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Vittorio Alfieri: vita e opere, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto di Letteratura Italiana basato sui contenuti presenti nel volume La Letteratura (Baldi), riporta contenuti relativi a vita, opere e pensiero di Alfieri.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 22/02/2019

Utente sconosciuto
Utente sconosciuto 🇮🇹

4.5

(90)

33 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Vittorio Alfieri: vita e opere e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! VITTORIO ALFIERI La vita Nato ad Asti da una nobile famiglia, studiò a Torino, e, al termine degli studi, intraprese il grand tour. Già negli anni giovanili si delinea una personalità ribelle e tormentata, animata da noia e vuoto. I suoi viaggi lo fecero entrare in contatto con la tirannide, che avversava, e con paesaggi desolati e malinconici, che egli ammirava fortemente. Tornato a Torino, si diede alla vita oziosa e visse una triste esperienza amorosa con la marchesa Gabriella Turinetti. Nel 1775, egli rivede la sua prima tragedia, Antonio e Cleopatra e riprende gli studi classici. Anni dopo si spiemontizzò; salutò con gioia la Rivoluzione (Parigi sbastigliato), ma i suoi eccessi lo delusero, per cui si ritirò a Firenze in una sdegnosa solitudine, e qui morì. Il rapporto con l'Illuminismo Alfieri ebbe un atteggiamento insofferente verso il razionalismo scientifico, poiché la scienza soffoca le emozioni, dalle quali nasce la poesia. Egli esalta la passionalità e il forte sentire ed ha un atteggiamento religioso di tensione verso l'infinito. La proposta illuminista non ottiene i suoi favori, in particolare, egli critica lo spirito borghese, a cui oppone le passioni; il cosmopolitismo, a cui oppone l'isolamento; il filantropismo, a cui oppone l'umanità eroica. L'avversione per l'epoca illuministica si traduce in un esasperato individualismo, che lo sradica dal suo tempo, ma Alfieri concepisce ciò come condizione privilegiata. Il concetto di libertà resta astratto e non coincide con nessun ordinamento politico. Le opere politiche Il breve trattato Della tirannide mira a definire la stessa, identificandola con ogni tipo di monarchia che ponga il sovrano al di sopra delle leggi. Anche il dispotismo illuminato viene criticato, poiché, con il suo carattere velato, tende ad addormentare il popolo; le tirannidi oppressive sono dunque migliori poiché suscitano il gesto eroico. La tirannide poggia su nobiltà, casta militare e casta sacerdotale. L'uomo che vive sotto la tirannide potrà ritirarsi in isolamento, uccidere se stesso o il tiranno. La figura del tiranno si oppone al liber'uomo, anche se essi sono molto simili, poiché entrambi mirano all'affermazione esasperata della loro individualità, per questo motivo è possibile scorgere, in Alfieri, una segreta ammirazione per il tiranno e per la sua volontà illimitata. Nel Panegirico di Plinio a Traiano, il poeta vagheggia un principe che rinunci volontariamente al potere, ottenendo la gloria eterna. Nel dialogo Della virtù sconosciuta, si sviluppa il tema dell'uomo libero che si ritira in una sdegnosa solitudine. I tre libri Del principe e delle lettere analizzano il rapporto tra lo scrittore ed il potere assoluto: la scrittura è superiore ad ogni altra attività ed è l'estrema realizzazione dell'animo umano, dunque solo nelle lettere si manifesta la libertà dell'individuo. L'idea dell'impegno diretto viene abbandonata in favore di un atteggiamento contemplativo. La nobiltà e la religione sono rivalutati, la prima in quanto naturalmente superiore, la seconda in quanto ispiratrice di magnanimità. La Rivoluzione francese causa in Alfieri una crisi ideologica: egli è contrario alle aspirazioni della borghesia, la quale contamina l'ideale di libertà con la sua venalità. Egli esprime i suoi sentimenti nel Misogallo, un'opera in prosa e versi che esplica l'odio alfieriano per la Francia, per i princìpi illuministici, per la borghesia e per la Rivoluzione. Egli difende le gerarchie sociali, sostenendo il ruolo subalterno del Terzo stato e difendendo i privilegi nobiliari. La situazione francese favorisce però il suo patriottismo, auspicando la speranza che un giorno l'Italia risorga virtuosa e libera. Le Satire e le Commedie Le Satire si pongono come un'acre polemica alla realtà contemporanea. Nei Grandi, il poeta critica l'ozio nobiliare, ma rivendica la supremazia di questa classe sociale. La Plebe e la Sesquiplebe sono una critica alla borghesia e alla plebe e alla loro sovranità popolare. L'Antireligioneria è una difesa ai valori della religione, che ha valore consolatorio e di mantenimento dell'ordine sociale. Nella Filantropineria, bersaglio è l'uguaglianza auspicata dagli illuministi, mentre nel Commercio attacca lo spirito mercantile. Anche le Commedie esprimono la crisi degli ideali: nelle commedie politiche (L'uno, I pochi, I troppi, L'antidoto) egli satireggia, rispettivamente, monarchia, oligarchia e democrazia, alle quali si oppone una forma di governo misto. La Finestrina è invece una requisitoria contro la meschinità che muove l'umano agire, infine, il Divorzio è una satira del cicisbeismo. La poetica tragica Alfieri scelse di dedicarsi alla tragedia poiché questa, avendo per oggetto figure sublimi, appariva come il genere ideale ad esprimere il titanismo alfieriano; inoltre, egli riteneva che all'Italia mancasse un grande poeta tragico; infine, la tragedia era considerata il genere più sublime, e ciò rappresentò per Alfieri una sfida. I principi alla luce dei quali componeva tragedie sono esposti in vari scritti: la Risposta dell'autore, le Note e i Pareri dell'autore. Alfieri criticava aspramente la tragedia francese a causa del suo patetismo, della lentezza dell'azione, degli artifici romanzeschi e dell'effetto cantilenante dei versi alessandrini. Egli oppone a questa tragedia un modello conciso ed unitario, privo di personaggi secondari e incentrato su un numero ristretto di figure. Anche lo stile è conciso, antimusicale, duro e spezzato, fatto di battute brevi. Di qui le variazioni di ritmo, la presenza di pause nel verso, inversioni ed enjambements sul piano sintattico. Nonostante ciò, sempre presente è il riferimento alle tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione: le vicende si svolgono in 24 ore, hanno scena fissa ed azione unitaria. L'elaborazione di ogni tragedia segue tre momenti: ideare, stendere e verseggiare. La prima fase consiste nell'ideare il tema della tragedia con tanto di personaggi, seguendo l'entusiasmo dell'ispirazione; la seconda fase consiste nello scrivere i dialoghi in prosa; l'ultima parte è data dalla versificazione in endecasillabo sciolto. Secondo il tragediografo, infatti, la poetica è un fatto irrazionale, che tuttavia deve essere controllato razionalmente attraverso i mezzi espressivi. Le tragedie alfieriane furono in genere destinate alla rappresentazione privata poiché il teatro contemporaneo era ritenuto frivolo e volgare. Questa degradazione del teatro si collega con la tirannide, poiché un teatro idoneo può esistere solo in un regime libero. Nelle prime tragedie si profilano lo slancio titanico e una concezione pessimistica dell'uomo, queste tragedie traggono spunto soprattutto da Plutarco: nella tragedia Filippo compare infatti la tematica dell'individualismo alfieriano proprio nelle vesti del sovrano Filippo II, bisognoso di grandezza sovrumana. In Polinice non vi è invece il motivo politico, bensì la tematica dell'ansia di grandezza. In Antigone viene approfondito il tema del fato come simbolo della negatività del vivere. Una svolta si ha con l'Agamennone, dove compare il tema della debolezza umana. Ossessioni ed incubi sono alla base dell'Oreste, che si macchia di matricidio. Nella Virginia compare la tematica dell'esaltazione della virtù romana. Con la Congiura de' Pazzi, Alfieri assume una moderna materia rinascimentale. In un'altra serie di opere, Don Garzia, Maria Stuarda, Rosmunda ed Ottavia, compaiono una sensibilità patetica e melodrammatica. Nel Timoleone, ancora protagonista è il tema politico, calato in un mondo di estrema perfezione ed astrazione. La Merope segna invece un ritorno ai toni patetici. Nell'Agide e nella Sofonisba dominano amore, amicizia, solidarietà e pietà. La Mirra tratta invece della passione amorosa dell'omonimo personaggio per suo padre Ciniro, che corrode la protagonista spingendola al suicidio. La novità di queste tragedie sta nel fatto che esse si basano su un'umanità più semplice, ma, soprattutto, la novità è data dal fatto che il conflitto si sposta del tutto nell'anima dell'eroina. L'Alceste seconda e l'Abele proseguono la rappresentazione degli affetti domestici, mentre il Bruto primo e il Bruto secondo riprendono la tematica politica dell'antica Roma.
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