipò. Entrò a far parte di un circolo di progressisti che si ispiravano ai principi del socialismo europeo e il 23 aprile del 1849, in seguito ad un’infiltrazione di un agente segreto fu arrestato e rinchiuso nella fortezza di Pietro e Paolo. Venne condannato a morte ma il 22 dicembre, giorno della sua esecuzione, all’ultimo minuto gli venne concessa la grazia imperiale e la sua condanna a morte si trasformò in 4 anni di lavori forzati. Dal 1850 al 1854 Dostoevskij scontò la sua condanna ai lavori forzati ad Omsk. Visse dei momenti di grande sofferenza tra le catene e le minacce di punizioni corporali e senza alcun dubbio gli anni dei lavori forzati lo cambiarono profondamente. Lo scrittore iniziò ad allontanarsi dai suoi ideali giovanili (come, ad esempio, quelli del sognatore delle Notti Bianche) e si rese conto di voler rappresentare personaggi, espressione degli ideali di uguaglianza, libertà e fraternità. Durante i lavori forzati, non potendo leggere nessun libro, eccetto la Bibbia, scoprì la fede e nei successivi grandi romanzi, la figura di Cristo sarà centrale e onnipresente. La condanna a morte, il dramma della fucilazione e la finale pena detentiva segnarono profondamente Dostoevskij in quanto accentuarono l’epilessia di cui da tempo ormai soffriva. La malattia e la condanna a morte sono due temi ricorrenti che troviamo ad esempio nell’Idiota (1869) e nel suo protagonista il principe Myškin, malato anche lui di epilessia e ossessionato dai condannati a morte. Nel 1854 Dostoevskij viene liberato come soldato semplice a Semipalarìnsk, in Siberia, dove non poteva leggere poiché gli era stato imposto il divieto di lettura ma il fratello riuscì ad inviargli clandestinamente i romanzi degli scrittori del momento come Tolstoj, Turgenev, Goncarov. Inziò a dedicarsi alla satira e al comico e compose Il sogno dello zio (1859), Il villaggio di Stepančikovo e i suoi abitanti (1859) e durante la guerra di Crimea, realizzò delle odi patriottiche in cui espresse il suo amore per la Patria. Nel 1857 grazie all’aiuto dei suoi amici e all’avvento dello zar Alessandro II riuscì a riacquistare grado e nobiltà. Nel 1859 venne congedato dall'esercito e si stabilì a Tver', il capoluogo più vicino a San Pietroburgo dato che non poteva ancora rientrare nella capitale. Lo scrittore si inserì nell’epocale disputa fra occidentalisti e slavofili, contrapponendosi alle correnti occidentaliste. Attaccava i radicali per la loro etica fondata sulla ragione e opponendosi a tutto ciò dimostrò il suo essere idealista e spiritualista. Nel 1861 fondò la rivista Il tempo. Al suo interno pubblicò altri capolavori come Memorie dalla casa dei morti e Umiliati e offesi nel 1861, un brutto aneddoto nel 1862 e Note invernali su impressioni estive nel 1863. Memorie dalla casa dei morti è una memoria del criminale in cui viene raccontata l’esperienza della detenzione. Dostoevskij ricorre all’espediente del manoscritto ritrovato e scrive contro la prigionia e contro le torture fisiche, ritenute inutili poiché il castigo risiede già nell’essere imprigionati e privati di ogni libertà. La struttura circolare ed il tempo ripetitivo sottolineano l’immobilità e l’inerzia della morte. Umiliati e Offesi è uno dei romanzi probabilmente meno famosi ed in realtà anche all'epoca della sua pubblicazione, nel 1861 sulla rivista Il Tempo, non ebbe un gran successo. Si tratta di un romanzo sociale che mette in scena i lati peggiori dell’essere umano soffermandosi sulla miseria e sulla corruzione. Al suo interno ritroviamo il tema del rapporto conflittuale tra padre e figlio e quello della decadenza nobiliare. Il romanzo è narrato dal punto di vista di Vanja ma è interamente queste tematiche è ancor oggi uno dei suoi romanzi di maggior successo. Il 9 febbraio 1881 morì a San Pietroburgo lasciando un vasto e prezioso patrimonio letterario. Aleksandr Sergeevič Puškin Aleksandr Sergeevič Puškin è il poeta più importante dell’800 russo, in quanto considerato il fondatore della lingua russa moderna. Tale attribuzione nasce dalla sua visione del linguaggio poetico: egli rifiutava lo stile aulico preferendo invece uno stile a metà strada tra il colloquiale ed il solenne. La lingua di Puskin è la lingua che tutt’oggi viene parlata in Russia e, di fatto non esiste russofono che non conosca il poeta e le sue poesie. Aleksandr Sergeevič Puškin nasce a Mosca il 7 giugno 1799. Il padre, Sergej L'vovič Puškin, era un funzionario di medio grado e maggiore in congedo mentre la madre, Nadežda Osipovna Gannibalova, proveniva dalla stirpe degli Hannibal. Il nonno materno era di origini africane ed infatti a lui è probabilmente dedicata l’opera Il negro di Pietro il Grande. I genitori non diedero a Puškin una grande educazione e non si preoccuparono della sua cultura. Importante per la sua educazione fu la biblioteca paterna. Al suo interno vi erano moltissimi volumi di autori francesi del 600 e del 700 e fu il suo primo vero approccio con il mondo letterario. L’infanzia e l’adolescenza di Puškin non furono segnati da avvenimenti particolari. Egli si sentiva molto spesso fuori luogo e per tutta la vita cercò di scacciare via questa sensazione di inadeguatezza. Crebbe sotto la supervisione e l’affetto della tata (la njànja), Arina Rodiòvna, la quale ricoprì un ruolo fondamentale soprattutto durante il suo esilio. Nella cultura russa, soprattutto quella sovietica, l’importanza della tata diventò tale da essere stata definita come musa – madre popolare della poesia russa. Il poeta studiò al liceo di Càrskoe Selò ricevendo una formazione umanistica e per questo motivo questa fase della vita artistica di Puškin viene definita come periodo liceale. Egli iniziò a comporre le prime poesie sotto l’influenza della poesia leggera francese. I suoi toni erano leggeri, semplici e scherzosi. Fra le poesie composte nel periodo liceale ricordiamo A Natalia (attrice della quale probabilmente si era infatuato), e Ad un amico verseggiatore. Puškin maturò anche un particolare interesse per il poema satirico ed epico. Tra il 1814 e 1815 iniziò a lavorare a diverse opere, fra le quali ricordiamo L’ombra di Fonvizin e Il principe Bova. In quegli stessi anni ideò il progetto di Ruslan e Ljudmila, uno dei suoi grandi capolavori. Ben presto il giovane poeta, grazie al suo innegabile talento, cominciò a farsi strada nel mondo letterario e nel 1817 entrò a far parte, sotto lo pseudonimo di grillo, della società letteraria dell’Arzamas. Si trattava di una società di cui facevano parte tutti i giovani poeti che sostenevano la corrente letteraria del karamzinismo. Di fatto, il poeta frequentò spesso la casa di Karamzin. Le prime poesie liceali di Puškin erano per lo più traduzioni ed imitazioni ed infatti in esse è palese l’influenza di molti poeti noti dell’epoca come Zukovskij, Batjuskov, Dmitriev. In questo periodo subì una forte influenza soprattutto di Voltaire e la poesia liceale risulta interessante non tanto per i contenuti, ma quanto più per lo stile. Le sue liriche erano caratterizzate da immagini libresche e da un linguaggio puro e semplice. Nel giugno del 1817 Puškin terminò il liceo e fu costretto a seguire il volere del padre accettando il ruolo di funzionario di basso grado nel Collegio degli Affari esteri. Questa nuova esperienza lavorativa lo portò nella città di San Pietroburgo, dove iniziò quello che prende il nome di periodo pietroburghese. Puškin era scontento della sua vita poiché svolgeva un lavoro che non lo appagava; il suo desiderio era quello di affermarsi nella società e per questa ragione, nella città di Pietroburgo, il giovane poeta assunse dei comportamenti un po’ fuori dalle righe. Ben presto finì sotto il mirino delle autorità della capitale poiché la sua provocatoria condotta venne interpretata come adesione alla fronda politica. Entrò a far parte della società La lampada verde il cui principio fondante era la libertà di parola ed infatti scrisse parecchie lettere contenenti delle espressioni non consone alle leggi di quel tempo. Nel 1817 compose l’ode La libertà, nella quale mette in luce la convinzione di dover rifiutare la felicità individuale a favore della libertà della patria. In quegli stessi anni il poeta rielaborò anche molti dei componimenti del periodo liceale allontanandosi dai canoni settecenteschi che prevedevano uno stile più aulico, prediligendone invece uno più basso. La grandezza di Puškin si misura anche in questo, nella rielaborazione di stili e generi che diventò evidente nelle lettere che scrisse agli amici e nell’opera Amatore inesperto dei paesi stranieri. Al suo interno il poeta utilizzò un parallelismo tra l’ardente bellezza e l’anima ardentemente libera che metaforicamente stavano ad indicare una fusione della lirica civile ed amorosa. Tuttavia, l’opera più importante di questo periodo è il poema Ruslan e Ljudmila pubblicato nel 1820. Si tratta di un poema favolistico di grande spessore in cui dà prova del primo grande esempio di poesia libera. L’intento di Puškin era quello di creare un componimento con un forte spirito eroico e nel farlo si avvalse di versi giambici caricati di forte ironia. Tutti gli eroi vengono ridicolizzati e questo emerge ad esempio nella figura del cattivo, il quale ispira più pietà che paura. L’intera opera riflette diverse correnti letterarie come il sentimentalismo, classicismo e il romanticismo cavalleresco. Inoltre, il poema racchiude in sé profondi sentimenti patriottici e di fatto è un poema eroico che incarna lo stato d’animo patriottico del 1812. La trama, apparentemente semplice, ruota attorno all’amore difficile dei due protagonisti che danno il titolo all’opera ma in realtà la sua essenza risiede nella volontà di rappresentazione di una vittoria morale sul male. Solo il coraggio, l’onestà, la misericordia possono dare la salvezza poiché la disonestà, la crudeltà e meschinità non fanno altro che complicare la vita e non portano mai ad esiti positivi. Il tema principale è l’amore nella sua interezza: amore per la donna eletta, amore per la terra, amore per la famiglia. Questi sentimenti danno forza e aiutano Puškin a rappresentare il carattere russo nazionale e quella che per lui era la fonte della sua forza, vale a dire l’amore e la propensione a proteggere tutto ciò che considera prezioso. Come già detto precedentemente, il poeta nel periodo pietroburghese ebbe un comportamento molto ribelle a tal punto che i suoi versi politici iniziarono ad indisporre il governo. Lo zar Alessandro voleva spedirlo in Siberia ma grazie all’intercessione di alcuni amici fu mandato nelle regioni meridionali. Nel 1820 ha inizio il periodo dell’esilio meridionale che durerà fino al 1824 e che segnerà il massimo radicalismo puškiniano. È proprio durante questa fase della sua vita che Puškin acquisì coscienza di sé come poeta, impegnandosi nella poesia “seria” e allontanandosi dai giochi, dall’ironia e dalla leggerezza che lo avevano contraddistinto fino a quel momento. Egli si concentrò sulla poesia di tipo elegiaca e ad inaugurare il periodo meridionale fu la lirica Si è spento l’astro del giorno. Una volta giunto nel sud del Paese il poeta si ammalò gravemente ma venne aiutato dalla famiglia Raevskij, i quali lo portarono con loro in viaggio in Crimea e nel Caucaso, prendendosi cura di lui. Durante questi viaggi Puškin scrisse un’elegia al fratello, nel quale emergeva l’animo del poeta e la sua idea di eroe romantico, descritto non come un confinato ma piuttosto come un fuggitivo perché mentre l’esiliato ha un luogo stabilito in cui stare, il fuggitivo vive in giro per il mondo, non ha una dimora fissa e concepisce la patria come una prigione. Tutte queste considerazioni portarono alla realizzazione, nel 1820, del Prigioniero del Caucaso, il primo dei poemi meridionali che venne definito da Puškin stesso come primo esempio di poesia romantica. Il Prigioniero del Caucaso è segnato ha un forte autobiografismo, a tal punto che Puškin porta i lettori a pensare che il prigioniero sia lui stesso. Qui egli inserisce anche delle nozioni sulla vita caucasica e grazie a questo sembra, per certi versi, anticipare il soggetto dei briganti sul Volga. Oltre all’eroe romantico Puškin voleva dare spazio anche ad un eroe libero, che rivedeva appunto nei briganti del Volga. Si tratta di eroi forti, dominati da semplici passioni che rappresenterà anche nell’opera Gli Zingari. Nella primavera del 1821 a Chisinau iniziò a comporre un poema del tutto diverso da quelli composti prima d’ora: la Gabrieleide, opera sull’Annunciazione della Vergine Maria e dunque di carattere religioso. Per quanto concerne la lirica politica, in questo periodo compose soprattutto versi decabristi perchè durante la sua permanenza nel sud del Paese si avvicinò ancor di più alle idee decabriste, ma non entrò mai nelle loro società. Si limitò a comporre versi di sfumatura decabrista come Napoleone e Il pugnale. Nella primavera del 1823 nel sud ci furono dei mutamenti politici ed il centro amministrativo divenne Odessa, dove il poeta si trasferì. La permanenza nella nuova città inizialmente fu molto piacevole in quanto Puškin poté usufruire dei servizi della città come l’opera italiana, la biblioteca, i giornali stranieri, i teatri. Ma qui il poeta attraversò anche una profonda crisi che emerge nel ciclo lirico del 1823-1824. All’interno di esso troviamo una meditazione sull’essenza dell’uomo e della storia, ma ciò che colpisce è l’abbondante presenza di bozze incompiute che sottolineano il suo stato di profonda crisi. Il segno evidente della ripresa di Puškin si verificò con l’inizio del lavoro sul romanzo Eugenio Onegin, opera centrale non soltanto di Puškin ma di tutto l’800 russo. Tuttavia, l’opera fu stampata solo nel 1833. L’Eugenio Onegin è un’opera di grandissima importanza che accompagna la vita del poeta dal 1824, sino al 1831. Belinskij la definì come una vera e propria enciclopedia della vita russa, all’interno della quale sono conservate tutte le esperienze del poeta. Vi è una certa connessione tra l’Onegin e Puškin: hanno in comune molti atteggiamenti, provengono dalla stessa epoca e condividono gli stessi ideali. L’Onegin è il primo romanzo in versi che comprende diversi aspetti della vita russa. Il poema si articola in otto capitoli e attraverso il pretesto di voler raccontare prende avvio la narrazione. L’unicità di Puškin e del suo capolavoro si misura con la varietà dei temi: ritroviamo l’elemento epico, ironico, drammatico, lirico. Abbiamo l’alternanza di una narrazione descrittiva ed una prettamente dialogica, non priva di digressioni sul poema romantico ed in particolar modo quello baironiano. Lo scopo del poeta era quello di mostrare la vita di Mosca e Pietroburgo e per questo nel poema descrive la società, i differenti strati sociali, i loro costumi, i loro ideali di gusto. Come già detto, Puškin nel 1824 si trasferì a Odessa, dove prestò servizio sotto Voroncov, con il quale ebbe dei rapporti conflittuali. Il poeta ebbe una storia con la moglie di Voroncov e questa fu la causa scatenante del loro rapporto difficile. Voroncov circondò il poeta di spie e inasprì ancor di più l’ostilità di Pietroburgo. Puškin fu allontanato e venne trasferito nel piccolo villaggio di Michajlovskoe, dove inaugurò una nuova fase della sua vita artistica. Qui egli continuò a lavorare su L’Eugenio Onegin e portò a termine Gli zingari. Scrisse una serie di poesie, tra le quali ricordiamo Al mare e Il fidanzato. In questo periodo lo scrittore russo approfondì i problemi legati al folclore russo, si dedicò a numerose letture soprattutto della Storia dello stato russo di Karamzin. Si allontanò progressivamente dagli schemi dell’illuminismo avvicinandosi invece ai materiali storici dai quali acquisì un’autonoma visione del popolo e del suo ruolo nella storia. Egli tentò di ricostruire il punto di vista popolare negli eventi storici. Un’opera importante, come esempio di ricostruzione, è L’imitazione del corano. In questo suo lavoro egli non ricorre a nessun elemento della letteratura musulmana ma semplicemente ricreò per la cultura russa l’immagine del Corano. È doveroso sottolineare che il punto di vista del narratore non è apertamente dichiarato, ma emerge dai dettagli contenuti nel testo. Questo è un tratto fondamentale che caratterizza il poeta nel periodo di Michailoevskoe. Nel novembre del 1824 scrisse il Boris Godunov. Si tratta di un dramma storico che riprende le vicissitudini legate all’epoca dei Torbidi. La struttura dell’opera prevede un susseguirsi di scene che non presentano unità e lo stesso soggetto non è unico. Il poeta in quest’opera non mise a nudo il dispotismo e tantomeno non scrisse contro la tirannia; egli elaborò una ricerca sulla natura intrinseca del potere. Puškin si focalizzò sul fatto che il potere è tragedia, anche quando chi lo esercita desidera il bene dei sudditi e per questo decise di scrivere di Boris Godunov; un uomo alla ricerca dell’affetto del popolo ma la cui sete di potere lo conduce dritto alla tragedia, al delitto. Adoperandosi per il bene è convinto di potersi riscattare ma non riceve l’appoggio del popolo e questa ostilità porta il sovrano a compiere nuovi delitti. Questo schema mette in luce la degradazione del potere come norma. Insieme a questo dramma Puškin compose anche il poema Il conte Nulin. La trama ruota attorno ad un conte che si introduce nella stanza di una signora di provincia finendo per l’essere schiaffeggiato. Questo periodo evidenziò un Puškin non più orientato verso prose romantiche ma verso una visione storica. Il poeta approvò anche la pubblicazione, appena due settimane dopo la rivolta decabrista, di una raccolta di poesie con il titolo di Poesie di Aleksandr Puškin. In un clima di forte tensione e paura, i suoi versi fecero gran scalpore e da allora Puškin iniziò ad essere acclamato come il maggior poeta russo. La rivolta decabrista rese gli ultimi anni del poeta molto pesanti perché era costantemente preoccupato per i suoi amici che figuravano tra le liste degli arrestati e condannati. Il 4 settembre 1826 giunse da Mosca un corriere di stato con l’incarico di portare Puškin nella capitale, dove nel frattempo veniva incoronato zar Nicola I. Il sovrano russo decise di perdonare il poeta per gli errori commessi e lo esonerò dalla censura ordinaria, ponendolo però sotto la sua censura personale. Puškin finì sotto il controllo dello zar stesso ed i suoi ultimi dieci anni furono caratterizzati da una forte oppressione, motivo per il quale questo periodo presenta delle caratteristiche poetiche differenti. Si può dire che
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