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Vita e opere di Giovanni Pascoli, Sintesi del corso di Italiano

Vita, opere (con analisi), poetica di Giovanni pascoli

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 07/07/2023

LuciadiRonza
LuciadiRonza 🇮🇹

2 documenti

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Scarica Vita e opere di Giovanni Pascoli e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! Giovanni Pascoli (LA VITA) La giovinezza travagliata. Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a SanMauro di Romagna, da una famiglia della piccola borghesia rurale, una tipica famiglia patriarcale, molto numerosa: Giovanni era il quarto di ben dieci gli. La vita sostanzialmente serena di questo nucleo familiare viene però sconvolta da una tragedia: il 10 agosto 1867, il padre fu ucciso a fucilate, probabilmente da un rivale che aspirava a prendere il suo posto di amministratore. La morte del padre creò dicoltà economiche alla famiglia, che dovette lasciare la tenuta. Al primo lutto ne seguirono altri, morirono la madre e la sorella maggiore, dopo qualche anno il fratello Luigi e nel 1876 Giacomo. Sin dal 1862 ricevette una formazione classica presso il Collegio degli Scolopi ad Urbino, che però dovette lasciare per ristrettezze economiche. Grazie alla generosità di uno dei suoi professori, poté proseguire gli studi a Firenze e ricevette una borsa di studio presso l’Università di Bologna. In questi anni, Pascoli subì il fascino dell’ideologia socialista e partecipò a manifestazioni contro il governo, fu arrestato così nel 1879 e dovette trascorrere alcuni mesi in carcere. Questa esperienza determinò il suo denitivo distacco dalla politica militante. Nel 1882 iniziò la carriera di insegnante liceale a Massa, chiamando a vivere con sé le due sorelle Ida e Mariù, ricostruendo così idealmente quel nido familiare che i lutti avevano distrutto. Il nido familiare. La chiusura gelosa nel nido familiare rivelano la fragilità della struttura psicologica del poeta, il quale cerca entro le pareti del “nido” la protezione da un mondo esterno, quello degli adulti, che gli appare minaccioso ed irto di insidie. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, riproponendo il passato di lutti e dolori, inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri del nido. Questa serie di legami inibisce anche il rapporto con l’altro, non vi sono relazioni amorose nell’esperienza del poeta, che conduce una vita forzatamente casta. C’è in lui lo struggente desiderio di un vero “nido”, in cui esercitare un’autentica funzione di padre. ma il legame ossessivo con il nido infantile spezzato gli rende impossibile la realizzazione del sogno. La vita amorosa ai suoi occhi ha un fascino torbido, è qualcosa di proibito e di misterioso da contemplare da lontano. Le esigenze aettive del poeta sono interamente soddisfatte dal rapporto sublimato con le sorelle, che rivestono un’evidente funzione materna. Si può capire allora perché il matrimonio di Ida, fu sentito da Pascoli come un tradimento e determinò in lui una reazione spropositata, patologica, con vere manifestazioni depressive. Questa complessa e torbida situazione aettiva del poeta costituisce il punto d’avvio della sua esperienza fantastica, il materiale su cui egli lavora. Ed è una chiave necessaria per cogliere il carattere turbato, tormentato, morboso della poesia di Pascoli, carattere che si cela dietro l’apparenza dell’innocenza e del candore fanciulleschi. L’insegnamento universitario e la poesia.Nel 1895, dopo il matrimonio di Ida, Pascoli prese in atto una casa a Castelvecchio di Barga, dove trascorse con sua sorella Mariù lunghi periodi, lontano dalla vita cittadina che detestava, a contatto con il mondo della campagna che ai suoi occhi costituiva un Eden di serenità e pace. Una vita esteriormente serena, ma in realtà turbata nell’intimo da oscure angosce e paure, angosce per la presenza ossessiva della morte. Intanto, nel 1895, Pascoli aveva ottenuto la cattedra di Grammatica greca e latina all’Università di Bologna, poi a Messina e inne a Pisa. All’inizio degli anni novanta, aveva pubblicato una prima raccolta di liriche “Myricae”, poi negli anni seguenti diverse poesie in vari importanti riviste. Nel 1897 uscirono i Poemetti in seguito i Canti di Castelvecchio e nel 1904 i Poemi Conviviali. Dal 1892 per ben dodici anni vinse la medaglia d’oro al concorso di poesia latina ad Amsterdam, consacrandosi così anche squisito poeta latino, capace di dare forza espressiva originale e moderna alla lingua antica. Negli ultimi anni volle gareggiare con il maestro Carducci e con d'Annunzio nella funzione di poeta civile, vate dei destini della patria e celebratore delle sue glorie. Oltre che con le sue poesie Pascoli espletò questo suo compito con una serie di discorsi pubblici tra i quali è rimasto famoso La grande proletaria si è mossa, per celebrare la guerra coloniale in Libia. Il poeta era però ormai minato dal male, un cancro allo stomaco. Si trasferì a Bologna per le cure, ma si spense poco dopo, il 6 aprile 1912. LA VISIONE DEL MONDO La crisi della matrice positivistica. La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica così come gli ambienti accademici in cui operò di seguito. Nei suoi versi, egli usa la nomenclatura ornitologica e botanica, e di impianto positivistico sono spesso le fonti da cui trae le osservazioni sulla vita degli uccelli, cosi’ come da letture di testi di astronomia ispirati alle cognizioni scientiche del tempo scaturiscono i temi astrali. Ma in Pascoli si riette quella crisi della scienza che caratterizza la cultura di ne secolo e segna l’aermarsi di tendenze spiritualistiche e idealistiche. Anche in lui insorge una sducia nella scienza come strumento di conoscenza e ordinamento del mondo, dove al di là della scienza vi è l’ignoto, il mistero, verso cui l’anima si protende ansiosa. Il fascino su di lui esercitato dal cristianesimo non attinge mai la sfera teologica, della verità rivelata, ma resta nei limiti del messaggio di fraternità e mansuetudine evangelica. Il mondo, nella visione pascoliana, appare frantumato, disgregato. Le sue componenti, non si compongono mai in un disegno unitario e coerente, in obbedienza ai dettami della logica comune. Non esistono neppure gerarchie d’ordine fra gli oggetti: ciò che è piccolo si mescola a ciò che è grande, ciò che è grande può essere rimpicciolito, miniaturizzato, come se fosse visto con il cannocchiale alla rovescia. I Simboli. Gli oggetti materiali hanno un rilievo fortissimo nella poesia pascoliana. Anche la precisione botanica e ornitologica con cui Pascoli designa ori, piante, varietà di uccelli, pur cristianesimo primitivo, Pascoli traeva la concezione del valore morale della soerenza, che purica ed eleva: dolore e lacrime possono divenire un tesoro prezioso, le vittime del male del mondo sono per un certo verso delle creature privilegiate, perché la soerenza le rende moralmente superiori. Per questo, pur dinanzi ai soprusi e alle ingiustizie, non bisogna abbandonarsi agli odi, il dolore deve insegnare il perdono. La mitizzazione del piccolo proprietario rurale. Tali princìpi dovevano per lui valere anche nei rapporti fra le classi. Ogni classe doveva conservare la sua distinta sionomia, la sua collocazione nella scala sociale, ma doveva collaborare con tutte le altre, con amore fraterno e spirito di solidarietà. A questo ne era necessario evitare la bramosia di ascesa sociale, che poteva generare scontri e sopraazioni. Il segreto dell'armonia sociale consiste per Pascoli nel fatto che ciascuno si contenti di ciò che ha. Il suo ideale di vita si incarna nell'immagine del proprietario rurale, che coltiva personalmente la terra e guida con amorevole saggezza la sua famiglia. La proprietà è per il poeta un valore sacro e intangibile, la base indispensabile della dignità e della libertà dell'individuo, ma il poco è preferibile al molto, la felicità è possibile solo nella dimensione del piccolo podere. Pascoli mitizza così il mondo dei piccoli proprietari agricoli come mondo sereno e saggio, un mondo che in realtà stava ormai scomparendo, cancellato dai processi di concentrazione capitalistica. Pascoli lo sapeva bene, ma innalzava egualmente il suo inno a quella realtà che andava scomparendo, rifugiandosi nel sogno di un passato idealizzato e contrapponendolo ai processi moderni di sviluppo capitalistico, al trionfo della grande industria, che generavano in lui orrore e angoscia. Il nazionalismo. Il fondamento dell'ideologia di Pascoli è la celebrazione del nucleo familiare, che si raccoglie entro la piccola proprietà, cementato dai legami di sangue, dagli aetti, dai dolori e dai kurri pazientemente sopportati. Ma questo senso geloso della proprietà, del nido chiuso ed esclusivo, si allarga, collocando qui le radici del nazionalismo pascoliano. Per questo egli sente con tanta partecipazione il dramma dell'emigrazione, l'italiano che è costretto a lasciare il suolo della patria è come colui che viene strappato dal nido, dove ci sono le radici più profonde del suo essere. La tragedia dell'emigrazione induce Pascoli far proprio un concetto corrente del nazionalismo italiano primo-novecentesco: esistono nazioni ricche e potenti "capitalistiche" e nazioni proletarie, di cui l'Italia, che non riesce a sfamare i suoi gli e deve esportare mano d'opera, essere schiavizzata e disprezzata. Per questo le nazioni proletarie hanno il diritto di cercare la soddisfazione dei loro bisogni, anche con la forza. Pascoli arriva dunque ad ammettere la legittimità delle guerre condotte dalle nazioni proletarie per le conquiste coloniali. Sulla base di tali principi, nel 1911 Pascoli celebra la guerra di Libia come un momento di riscatto della nazione italiana, che trova in essa la sua coesione spirituale, completando il processo risorgimentale, dando una coscienza nazionale alle sue plebi e attribuendo loro dignità civile attraverso il possesso della terra. In tal modo, Pascoli fonde insieme socialismo umanitario e nazionalismo colonialismo. Il cantore della vita comune. Si è sottolineato come la poesia pascoliana riveli una sensibilità squisitamente decadente. Tuttavia, nella sionomia intellettuale oltre che nella sua vita quotidiana, Pascoli è l'esatto contrario del poeta maledetto, che riuta radicalmente la normalità borghese e ostenta atteggiamenti provocatori. Nel suo vissuto, Pascoli incarna esemplarmente l'immagine dell'uomo comune, appagato della sua vita modesta, nella pace raccolta del nido ricostruito entro le mura della sua casa. Dal punto di vista letterario, l'immagine del poeta corrisponde perfettamente a quella dell'uomo: Pascoli si presenta programmaticamente come il cantiere della realtà comune e dei suoi valori. Una laute quantitativamente cospicua della sua poesia è destinata proprio alla funzione di proporre quella determinata visione della vita, è la celebrazione del piccolo proprietario rurale, pago del suo campeggio che gli garantisce non solo la sopravvivenza sica ma anche la dignità e la libertà. In questo ambito di poesia per così dire pedagogica rientra l'invito ad accontentarsi del poco, l'ideale utopistico di una società in cui ogni ceto viva entro i propri conni, senza conitti con le altre classi sociali. A questo lone della poesia pascoliana appartiene quindi anche la predicazione sociale e umanitaria, il sogno di un'umanità aratellata, che bella solidarietà trovi una consolazione al male di vivere. Da questo umanitarismo scaturisce poi una serie di temi collaterali, piccoli mendicanti, bimbi morti nel freddo e nella miseria, che rimandano alla tematica della letteratura umanitaria di ne ottocento. Questa predicazione si avvale anche di miti, impiegati per il loro valore suggestivo: il fanciullino che è al fondo di ognuno di noi, che rappresenta la nostra parte naturalmente ingenua e buona e può garantire la fraternità degli uomini, al di là degli odi e dei conitti violenti di interessi; il nido familiare caldo e protettivo, in cui i componenti si possono stringere per trovare il conforto e riparo dall'urto di una realtà esterna paurosa e minacciosa. Col nido si collega il motivo ricorrente del ritorno dei morti, che spesso accampano la loro spettrale presenza nei versi pascoliani. LE SOLUZIONI FORMALI Il modo nuovo di percepire il reale si traduce, nella poesia pascoliana, in soluzioni formali fortemente innovative, che aprono la strada alla poesia novecentesca. La sintassi. La sintassi di Pascoli è ben diversa da quella della tradizione poetica italiana, la coordinazione prevale sulla subordinazione, di modo che la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi, allineate senza rapporti gerarchici tra di loro, spesso collegate non da congiunzioni, ma per l'asindeto. Inoltre le frasi sono ellittiche, mancano del soggetto o del verbo, o assumono la forma dello stile nominale. La frantumazione pascoliana rivela il riuto di una sistemazione logica dell'esperienza. La sintassi pascoliana traduce perfettamente la visione fanciullesca, alogica che mira a rendere il mistero, e svaluta e scompone i rapporti gerarchici abituali, grande e piccolo, importante e meno importante, centrale e periferico. Gli oggetti più quotidiani e comuni visti attraverso quest'ottica presentano una sionomia stranita, appaiono come immersi in un'atmosfera visionaria o di un sogno. Non essendovi più gerarchie, nel mondo pascoliano si introduce un relativismo che non ha più punti di riferimento esterni oggettivi. Il lessico. Pascoli non usa un lessico "normale", egli mescola tra loro codici linguistici diversi, allinea anco a anco termini trattati da settori più disparati. Come il poeta vuole abolire la lotta fra le classi sociali, così vuole abolire la lotta fra le classi di oggetti e di parole. Troviamo quindi nei suoi testi termini preziosi e aulici, ma anche termini gergali e dialettali, in genere tratti dal linguaggio dei contadini della Garfagnana, un minuziosa, precisa terminologia botanica ed ornitologica, ad indicare le innite varietà d'alberi, o ancora parole provenienti da lingue straniere, come avviene in Italy, dove spesso ricorrono espressioni inglesi, oppure di quel curioso impasto che è proprio degli emigranti, un inglese italianizzato. Gli aspetti fonici. Grande rilievo hanno poi, nella poesia pascoliana, gli eetti fonici. Quelle che più colpiscono sono le forme, denite da Contini pregrammaticali, quelle espressioni che si situano al di sotto del livello strutturato della lingua e non rimandano ad un signicato concettuale, ma imitando direttamente l'oggetto. Sono in prevalenza riproduzioni onomatopeiche di versi di uccelli, suoni di campane, suoni che in Pascoli si caricano di più intenso valore simbolico. Queste onomatopee indicano un'esigenza di aderire immediatamente all'oggetto, di penetrare nella sua essenza segreta, in quella visione alogica del reale che è propria di tutta la poesia pascoliana. Al di là delle vere e proprie onomatopee, i suoni usati da Pascoli possiedono un valore fonosimbolico, tra i quali si crea una trama sotterranea di echi e rimandi. Questa trama viene a costituire la vera architettura interna del testo, a supplire l'assenza di strutture logico- sintattiche. Allo stesso ne concorrono altri procedimenti, sempre pertinenti alla sfera fonica, usati sistematicamente da Pascoli, quali assonanze ed allitterazioni. La metrica. La metrica pascoliana impiega i versi più consueti della poesia tradizionale italiana, endecasillabi, decasillabi, settenari..e gli schemi di rime e le strofe più usuali. Con il sapiente gioco degli accenti Pascoli sperimenta cadenze ritmiche inedite, con una varietà inesauribile di modulazioni. Anche il verso è di regola frantumato al suo interno, interrotto da numerose pause, segnate dall'interpunizione, da incisi, parentesi, punti di sospensione. La frantumazione del discorso è accentuata dal frequentissimo uso degli enjambements, che spezzano sintagmi strettamente uniti, quali soggetto-verbo, aggettivo-sostantivo. Le gure retoriche. Al livello delle gure retoriche, Pascoli usa largamente il linguaggio analogico. L'analogia pascoliana accosta in modo impensato e sorprendente due realtà tra loro limpida come una gemma, il sole luminoso, il profumo del biancospino…). Ma in realtà, il reale non è quello che appare, anzi, è sfuggente, la primavera è illusoria: gli albicocchi in ore, il profumo dei biancospini non sono veramente percepiti coi sensi, ma creati dall’immaginazione. Si conferma così subito come la poesia di Pascoli sia evocativa, suggestiva, illusionistica che rimanda sempre a un “di là” dalle cose. Apparentemente in contrasto con questo carattere illusionistico è la precisione della nomenclatura botanica, tipica della poesia pascoliana: il poeta non parla genericamente di alberi ma utilizza il nome preciso, come una sorta di formula magica che permette di andare oltre la supercie consueta degli oggetti, di cogliere l’essenza primigenia delle cose. Nella seconda strofa si inserisce una nuova dimensione: all’illusoria primavera subentra la reale stagione autunnale. I particolari individuati dall'occhio corrispondono a quelli creati dall'immaginazione, ma rovesciati di segno: il «pruno» non emana profumoma è secco, le piante non sono orite ma disegnano le nere trame dei loro rami nudi sul cielo sereno. Ma anche questo quadro di natura non è realistico; anche qui si sovrappone un'altra dimensione: dietro il paesaggio si disegna l'immagine simbolica della morte. Alla morte alludono i rami stecchiti come scheletri e il nero delle loro trame, che nega l'azzurro del cielo sereno, simbolo di vita, il cielo vuoto di voli d'uccelli, il terreno sterile e morto. Immagini di morte sono anche il silenzio che apre l'ultima strofa ed il rumore delle foglie secche che cadono. Ancora una volta si conferma come quella di Pascoli sia una poesia analogica, evocativa. Ad essa rispondono le scelte linguistiche, che giocano su segrete suggestioni. Così è per l'immagine del «cader fragile» delle foglie, che non è solo una gura retorica ornamentale e preziosa, un'ipallage: lo spostamento dell'aggettivo «fragile» dal suo termine proprio («foglie») ad uno contiguo, il verbo sostantivato «cader», è una vera e propria sinestesia. Così è per l'espressione «È l'estate, / fredda, dei morti» (vv. 11-12) propriamente è denibile come un ossimoro. Non a caso è posta in chiusura, a suggellare l'intero componimento, in contrapposizione alle immagini vitali e gioiose, ma puramente illusorie che lo aprivano. Novembre quindi dimostra come solo apparentemente la poesia di Myricae (e quella pascoliana in generale) sia poesia semplice, fatta di piccole cose osservate con occhio candido e ingenuo. Alla sensibilità complessa e tormentata risponde la struttura linguistica della poesia pascoliana, una struttura che innova profondamente la tradizione del linguaggio poetico italiano. Il tessuto connettivo della sintassi si frantuma, attraverso le continue ellissi dei verbi copulativi o l'uso dello stile nominale. La struttura sintattica è essenzialmente una struttura logica, fatta di precisi nessi e rapporti, tra soggetto, predicato e complementi.La sua frantumazione è dunque la negazione di ogni tessuto logico, la ricerca di un discorso alogico, fatto di lampi intuitivi, di illuminazioni momentanee, collegate tutt'al più da segrete analogie e corrispondenze. All'eetto contribuisce anche il fatto che il periodo e l'unità ritmica del verso sono continuamente spezzati da pause,questa frantumazione, impedendo la facile scorrevolezza del discorso, dà un senso di fatica angosciata e vale a rendere la conittualità tormentosa che si cela al fondo dell'anima pascoliana. Il lampo Fu composta negli anni 1892-93 e pubblicata nella terza edizione di Myricae. La poesia traccia con rapide notazioni lo scenario inquietante di un paesaggio colto nell'improvvisa e livida luce d'un lampo. Una visione istantanea, che rivela l'aspetto cupo del cielo e della terra turbati da un temporale notturno e lascia intravedere una casa bianca, che nella sua repentina apparizione e sparizione è paragonata al movimento altrettanto breve di un occhio che si spalanca sbigottito e subito si richiude nell'oscurità. A dierenza di altri componimenti di Myricae, qui le impressioni visive sono immediatamente connotate da un valore simbolico e dotate di una forte carica espressionistica: si noti la terra che all'improvviso chiarore del lampo appare <<ansante, livida, in sussulto» (v. 2), il cielo «ingombro, tragico, disfatto», la bianca casa paragonata all'occhio che si apre <<largo, esterrefatto>> per chiudersi subito dopo. I dati del reale diventano personicazioni di una realtà sconvolta da un dolore tragico. A rendere ragione di questa tensione esasperata è la genesi del componimento. Da una prefazione inedita alla terza edizione di Myricae apprendiamo che fu concepito come metafora degli ultimi momenti del padre morente. A questa tematica si lega l'immagine nale dell'occhio aperto e subito richiuso, che richiama l'ultimo sguardo di un moribondo. La connotazione espressionistica delle immagini trova corrispondenza nella costruzione stilistica. Nel primo verso il polisindeto dà un ritmo incalzante, aannoso; così gli aggettivi riferiti alla terra e al cielo, disposti simmetricamente in due serie ternarie e legati solo per asindeto. Nella stessa direzione vanno la ripetizione «bianca bianca», l'accostamento dei verbi tronchi in -i senza virgola intermedia. I CANTI DI CASTELVECCHIO I Canti di Castelvecchio sono deniti Myricae, quindi si propongono intenzionalmente di continuare la linea della raccolta. Anche qui ritornano immagini della vita di campagna, canti d’uccelli, alberi, ori, suoni di campane, e ricompare una misura più breve, lirica anziché narrativa. I componimenti si susseguono secondo un disegno segreto, che allude al succedersi delle stagioni. Ricorre con frequenza ossessiva, il motivo della tragedia familiare e dei cari morti e vi è anche un rimando continuo del paesaggio di Castelvecchio a quello antico dell’infanzia in Romagna, quasi ad istituire un legame ideale tra il nuovo nido, costruito dal poeta e quello spazzato via dalla tragedia. Non mancano però anche in questa raccolta i temi più inquietanti e morbosi, che danno corpo alle segrete ossessioni del poeta: l’eros, contemplato col turbamento del fanciullo per il quale il rapporto adulto è qualcosa di ignoto, aascinante e ripugnante insieme, e inne la morte, che a volte appare un rifugio dolce in cui sprofondare, come in una regressione del membro moderno. Il gelsomino notturno In questa poesia emerge uno dei temi cardine di Pascoli: il confronto tra la natura che lo circonda e ciò che prova. Già a partire dal titolo, questa poesia fa degli evidenti ma delicati riferimenti all’erotismo. Il poeta contempla la casa in cui l’amico si appresta a consumare la prima notte di nozze, e ill tema sessuale viene sviluppato grazie a una serie di immagini liberamente riprese dalla natura che in quel momento circonda il poeta. Così Pascoli fa riferimento ai ori notturni, i gelsomini, che hanno la precisa peculiarità di aprirsi al calare della notte per poi richiudersi con l’arrivo del sole, e alle farfalle crepuscolari. Seconda e terza strofa esprimono la tranquillità del momento in cui la giornata volge al termine e la sera sta arrivando, spezzata però dall’arrivo di qualcosa di misterioso che si sente nell’aria, come l’odore di fragole rosse. Questa è la sinestesia che Pascoli utilizza per alludere all’atto sessuale che il suo amico sta per compiere e che a lui, invece, è precluso e sconosciuto. In questo frangente Pascoli si sente come l’ape tardiva che, quando arriva, trova tutto l’alveare occupato; immediato arriva il parallelismo col cielo e con la costellazione delle Pleiadi. A questo punto lo sguardo del poeta osserva tristemente le luci nella casa che si accendono e si spengono nelle varie stanze, no ad arrivare in camera da letto, dove la luce del lume che lascia denitivamente spazio al buio della notte: la prima notte di nozze sta per essere consumata dagli sposi. Nell’ultima strofa la notte è passata, e la felicità nuova data dal matrimonio consumato - così come lo sono i petali del gelsomino - è giunta. Gli ultimi versi, legati a qualcosa da covare in un "urna molle e segreta" fanno riferimento anche a una futura gravidanza. Qui c’è il punto di massima sensazione di esclusione comunicata dal poeta e l’allusione più esplicita all’erotismo con l’urna molle e segreta del gelsomino. Particolarmente curati anche gli aspetti fonosimbolici e percettivi del componimento, con vocali aperte e chiuse che si alternano sapientemente, verbi che rimandano a sensazioni uditive (suoni di vario genere) e sensazioni visive (percezione di colori e luci) IL CONTESTO STORICO La situazione storica e sociale in Italia Industrializzazione, inurbamento, emigrazione. L'Italia ai primi del Novecento continua ad essere un paese prevalentemente agricolo ma cominciano ad aermarsi le strutture di un'economia più modernamente europea. Lo sviluppo industriale comporta la costituzione di un proletariato cittadino che soprattutto a Torino(dove viene fondata la Fiat) si avvia a diventare una forza sociale organizzata e consapevole. L'abbandono delle campagne e l'inurbamento costituiscono i primi segni di un'emigrazione interna, anche se i fenomeni più preoccupanti sono rappresentati dall'emigrazione oltre conne e dalla "questione meridionale". L'illusione di poter risolvere questi problemi alimenta nuovamente le spinte di una politica coloniale: ma la ogni spiegazione dell'opera d'arte legata agli schemi positivisti, come prodotto di circostanze sociali e ambientali, storiche e biograche. Da Francesco De Sanctis (il nostro più grande critico ottocentesco) riprendeva il concetto di "autonomia" dell'arte, rendendolo esclusivo e assoluto: la poesia veniva denita come intuizione pura, liricità ed espressione del sentimento.La teoria crociana sembrava confermare le nuove tendenze della letteratura, animate da un forte senso dell'originalità e insoerenti delle leggi imposte dalla tradizione. LE ISTITUZIONI CULTURALI L’intellettuale protagonista. Il clima di rinnovamento, che caratterizza la cultura italiana primonovecentesca, sembra orire nuove possibilità di intervento agli intellettuali che vedono nella cultura una possibilità di aermazione e di promozione sociale. Alla gura del letterato tradizionale, si sostituisce quella di chi ambisce a diventare un protagonista della vita nazionale, intervenendo sui più diversi aspetti della vita culturale e sociale. Questo bisogno di partecipazione induce gli intellettuali anche a fondare e pubblicare riviste. Il dibattito artistico-culturale si arricchisce all'improvviso di numerosi programmi, attraverso i quali la società colta italiana viene continuamente sollecitata a prendere posizione nel confronto-scontro tra innovatori e tradizionalisti. Il centro da cui si irradia questa vicenda è Firenze, dove nascono le più importanti riviste. Il distacco della cultura tradizionale: programmi e critica militante. Il riuto della tradizione e la volontà di innovazione spingono gli intellettuali a formulare numerosi programmi per precisare di fronte al pubblico le intenzioni e le nalità delle nuove proposte culturali. Particolarmente tti e importanti sono, ad esempio, i manifesti del Futurismo per la necessità di denire i termini di un distacco davvero totale e irriducibile rispetto alle posizioni del passato nei vari campi dell'arte, del costume e della società. Si approfondisce anche, di conseguenza, la frattura tra le nuove tendenze della cultura e il sapere istituzionale. La scienza positivistica resiste più a lungo nelle sedi dell'istruzione universitaria: anche nei decenni successivi, soprattutto a Torino, resta attiva e dominante la scuola del "metodo storico", con il suo organo prestigioso, il "Giornale storico della letteratura italiana”. L’editoria. L'innalzamento del livello medio di istruzione e l'aumento del numero di lettori determinano l'espansione di un'editoria di tipo popolare, rappresentata soprattutto dalla pubblicazione dei romanzi di consumo e dei romanzi d'appendice. D'altro lato l'industria editoriale tende ad anare la qualità del prodotto letterario con edizioni riccamente illustrate e decorate. Il maggiore editore italiano resta, a Milano, Emilio Treves, che pubblica, oltre agli stranieri, quasi tutti i più importanti scrittori italiani. Accanto all'editoria di mercato, cominciano ad aprirsi spazi signicativi, anche se più ristretti, per un'editoria legata alle nuove tendenze della cultura militante. Il giornalismo. Anche il giornalismo, oltre a migliorare e potenziare le strutture e i servizi dell'informazione, tende ad elevare la qualità del livello culturale. AMilano verso la ne del XIX secolo si aerma il "Corriere della Sera", il quotidiano della media e dell'alta borghesia che è già, all'inizio del Novecento, il più importante e autorevole giornale italiano. Dal "Corriere della Sera" derivano poi tre importanti riviste periodiche: "La Lettura" (1901), la "Domenica del Corriere" (1899), il "Corriere dei piccoli" (1909), destinato a un pubblico infantile . A tutte queste riviste collaborano ampiamente gli scrittori, con una produzione che, oltre a tradursi in una fonte di guadagno, aumenta la diusione e l'importanza della letteratura. anche come fatto di costume. Comincia a poco a poco a formarsi anche in Italia un concetto più moderno di pubblico, che condiziona le caratteristiche del mercato editoriale LA LINGUA Tra l'inizio del Novecento e la ne della Prima guerra mondiale (1918) continuano a operare i fattori che avevano contribuito all'unicazione linguistica del paese. La scuola. Durante l'età giolittiana, la scolarizzazione subisce un incremento, determinando un regresso dell'analfabetismo. Persistono dicoltà al diondersi dell'istruzione: scarsità di investimenti e quindi di mezzi per la scuola, larga evasione dell'obbligo scolastico, specie al Sud, dove i bambini vengono spesso avviati al lavoro precocemente. Tuttavia gli eetti di un'istruzione comunque più diusa cominciano a farsi sentire a livello linguistico, con un aumento del numero di persone in grado di usare più o meno correttamente la lingua nazionale oltre al loro dialetto anche se quest'ultimo resta predominante nella comunicazione familiare e quotidiana. Il decollo dell'industria è l'emigrazione. Alla possibilità di accedere alla lettura di giornali, libri divulgativi anche da parte dei ceti inferiori, e quindi alla diusione della lingua nazionale, dà un apporto decisivo il decollo dell'industrializzazione, che in Italia si verica nel primo decennio del Novecento. Grazie alla politica liberale di Giolitti si garantiscono ai lavoratori migliori salari, orari di lavoro meno pesanti, più solide garanzie, e tutto ciò contribuisce a un incremento della lettura tra gli operai (se si ha un po' più di denaro e un po' più di tempo libero è più facile procurarsi giornali e libri, e leggerli). Per questo le campagne restano maggiormente arretrate. L'espansione dell'industria determina il fenomeno delle migrazioni interne. Tanti contadini lasciano le campagne per trovare lavoro nelle industrie cittadine. Coloro che migrano nel nuovo ambiente per capire e farsi capire sono obbligati ad abbandonare il loro dialetto e ad acquisire quello cittadino o a usare l'italiano. Ma si vericano migrazioni anche dalle campagne del Sud alle città industriali del Nord, e gli emigranti, data la dierenza tra le loro parlate e quelle locali, sono costretti ad acquisire una minima conoscenza della lingua nazionale. Talora si ha il netto riuto del dialetto di origine, sentito come segno di inferiorità sociale, e si usa l'italiano come strumento di promozione e di integrazione. L'emigrazione si rivolge in misura massiccia anche all'estero. Questo fenomeno ha importanti riessi culturali e linguistici. Gli emigranti, venendo a contatto con realtà sociali ed economiche diverse, più avanzate, si rendono conto dell'importanza dell'istruzione, capiscono che devono mandare i gli a scuola, che saper leggere e scrivere è essenziale per poter difendere i propri diritti e i propri interessi. E dunque diventa essenziale saper intendere e parlare una lingua usata da tutti per arontare i meccanismi complicati della società moderna senza essere schiacciati. L'espansione della burocrazia e il commercio. Altro fattore di unicazione linguistica nell'Italia è la maggiore espansione della burocrazia. Gli eetti linguistici si riscontrano in primo luogo sui burocrati stessi, che a causa della centralizzazione amministrativa vengono spesso trasferiti lontano dal luogo d'origine. Per questo anch'essi, devono abbandonare il loro dialetto e usare l'italiano. Ma gli eetti si esercitano soprattutto sulla popolazione, perché la burocrazia penetra ormai capillarmente nella vita quotidiana dei cittadini (richieste di certicati, denunce alla polizia) in tutti questi casi è essenziale sapere l'italiano, per capire il linguaggio burocratico, per potersi spiegare e ottenere ciò che si vuole. Si viene a creare un vero e proprio linguaggio settoriale, che è stato denito "burocratese", un linguaggio dove non è la burocrazia a essere al servizio dei cittadini, ma i cittadini ad essere sudditi (e vittime) della burocrazia. Non bisogna poi dimenticare, tra i fattori unicanti, gli scambi commerciali. L'unicazione fece cadere ogni barriera e gli scambi poterono svilupparsi senza più ostacoli. Lo scambio di merci comportava rapporti tra persone di varie zone del paese. Anche questo ovviamente diede impulso all'uso della lingua nazionale. La vita militare. Il servizio militare è stato un altro fattore di omologazione linguistica. Proprio ai ni dell'unicazione nazionale, i giovani del Sud sono mandati nelle caserme del Nord, e viceversa. Così i ragazzi vengono a contatto con ambienti dal dialetto e dalla cultura diversi e devono abituarsi a parlare italiano. Spesso poi gli analfabeti trovano nel servizio militare l'occasione per compiere i primi studi. Determinante fu poi l'apporto della Grande guerra, in cui masse di individui provenienti da tutte le regioni d'Italia e dai ceti più vari si trovarono anco a anco nelle trincee e nei combattimenti. Questo, oltre a creare rapporti di solidarietà umana, contribuì alla conoscenza reciproca tra persone che venivano da culture diverse, ma anche da classi diverse. La nascita dell'italiano popolare. Tutti questi scambi, dovuti alle migrazioni, ai trasferimenti burocratici e al servizio militare fecero sì che espressioni e termini dialettali entrassero nell'italiano parlato. Si venne così a poco a poco a costruire un italiano popolare, diverso dalla lingua colta usata nelle scuole e nelle università. Nel 1912 pubblicò il Manifesto tecnico della letteratura futurista, in cui deniva i procedimenti della scrittura letteraria, essenzialmente alogica e analogica. I manifesti che seguirono via via confermano le doti migliori della scrittura, tagliente e sintetica, di Marinetti, che li trasformerà in un vero e proprio genere letterario, utilizzando le tecniche moderne della réclame, della diusione editoriale e della ricerca del consenso, ottenuto anche attraverso la provocazione e lo scandalo. Anche per merito di queste iniziative il Futurismo si diuse capillarmente in tutta la penisola, espandendosi poi in vari paesi europei, dove diede inizio ai movimenti d'avanguardia . L'ideologia dell'attivismo e del dinamismo, di tipo individualistico e antidemocratico, doveva condizionare le scelte politiche di Marinetti, che già nel 1909 aveva proclamato la guerra sola igiene del mondo» Dopo aver esaltato l'impresa libica (La battaglia di Tripoli, 1912) ed essere stato un acceso interventista, prese parte alla Prima guerra mondiale. Fu favorevole all'avvento del Fascismo, in cui si illuse di vedere realizzate le sue idee rivoluzionarie Finì invece per trasformarsi in un intellettuale di regime, tanto che venne nominato. nel 1929, accademico d'Italia. Era la smentita, in qualche modo clamorosa, delle premesse da cui era partita la sua operazione culturale. Morì nel 1944 a Bellagio, sotto la Repubblica di Salò, nell'ultima di quelle guerre in cui aveva ciecamente creduto. Le opere.Numerose le opere di Marinetti, che riguardano i più diversi generi letterari, pur tenendo conto della labilità delle distinzioni da lui stesso voluta. In poesia si può notare il passaggio dal simbolismo delle prime raccolte alla ricerca analogica e fonosimbolica di un poemetto come Zang tumb tuuum del 1914, con la trasformazione del verso libero nell'anarchia compositiva delle "parole in libertà", teorizzate nel manifesto del 1912. Più macchinosi i romanzi, in cui i signicati allegorici e simbolici coesistono con elementi narrativi più tradizionali: daMafarka il futurista, l'Alcova d'acciaio (1921), daGli indomabili (1922), a Spagna veloce e toro futurista (1931), in cui si avverte l'inusso della "scrittura automatica" dei surrealisti. Davvero decisivo il distacco dalla scrittura teatrale della tradi- zione, che fa di Marinetti - con la sua concezione di uno spettacolo analogico e sintetico- un punto di riferimento essenziale per il teatro d'avanguardia anche più recente Manifesto del futurismo. Il manifesto ha un signicato soprattutto ideologico, in quanto enuncia i principi fondamentali della rivoluzione futurista.I punti programmatici del Manifesto costituiscono la parte più celebre di maggior impatto del testo. Si richiama ancora una volta l’immagine del risveglio da un sonno mortifero che libera energie nuove, forti, giovani e vitali. La letteratura e l’arte del passato erano basate sui miti o sugli insegnamenti religiosi. I miti ci sono ancora ma sono nuovi, gli dei dell’antichità sono sostituiti dalla velocità, dalla macchina, dall’elettricità. I prodotti dell’industria non sono per i futuristi oggetti inanimati, anzi, ruggiscono come belve, vivono di vita propria. Queste macchine però non sono per tutti, solo alcuni, capaci, coraggiosi, irriverenti, possono mettersi al volante, controllare le macchine e diventare un tutt’uno con esse. Il poeta se è tale deve essere tra questi individui speciali. La poesia deve essere traboccante di energia, se il mondo corre deve correre anche lei, anche lei deve essere forte altrimenti si allontanerebbe dalla vita, non sarebbe vera. La velocità annienta le dimensioni di spazio e di tempo e la poesia deve fare altrettanto. La gloricazione della guerra è il passaggio più controverso, quello che mostra la maggiore ingenuità. Davvero i futuristi credono nella possibilità di un mondo nuovo, davvero sono convinti che l’uomo possa incidere sulla Storia e determinare il corso. La guerra è per loro uno strumento per la genesi di questo mondo nuovo. Questa convinzione li porterà ad arruolarsi volontari nella prima guerra mondiale: molti di loro moriranno, altri ne resteranno traumatizzati e delusi, Marinetti resterà coerente con le sue idee. Fortemente provocatorio anche il passaggio sulla distruzione dei musei e delle biblioteche, custodi della cultura del passato, al di là della violenza del linguaggio nessuna azione sarà in questo senso intrapresa dai futuristi. Molto discussa anche l’accusa al femminismo, un termine che però non aveva all’epoca la stessa accezione che ha per noi oggi. Quello che i futuristi contestano è la visione romantica della donna, come essere fragile, racchiuso in ruolo stereotipato, a riprova di questo è il fatto che il Futurismo è stato il primo dei movimenti del ‘900 ad accogliere le donne e che molte importanti poetesse e artiste vi hanno aderito. L’ultimo punto è un inno al lavoro e alla potenza delle masse, le altre forze vitali e creatrici che animano il nuovo secolo. Bombardamento. Gli aspetti graci. Il brano si propone di tradurre quell'ossessione della materia di cui Marinetti aveva parlato nel Manifesto tecnico della letteratura futurista. Gli eetti del bombardamento sono resi soprattutto attraverso signicanti onomatopeici, che, evidenziati rispetto al testo della composizione dal carattere in neretto, si propongono di ricreare, in modo sensibile, il suono dei rumori assordanti e dei bati. Tra parentesi, in maiuscoletto, sono contenute delle specie di didascalie, che forniscono indicazioni sulla velocità delle azioni e sui tempi di lettura, quasi si trattasse di uno spartito musicale (si veda anche il riferimento all'orchestra, r. 18); analoga è la funzione degli spazi bianchi tra le parole, che corrispondono alle pause e ai silenzi. Un altro elemento posto gracamente in rilievo, il termine vampe (r. 30-36), scritto in corsivo piccolo e dislocato su linee verticali diverse, allude verosimilmente alle immagini dei bagliori e dei fuochi che i colpi delle artiglierie accendono qua e là. Le onomatopee in corpo tondo minore si riferiscono ai rumori della natura, schiacciati e sommersi dal frastuono assordante. Gli aspetti linguistici. Per quanto riguarda le parole scritte in caratteri normali, si possono notare alcune delle caratteristiche che Marinetti aveva teorizzato nel suoManifesto: l'uso del verbo all'innito, che suggerisce l'idea della continuità e della durata: la presenza di termini con forte rilievo segnico e valenza onomatopeica, accentuata dalla moltiplicazione di vocali e consonanti (ad esempio, sbatacchiare come piatti d'ottones, r. 26), che amplicano la forza e la durata dei suoni. Si veda anche il cumulo degli avverbi di luogo (su giù là là intorno in alto, 1. 29), che accentuano il senso del movimento spaziale. Lo sforzo è quello di rendere il dinamismo della materia e la simultaneità delle sensazioni, trasferendole sul piano acustico e visivo, in cui i vari elementi tendono a mescolarsi e a compenetranti.
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