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Vittorio Alfieri e la "Mirra", Schemi e mappe concettuali di Letteratura Italiana

Vittorio Alfieri e la "Mirra": analisi dell'opera secondo il testo "Di te pensando,/a palpitar mi sveglio"

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 07/06/2024

emmanuela-molinaro
emmanuela-molinaro 🇮🇹

5

(1)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Vittorio Alfieri e la "Mirra" e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Vittorio Alfieri [Asti, gennaio 1749-Firenze,1803] Nel ‘700 Alfieri (1749-1803 Firenze) riprende e rinnova la tragedia, così come Goldoni avrebbe rinnovato la commedia. La forma della tragedia si afferma con vigore a partire dal ‘500 e attinge a fonti mitologiche, storiche, bibliche, letterarie. Egli ha in sé l’essenza dello spirito del secolo ‘700 e, con piena consapevolezza autoriale tipica degli intellettuali del secolo-, sperimenta: § l’autobiografia con “La Vita” = scritta nel 1790 poi pubblicata postuma mel 1806; § la trattativa con la “Della Tirannide” nella quale si afferma la lotta del tiranno e la ricerca della libertà a costo della propria vita = scritta nel 1777 § il dialogo con “La virtù sconosciuta” 1786 in cui dialoga con l’amico scomparso Francesco sul tema della memoria e della gloria che ricorda “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” 1798 di Foscolo (Ortis -infatti- muore come un eroe tragico alfieriano); § l’epistolografia: lettere con un tale valore letterario che meritano di essere studiate. § il sonetto. Nel sonetto intitolato “Rime” del 9 giugno 1786 è un autoritratto in versi che inaugura un costume ovvero quello del componimento autodescrittivo, infatti, Alfieri si presentando delineando sia i suoi aspetti fisici che dell’animo. à “Rime” componimenti tra 1776-1788. ´ 1776-1786: compone 19 tragedie in endecasillabi sciolti. ´ Le sue prime prove letterarie sono in francese, lingua privilegiata dalla nobiltà sabauda, ma è in italiano la sua prima tragedia, Antonio e Cleopatra (rappresentata a Torino nel giugno del 1775) e giudicata di irrimediabile acerbità. L’obiettivo è di rinsaldare le basi della propria cultura letteraria; quindi, di acquisire una maggiore competenza della lingua italiana, che lo spinge a «disfranciosarsi» (eliminare i francesismi), infatti si applica, nello studio dei classici latini e italiano, approfondendo la grammatica. ´ Anima protoromantica: assetato di alte imprese, superba e indomita volontà, insofferenza verso ogni forma di servitù, insieme a una profonda malinconia e a un senso di vuoto e di solitudine. ´ Perché la tragedia? È la forma più adatta a rappresentare la sua concezione della vita, basata sullo scontro tra oppressi e oppressori, tra uomini eroici e tiranni. La sua libertà non va intesa tanto in senso politico, quanto piuttosto in senso esistenziale. ´ Innovazioni: Alfieri elimina i personaggi e le scene secondarie e concentra l’azione attorno ai personaggi principali. Secondo le sue stesse parole, la tragedia deve essere «di cinque atti, pieni, per quanto il soggetto dà, del solo soggetto; dialogizzata dai soli personaggi attori; di un solo filo ordita; rapida per quanto si può servendo alle passioni, semplice per quanto uso d’arte il comporta, tetra e feroce per quanto la natura lo soffra, calda quanto era in lui». Alfieri rimane con i cinque atti ma elimina il coro (ristabilito poi con Manzoni e le sue tragedie= coro come cantuccio in cui l’autore può dare il proprio messaggio morale). Il coro è eliminato perché egli ha urgenza della verosimiglianza in quanto il coro interrompe la partecipazione del pubblico o del lettore; lo elimina per rendere più dinamica e veloce l’azione in quanto i personaggi sono ridimensionatià l’obiettivo è trasmettere un messaggio. Interveniva sul testo per rendere efficace ed empatico la tragedia. ´ Endecasillabo di Alfieri: priva l’endecasillabo sciolto di qualsiasi musicalità e armonia. I suoi versi sono duri, franti, spezzati in modo da esprimere i sentimenti concitati e violenti e i contrasti dei suoi personaggi. Il verso è l’endecasillabo (verso che si costruisce di undici sillabe e di cui la decima è accentuata) che utilizza in maniera moderna; è molto spezzato e frantumato in più protagonisti. Endecasillabo moderno perché protagonisti moderno che utilizzano la frantumazione con lunghi silenzi volti ad indicare stati d’animo. ´ Moltissima importanza ha la ‘giacitura’ delle parole, cioè la loro posizione all’interno del verso. ´ Pubblico: Non è interessato al pubblico borghese che cerca evasione e divertimento, ma s’indirizza a un pubblico aristocratico, di persone colte capaci di immedesimarsi con le idealità virtuose e con il ritmo intenso portato in scena. ´ Tre momenti di scrittura: ideare, stendere, verseggiare: i tre respiri, essenza delle sue opere teatrali e che si rintracciano nella sua stessa vita in tre momenti precisi: • Ideare à 1784: avere un’idea/folgorazione, cercare la storia (e tutte le fonti possibili) da raccontare e da portare in scena; • Stendere à 1785: nello stendere in prosa, dopo aver trovato la storia e le fonti, egli dice di scrivere tutto e di non lasciare nulla, tutti i particolari; • Verseggiare à 1787: in cui va fatto il lavoro di pulizia, eliminando ciò che è superfluo, dando vita alla tragedia. Letteratura che tiene conto di alcune categorie rintracciate all’interno dell’indice: Spazio poematico (in relazione alle scritture) e drammatico: lo spazio, attraverso la lettura di Alfieri, è un elemento importante e paradigmatico per entrare nell’opera letteraria. Alfieri con la tragedia “La Mirra” porta con sé un collegamento con il 1500, secolo in cui la forma tragica si afferma (il discorso di genere è ormai superato ad oggi e infatti avendo capito il canone letterario possiamo parlare di forme). È il ‘500 in cui si ha la maggior parte delle opere teatrali che attingono a fonti disparate, da quelle mitologiche, letterarie, bibliche a quelle storiche (mitologiche con Alfieri)à il Soul, tragedia del conflitto interiore, va in dittico con La Mirra e attinge qui alla fonte biblica. Il ‘500 dà avvio anche alla Commedia in quanto è il secolo in cui i generi vengono normati e codificati. Per comprendere la tragedia di Alfieri bisogna capire tutta la tradizione tragediografa, che parte dal ‘600, con cui egli vi dialoga rinnovando la tragedia del ‘700 così come Goldoni rinnova il genere della Commedia. Questo secolo del ‘700 è di grande sperimentazione e innovazione, seppur poco studiato e amato, è il secolo della tolleranza, della democrazia, delle lingue, delle rivoluzioni, delle conoscenze, dei lumi, dell’emancipazioneà un contesto a livello filosofico e culturale di avanzamento, emancipazione e innovazione. Alfieri è un personaggio rappresentativo del secondo decimo ottavo in quanto è un eclettico, politico, esperimentatore, intellettuale che sperimenta le forme di scrittura del ‘700 come l’autobiografia (scrive la vita per la prima volta nel ‘700), secolo della trattatistica politica come quello di Alfieri sulla tirannide, gettando così le basi della democrazia. Questo quadro, in realtà, getterà le basi anche per lo sfondo politico e di libertà delle sue tragedie: lotta al tiranno e per la libertà anche a costo di perdere la propria vita. È il secolo del dialogo come forma ma anche il secolo del tramonto del dialogo. «La virtù sconosciuta» è un sintagma che lega Alfieri a Foscolo con Le ultime lettere di Jacopo Ortis, infatti, non si possono leggere quest’ultime senza tener conto di Alfieri ma anche Parini (protagonista del romanzo). Nell’analisi delle forme letterarie è importante muoversi in avanti e indietro nel tempo per poter capire il senso e il messaggio dell’opera letteraria. Alfieri conclude la sua carriera con una commedia di satira morale “Il Divorzio” 1800 ; sperimenta anche sul tavolo della rima; scrive anche autoritratti (forma che all’interno del sonetto fiorisce proprio in questi anni) = fare propaganda di sé descrivendo i propri tratti con cui volersi mostrare al pubblico, che quindi bisogna scegliere à Alfieri ha tutti gli elementi di innovatività del secondo decimo ottavo. La Mirra, tragedia alfieriana, perché? Protagonista femminile che viene dal mito in quanto la fonte della tragedia è mitologica à Alfieri legge le Metamorfosi ovidiane e quando arriverà a leggere la vicenda della Mirra inizia anche a scrivere il parere della/e tragedie che accompagna il testo poetico dando ragione alla nascita di quella tragedia = intellettuali che hanno consapevolezza autoriale che porta alla riforma del dialogo. Goldoni, con questa consapevolezza autoriale, non lascia più a caso l’interpretazione dei personaggi o i modi della commedia dell’arte ma appunto scrive un canovaccio dando vita alla tradizione scritta legata alla commedia; dà quindi vita alla testualità. àrivoluzione per il teatro comico che non aveva una tradizione scritta. Il ‘700 è anche il secolo dell’epistolografia ma in un senso differente: le epistole hanno un tale valore letterario nel momento in cui vengono raccolte così come quel romanzo epistolare di Foscolo, comprendendo così quanto sia importante la tradizione epistolare che viene racchiusa in un romanzo. Gli studi fatti sull’Ortis hanno dimostrato che molte lettere che scrive tragediabile in quanto non riscontrava un valore pedagogico à la storia raccontata è quella di un incesto poiché la giovane Mirra era innamorata del padre Cirino, un amore che la consuma riuscendo a congiungersi con il padre, aiutata dalla nutrice. Anche la discordia mentis della fragile Mirra, rappresentata da Ovidio, era in perfetta sintonia con il suo modo di intendere il conflitto tragico. «Dira canam» = “canterò cose orribili” à INCIPIT in cui si incontra subito la preoccupazione del poeta Ovidio – poi condivisa da Alfieri nel Parere – nel raccontare e far ascoltare una vicenda dominata da: • «tantum nefas» = “tanto orrore” • «maius scelus» = “maggior delitto” dell’amor incestuoso. Ciniro: • liberalitas che lascia alla figlia nello scegliere tra i suoi pretendenti lo sposo; • pius e memor moris “rispettoso della virtù” (già così rappresentato in Ovidio) à tanto che Mirra vorrebbe che anche in lui potesse esserci un similis furor à l’affetto paterno per la figlia accresce per antitesi il disagio della fanciulla e il suo senso di colpa. Il contrasto dell’animo di Mirra è da subito posto al centro del racconto: • tenta di combattere e rimuovere un insano amore; • prega gli dèi di impedire questo obbrobrio e di darle la forza per resistere al suo delitto; • desidera allontanarsi dalla reggia paterna e, nello stesso tempo, rimanervi per poter ancora vedere l’uomo amato = la reggia paterna è il centro di spinte centripete e centrifughe. Il colloquio con la nutrice è già presente in Ovidio e anche qui con Alfieri: • scandito dalle reticenze di Mirra e dai pianti; • la nutrice intuisce che trattasi di un qualche amore dell’infelice fanciulla che prega di avere pietà del suo pudore, di non tentare di conoscere la sua sofferenza. • Mirra cerca più volte di confessare ma trattiene la voce con la veste e si copre il viso per la vergogna. La soluzione dell’intimo e insanabile conflitto è individuata solo nella morte, della cui fatalità Mirra ne è consapevole. Mirra si uccide perché non vuole essere vittima del male che è in séà Alfieri è combattuto sul modo e sull’opportunità per mettere per inscritto la storia della tragedia ma, leggendo Ovidio, piangerà quando Mirra si rivolge alla madre poiché entrambe condividono lo stesso amore (divina allocuzione che offre tutta la portata drammatica da cui Alfieri può iniziare a lavorare). Alfieri, nella sua tragedia, decide di non far avvenire l’incesto con il padre. Tutto si ritrova in Alfieri fino all’esclamazione illuminante della sua Mirra, ripresa quasi alla lettera da quella ovidiana. Questi sono i motivi strutturali che, ai fini della tragedia, trapassano dall’uno all’altro, anche attraverso la mediazione: • Della Phèdre di Racine; • Dall’archetipo euripideo, l’Ippolito, a cui risalgono non pochi topoi di vicende incestuose. È l’«Ovidio psicologo», che tratteggia con finezza le passioni amorose più complesse e in alcuni casi illecite e incestuose con protagoniste le donne, a colpire l’immaginazione e la mente di Alfieri. Così definito da Calvino nel saggio introduttivo «Gli indistinti confini» a Ovidio. Analizzando la ripresa del mito – in particolare, l’invidia di Venere nei confronti della bellezza di Mirra, esercitata nell’isola di Cipro a lei sacra, e provocata con incauta presunzione dalla madre di lei - si riesce a focalizzare il primo degli spazi drammatici àlo “spazio della colpa” di Mirra. Vanno riconsiderati i tre tempi del complesso lavoro del poeta: • Idea (ottobre 1774); • Stesura (dicembre 1785); • Versificazione (agosto-settembre 1786); approdano alla stampa definitiva nel 1788 Indispensabile soffermarsi sulle altri fonti della storia di Mirra: • dal Paniassi dello pseudo Apollodoro; • Metamorfosi di Antonio Liberale; • Fabulae di Igino per stabilire se gli spazi “reali” in cui nasce la colpa, siano le isole di Paffo e Cipro = isole dominate da Venereà sulla base delle oscillazioni alfieriane, quanto, invece, sottolineare che sin dall’ “Idea” Alfieri, restituisce l’invidia di Venere all’azione tragica, nonostante non rivesta nel racconto di Ovidio un ruolo assolutamente rilevante. [L’invidia degli dèi nei confronti delle belle fanciulle è pertinenza del racconto mitico] Cipro è, dunque, lo spazio tangibile in cui Venere esercita il suo potere à da Cipro questa fanciulla vuole allontanarsi, e il suo partire si configura come un vero e proprio gesto di liberazione. Si deve subito osservare che sono esclusivamente la madre e la nutrice a nominare l’ira di Venere; Mirra invece accenna solo alle Furie, alle Erinni, e comunque a un Nume avverso, togliendo la responsabilità a Venere à non è da escludere che la sostituzione di Venere con le Erinni voglia alludere a un “senso di colpa cristianamente accettabile”. Forse in questa presenza “dimezzata” di Venere, Alfieri trova un compromesso con Ovidio che aveva fatto sottolineare a Mirra la naturalità dell’amore incestuoso tra alcuni esseri animati/viventi, privando così l’espediente dell’invidia di Venere della possibilità di spiegare le cause di una passione illecita, che invece proprio nella natura troverebbe la sua legittimazione. Non è da escludere che il motivo del contrasto natura vs legge e passione vs onore sia giunto ad Alfieri passando proprio per il Sei piace ei lice nel celebre coro dell’Aminta, per gli amori di Rinaldo e Armida nella Gerusalemme Liberata e l’incesto di Torrismondo. Un’altra tragedia è quella del «Re Torrismondo», che nasce come Re Galeatto di Tasso in cui riprende il tema scabroso dell’incesto ambientandolo nel nord d’Europa dove gli usi e costumi erano lontani e diversi dall’altra parte dell’Europa, dei territori italiani. Torquato Tasso, gigante del ‘500, sperimenta diverse forme letterarie in linea con il proprio secolo con l’unico poema-cavalleresco della cristianità occidentale; scrive le rime sperimentando la scrittura poetica e utilizzando il madrigale come forma della grande possibilità di sperimentazione per l’autore; scrive «L’Aminta», una delle più belle favole pastorali; scrive i dialoghi. Alfieri quindi, quando scrive la tragedia basata sull’incesto, non è solo in quanto nel ‘500 l’aveva trattata precedentemente Tasso. Tasso però nella sua storia aveva già avuto questo tipo di apertura con l’Aminta nel coro ultimo dell’età dell’oro in cui si dice «che tutto ciò che piace è lecito». Tasso nella «Gerusalemme Liberata» inserisce il giardino di Armida dove gli amori sono raccontati in un certo modo con nudità e forti linee di erotismoà ecco quindi che il Re Torrismondo non stupisce poiché Tasso aveva a già offerto elementi per questo tipo di aperture. Un elemento di collegamento con la tradizione lo si ritrova in Tasso parlando de La Mirra di Vittorio Alfierià Ad Alfieri non preoccupa tanto la storia dell’incesto ma preoccupa il modo in cui deve arrivare all’incontro tra padre e figlia che non può e deve consumarsi: per poter rimanere in linea con il valore pedagogico che deve avere del teatro dell’epoca. Se non è, quindi, Venere la colpevole di questa passione, lo “spazio” autentico (che non è neppure Cipro, in cui la dea eserciterebbe il suo influsso maligno) comincia lentamente a prendere i contorni della reggia “infausta”, della casa, della famiglia tout cour, in cui vige la presenza paterna. Alfieri – dunque - demitizza (ritiene che il mito sia ormai anacronistico) la storia di Ovidio attraverso il cambiamento dello spazio: si passa dalle isole alla reggia- luogo in cui si concentrano i drammi familiari. È proprio la demitizzazione progressiva ad accentuare l’inclinazione della tragedia verso gli esiti moderni del dramma borghese: Mirra vive un male che è incapace di comunicare ai suoi genitori e, allo stesso tempo, emerge l’impossibilità di questi ultimi di capire i segnali di allarme della figlia. Un altro elemento interessante che dà la chiave d’entrata è che La Mirra è una storia che ha in sé un forte messaggio della modernità ovvero il dramma borghese, dramma che racconta i drammi che si consumano nell’ambiente domesticoà il dramma dell’impossibilità di affermarsi all’interno delle mura domestiche. Questo dramma borghese perché Alfieri lo anticipa raccontando l’impossibilità di comunicazione all’interno di una famiglia come quella di Mirra = in comunicazione tra il padre, la madre e Mirra, costretta a dover sposare un altro quando in realtà ama suo padre. Nello stesso tempo Alfieri ci racconta l’incapacità dei genitori a capire la propria figlia, non captando i suoi segnali come il silenzio o lo svenimento prima delle nozze à quindi il tragediografo utilizza la vicenda di Mirra per raccontare, con estrema modernità, l’incomunicabilità che porterà al dramma che si consumerà alla fine della tragediaà silenzi che si tramutano in morte. Se gli esiti del dramma borghese ottocentesco e del dramma psicologico moderno hanno nella Mirra di Alfieri il loro innegabile archetipo, questi sono conseguiti dal poeta proprio attraverso il particolare uso di un mito, l’ira di Venere (di cui non è traccia in Ovidio), progressivamente dissolto, quando lo “spazio della colpa” si rifrange, prima sull’isola di Cipro, poi sull’“infausta” reggia, infine, sulla figura paterna. Non si tratta di un semplice passaggio dall’isola alla reggia, al padre, come spesso è stato ripetuto dalla critica, ma l’uno si riverbera in un altro e in un altro ancora. La suggestione mitica non scompare subito ma giunge fino a metà tragedia; in questo quadro rientrano anche le nozze di Mirra e Pereo in cui non è più lo “spazio della reggia” ma lo “spazio paterno” a coinvolgerla fino allo spasimo durante il rito nuziale: un vero e proprio “rito di morte”. A questa altezza dell’iter tragico non è più il mito (Venere e le Erinni sono ormai fuori gioco) la motivazione della colpa, ma la figura del Padre: un Padre – Re che impedisce alla figlia il rifugio in uno spazio “altro” da quello “reale”. L’ira di Venere o le Erinni sono evocate da Alfieri come agenti fatalmente estranei all’animo di Mirra, alla sua purezza interiore: solo in questo modo poteva dare spessore alla dimensione ossimorica, alla condizione paradossale di una creatura depositaria di un segreto “orrendo” e, al tempo stesso, di un amore “innocente”, una fanciulla “più assai infelice che non colpevole” (in Alfieri è una figura innocente: il sentimento non è una sua colpa). In questo senso si può parlare di modernità della tragedia alferiana à i molteplici spazi dell’azione come collettori di sentimenti conflittuali e come luoghi di un immaginario onirico che si materializzano sulla scena attraverso la duplicità semantica della parola che rinvia al di sotto di sé stessa: «parole sotto le parole». Alfieri realizza integralmente la sua idea programmatica di far “operare tacendole” alla sua protagonista “quelle cose stesse, ch’ella in Ovidio descrive”. E, forse, proprio la necessità di compensare col gesto, inteso come “spazio” della verità, l’assenza di parole, in quanto “spazio” della menzogna/negazione, che ebbe tanta fortuna, sulle scene europee, l’interpretazione di Adelaide Ristori. La Mirra è stata portata in scena da Adelaide Ristori che riesce a rende la tragedia estremamente moderna andando a sostituire la parola mancata con la gestualità. All’apparente rigore geometrico di questi spazi si contrappone la forza irrazionale dell’autodistruzione generata dalla coscienza di Mirra, dalla perdita di compattezza dell’Io disgregato sotto lo sguardo dei genitori, della nutrice e del promesso sposo. I personaggi della Mirra, presi in sé, sembrerebbero poco persuasivi: • Ciniro col suo paternalismo; • Cecri con la sua ingenuità; • Pereo con la sua devozione;
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