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Vita e poetica di Giovanni Verga, Appunti di Italiano

La vita e la poetica di Giovanni Verga, uno dei maggiori esponenti del verismo italiano. Si descrivono le tappe della sua formazione letteraria, le opere più importanti e la sua teoria dell'impersonalità. Il testo è utile per comprendere il contesto storico e culturale dell'epoca e per approfondire la figura di Verga e il suo stile narrativo.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 14/07/2022

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edoardo-bolzoni 🇮🇹

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147 documenti

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Scarica Vita e poetica di Giovanni Verga e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! VERGA (1840-1922) VITA DI VERGA • Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840 in una famiglia nobile. Studia da maestri privati e assorbe da Antonino Abbate il patriottismo e il gusto per il romanticismo (si nota nel suo primo romanzo). Non finì l’università perché preferì dedicarsi all’attività letteraria e al giornalismo. Infatti utilizzo i soldi che il padre gli aveva dato per gli studi per pubblicare un romanzo. Questa formazione irregolare determinò una fisionomia che si discosta dagli autori precedenti. • Si ispira soprattutto a scrittori francesi moderni. • Nel 1865 lascia Catania e si trasferisce a Firenze, che in quel periodo era capitale d’Italia • Nel 1872 si trasferisce a Milano e lì entra in contatto con la Scapigliatura. Pubblica anche alcuni romanzi legati al clima romantico: Eva, Nedda, Eros e Tigre reale. • Nel 1878 pubblica Rosso malpelo (troviamo il verismo) • Nel 1880 pubblica Vita dei campi • Nel 1881 pubblica i Malavoglia • Nel 1883 le Novelle rusticane • Nel 1884 mette in scena la Cavalleria rusticana • Nel 1890 pubblica le novelle di Vagabondaggio • Nel 1889 Mastro-don Gesualdo • Poi lavora assiduamente al terzo romanzo di un ciclo che ne doveva contenere cinque ma che non riuscì a finire (titolo: I Vinti). • Nel 1903 pubblica l’ultimo dramma “Dal tuo al mio” • Dopo quest’ultima pubblicazione si possono notare dei problemi economici dalle lettere che mostrano dell’arido. • Nel dopoguerra si schierò con i Nazionalisti ma rifiutò l’impegno politico. • A Firenze nel 1871 pubblica la Storia di una capinera: romanzo sentimentale, amore impossibile, monacazione forzata. • A Milano poi finisce Eva e in essa inserisce una polemica anti-capitalista (Scapigliatura) per una società che disprezza l’arte. • Alcuni esempi di realismo (Bohème artistico) sono Eros e Tigre reale, entrambi del 1875 • Ne l1878 pubblica un racconto che si discosta dalla sua narrativa precedente. Pubblica Rosso malpelo. In esso troviamo un linguaggio scabro e un cambio di temi: è la prima opera che testimonia la nuova maniera verista. • Nel 1874 pubblica il racconto Nedda che descriveva la vista misera di una contadina ma non rappresenta la svolta verista. Cambiano gli ambienti però i toni sentimentali e romantici rimangono. • Già dai tempi di Eva ed Eros, Verga si propone di raccontare il vero. • L’approdo al verismo è il frutto di una chiarizione progressiva con strumenti più maturi, come la concezione più naturalistica della realtà e non va inteso in senso monolitico: egli non vuole mai abbandonare gli ambienti dell’alta società per quelli poveri (vedi prefazione Malavoglia) POETICA DELL’IMPERSONALITÀ Nel 1879 pubblicando una novella intitolata “L’amante di Gramigna”, Verga in una lettera scritta ad un critico letterario Verga esponeva i suoi principi in termini di poetica e ciò lo disse anche in altre lettere, ad esempio quella a Luigi Capuana. Secondo la sua Visione “la rappresentazione artistica deve possedere l’efficacia dell’essere stato”, cioè essa deve dare e conferire al racconto la traccia, l’impronta di una cosa realmente accaduta, quindi deve dare l’0idea di una cosa realmente accaduta. Per fare questo deve riportare testimonianze concrete e umane. Deve anche essere racconto in modo tale da porre il lettore “faccia a faccia col fatto nudo e schietto”, cioè il lettore quando va a leggere una novella di verga deve avere l’impressione che quel tipo di racconto non deve essere passato attraverso la lente dello scrittore, cioè le sue riflessioni. Lo scrittore deve eclissarsi, egli non deve in alcun modo comparire nel racconto e nella narrazione, come invece avveniva nella narrativa tradizionale. Come dice Verga l’autore deve mettersi nella pelle dei suoi personaggi, deve vedere le cose coi loro occhi. Non deve comparire l’autore: in questo consiste il principio dell’impersonalità. La mano dell’autore deve rimanere invisibile nell’opera, che deve sembrare essersi fatta da sé, deve sorgere spontaneamente, come un fatto naturale, senza alcun punto di contatto con l’autore. Il lettore avrà l’impressione di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi e il lettore deve essere introdotto in mezzo agli avvenimenti senza che nessuno gli spieghi gli antefatti e tracci profili dei personaggi. All’inizio c’è sensazione di vertigine, poco dopo però i personaggi si fanno riconoscere. Solo così si può creare quella che Verga chiama “l’illusione concreta della realtà” cioè raccontare le cose così come sono senza che ci sia una minima traccia della presenza dell’autore. La teoria dell’impersonalità non può essere applicata all’arte in generale secondo Verga, bensì dice che può essere il legame tra l’autore ed altre opere (ad esempio Croce sbagliò ad applicare questo concetto alla sua filosofia). Per Verga è un procedimento tecnico solo suo, è un modo per evitare determinati difetti artistici. Verga poi applica i principi della sua poetica a partire dal 1878, l’anno in cui pubblica Rosso Malpelo. Questo è uno spartiacque. La tecnica narrativa consiste nell’eclissarsi del poeta. Egli si cala nei personaggi e vede le cose con i loro occhi. A raccontare non è più il narratore onnisciente tradizionale (ad esempio quello che troviamo in Manzoni o in Walter Scott). Il punto di vista dello scrittore in Verga non si avverte mai a partire dal 1878. La voce narrante ha lo stesso livello dei personaggi. Non è poi qualche personaggio particolare a raccontare, no, il narratore si nasconde nei personaggi stessi, in virtù di ciò adotta il loro stesso modo di sentire e di pensare, quindi si rifà anche ai loro principi morali, usa quindi lo stesso modo di esprimersi dei personaggi, quindi il narratore si mimetizza in tutti i personaggi. Come se fosse una voce fuori campo che però resta anonima. Quindi non passa nulla attraverso la lente dello scrittore. Siccome chi narra si trova all’interno al piano della rappresentazione il lettore ha davvero l’impressione di trovarsi con quello che lui chiama “faccia a faccia col fatto nudo e schietto”, cioè proprio dove Verga voleva condurlo. I personaggi raccontati contadini, pescatori, minatori, il cui linguaggio risulta diverso alla visione e al linguaggio dello scrittore borghese. Questo si vede ad esempio in Rosso Malpelo. Questa novella è una svolta. “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi e aveva i capelli rossi perché era malizioso e cattivo”, il pensiero e la logica che sta dietro questa affermazione non è quello di un borghese che ha il modo di vedere più elevato, questo per dire che egli rileva una visione superstiziosa della realtà, una visione estranea alle categorie razionali. Queste righe dimostrano la logica non di un colto borghese, ma uno qualunque dei vari minatori. Questo narratore non informa in maniera esaudiente sul carattere e sulla storia dei personaggi (≠ Manzoni). Non offre poi dettagliate descrizioni dei luoghi dove si svolge l’azione. Inoltre non parla come se si rivolgesse ad un pubblico che appartiene allo stesso ambiente. Tenendo conto di tutto ciò all’inizio delle varie novelle il lettore si trova davanti dei personaggi di cui ha solo notizie parziali, non essenziali. A poco a poco però arriva a conoscerli attraverso la narrazione. Se la voce narrante commenta e giudica i fatti non lo fa certo secondo la visione colta del narratore, non lo fa perché è Verga a parlare, ma essa lo fa solo in base alla visione elementare e rozza del popolo che è talmente rozza che non riesce a cogliere quelle che sono le motivazioni psicologiche delle azioni umane e quindi deforma ogni fatto in base a i suoi principi interpretativi. Essi sono due: la legge dell’utile e la legge dell’interesse egoistico. stava lavorando anche lui ad un romanzo naturalista in quegli anni, chiamato Giacinta, che parlava di un caso di una malattia morale interiore, che uscirà 1879, e lo dedicherà a Zola. La nuova svolta verista viene inaugurata nel 1878 con Rosso Malpelo e viene continuata da Verga in una serie di racconti raccolti nel 1880 in un volume intitolato “Vita dei campi” (tra cui: Cavallerie rusticane, la lupa, Jeri il pastore, Fantasticheria, l’amante di gramigna, guerra di santi e pentolaccia). Anche in questi racconti spiccano personaggi della vita contadina siciliana e viene applicata la tecnica narrativa dell’impersonalità. Fantasticherai ha la forma di una lettera scritta dall’autore ad una dama, in cui rievoca un soggiorno in un paesino dei campi. In vita dei campi le novelle, accanto alla nuda essenziale rappresentazione veristica, ancora si trovano le tracce di un atteggiamento romantico, cioè di un vagheggiamento nostalgico, di un ambiente rurale visto come eden, innocenza o un mondo visto come folkloristico e lontano dalla realtà, esatto opposto della vita cittadina vuota e artificiosa. In queste novelle dietro la superficie della rappresentazione del mondo popolare si ritrova ancora un motivo ancora romantico, come ad esempio il contesto sociale lavorativo di un personaggio “diverso”, perché in questo periodo in Verga c’è ancora in atto una contraddizione tra le tendenze romantiche e le nuove tendenze veristiche, pessimistiche e materialistiche, che lo spigiono a studiare in maniera scientifica le leggi del meccanismo sociale, egli riconosce che il mondo rurale è guidate dalle stesse leggi della rotta della vita che dominano la vita cittadina (una soluzione che troverà nei Malavoglia). CICLO DEI VINTI È un ciclo di romanzi che riprende il Rougon-Macquart di Zola, e questa intenzione si trova in un lettera del 78 indirizzata a Salvatore Verdura in cui Verga annuncia di avere in mente una fantasmagoria della rotta per la vita che si estende dal cenciaiolo al ministro all’artista. Significa che lui vuole partire dalle basse sfere per studiare i meccanismi della rotta per la vita fino ad arrivare alle alte sfere dell’aristocrazia, dell’arte e della politica. A differenza di Zola però Verga non pone al centro l’intento politico. Verga vuole affermare la volontà di tracciare un quadro sociale e di delineare la fisionomia della vita italiana moderna passando in rassegna tutte le classi. Il criterio unificante di questo ciclo è sempre quello che sta alla base della sua visione del mondo: il principio della rotta per la sopravvivenza e per la vita. Sceglie come oggetto della sua narrazione i vinti, cioè coloro i quanti che nella rotta contro il più forte sono i più deboli, quelli destinati a soccombere, cioè coloro i quali piegano il capo sotto i piedi dei sopravvenienti. A questo ciclo viene premessa una prefazione che chiarisce gli intenti generali dello scrittore, questa prefazione è quella dei Malavoglia. Nel primo romanzo dice che “il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso alle sue sorgenti nelle proporzioni più modeste e materiali”, cioè la semplice rotta per i beni materiali, cioè in quelle basse sfere il meccanismo sociale è meno complicato e quindi potrà osservarsi con maggiore precisione. Nei romanzi successivi sarà analizzata questa ricerca del meglio, cioè l’analisi che riguarda questo ciclo comincerà a salire a livello di trattazione di meccanismi che stanno più su delle basse sfere, quindi si passerà ad esempio nell’avidità di ricchezza, poi alla vanità aristocratica, all’ambizione politica e nell’ambizione artistica. Dovevano essere 5 romanzi e ne scrive 2 completi, il terzo sarà appena abbozzato. Anche lo stile e il linguaggio man mano che si avanza man mano alle classi più elevati diventano anch’essi più elevati e ad ogni tappa devono avere un carattere proprio. A questo principio Verga si attiene in maniera coerente nei primi due romanzi (Malavoglia e Mastro Don Gesualdo), il narratore si adegua al linguaggio dell’ambiente popolare nei Malavoglia mentre in Don Gesualdo si adegua al raccontare i fatti in modo più elevato. Il primo paragrafo della prefazione è dedicato ai Malavoglia e indica con chiarezza quale sia il tema di fondo dell’opera: la rottura della pace di un mondo che fino ad ora era stato immobile e tradizionale (Acitrezza, in provincia di Catania), fino ad allora la famiglia era vissuta felice, ma questo equilibrio si interrompe quando intervengono alcune forze nuove nel romanzo, tra cui il bisogno di migliorare le proprie condizioni di vita. Qui troviamo il concetto molto importante della modernità. Al centro dell’attenzione poi viene posta “la fiumana del progresso”, cioè il processo di trasformazione della realtà contemporanea, in particolare dell’Italia che dopo l’unità si sta avviando ad un organizzazione capitalista. Questo Verga lo identifica negli appetiti, dai più elementari a quelli più complessi e raffinati (sempre salendo in maniera ascendente nella scala sociale), qui è evidente un’impostazione duramente materialistica. Tipico naturalistico è poi il fatto di vedere come un meccanismo i pensieri psicologici e filosofici delle basse sfere. Verga dice “perché l’analisi sia esatta e dimostri la verità occorre che la verità segua in maniera scrupolosa determinate norme e regole”, ora noi sappiamo che queste norme si incentrano su un principio: il principio dell’impersonalità e lo scrittore sottolinea che anche come la forma si strettamente inerente al soggetto, cioè la forma p un fattore indispensabile affinché l’osservazione sia esatta e raggiunga la realtà; questo dimostra quanto Verga fosse consapevole che per caratterizzare la nuova arte la condizione fondamentale dovesse essere la forma. Alla fine della prefazione aggiunge “ogni scena va rappresentata con i colori adatti”, cioè in ogni romanzo del ciclo è necessario usare una forma che risponda alle esigenze di esso. Il terzo paragrafo contiene le prese di posizione ideologiche rispetto alla “fiumana del progresso”. Verga non partecipa alla mitologia del progresso tipica della sua epoca, bensì egli esprime che uno dei principi fondamentali dell’economia borghese moderna (da Alan Smith) secondo cui l’individuo cercando di perseguire il suo interesse personale, inconsciamente procura del bene anche agli altri. Però Verga non è un sostenitore del progresso epico, bensì insiste sugli aspetti negativi di questa forma economica, che sono i “vizi” e il meschino degli interessi particolari. Verga nel cuore dell’opera non aggiunge gli aspetti epici trionfali del progresso, bensì sceglie di soffermarsi su quelli che lui chiama i “vinti”, cioè quelli che sono schiacciati dalle leggi dello sviluppo moderno, infatti i protagonisti dei 5 romanzi sono tutti vinti, destinati a soccombere. Questa è la chiave di interpretazione per capire l’atteggiamento di Verga nei confronti della realtà. In chiusura della prefazione c’è un’altra affermazione molto importante: “chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicare”, quindi questa frase rivela il profondo e assoluto pessimismo dello scrittore che da origine alla tecnica narrativa della regressione. MALAVOGLIA È un romanzo del 1881, solo tre anni dopo l’adesione al verismo. Tratta di una famiglia di pescatori siciliani, chiamata Toscano, che vengono chiamati malavoglia perché nell’uso popolare i soprannomi sono il contrario delle qualità di chi li porta. Questi conducono una vita felice e tranquilla. Fino al 1863 in cui la pecora nera della famiglia, ntoni, deve partire per la leva (poco dopo l’unione d’Italia, economia del sud basata sul latifondo e servivano molte braccia per lavorare la terra) del figlio maggiore. Cattiva annata per la pesca e la figlia maggiore ha bisogno della dote per sposarsi e quindi il nonno pensa di intraprendere un piccolo commercio: compra a credito un carico di frutti di mare con l’intenzione di rivenderlo ad un porto vicino e pignola la casa. Ma c’è un naufragio e muore il nonno oltre a perdere i lupini (frutti di mare). Da qui iniziano le sciagure perché la famiglia è in debito. Madre uccisa dal Colera, la nave naufraga un’altra volta e quindi i malavoglia sono costretti ad andare a lavorare. (altri componenti della famiglia muoiono). Ntoni non è più abituato a grandi sacrifici e inizia a frequentare pessime compagnie e arriva ad uccidere una guardia popolare. Al processo ottiene una condanna più tenue, Maria finisce in una casa …. Mena non può più sposarsi. Patriarca muore in ospedale e solo Alessi riesce a riscattarsi e continua il mestiere del nonno, nel mentre il fratello maggiore ntoni torna a casa dal carcere ma scappa perché non è più abituato alla vita del paesino e non della metropoli. Mondo rurale e arcaico, ritmi tradizionali. Visone della vita che si basava sui proverbi antichi popolari. Non è un mondo immobile e statico. Storia e la modernità sono la leva obbligatoria che mette in crisi la famiglia ed è da qui che inizia la vicenda a cui si aggiungono le tasse e la pesca. Sistema sociale del villaggio è articolato in molte classi, viene trasformato da movimenti dinamici esterni. I malavoglia sono costretti a diventare negozianti dopo essere stati pescatori per generazioni e subiscono una declassazione perché passano da avere una barca e una casa a nullatenenti. Ci sono anche momenti di ascesa che ricorre agli intrighi più sottili per ottenere posizioni agiate. Visone soggettiva che rende l’immagine, un’immagine statica ma la loro visone tradisce la realtà delle cose Personaggio ntoni che una volta uscito dal suo paesino si trova nella metropoli e una volta che ritorna non riesce ad adattarsi ai ritmi del paese e non li accetta. Emblematico il rapporto con il nonno che rappresenta lo spirito conservatore e una visione arcaica dei suoi valori. Famiglia si disgrega nemmeno l’attaccamento del nonno serve a preservare l’unità della famiglia anzi è proprio lui a rovinare la famiglia perché consente che la casa di famiglia venga pignolata e da la parola ad un usuraio. Alessi non porterà un ritorno alla condizione iniziale della famiglia all’inizio del libro, le ferite della famiglia solo immedicabili. Non si chiude con questa immagine il romanzo ma con la partenza di ntoni che torna in famiglia ed è un finale emblematico: toni si distacca per sempre dalla sua famiglia e il suo percorso sarà continuato da Don Gesualdo nel secondo romanzo. Sarà l’espressione più vera del suo dinamismo e non della cristallizzazione della società. Spesso interpretati come la ripresa nostalgica di una società contadina. Il romanzo rappresenta l’impossibilità di qui valori. Persisteva ancora una componente di nostalgia romantica per la campagna ma i malavoglia rappresentano la superazione di quei canoni in maniera amara. Era già dominato dalla stessa legge per la lotta della vita che regola la modernità e il progresso. La fisonomia del mondo popolare non è data solo dai protagonisti fedele ai valori puri ma anche e soprattutto dall’avarizia dell’usuraio e all’attaccamento alla proprietà o dall’avidismo, conismo. La vita popolare è vista nelle suo componenti vere e reali: l’idealizzazione investe solo in alcuni e particolare personaggi e non il mondo rurale nella sua integrità. Lo scrittore non rinuncia ad alcuni comportamenti privilegiando alcuni personaggi. Verhga sa che analizzando tutto sa che questi valori nei Malavoglia sono solo ideali, rappresenta il villaggio nei suio comportamenti più crudi. Spesso i Malavoglia sono stati Interpretati, in maniera erronea, come la celebrazione di un modo primordiale e dei suoi valori, come il lavoro e l’onore. Sono stati visti come alternativa e antidoto alla falsità della città metropolitana. Tuttavia il romanzo non è così, anzi rappresenta l’impossibilità di quei valori. C’era una nostalgia della vita della Campagna (cista come atteggiamenti veri in cui rifigurarsi), però i Malavoglia rappresentano il superamento irreversibile di quelle tendenze. La lucidità di Verga è già andata più avanti, una volta approdato al verismo, sa che quello è un mondo mitico he forse non è mai esistito, e quindi lunge da essere un mondo eden di innocenza e serenità, ma esso era già dominato al suo interno dalla legge per la rotta della vita da sempre. La fisionomia del mondo popolare è rappresentata dall’usuraio, dalla malignità pettegola, dall’aridissimo, dal cinismo ecc. La vita popolare da Verga è vista proprio in tutte le su componenti vere e reali, cioè significa che l’idealizzazione investe solo alcuni particolari personaggi ma l’idealizzazione non investe e non riguarda il mondo rurale nella sua totalità, quindi lo scrittor e per antonomasia di questa focalizzazione interna è una tecnica molta particolare: il discorso indiretto libero, tecnica narrativa mediante la quale sono riportati i pensieri del protagonista, una tecnica che nasceva e si diffondeva in quel periodo perché era il modulo narrativo che a partire da Madame Bovary diventerà il punto di riferimento per tutti i romanzi. Altra grande differenza rispetto al primo romanzo è che nel Gesualdo scompare, rispetto ai Malavoglia, la bipolarità, cioè i personaggi dai valori puri e ideali e i rappresentanti della legge per la rotta per la vita, cioè gli abitanti del Villagio: il conflitto non è più evidente ma esso è presente interiorizzato. Qui passa all’interno dell’animo del protagonista. Quest’uomo pur dedicato tutta la sua vita e tutte le sue energie alla conquista della roba, Egli conserva tutto sommato in se un bisogno di rapporti umani veri e di relazioni autentiche e sentite perché lui ha il culto della famiglia ,rispetta i fratelli, ama la moglie e la figliastra e a sua volte vorrebbe essere amato dagli altri, ma non arriva mai a praticare fino in fondo i valori che avevano portato avanti nel primo romanzi i Malavoglia, cioè Gesualdo non diventa mai un personaggio malavogliesco perché gli impulsi affettivi e questo bisogno di relazioni sono sempre soverchiati dal calcolo cinico, dal profitto, dall’interesse, dal gesto di scrupoli ecc. Questo lo porta ad essere disumano, come ad esempio quando sfrutta i propri lavoranti o come quando rinuncia a sposare Diodata, che lo amava veramente, per sposare Bianca. A negare i valori è proprio il personaggio che potrebbe essere degli stessi il portatore. Questo ci fa capire che è in Verga non vi è più alcuna tentazione vitalistica, cioè non può più introdurre nel quadro desolato questa realtà rappresentata dalla rotta della vita personaggi completamente positivi. L’unico modello di comportamento diviene quello della logica e del calcolo. I valori che c’erano nei malavoglia vengono respinti. Quegli ultimi sentimentalismi che si trovavano in vita dei Campi, che erano in parte presenti anche nei Malavoglia, qui sono totalmente scomparsi. Il suo pessimismo è diventato assoluto a tal punto che non gli consente di sottolineare nessuna soluzione rispetto a una realtà diventata dura e disumana. Il frutto della scelta di Gesualdo in favore del possesso della roba (termine dialettale che indica il possesso delle cose) è una totale sconfitta dal punto di vista umano. Gesualdo è amaramente deluso delle sue aspirazioni a rapporti umani autentiche perché il padre invida la sua immensa fortuna e nutre un profonde astio nei suoi confronti, tanto da voltare al figlio le spalle in punto di morte. I fratelli avevano l’unico obiettivo di depredarlo delle sue ricchezze. La figlia gli è estranea e si vergogna di lui anche in punto di morte. Anche i suoi figli naturali, avuti con Diodata, lo odiano, ma lo odiano anche tutti gli altri aitanti del paese. Quindi dalla sua rotta per la vita eroica ha ricavato solo odio, amarezza, profondo dolore. Per questo muore per problemi al fegato. Egli prende consapevolezza id questo totale fallimento del suo ambizioso piano di tutta la sua vita. Mazzarò però è diverso da questo: perché era un uomo completamente alienato dalla logica degli interessi. Il Russo, critico, disse che in Gesualdo al posto della celebrazione della famiglia qua c’è la celebrazione della religione della roba. Verga non celebra assolutamente questi atteggiamenti, anzi lo rappresenta in una luce fortemente critica e negativa. Verga non ha un atteggiamento moralistico univoco, anzi si colloca in modo problematico, cioè Verga riconosce quando vi è eroico e etico negli sforzi di Gesualdo. Nel mentre lo ammira Verga non muove mai un elogio, nonostante non scrive mai degli inni celebrativi nei confronti dell’accumulo capitalistico e nello sviluppo industriale, quindi nel mentre celebra la grandezza di Gesualdo, la Pars destruens (negativa) ci dice che l’unico sbocco è la morte. Verga ci dice che tutto questo ha come unico fine il totale fallimento. Gesualdo è un vincitore dal piano materiale ma sul piano esistenziale e umano è un vinto. La Pars costruens è il voler andare sempre al di la dei propri sforzi e il fatto che quest’uomo ha tutto dal punto di vista materiale della roba: la sua scala sociale è un’ascesi. Nel suo pessimismo Verga riconosce che il processo che porta alla modernità per un processo inevitabile e irreversibile quindi non indica alternative alla sua negatività. Colpito dalla malattia, Gesualdo si trasferisce a Palermo, dalla figlia e dal genero, palazzo nobile che pagava lui. Egli quindi passa gli ultimi giorni come un intruso. Dopo aver tentato in tutti i modi di non arrendersi al cancro irreversibile, ormai in preda ai rimorsi e alle nostalgie, muore solo, sotto lo sguardo sprezzato di un servo. Dalla focalizzazione interna con cui spiega la vita interna al palazzo, fa capire la sua ottica estranea da quel mondo, quindi consente a Verga di ergersi a giudice della realtà aristocratica e quindi di coglierne con straordinaria lucentezza gli aspetti negativi, quindi risaltano due concezioni del mondo completamente opposte, due modi di vivere incompatibili: Gesualdo giudica secondo i valori borghesi in un processo senza fine e ciò che la sua prospettiva mette impietosamente in luce nella vita aristocratica è la sterilità, lo sperpero senza fine dei beni senza alcun frutto, e ai suoi occhi che hanno lavorato per tutta la vita è qualcosa di sacrilego. E all’angoscia per lo spreco si unisce anche lo spreco del self-made man per il ceto dei servitori, che gli appare come una massa di parassiti che sperperano e che oziano. Questo ozio sono anch’essi proprio la negazione e la perfetta antitesi dell’ideale di lavoro accanito che caparbiamente e ostinatamente è indirizzato a un fine, cioè quello del borghese. Ma l’occhio acuto di Gesualdo coglie anche la falsità dell’autenticità di quel mondo e di suoi ideale basati su una recita di facciata composta di gesti formali. Un altro tema fondamentale, più soggettivo e intimo, è il rapporto di Gesualdo con la figliastra Isabella. Egli infatti ha il culto dei valori familiari e dei sentimenti autentici: amerebbe trovare nella figlia affetto e comprensione e vorrebbe entrare nell’animo della ragazza per alleviare le su pene; ma dinnanzi a sé trova un muro impenetrabile e invalicabile. Questo è proprio il segno del fallimento di chi pur credendo nella famiglia ha interiorizzato tutta la sua vita per la raccolta della roba, trascurando tutti quei buoni valori. Anzi Gesualdo ha anche condannato la figlia alla tristezza, obbligandola a sposarsi con il duca di Leyra, che gli ha assicurato il titolo nobiliare. Così nel distacco della figlia, Gesualdo finisce per raccogliere ciò che egli stesso ha seminato. Nell’ultima pagina il punto di vista muta e il protagonista è visto da una prospettiva estranea: questa svolta è un tocco geniale da grande narratore di Verga perché applicando la morte di Gesualdo all’occhio sprezzate di un servo cinico, Verga trova il modo più efficace per far sentire il fallimento umano di Gesualdo, che muore in totale solitudine, e anche per esprimere una visione del mondo della vita desolatamente e amaramente pessimistica, sulla possibilità cioè dei rapporti umani. Pur essendo Gesualdo materialmente un vincitore della rotta per la vita, capiamo però che in realtà è un vinto. Ciò significa che è vero che la sua figura è caratterizzata da questa dimensione epica, mitica e favolosa; ma questa scelta di vita ha portato al fallimento assoluto dal punto di vista morale e umano. Dalla conclusione del romanzo quindi è possibile notare il duplice atteggiamento di Gesualdo.
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