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Vita e opere di Giovanni Boccaccio, Appunti di Letteratura Italiana

La biografia di Giovanni Boccaccio, uno dei maggiori scrittori italiani del Trecento. Si descrivono le tappe della sua vita, le sue opere più importanti e le influenze culturali che hanno caratterizzato la sua produzione letteraria. Si analizzano in particolare le opere giovanili, come il Filocolo e l'Elegia di Madonna Fiammetta, e quelle della maturità, come il Decameron e le opere in latino. Si approfondiscono inoltre alcune opere minori, come la Caccia di Diana e il Filostrato.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 23/09/2022

alien.nabi
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Scarica Vita e opere di Giovanni Boccaccio e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! BOCCACCIO Giovanni Boccaccio nasce nel 1313 a Firenze o a Certaldo, figlio di Boccaccio di Chellino, ricco uomo d’affari e agente della compagnia mercantile dei Bardi. Nel 1327 si trasferisce a Napoli con il padre, eletto consigliere e ciambellano del re Roberto d’Angiò. Nel 1327 viene introdotto al mondo della finanza e avviato dal padre agli studi di giurisprudenza, dove intraprende un’appassionata storia d’amore con una donna celata sotto lo pseudonimo di Fiammetta. Entra in contatto con gli intellettuali del tempo e scopre nelle lettere la propria vocazione. Le prime opere sono Caccia di Diana (1334), Filocolo (1336), Filostrato (1335) e Teseida (1339). Nel 1340 rientra a Firenze, a seguito di difficoltà finanziarie, città in preda ai conflitti e alla crisi economica. Scrive la Comedia delle ninfe (1341), l’Amorosa visione (1342), Elegia di Madonna Fiammetta (1343) e il Ninfale fiesolano (1344-1346). Nel 1348 il padre muore di peste e ottiene vari incarichi dal comune (anche grazie al successo delle sue opere), soprattutto come ambasciatore, missioni diplomatiche in Romagna, a Napoli, in Tirolo e ad Avignone. Nel 1353 conclude il Decameron, iniziato dopo la peste: dopo l’incontro con Petrarca, inizia a comporre in latino opere di varia erudizione, come Genealogie deorum gentilium, De castibus Virorum illustrium e De mulieribus claris. In volgare invece scrive anche il Corbaccio e il Trattatello in laude di Dante. Dal 1360 ospita il maestro calabrese Leonzio Pilato, chiamato a Firenze per insegnare greco e tradurre in latino le opere di Omero e Platone. Prende poi gli ordini minori, che gli consentono di continuare gli studi. Nel 1362 riprende l’attività come ambasciatore ad Avignone, Roma e Napoli. Nel 1371 si trasferisce a Certaldo, continuando gli studi. Nel 1373 riceve un incarico dal comune di Firenze e inizia pubbliche letture commentate della Commedia, ma al canto XIII dell’Inferno deve smettere a causa dei problemi di salute. Nel 1375 muore a Certaldo. Le opere giovanili sembrano contrastare quelle della maturità: il passaggio dalle prime alle seconde sarebbe dovuto alla sua amicizia con Petrarca. Piuttosto però che pensare ad una conversione dell’autore, si deve ricordare che fin da giovane si è mosso tra i diversi modelli culturali. L’incontro con la cultura napoletana invece ha portato Boccaccio ad una letteratura mezzana, ovvero un misto tra la cultura alta e quella bassa, scritta per soddisfare la sete artistica di un pubblico nuovo, dove si sovrapponevano mercanti e aristocratici (il Decameron). La sperimentazione di Boccaccio è presente in quasi tutte le opere. Le due opere in prosa che precedono il Decameron sono decisive per la stesura dell’opera sono il Filoloco (romanzo in 5 libri con cornice e ambientazione napoletana, con tema l’amore che nasce dalla nobiltà dell’animo e non conosce vincoli, mentre l’adulterio è una condanna) e Elegia a Madonna fiammetta (lungo monologo di Fiammetta che racconta il suo amore per un mercante, con 9 capitoli e prologo. Prende ispirazione da Ovidio). Il Filostrato è essenziale perché grazie a questa viene affibbiata a Boccaccio l’uso dell’ottava rima come l’abbiamo trovata nei poemi cavallereschi. C’è una produzione anche in latino, che dimostra l’umanesimo di Boccaccio. Le opere in latino rientrano nell’esperienza di Boccaccio del riportare in vita modelli antichi e soprattutto ambiscono ad una sintesi capace di collegare mondo classico e tradizione biblica. Per questo, Boccaccio si impegna su due fonti di scrittura: le opere erudite e le raccolte narrative di impianto storico. APPROFONDIMENTO OPERE MINORI o Caccia di Diana = poemetto in endecasillabi diviso in 18 canti, che trasfigura la corte angioina in una cornice mitologico-allegorica. o Filostrato = primo poema della letteratura italiana in ottave, cioè strofe di otto endecasillabi, forma che Boccaccio aveva inventato ispirandosi alla letteratura francese e alla poesia popolare in forma orale. La storia è dedicata all’amore infelice di Troilo per Criseida, tratta da un episodio della guerra troiana. Si focalizza più sull’aspetto psicologico. o Filocolo = influenza francese e primo romanzo in prosa della letteratura italiana: narra l’amore di Florio e Biancifiore, due giovani vicini fin dalla nascita e allontanati per volere dei genitori di lui. Era un episodio abbastanza conosciuto, trasformato da Boccaccio in una vicenda allegorico-religiosa. o Teseida delle nozze d’Emilia = qui Boccaccio rivendica il primato di aver aperto anche al volgare toscano la via della narrativa epica, dedicata all’onore e alla guerra. È un poema in ottave di 12 libri dove le gesta di Teseo fanno da sfondo per la contesa amorosa tra Arcita e Palemone, innamorati di Emilia. È influenzato dalla cultura napoletana per i continui riferimenti al codice cortese: Boccaccio vuole declinare un genere alto (l’epica) in senso cortese e amoroso. o Elegia di Madonna Fiammetta = ispirato alle Heroides di Ovidio, è il primo romanzo in prosa di tutta la tradizione occidentale in cui la donna narra la propria storia in prima persona. Fiammetta esprime il suo dolore per essere stata tradita e abbandonata da Panfilo, tornato a Firenze. Percorre tutto il repertorio amoroso di matrice ovidiana e provenzale, accentuando la malinconia. o Comedia delle ninfe fiorentine = un prosimetro, ovvero un misto tra prosa e versi, in cui viene raccontato l’incontro tra il pastore Ameto con sette ninfe. Le virtù vengono raffigurate in chiave allegorica: le ninfe educano il protagonista, liberandolo dalla condizione bestiale fino a realizzarne a pieno l’umanità. o Amorosa visione = poema allegorico in terzine. o Ninfale fiesolano = poemetto pastorale in ottave dedicato alle origini di Firenze. o Bucolicum carmen = corrispondenza poetica in esametri latini esemplata sul modello delle egloghe di Dante. Reinterpreta il modello delle Bucoliche di Virgilio in chiave politica: i sedici carmina trascrivono in chiave allegorica la posizione di Boccaccio rispetto alle lotte di successione che agitavano Napoli. o Genealogie = trattato di mitologia in 15 libri dove la mitologia non è materiale da riciclare in chiave allegorica, ma portatore di valori morali e universali. Nel penultimo libro Boccaccio svolge una teoria del racconto con la quale illustra l’importanza della narrazione della vita umana, fatto che giustifica l’eccellenza del poeta e della sua funzione, a cui viene dedicato l’ultimo libro. o De Montibus = dizionario geografico basato su fonti sia classiche che medievali. o De casibus = nove libri dove vengono raccolti degli exempla di biografie di uomini illustri. o De mulieribus = ispirata a Petrarca e incentrata su 106 biografie di donne, da Eva alla regina Giovanna di Napoli. o Corbaccio = opera allegorica in prima persona dove il protagonista, disperato per l’amore non corrisposto di una vedova, invoca la morte. addormentatosi, il protagonista riceve in sogno l’apparizione del defunto marito della donna, che gli rivela di essere stato inviato da Dio per intercessione della Madonna, al fine di salvarlo dall’amore. Lo spirito lo rimprovera per essere caduto in quella passione, facendogli notare quanto sia disdicevole dedicarsi all’amore alla sua età, soprattutto dopo una vita di studi. È quindi un’invettiva sull’amore che risponde ai modelli medievali. DECAMERON (1349- 1351/53) È l’opera con la datazione più sicura, perché prima della peste non possiamo spingerci. Da Boccaccio in poi prende forma la novella* (NON è lui l’inventore). Boccaccio stesso sa di avere a che fare con un genere fluido e difficile da maneggiare in senso di etichette, e nel Proemio non dà un nome specifico alla tipologia di racconto: mette l’accento sul fatto che la novella contiene comunque qualcosa dei generi che l’hanno preceduta. *La novella è una narrazione breve generalmente in prosa con personaggi umani e contenuti verosimili, ma generalmente non storici, per lo più senza finalità morali o conclusioni moraleggianti. Le sue caratteristiche sono brevitas (massimo di efficacia narrativa con il minor numero di parole impiegate), delectatio (procura un piacere estetico assoluto, che non presuppone moralisatio, delle papere: differenziazione, dove l’autore prende distanza dai protagonisti, dicendo che la sua è più vasta e che le loro devono avere più rispetto. Filippo Balducci, fiorentino, morta la moglie e rimasto solo con il figlio, decide di allontanarsi sul monte Sinai e di dedicarsi solo a Dio, stessa missione che sarà del figlio (infatti non gli parla di cose mondane così che non possano distrarlo e lo tiene rinchiuso). A 18 anni, il figlio si propose di sostituirlo e andare in città al posto suo per l’elemosina. Filippo accetta, convinto che l’educazione che gli aveva impartito non lo avrebbe fatto cadere in tentazione, e insieme vanno in città. Il giovane comincia a fare domande al padre, curioso. Qui vede delle giovani donne appena uscite da un matrimonio (quindi più eleganti) e chiede al padre chi siano, ma questi gli dice di abbassare la testa e di non guardare, perché son causa di sofferenza. Alla richiesta di sapere il loro nome, il padre gli dice che si chiamano papere, perché credeva che cambiando il nome non ne sarebbe stato attirato. Il ragazzo però gli chiede di averne una, nonostante il cambio di nome e il ripetergli che sono “mala cosa”. Il figlio però gli dice che non ha mai visto qualcosa di così bello, paragonandoli agli angeli che il padre gli ha fatto vedere; qui comincia il comico, finendo nel doppio senso: dice che le avrebbe nutrite. Qui sta il cuore della difesa di Boccaccio: così come Filippo, anche gli accusatori devono rendersi conto che l’amore è naturale, innescato dalle donne. La novella si blocca qui, non sappiamo come finisce, questo perché è già presente lo scudo dell’autore. Boccaccio confessa che gli piacciono le donne e che cerca di compiacerle, non per istinti di natura erotica ma perché non si può fare a meno di farlo, vista la loro bellezza (come è successo al figlio di Filippo). Il fanciullino diventa un metro di paragone. Ricorre poi all’immagine del porro (visione abbastanza esplicita), per far riferimento al fatto che nonostante l’età l’uomo non perda l’attrazione per le donne (menziona anche Dante, Cavalcanti e Cino dicendo che anche loro hanno riconosciuto quanto l’amore sia degno d’onore nonostante l’età). Non si può passare tutto il tempo a scrivere poesia e non è da biasimare che l’allontanamento dalle Muse porti all’avvicinamento a qualcosa che gli somiglia (le donne). Anzi, le donne sono le vere ispiratrici. Poi, ribadisce l’autonomia della poesia, che di certo non dà il pane ma sono un tesoro più ricco del denaro, e che il profitto si può avere anche le favole. Quelli che si sono dedicati ai beni materiali, sono morti senza sbocciare: la letteratura dovrebbe essere per prima una passione, e poi una fonte di guadagno. L’importante è portare i frutti e far fiorire la propria epoca. Non prende sul serio l’ultima accusa perché ognuno ha il suo pensiero (lui come cattivo narratore). Le donne sono dalla sua parte. Chi asseconda l’amore segue un istinto naturale, che non si può contrastare (e che se si contrasta, provoca danno a chi ci prova). C’è poi l’introduzione alla quarta giornata, dedicata agli amori infelici (con riferimenti allo Stilnovo). QUARTA GIORNATA, NOVELLA I È una sorta di piccolo trattato sulle questioni della giornata (e dell’opera tutta, se si tratta di macro temi). Questa è la novella di Tancredi, Gismonda e Guiscardo è perfetta per rappresentare gli amori infelici e la novella delle papere raccontata da Boccaccio nell’introduzione vi si rispecchia. Più è importante la dimensione psicologica di un personaggio più è attenta la descrizione. Cercando sollievo, Filostrato decide di dedicare la giornata agli amori infelici, perché le storie altrui fanno provare compassione a chi racconta e chi ascolta. Incipit importante: Tancredi, principe di Salerno, vecchio e dotato di ingegno, si è sporcato le mani nel sangue amoroso e forse sarebbe stato più felice se non avesse avuto la sua unica figlia (paradosso: in realtà la ama moltissimo). Gismonda, per volere del padre, non si sposò subito (indicazioni sul matrimonio che ci aiuta a comprendere gli avvenimenti più tragici e le ragioni di Gismonda. Le donne nell’opera sono tutte dei “piccoli avvocati di se stessi”). Dopo il primo marito, rimane vedova, ma essendo ancora giovane è ancora interessata all’amore e, vedendo il padre temporeggiare, pensa di trovarsi un amante, uno dei sottoposti del padre, Guiscardo, nobile di mente ma non di rango (non può chiedere al padre di sposarsi per pudicizia). La donna, in sua difesa, spiegherà le ragioni del suo amore utilizzando tutti gli elementi descrittivi su cui Boccaccio mette l’accento all’inizio. Gismonda cerca un modo per confessarsi a lui (che la ricambia) e alla fine decide di scrivergli una lettera (tipico degli amori clandestini romanzeschi e cavallereschi), dandogli un pezzo di canna con questa incastonata all’interno, con la scusa di offrirgli qualcosa con cui la sua serva può accendere il fuoco. Nella lettera ci sono delle istruzioni precise per incontrarsi: c’è una grotta abbandonata e coperta dalla vegetazione, che porta ad una delle camere di Gismonda (chiuse da una porta) (riprende la camera della donna, già menzionata nel proemio, dicendo che è l’unico spazio in cui le donne possono stare da sole). Lei è consapevole che non deve farsi vedere. Guiscardo, vestito in modo per non farsi ferire dalle spine, la notte dopo decide di seguire il percorso da lei descritto. Tuttavia, la fortuna non è dalla loro parte. Il padre è autorizzato ad entrare nella camera, a volte per parlare con lei. Andato lì un giorno, vi si addormenta, coprendosi con le tende del letto, nascosto. A causa di ciò, Gismonda non farà caso al padre quando Guiscardo la raggiungerà, e il padre assisterà a tutto. Pensa di sgridarli subito, ma elabora un piano: si dimentica di tutto l’amore per la figlia, pensa solo all’onore. Guiscardo viene preso dagli uomini del re e portati al suo cospetto, si giustifica dicendo che non è stato lui a fare il torto, ma amore, che continua ad essere presentato come forza incontrollabile (la risposta di Gismonda sarà più loquace, le donne sono la parte intelligente della coppia) e viene imprigionato. Il giorno dopo, Gismonda e il padre si ritrovano come sempre nella sua camera, e qui Tancredi accusa la figlia (sempre in lacrime). Salta subito fuori la distanza sociale tra due amanti, che ritornerà spesso nelle novelle e già presente nella letteratura precedente. Tancredi ha già deciso di uccidere Guiscardo, ma non sa cosa fare della figlia, non sa se ascoltare l’amore per lei o lo sdegno per la sua follia. Gismonda mantiene la lucidità, non piange (a differenza del padre), difende la sua scelta senza ricorrere alle sue debolezze per ottenere il perdono. Ciò che l’ha portata a questo non è stata la sua fragilità femminile, ma il suo perdere tempo nel maritarla di nuovo e la virtù di lui. Il padre doveva aspettarselo in pratica. Gismonda ha provato a resistere, ma amen. Ha provato a non farlo vedere a nessuno. Dice che forse Tancredi si sarebbe arrabbiato meno se l’amante fosse stato nobile, ma lei ha deciso di andare oltre al rango. Tancredi se la sta prendendo con la fortuna (lol). La gentilezza lo distingue e chi non se ne rende conto sbaglia, tant’è che invita il padre ad esaminare tutti i suoi uomini e vedere che Guiscardo è il più nobile. Lei è fiera di quello che ha fatto e non le importa di morire. Se non la ammazza lui s’ammazza lei da sola (ed è quello che fa perché quando Tancredi ammazza Guiscardo, si suicida). Tancredi non crede che la figlia si suiciderà veramente e fa uccidere Guiscardo, facendosi portare il suo cuore in una coppa d’oro, mandandola alla figlia. Gismonda pensa che non meritava sepoltura più adatta, perché il suo cuore nobile merita di stare in una coppa d’oro; avvelena il sangue dell’amante, lo beve e si uccide. Tancredi si pente della sua crudeltà e li fa seppellire insieme. L’amore è naturale. Tutti gli amori infelici della quarta giornata finiscono male perché non legittimati dal matrimonio. È una forza irrefrenabile ma che può trovare il suo equilibrio solo all’interno di una cornice legittima. Boccaccio non vuole rilegare il sentimento amoroso, ma di fronte alla passione amorosa ci si dovrebbe fermare e si dovrebbero controllare i propri istinti (sono gli uomini a doverlo riconoscere) (ne saranno esempio la Marchesana del Monferrato, X-X e Ser Ciappelletto I-I). L’amore non deve essere contrastato, ma controllato, così che possa finire bene. Gli amori felici ci portano alla felicità d’amore, quelli infelici ci insegnano cosa non dobbiamo fare. CONCLUSIONE Spazio di autodifesa dalle critiche che potrebbe ricevere dalle lettrici. Prima di concludere l’opera, Boccaccio ritorna sulla questione di alcune cose, stavolta includendo le donne: si parte dall’accusa dell’opera di essere troppo licenziosa, dove il motto può scivolare nella volgarità. Questa licenza suona ancora più inadatta al pubblico a cui è dedicato. Il primo problema verrà risolto dall’autore nella difesa, l’altro mette in discussione la natura stessa del testo: è davvero un testo solo per donne? È ambiguo. C’è anche un’altra componente nel pubblico. Il testo è onesto, così come la brigata nei comportamenti. Nonostante i temi spinti, il testo rimane nei limiti. Il precetto e lo stile deve essere sempre adatto alla materia, l’opera mantiene perfettamente l’arte oratoria. Boccaccio ammette che forse ci sono parole più lascive che non potrebbero adattarsi bene ad una donna bigotta, che pesano più le parole che i fatti, quindi parte prevenuto e si difende in caso i lettori trovassero dell’erotico nell’opera. Erotismo totalmente naturale, perché dato da Dio persino ai santi: nessuno si stupisce quando un pittore rappresenta un tipo di rappresentazione erotica di cristo e della madonna, mentre se lo fa lui sulla gente normale si. Anche l’ambientazione ha la sua parte: le novelle non vengono narrate in chiesa o tra filosofi, ma in giardini, tra persone giovani ma mature, non pieghevoli (ovvero non confondono realtà e letteratura, benchè non la utilizzino come utile consiglio). Ciò giustifica anche la loro natura di puro diletto. Allusione alla seconda novella della nona giornata, dove una badessa viene beccata con un amante mentre le sorelle cercano di portarla da una suora e, quando la donna scappa, una delle sorelle per sbaglio si mette in testa le braghe dell’uomo. Tutte le cose possono essere positive o negative, dipende da come vengono impiegate. Il difetto non sta nella materia, ma nel modo in cui viene interpretata. Sono le menti corrotte che corrompono ciò che leggono. Persino le sacre scritture tante volte sono state usate male. Le novelle, se recepite con il giusto animo, gioveranno al lettore. Inoltre, Boccaccio precisa che le novelle non le ha scritte lui, ma sono state raccontate dalla brigata: anche però se fosse stato lui lo scrittore, non si vergognerebbe a scrivere anche novelle di tipo erotico; persino Dio non fa tutte le cose bellissime, perché è natura. Persino Carlo Magno non riuscì a creare un esercito con solo primi paladini. La rubrica è ciò che è scritto prima di ogni novella, dove viene esposta la materia, e chi la sente pungere troppo può saltarla. Invita inoltre chi è impegnato a non mettersi a leggere, neanche le novelle più brevi. È un testo che nasce per consolare le donne oziose, chiuse per ore nelle loro camere, dove il tempo diventa consolazione nella lettura. Chi è impegnato a studiare in altre città, non ha tempo e non potrà neanche capirne bene il senso. Queste cose non si addicono ad uno scrittore secondo le critiche. Il fatto che ci siano troppi motti potrebbe disturbare il lettore, ma Boccaccio precisa che anche nelle prediche vengono utilizzati, quindi non vede perché anche lui non dovrebbe inserirle. Quando un giudizio positivo è arrivato per la sua lingua, mancava poco perché portasse a termine l’opera, quindi lascia cadere la questione del linguaggio. Alla fine ringrazia Dio per avergli fatto concludere l’opera e saluta le lettrici, che le ringrazia a pari del Signore, e che spera abbiano tratto giovamento. INTRODUZIONE ALLA PRIMA GIORNATA Il testo, in tutti i modi, include l’immagine dell’autore, anche nella costruzione della cornice: prende la parola dichiarando che purtroppo deve iniziare da qualcosa di spiacevole, ovvero una lunga descrizione della peste nell’introduzione alla prima giornata. Anche qui si parte da un polo negativo dal quale la brigata prende le distanze e porta alla conclusione in un recupero di positività resa possibile dal novellare, che diventa difesa, farmaco, elemento di opposizione sul negativo. La cornice viene messa in scena per la prima volta, rendendo possibile tutta la narrazione successiva. Senza quest’introduzione tutte le altre parti non avrebbero senso. La novella che apre e quella che chiude rappresentano per bene il passaggio dall’estremo negativo all’estremo positivo (i personaggi che rappresentano il negativo e il positivo). NOVELLA 1 PRIMA GIORNATA Ambientato in Francia, Ser Cepparello viene mandato in Borgogna dal suo signore per riscuotere dei crediti. Qui, si ammala, e gli usurai hanno paura che muoia lì, perché conosciuto per avere tutti i mali. In realtà, mentre i due decidono sul da farsi, Cepparello li ascolta ed escogita un piano per girare la situazione a suo vantaggio. Si fa chiamare un frate confessore e Cepparello, confessando dei peccati minimi, gli fa credere che sia un santo e viene celebrato come santo nel momento della morte. Il protagonista incarna quindi l’estremo male ma anche il valore positivo dell’ingegno, seppur usato per fini negativi. NOVELLA 10 DECIMA GIORNATA Novella tradotta in latino da Petrarca, dandogli vita autonoma. Nella rubrica vengono inseriti tutti i torti che il marchese di Sanluzzo fa a Griselda, che sopporta con pazienza. Dioneo sceglie quasi sempre argomenti diversi da quelli magnanimi, anche se in questo caso sembra diverso: dichiara che non vuole allontanarsi dall’ambientazione che hanno scelto loro per le novelle. Il marchese,
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