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Vittorio Alfieri: vita ed opere, Appunti di Letteratura Italiana

Vittorio Alfieri: periodo di formazione e conversione letteraria. Alfieri e l'Illuminismo. I trattati politici: Della Tirannide, Del principe e delle lettere, Panegirico di Plinio a Traiano, Misogallo. La poetica tragica. Le Rime. Le commedie e le satire. Vita: tradizione del testo, edizione critica. Parte I-introduzione. Parte I- cap.X

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 26/03/2021

mariastella.fontana
mariastella.fontana 🇮🇹

4.3

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Scarica Vittorio Alfieri: vita ed opere e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! VITTORIO ALFIERI PERIODO DELLA FORMAZIONE:Vittorio Alfieri nacque nel 1749 ad Asti da una nobile famiglia che gli permise di dedicare tutto il suo otium alla letteratura. Egli compì i suoi studi presso l’Accademia di Torino, dove ricevette una formazione militare, a cui diede giudizi molto negativi poiché arida e ispirata a modelli antiquati. Uscito dall’Accademia compì una seria di lunghi viaggi in Italia e in Europa, spinto da un’irrequietezza continua, da un senso di scontentezza, vuoto, noia e malinconia. Alfieri era uno spirito libero, voleva essere autonomo e indipendente, tanto da aver rinunciato all’eredità paterna per non essere legato a nessuno. I suoi viaggi, come afferma nella Vita, sono stati importanti poiché gli hanno permesso di conoscere e quindi di poter creare determinati pensieri e posizioni politiche, in particolare si pose contro l’assolutismo europeo e la tirannide monarchica di molti paesi europei, invece viene colpito positivamente dai paesi dove vi sono maggiori libertà civili, come l’Inghilterra e l’Olanda. Ritornato a Torino, Alfieri conduce una vita oziosa e solitaria; sono anni difficili in cui la sua scontentezza e inquietudine aumentano a causa di un tristo amore e di infiniti dolori da cui non riesce a liberarsi. CONVERSIONE LETTERARIA: 1775 è l’anno della sua conversione, l’anno in cui capì che ciò che stava cercando risiedeva nella poesia, scoprendo così la vocazione letteraria. Alfieri si rende conto di come proiettare i propri sentimenti nella poesia costituisca l’unico mezzo per trovare un superamento dei propri tormenti, una catarsi. Da quel momento ritiene di aver trovato lo scopo capace di riempire la sua vita vuota e darle un senso, placando la sua inquietudine. Così si dedica alla lettura dei classici latini, italiani e successivamente greci e allo studio della lingua italiana e per impararla nel migliore dei modi decide di trasferirsi in Toscana, dove incontra la contessa di Albany. L’amore e la poesia sono secondo Alfieri le uniche cose che possano dare alla sua vita equilibrio. Nel 1789 scoppia la Rivoluzione francese: inizialmente, essendo contro l’assolutismo, si pone contro di essa poi però, quando saranno i borghesi a portarla avanti i qual si schierano contro i nobili, Alfieri, essendo un nobile, si allontana dalla Rivoluzione. A Firenze visse gli utlimi anni in solitudine e con un forte odio contro i Francesi che si erano impadroniti dell’Italia con le campagne napoleoniche. Morì nel 1803 ALFIERI E L’ILLUMINISMO La base della cultura di Alfieri è costituita dagli autori illuministi francesi che egli aveva letto nella sua giovinezza (Montesquieu, Voltaire, Rousseau), verso cui prova una forte insofferenza. Alfieri si pone in contraddizione con l’epoca e la corrente del suo periodo ovvero l’Illuminismo: -il rifiuto della scienza: egli non è tanto per la razionalità bensì per l’irrazionalità. Infatti, il razionalismo scientifico su cui si basava la filosofia dei lumi, secondo Alfieri, non faceva altro che soffocare la vera essenza dell’uomo e spegne l’immaginazione da cui la poesia nasce; -il senso dell’infinito e del mistero: a differenza degli illuministi che erano o atei o deisti e ponevano fiducia solo nella potenza scientifica e razionale dell’uomo , Alfieri, pur non avendo una fede positiva, respinge tale posizione ed è mosso da uno spirito religioso che si manifesta in una tensione verso l’infinito, in un bisogno di assoluto e che lo portava a fermarsi dinanzi a certe impotenze umane, a cui poneva dei limiti. Dunque, più che il senso della scienza Alfieri ha il senso dell’ignoto, del mistero, dinanzi a cui l’uomo resta inquieto e scontento. Se l’illuminismo è caratterizzato dall’ottimismo, Alfieri insiste sulle miserie e sull’impotenza umane; -al cosmopolitismo contrappone l’isolamento della propria individualità; -al filantropismo contrappone il culto di un’umanità eroica che si distingue dal gregge di uomini comuni e schiavi che compone la maggioranza dell’umanità presente. I TRATTATI POLITICI DELLA TIRANNIDE è un trattato che Alfieri scrisse di getto nel 1777 e che venne pubblicato a sua insaputa; comprende due libri: nel primo Alfieri analizza la natura della tirannide e nel secondo mostra i metodi per opporvisi. La tirannide è definita come quel governo in cui chi esegue le leggi può anche modificarle sotto ogni aspetto e mancare di rispettarle, basato sulla paura dell'oppresso (e cioè delle masse) e dell'oppressore (e cioè del tiranno). L'uomo libero deve vivere lontano dalle cariche, dai vizi e dagli onori dispensati dal tiranno e fare del bene alla collettività dedicandosi alla compilazione del suo libero pensiero e divulgarlo. Il ricorso agli esempi classici contribuisce ad allontanare il discorso da qualsiasi riferimento all'attualità, ma nonostante ciò Alfieri decise prudentemente di non stampare il trattato durante la Rivoluzione per non alimentarne la violenza e non concedere agli insorti un aiuto alla loro causa. La tirannide assume la connotazione di un generico governo oppressore, estraneo a qualsiasi contesto storico concreto, mentre la libertà si traduce in un'aspirazione individuale, in un'elezione dello spirito del singolo che, in una realtà avversa, alimenta il proprio eroismo e la propria virtù con il coraggio del suicidio o delle proprie idee. DEL PRINCIPE E DELLE LETTERE è un trattato scritto tra il 1778-86 e pubblicato anch’esso senza il permesso dell’autore, formato da tre libri,. Il modello di Machiavelli è esplicitato già nel titolo. L’opera è caratterizzata da un pessimismo agonistico e combattivo, nel sesto capitolo in particolar modo lo scrittore affronta il tema dell’impulso naturale, ciò che, secondo lui, fa di un uomo uno scrittore. Lo scrittore autentico, per Alfieri, è colui che possiede in sè l'impulso naturale e che riesce a coltivarlo, in antitesi alla tirannide del principe. L'impulso naturale rappresenta, dunque, lo spirito sublime del letterato che gli permette di innalzarsi al di sopra della mediocrità incarnata dal principe. Il desiderio di gloria per sè non deve mai, però, essere slegato da quello di recare giovamento agli altri. PANEGIRICO DI PLINIO A TRAIANO è un trattato scritto nel 1785 in cui Alfieri celebra l’ideale del principe che , rinunciando all’esercizio del potere dispotico, conferisce ai sudditi la libertà e lo status dei cittadini. MISOGALLO è un’opera per metà in prosa e per metà in versi; il titolo significa “odiare i francesi”, infatti in questo trattato Alfieri esprime un odio contro la Rivoluzione francese, contro i principi illuministici e contro lo spirito borghese che essa stava diffondendo. Tale opposizione alla tirannide politica lo porta, al tempo stesso, ad auspicare che proprio l’avversione contro la Francia e il suo dominio politico e nazionale, possa spingere il popolo italiano ad assumere una coscienza nazionale e a difendere la propria libertà. LA POETICA TRAGICA Alfieri trova nella poesia lo scopo che può dare un senso alla sua vita, fino ad allora protesa verso l’ignoto, dominata da un senso di noia, di vuoto e di scontentezza. In particolare, l’autore sceglie la forma tragica come espressione del suo mondo interiore, per diversi motivi: - la tragedia appariva il genere poetico più adatto a esprimere il titanismo alferiano, la tensione verso il mistero e l’infinito; - la tragedia non aveva trovato ancora nella cultura italiana una realizzazione soddisfacente; - la tragedia era considerata il genere più sublime e più complesso. - MANOSCRITTO N. 24-> INCOMPLETO, successivo al n.13 ed in esso Alfieri avevano preparato la prima parte dell’opera per l’edizione a stampa, quindi si tratta di una copia curata e accurata, in quanto destinata allo stampatore. È l’esemplare di riferimento per l’edizione critica, ma esso non contiene la seconda parte. EDIZIONE CRITICA, 1951, a cura di LUIGI FASSO’: L’edizione critica riprende questi due manoscritti (gli unici manoscritti originali esistenti), che testimoniano due fasi diverse della stesura dell’opera. Luigi Fassò fece riferimento al manoscritto n.13 (più antico) per la seconda parte dell’opera, mentre al manoscritto n.24 per la prima parte, trascurando l’edizione a stampa del 1806, che non risulta attendibile. Inoltre, Fassò, il curatore dell’edizione critica, disse che il manoscritto n.13 non era una brutta copia o un abbozzo dell’opera, ma si trattava di una prima stesura su cui l’autore doveva ritornare per produrre l’edizione definita. Alfieri attuò questo lavoro di revisione solo sulla prima parte dell’opera e si dedicò alla stesura dell’ultima parte negli ultimi mesi della sua vita prima di morire, per cui non fece in tempo a rivederla e riordinarla. CARATTERISTICHE DELL’OPERA La “Vita” si configura come una sorta di “portrait of the artist as a young man” (“ritratto dell’artista giovane”), un’espressione che sarà coniata da James Joyce nel XX secolo; l’opera di Alfieri è la storia di un’anima sospesa tra malinconico ripiegamento e slancio agonistico, un testo che definisce le esperienze e la maturazione del soggetto dell’opera che è l’autore: AUTORE=SOGGETTO L’opera di Alfieri rientra nel filone delle SCRITTURE DELL’IO, che comprende il modello di Petrarca, le epistole, le memorie e le autobiografie. Alfieri riflette sull’importanza dell’io, che pone al centro dell’opera. La struttura narrativa dell’opera segue le vicende dell’individuo, descrivendo il definirsi della sua identità e maturità. La definizione dell’identità è spesso un’impresa molto complessa e difficilmente portata a termine. Nella “Vita” si ha una sorta di confessione (riferimento extratestualeCanzoniere di Petrarca), una crescita di consapevolezza di sé accompagnata da vicende avventurose e dai vizi che caratterizzano il soggetto. Alfieri vuole ricostruire il delinearsi della sua identità e della sua vocazione poetica su uno schema che ricorda la storia di una conversione religiosa: prima vi è l’inquietudine oscura dell’animo e poi il momento centrale della rivelazione, dell’illuminazione; Alfieri ha un vero e proprio culto religioso della poesia: per lui la scrittura poetica non è solo esercizio tecnico e retorico, ma la realizzazione suprema dell’essere, un qualcosa in cui si mette in gioco la “salute dell’anima”, il valore stesso della propria esistenza. L’identificazione tra vita e poesia colloca Alfieri in un clima romantico. PARTE I-INTRODUZIONE Nell’introduzione dell’opera si delinea l’amore dell’autore verso se stesso. Alfieri pensa che scrivere della propria vita significa ricostruire il ritratto di quell’individuo che non è solo l’autore dell’opera in questione ma anche di altre opere che lascerà ai posteri. L’intento di Alfieri è scrivere di sé, lasciare un ritratto di sé che possa sopravvivere anche dopo la morte, vuole che i suoi lettori conoscano l’individualità dell’autore delle opere che leggono e che sono state da lui scritte. Vuole che una parte di sé rimanga viva dopo la sua morte. Ciò che spinge Alfieri alla scrittura autobiografica e del proprio io è la necessità di scrivere il vero di se stesso, di lasciare di sé un ritratto autentico per evitare che lo facciano in modo fittizio altri, aggiungendo cose non vere, modificando la sua vita solo per alimentare il mercato. Nell’introduzione importante è la sua affermazione “non leggere quest’ultima parte” (pag.50), in quanto a differenza della I parte n cui Alfieri parla con distacco temporale della sua giovinezza ormai passata, nella II parte invece vi è una corrispondenza tra materia scritta e realtà, vi è una maggiore vicinanza tra l’autore e il suo io proiettato nell’opera, poiché si narra di vicende più recenti. Inoltre, nell’Introduzione afferma di aver voluto lasciar fare alla penna con il risultato di un’opera caratterizzata da naturalezza e spontaneità e determinata dal cuore e non dall’ingegno. Lo stile è conversevole, mai piatto, il ritmo è nervoso e incalzante, il linguaggio è coinciso ed essenziale e ricco di termini inusuali, neologismi (es. spiemontizzarsi, filosofessa) PRIMA PARTE-CAPITOLO DECIMO Tra i diversi episodi della vita di Alfieri, quello più celebre è l’episodio avvenuto a Londra, dove Alfieri intraprende una vicenda amorosa con una dama, Penelope, bella, nobile ma sposata ed infedele. Fondamentale è il rapporto con la cultura britannica e dal suo racconto si evince l’arretratezza della cultura italiana, in particolare, quella piemontese, rispetto alle grandi città e alle culture come quella britannica. Londra per Alfieri è la città ideale, modello perfetto di civiltà da lui privilegiato rispetto al modello francese.
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