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Vittorio Alfieri- Vita e Tragedie, Appunti di Letteratura Italiana

La vita di Vittorio Alfieri, le sue tragedie: "Sublime specchio di veraci detti" e "Tacito orror di solitaria selva"

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 03/11/2023

francesco-sabatino-6
francesco-sabatino-6 🇮🇹

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Scarica Vittorio Alfieri- Vita e Tragedie e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LETTERATURA ITALIANA 18/03/2022- LEZIONE 10 VITTORIO ALFIERI La “Vita” ‘’La vita di Alfieri da Asti scritta da esso’’ è l’opera autobiografica dell’autore. Egli la cominciò a scrivere dopo la pubblicazione a Parigi nel 1789 delle sue tragedie. L’autore cominciò a pensare di dover raccontare la sua vita per evitare che la potessero raccontare altri attingendo a fonti false. L’autobiografia è divisa in 2 parti ed è incompiuta, fu pubblicata per la prima volta nel 1806. L’opera venne composta sotto l’influenza dei ‘’memoire’’di Goldoni e sotto le ‘’confession’’ di Rosseau. In questa autobiografia viene fuori la conversione letteraria dell’autore. Alfieri ad un certo punto della sua vita, pensa di aver trovato lo scopo della sua vita, ovvero dare un contributo con le sue opere letterarie; pensa, infatti, di poter usare la letteratura come mezzo per influire sulla realtà. Vita Vittorio Alfieri nasce il 16 gennaio 1749 ad Asti da una famiglia aristocratica, perde suo padre molto presto. Ha un educazione molto rigida, infatti viene affidato ad un precettore non molto colto. Viene mandato a studiare alla Reale Accademia Militare di Torino che era l’accademia dove si formavano molti degli aristocratici piemontesi. Alfieri mostra subito un’intolleranza verso la disciplina militare, non è contento dei processi pedagogici e degli argomenti trattati. Nella sua biografia parlerà di questo periodo come di un momento di ineducazione, improponibile per lui, un momento scolastico insufficiente fatto di ozio e ignoranza. Esce dall’accademia e comincia a viaggiare verso l’Italia e l’Europa, dal 1767 all’1772. Si usava fare il grand tour in quel periodo, ovvero esperienze dal punto di vista culturale per formarsi. Egli non era però animato da quel sentimento di curiosità che avevano gli altri giovani signori che facevano il grand tour. Aveva un senso di vuoto e di inquietudine, non aveva un sentimento di curiositas. Passa da un luogo all’altro con un senso di insoddisfazione e di noia, e ha una smania di movimento. Egli stesso nella sua autobiografia narra che, non appena era giunto alla meta che si era prefissato, provava il bisogno irresistibile di fuggire verso un altro luogo, e, giunto alla nuova meta, si abbandonava allo stesso impulso di fuga senza fine. Non sapeva le cause di questo suo disagio, cercava un fine per andare avanti. Troverà poi nella letteratura il fine della sua esistenza, pensando di poter usare la letteratura come strumento o come mezzo per incidere sulla realtà. Una volta tornato, non si impegna dal punto di vista militare e politico, ma piuttosto è un giovane ribelle che ha maturato una vera e propria avversione nei confronti della tirannide. È contro ogni forma di potere assoluto, contro i vincoli gerarchici. Egli fa anche viaggi che lo mettono in difficoltà, viaggi rischiosi, che lo mettono in pericolo, ama infatti paesaggi particolari. Questi viaggi proiettano il suo disagio e la sua inquietudine. Quando torna, comincia a vivere un po’ come il giovin signore, però a differenza legge testi degli illuministi francesi. Si nutre di questi testi, come le vite parallele di Plutarco, storico greco, e decide di ricominciare a studiare il latino. Legge Dante Alighieri, Petrarca, Ariosto. Fa tutto un lavoro di approfondimento e recupero di testi per reimpostare la sua formazione letteraria. Nel ‘72 comincia a pensare all’importanza della letteratura che incide sulla realtà. A proposito di viaggi che mettono a repentaglio la sua vita, perché pieno di insidie, nell’ambito della sua vita scrive un passo tratto dall’epoca terza, capitolo 9, autobiografia di Alfieri: dove emerge l’io dell’autore. Egli scrive: io, sempre incalzato dalla smania dell’andare (espressione da sottolineare, fa riferimento a questo bisogno di raggiungere una nuova meta) benché mi trovassi assai bene in Stoccolm (Stoccolma) volli partirne verso il mezzo maggio per la Finlandia alla volta di Pietroburgo. Nel fin d'aprile aveva (avevo) fatto un giretto sino ad Upsala, famosa università, e cammin facendo aveva visitate alcune cave del ferro, dove vidi varie cose curiosissime; ma avendole poco osservate, e molto meno notate, fu come se non le avessi mai vedute. Le sue prime opere sono in francese, mentre è in italiano la sua prima tragedia “Antonio e Cleopatra”, molto importante per la sua conversione ad autore di tragedie. Inoltre, la storia d’amore dei due personaggi somigliava alla relazione che aveva con la marchesa Turinetti. Data l’insufficienza dei suoi studi, decide di intraprendere lo studio dei classici italiani e latini. Successivamente si trasferisce in Toscana ed escono a Siena i primi due volumi delle “Tragedie”. V poi in Francia dove pubblicherà numerose opere, dalle “Rime” alla “Vita”. Allo scoppio della Rivoluzione francese compone un’ode intitolata “A Parigi sbastigliato” (1789), per celebrare la presa della Bastiglia. Ma negli anni immediatamente successivi, di fronte al crescere della violenza da parte del popolo ai danni dell’aristocrazia, assume atteggiamenti più critici fino ad arrivare all’odio vero e proprio verso i francesi. Alfieri fugge da Parigi per andare a Firenze, dove rimane fino alla morte, avvenuta l’8 ottobre 1803. Durante i suoi viaggi, l’autore si ferma a Parigi e incontra Luigi XV. Nella sua biografia scrive che aveva pensato di andare a Londra, ma poi invitato alla corte di Versailles accettò l’invito per la curiosità, anche se era stato già disilluso dalle altre corte visitate. Fu lì il Capodanno del ‘68. Il re non parlava ai forestieri comuni ma a lui non importava perché c’era il rifiuto del potere assoluto. Non riesce a sopportare il comportamento “giovesco” (Giove, nel senso da Dio). Infatti, il re, trovandosi davanti Alfieri, si mostrò totalmente indifferente. LEZIONE 11 (21\03) Le tragedie Agli inizi del 700 si discuteva e ci si lamentava a proposito della mancanza in Italia di tragedie. Si guardava a capolavori fatti in altri paesi, ma in realtà in Italia c’era un vuoto e quindi delle incertezze su quest’argomento. In realtà alcuni autori avevano scritto delle tragedie, come “La merope” di Marfei. Anche Gian Vincenzo Gravina aveva scritto tragedie, queste però erano viste come sperimentazioni linguistiche più adatte alla lettura che alla rappresentazione teatrale ed erano quindi opere ispirate a modelli francesi. C’erano anche le tragedie di Pier Jacopo Martello in cui l’autore usava il settenario doppio, il verso martelliano. In Italia il teatro si identificava con la commedia e con il melodramma. Nel 500 e nel 600, questo genere illustre era stato coltivato ma anche in quel caso senza grandi risultati. Alfieri sceglie di dedicarsi alle tragedia perché ritiene che questa forma possa dar voce alla sua interiorità, ai suoi conflitti interiori, possa aiutarlo ad esprimere i suoi sentimenti e stati d’animo. Pensa che la sua personalità eroica possa trovare il giusto spazio nella tragedia, la sua personalità è volta alla teatralizzazione dei suoi conflitti. Vuole creare in Italia una tradizione di teatro tragico perché ritiene che questa forma d’arte sia molto importante per far riflettere, per la funzione catartica, di purificazione delle passioni. Alfieri propone una forma d’arte aristocratica, distante dagli altri generi; non si rivolge ad un pubblico borghese, ad un pubblico pagante, perché voleva una circolazione limitata delle sue tragedie, voleva che fossero rappresentate non nei teatri pubblici ma in salotti vivaci, aristocratici. Le sue rappresentazioni erano per un pubblico ristretto, di invitati, quindi un élite. Non si allontana molto però dalle forme del teatro classico, e viene infatti accusato di tradizionalismo e monotonia perché si rifà alle strutture e caratteristiche del teatro classico, e si ispira alla poetica aristotelica. Infatti, nelle tragedie troviamo le unità aristoteliche: unità di luogo, di tempo e d’azione. Questi sono testi complessi, articolati, presentano “diario” è segnalata anche dal fatto che ogni componimento ha di norma l’indicazione di una data e di un luogo. Fonte di ispirazione per le "Rime" è il Canzoniere di Petrarca. Da esso trae alcuni aspetti che ritroviamo anche nella sua produzione. Mentre il linguaggio di Petrarca tende alla limpidezza, all’armonia musicale, Alfieri punta ad un linguaggio aspro, un linguaggio molto vicino a quello delle tragedie. Se per Petrarca la poesia ha il compito di alleviare il dolore e di purificarlo, per Alfieri, la poesia "deve fare sempre più viva la doglia". La poesia per lui non placa, anzi, tiene vivo il dolore, deve far riflettere, pensare. Dominante nella raccolta è il tema amoroso, l’amore lontano e irraggiungibile, occasione di tormento e infelicità. Esso serve da veicolo all’espressione di un animo tormentato, in perenne conflitto con la realtà che lo circonda. Ai temi amorosi si mescola la tematica politica. Compare la polemica contro un’epoca vile e meschina, il disprezzo dell’uomo che si sente superiore contro una mediocrità, l’amore fremente nei confronti della libertà, il protendersi verso un passato idealizzato. Altro tema è il rapporto con la natura. L'io del poeta vuole una natura simile a lui, nella quale si possa rispecchiare. Il paesaggio deve essere proiezione dell'animo, motivo tipicamente romantico. Attraverso questi componimenti l'autore delinea un profilo di sé, quello di un autore eroe in atteggiamenti fieri, che appartengono poi anche ai personaggi protagonisti delle sue tragedie. Si ritiene un uomo dotato maggiormente di sentimento che di ragione. LEZIONE 13 (25\03) Sublime specchio di verace detti La prima raccolta delle rime fu realizzata nel 1789 con un volume che raccoglieva oltre 200 componimenti che l’autore aveva scritto tra il ‘76 e il ‘78. Alfieri progettò poi un’altra raccolta che però non pubblicò mai. La prima raccolta delle sue rime apparve nel 1804, quindi postuma. Questo è un sonetto, costituito da 14 versi endecasillabi piani (con rima ABAB-ABAB-CDC-DCD), divisi in due quartine e due terzine. Nelle due quartine descrive sé stesso dal punto di vista fisico, nelle due terzine viene fuori in poche parole il suo profilo psicologico, il suo carattere. Il sonetto sarà specchio della verità. Il poeta parte dall’aspetto esteriore fino a quello interiore. I capelli: non folti e di un rosso acceso. Lunga statura e capo rivolto a terra, è un atteggiamento malinconico, riflessivo quello che caratterizza il poeta. Una corporatura snella, su due gambe dritte. La pelle bianca, gli occhi azzurri, un aspetto sano. Figura retorica: bianca pelle, occhi azzurri; bianca è aggettivo, pelle sostantivo, occhi sostantivo, azzurri aggettivo (la struttura è A, B, B, A). Il chiasmo è la figura retorica che consiste nel contrapporre due espressioni che sono concettualmente affini, affinché i termini della seconda espressione siano disposti in ordine inverso rispetto a quelli della prima. Naso giusto, belle labbra e denti eletti, regolari. Pallido in volto più di un re sul trono. Pallido perché riflette, è in conflitto con la realtà in cui vive. Il re è pallido perché preoccupato, sempre incerto sulla fedeltà di chi lo circonda, teme di essere tradito. Rigido, severo, remissivo, mite (chiaroscuri alfieriani). L’autore cerca di offrire un profilo psicologico e fisico. Irato, ovvero pieno di furore, è un autore fiero che può essere assimilato agli eroi tragici, a quelle figure monumentali delle sue tragedia. La mente e il cuore sono in lite continua dentro di sé, c’è conflitto tra sentimento e ragione. Triste e qualche volta molto lieto (altro contrasto). Da un lato si paragona ad Achille, l’eroe protagonista, bello e forte; dall’altra parte l’antieroe Tersite. “Muori e saprai”, la morte consiste nella prova suprema di coraggio o vigliaccheria, da come la affronterai saprai se sei grande o vile. La morte è una sorta di verifica, che consente all’uomo di capire se è coraggioso o vile. Ci sono quindi incertezze che culminano in questa interrogativa finale. Tacito orror di solitaria selva Parla di un secolo vile, l’età contemporanea, priva di eroismo. È un secolo in cui c’è il dispotismo. C’è il riferimento ad una selva. Parla di una forma di isolamento (la selva), del rapporto conflittuale con la società in cui vive. Parla dell’oppressione che si prova essendo sudditi. Trova conforto nei luoghi solitari. In questo secondo sonetto il tema politico è fondamentale, c’è la passione politica e la delusione che questa passione determina e che lo porta alla solitudine. Fonte d’ispirazione per l’autore è Petrarca, il canzoniere di Petrarca. Nel ’76 acquistò un edizione del canzoniere e la annotò, studiò questo testo. Composto nell’agosto del 1786, durante un soggiorno in Alsazia, soggiorno per raggiungere la contessa d’Albany. Abbiamo la descrizione di un paesaggio boschivo nella prima parte, e nella seconda parte il momento della riflessione. Il poeta comunica che soltanto i luoghi deserti riescono a dare conforto al poeta, a riempire il suo cuore di una dolcezza malinconica perché sono in sintonia con la sua personalità. Quanto più si inoltra in questa selva per assaporare una solitudine ancora più intensa, tanto più i suoi tormenti si placano. È gratificato anche quando prova a ricordare le emozioni provate in quella foresta, quindi anche il ricordo di quelle emozioni porta a sensazioni positive. L’io solitario del poeta trova conforto in questo tipo di natura; il buio, il silenzio sono congeniali al suo spirito. La struttura del sonetto è bipartita, nella prima parte la descrizione del luogo e nella seconda il motivo politico.
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