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VITTORIO ALFIERI: biografia e pensiero, Appunti di Lingue e letterature classiche

Descrizione della biografia, delle opere principali e del pensiero politco e letterario di Vittorio Alfieri. Indicato per le scuole superiori.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 21/04/2021

martina-barone-7
martina-barone-7 🇮🇹

4.6

(7)

25 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica VITTORIO ALFIERI: biografia e pensiero e più Appunti in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! ALFIERI Inaugura il pre-romanticismo, lui sta a cavallo tra l’illuminismo e il romanticismo. Egli è il poeta/scrittore di teatro (tragedie) che promuove la causa nazionale italiana. Scrive tragedie per soddisfare la sua passione poetica, segue la sua ispirazione, ( un altro scrittore di teatro era goldoni ma contrariamente ad Alfieri era un commediografo e lui scrive per vivere.) VITA Alfieri nacque ad Asti nel 1749. Asti durante il XVIII secolo era un'area culturale e politica marginale dell’Italia, un autogoverno (stato sabaudo, stato dei savoia), infatti si parlava il francese. Egli nasce in una famiglia nobile, quindi poteva godere dell'indipendenza economica, tuttavia egli non amava il suo essere nobile, perché ciò voleva dire dipendere da un tiranno, ed egli voleva essere completamente libero. All’età di 9 anni, nel 1757, fu mandato a seguire gli studi in un’accademia militare: la Reale accademia di Torino, dove rimase per dieci anni, ma dove, come affermato da lui stesso, là non apprenderà mai niente. Nel 1767 intraprende il cosiddetto Grand Tour, un tour per l’Europa che ogni ragazzo di origini benestanti intraprendeva finiti gli studi. L'uso dei viaggi, che solitamente si inseriva nello spirito cosmopolita tipico dell'illuminismo, con Alfieri assume un'altra connotazione, pertanto i viaggi non sono mossi dalla curiosità bensì da un irrequietezza continua che non gli consentiva di fermarsi, accompagnata da un senso di noia. Si delinea così l'animo tormentato di Alfieri e il suo sentimento di insoddisfazione che, interpreterà questa scontentezza come il bisogno di trovare un fine sublime intorno a cui ordinare tutta l'esistenza e l'irrequietezza come percezione del vuoto di una vita che non riesce a intravedere questo fine. Grazie ai viaggi poté accumulare una concreta esperienza delle condizioni politiche e sociali dell'Europa contemporanea. È l'Europa dell'assolutismo, in Alfieri la tirannide (monarchia) provoca reazioni negative, prova sdegno e disgusto nei confronti di tutto ciò che vede (parigi 'contegno giovesco' , vienna si indigna di Metastasio, berlino 'l Universal Caserma prussiana). Una reazione più positiva suscitano in lui paesi dove sussistono maggiori libertà civili come Olanda e Inghilterra. Dopo il Grand Tour, ritorna a Torino dove conobbe una donna: la marchesa Gabriella Turinetti di Priè, nasce un amore tra i due, ma nonostante ciò l’autore non volle mai sposarsi perché vedeva il matrimonio come un contratto, che andava dunque a limitare le sue libertà, egli infatti denominare questa relazione “tristo amore”. Tutto ciò lo annoia molto e l’unica cosa che lo fa sentire bene è la lettura, legge testi degli illuministi francesi e nel 1772 fondò, con degli amici, una società letteraria dove scrisse delle satire in francese, in cui prendeva in giro la società nobiliare ispirata ai modi di Voltaire, scrive inoltre un Journal dove si rispecchia il momento più acuto della sua crisi. Nel 1775 ha una conversione, si converte alla poesia tragica. In precedenza aveva abbozzato una tragedia 'Antonio e Cleopatra', rivedendola egli nota una somiglianza tra la sua storia amorosa con la marchesa e si rende conto di come l'unico mezzo per superare i propri tormenti sia proiettare i propri sentimenti nella poesia. Dello stesso anno è la prima stesura di altre due tragedie: Filippo e Polinice. Inizia la sua carriera da poeta tragico cioè scrittore di tragedie in versi, egli tuttavia vista la scarsa conoscenza a causa dei suoi studi non conosceva né l’italiano né le scritture antiche, decide dunque di dedicarsi allo studio della letteratura italiana e latina, e successivamente imparerà il greco. Tra il 1776 e il 1780 soggiornò in Toscana. A Firenze conosce Loise Stolberg, la contessa d'Albany, spostata già con un lord inglese, che lo fece ricredere nell’amore, trovò in lei il “degno amore” che, insieme alla poesia, danno un equilibrio alla vita. Nel 1778 per recidere ogni legame con il re di Sardegna, che era troppo oppressivo sulla nobiltà, rinuncia a tutti i suoi beni e li regala alla sorella per essere libero, mantenendo solo un piccolo vitalizio. Soggiornò a Parigi con la contessa, ma lo scoppio della rivoluzione lo induce a scrivere un'ode per la presa della Bastiglia che è intitolata “Parigi sbastigliato”. Tuttavia, ben presto gli sviluppi della rivoluzione suscitarono in lui un forte disgusto perché riteneva che quella fosse una falsa libertà che mascherava una nuova tirannide borghese, quindi tra il 1792 e il 1803 si stabilisce a Firenze in isolamento e solitudine perché sdegnato dalla l'invasione francese dell’Italia. Muore a Firenze l’8 ottobre 1803. I RAPPORTI CON L’ILLUMINISMO Le basi della formazione intellettuale di alfieri sono ancora decisamente illuministiche, gli autori che egli aveva letto nella sua giovinezza, Montesquieu Rousseau, Voltaire, lo influenzeranno anche in seguito nel suo orizzonte mentale. Tuttavia, nei confronti della cultura del 18 secolo, che tutto sommato resta sempre la sua cultura, provava una confusa insofferenza. Innanzitutto critica, alla cultura, il culto della scienza, il freddo razionalismo scientifico, i quali abbandonano il “forte sentire”, cioè quella forza emotiva e passionale in cui egli ritiene consista la vera essenza dell’uomo e spegne anche il fervore dell'immaginazione, da cui solo può nascere la poesia. L'illuminismo mirava ad una equilibrata regolamentazione razionale della vita passionale ed affida alla ragione un eliminabile funzione di guida e dimensione degli impulsi. Alfieri, invece, si ribella a questo controllo razionale ed esalta la passionalità sfrenata senza limiti. Inoltre l’illuminismo, si oppone anche alla religione tradizionale, Alfieri (pur non avendo una fede positiva) respinge tali posizioni ed è mosso da un fondamentale spirito religioso che si manifesta in un’oscura attenzione verso l’infinito. Mentre l’illuminismo è pervaso da un ottimismo fiducioso nelle sorti dell’uomo, la visione di Alfieri è pre romantica, movimento culturale che si svilupperà nell’800, in cui vi è una visione pessimistica dell’uomo, vittima dei suoi stessi impulsi e del destino. Egli, infatti, insiste invece sulla miseria e sull’impotenza umana Se il progresso scientifico non convince Alfieri, tantomeno lo alletta il progresso economico (cioè lo sviluppo delle attività produttive industriali e commerciali). Nel suo aristocratico rifiuto dello spirito borghese, egli vede nello sviluppo economico solo l’incentivo al moltiplicarsi di una massa di gente meschina e arida, incapace di comprendere alti ideali e forti passioni. Resta impassibile alla diffusione dei lumi, la trasformazione per lui può avvenire solo grazie alle passioni e all’entusiasmo; al contrario “i lumi” non hanno altro effetto che raffreddare gli animi e frenare l’azione. Di conseguenza non condivide altri temi centrali dell'illuminismo: al cosmopolitismo si contrappone l'isolamento e al filantropismo oppone il culto di un'umanità eroica, che spregia gli uomini comuni che compongono la maggioranza dell’umanità. TITANISMO E PESSIMISMO I titani erano giganti che avevano tentato di scalare l'olimpo (sede degli dei) ed erano stati sconfitti. Nel pensiero di Alfieri si scontrano due entità mitiche, entrambe proiezioni che nascono all'interno di Alfieri stesso: da un lato il bisogno di affermazione totale dell'io al di là di ogni limite, dall'altra la presenza di forze oscure che si oppongono a questa espansione distruggendola. Questo scontro titanico tra l'io e la realtà esterna collocano il poeta al di fuori della cultura razionalista dell'illuminismo, mentre si avvicina al romanticismo. Il limite con cui si scontra l'io non è solo esterno ma anche interno, il tiranno non è solo la trasfigurazione di una condizione oppressiva ma anche la proiezione di un limite che alfieri trova in se stesso e che rendono impossibile la grandezza. Al sogno titanico si accompagna sempre la consapevolezza pessimistica dell'insufficienza umana, ciò genera un senso di impotenza e sconfitta. Potremmo parlare dunque di titanismo alfieriano, ovvero una costante paura e angoscia di infinita libertà e grandezza che si scontra con tutto ciò che la limita e la ostacola. DEL PRINCIPE E DELLE LETTERE I 3 libri Del principe e delle lettere, trattano del rapporto tra lo scrittore e il potere assoluto. Mentre nella Tirannide Alfieri celebrava la superiorità dell’agire sullo scrivere, nel Del principe e delle lettere proclama la superiorità assoluta dello scrivere su ogni altra forma di attività. Il poeta-scrittore incarna l’ideale di un’assoluta indipendenza, diventa una specie di sacerdote, si sottrae ad ogni funzione sociale e si dedica esclusivamente alla poesia che è la suprema realizzazione dell’essenza umana. La letteratura non ha una funzione di insegnamento, come lo era per gli illuministi, ma di guida e profezia. Nella Tirannide lo scrittore scagliava una violenta critica contro l’aristocrazia e la casta sacerdotale considerate come i pilastri del dispotismo monarchico; ora invece esalta la naturale superiorità dei nobili la cui missione è farsi promotori di libertà e virtù, rivaluta anche la religione come fonte ispiratrice di magnanimità e di alto sentire. (l’intellettuale ha un ruolo che rifiuta il ruolo subordinato al potere (parini) o al mercato (goldoni). MISOGALLO Nel 1793 Alfieri compose il Misogallo, un'opera che mescola assieme prosa e versi (che letteralmente significa odiare i galli, cioè i francesi), quest’opera esprime un odio incontenibile verso la Francia, la rivoluzione, lo spirito borghese e i principi illuministici. Alfieri ritiene che i rivoluzionari borghesi contaminano con la loro bassa avidità di potere il vero ideale di libertà e che alla libertà vera (che è destinata a pochi privilegiati) ne sostituiscono una falsa, sotto cui si cela una tirannide peggio di quella monarchica. Alfieri difende i privilegi della casta nobiliare e respinge con sdegno ogni turbamento dell’ordine sociale (riserva solo ai nobili il pieno godimento dei diritti politici e l’esercizio del potere). Alfieri giunge persino a rivalutare la tirannide monarchica come male minore rispetto a quella borghese e plebea. Quest’odio contro la tirannide francese accentua il suo senso patriottico e lo porta ad auspicare che proprio l'avversione contro la Francia possa spingere il popolo italiano ad assumere una coscienza nazionale, tutto ciò conduce ad Alfieri a sperare che un giorno l’Italia risorga. Questa idea di nazione, in antitesi con il cosmopolitismo, è tipica del romanticismo. Il Misogallo è importante perché comincia a delinearsi in esso un evento culturale nuovo, l’idea di nazione. LA TRAGEDIA Alfieri scelse la forma tragica per per vari motivi. Egli aveva un culto smodato della propria personalità, lui scriveva tragedie perché i protagonisti di esse sono degli eroi sublimi, isolati nella loro grandezza, inoltre essa appariva il genere poetico più adatto ad esprimere il titanismo alfieriano, difatti egli nel costruire i suoi eroi figure monumentali dava sfogo alle sue aspirazioni, proietta se stesso. La tragedia era considerata il genere più alto, nel 700 esisteva una vera e propria gerarchia di generi letterari. Le tragedie per eccellenza si riteneva fossero state scritte dai francesi, Alfieri dato che non aveva in simpatia i francesi, voleva dimostrare che gli italiani fossero in grado di scrivere tragedie migliori. Alfieri si colloca in posizione polemica nei confronti della grande tragedia classica francese. Ai tragici francesi lo scrittore rimprovera a le eccessive lungaggini che rallentano l'azione e raffreddano l'interesse, Il patetismo sentimentale, gli espedienti dell'intreccio e l'andamento monotono. Secondo Alfieri alla base dell'ispirazione poetica deve esserci uno slancio passionale, quindi il calore di un contenuto sentimentale vissuto appieno. Tale meccanismo si manifesta nel dinamismo dell'azione e nell'attenzione che non viene mai interrotta da rallentamenti. Difatti il congegno drammatico deve abolire ogni elemento superfluo in modo da costituire un tutto unico e compatto dall'inizio alla fine. Inoltre i personaggi secondari devono essere evitati e bisogna concentrarsi solo su un numero limitato di personaggi principali. La rapidità della struttura si traduce anche nello stile che deve essere egualmente rapido e conciso, capace quindi di esprimere tutto il calore passionale della forma drammatica (le battute sono brevi). Infine lo stile tragico deve distinguersi nettamente da quello lirico e da quello epico uguali tendono al canto, mentre la tragedia esprime conflitti fra individualità e passioni quindi non può cantare. Pertanto Alfieri mira ad uno stile opposto a quello melodioso della tragedia francese e al fine di evitare la cantilena e gli punta sono stile duro e antimusicale. Gli strumenti che impiega tale fine sono: versi endecasillabi sciolti che portano alle continue variazioni di ritmo, la presenza continua di pause e di fratture e enjambement. ● trama chiara, densa e breve: pochi protagonisti, si svolgono in 24 ore e il luogo è sempre lo stesso, i protagonisti delle tragedie, a differenza delle commedie, erano ripresi dai miti, dalla storia e dalle sacre scritture. (testi alti) ● contenuto passionale, deve essere intenso. ● versi: endecasillabi sciolti, per eliminare il ritmo melodico delle tragedie francesi, c’era inoltre una ricerca di estrema concisione, cioè versi condensati e sintetici (spezza più battute in singoli versi). LA DISCIPLINA CLASSICA Alfieri mira sempre a disciplinare i suoi contenuti in forme classiche, a differenza dei contemporanei dello Sturm und Drang (goethe e Schiller) che si ispirano Shakespeare egli rispetta le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e d'azione. Il bisogno di disciplina si manifesta nel modo stesso di lavorare che è proprio di Alfieri. Nella vita egli spiega che le lavorazioni di ogni tragedia si articola in tre momenti fondamentali, tre respiri: - ideare: la prima fase consiste nell'ideare il soggetto della tragedia nel distribuirlo schematicamente in atti e in scene e anche nel fissare il numero dei personaggi - stendere: la seconda nello scrivere per interi dialoghi in prosa - verseggiare: stendere i dialoghi in versi Quindi da un lato Alfieri riprende la tradizione classica che vede la poesia come un fatto irrazionale dall'altro fa riferimento alla tradizione aristotelica che concepisce la poesia un controllo razionale dell'ispirazione. TEATRO possiamo notare come Alfieri non pensasse a scrivere testi destinati alla semplice lettura mentale ma le concepisce come autentici testi drammatici da recitarsi dinanzi ad un uditorio. Tuttavia non è di norma recitare le sue tragedie nei teatri pubblici e le destinò sulla rappresentazione privati tra gruppi di amici aristocratici. Questa scelta privata nasceva da un rifiuto del teatro contemporaneo ritenuto frivolo e degli attori dell'epoca giudicati del tutto incapaci di sostenere degnamente le parti di suoi eroi ed infine c'era anche un disprezzo verso il pubblico. D'altronde egli scriveva tragedie anche al fine di escludere il pubblico borghese che affollava i teatri per vedere le commedie. questa degradazione del teatro egli la collega con i presente i regimi tirannici affermando che un teatro degno di questo nome può vivere solo in un regime libero. LE SATIRE E LE COMMEDIE L’aspra polemica contro la realtà contemporanea compare anche nelle Satire scritte in terzine tra il 1786 e il 1797 con l’impiego di una forma aspra, dura e anche bizzarra. Nei Grandi il poeta riprende la polemica anti aristocratica, ma la indirizza solo su aspetti marginali, la frivolezza e l’ozio; ribadisce la supremazia della classe nobiliare e la sua funzione di guida all’interno della società. La plebe e La sesquiplebe (borghesia una volta e mezzo) sono denunce durissime contro la “gente nuova”, la borghesia emergente, a cui Alfieri non riconosce alcun diritto se non quello di restare al proprio posto ed obbedire. Questa polemica aggredisce anche i principi fondamentali della cultura illuministica: nella Antireligioneria il poeta difende la religione contro la critica mossa da Voltaire, affermando la necessaria funzione consolatrice delle credenze religiose nella vita dell’uomo e la loro importanza nella conservazione dell’ordine sociale. Nel Commercio scaglia una violenta denuncia contro lo spirito mercantile. Insomma nelle Satire si manifesta la radicale opposizione di Alfieri allo spirito del secolo in cui vive. La delusione dei suoi ideali si esprimono ancora di più all’interno delle 6 Commedie, all’interno delle quali si assiste al rovesciamento totale dell’antico ideale eroico, poiché
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