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vittorio criscuolo, storia moderna, Appunti di Storia Moderna

riassunto dettagliato del libro di vittorio criscuolo, probabilmente ci sarà qualche errore grammaticale, abbiate pietà è un libro enorme

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 24/10/2023

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marta-ricigliano-1 🇮🇹

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Scarica vittorio criscuolo, storia moderna e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! Capitolo uno: l’eclissi della modernità. 1.1. I limiti dell’età moderna. La parola periodizzazione è entrata nell’uso corrente agli inizi del secolo scorso e indica una suddivisione del processo storico in fasi o epoche che si ritiene di poter individuare e distinguer con sufficiente chiarezza per le loro peculiari caratteristiche o sulla base di una concezione generale della storia, o rispetto alle trasformazioni che esse hanno prodotto in un ambito specifico. Spesso queste divisioni rispondono a motivi di ordine pratico, ma in ogni caso la periodizzazione anche quando appare comunemente accettata e condivisa, non è mai neutra e presuppone sempre un’interpretazione della storia. L'inizio della storia moderna viene ricondotto per lo più al 1492, anno della scoperta dell'America, ma si tratta di una scelta convenzionale, più che a una data specifica, il punto di partenza dell'età moderna deve essere ricondotto a uno spazio di tempo compreso fra la metà del 400 e i primi decenni del 500 che fu caratterizzato da una serie di trasformazioni e innovazioni di tale portata, da far segnare nella stessa percezione dei contemporanei, una svolta o una rottura nella continuità del processo storico. Per quanto riguarda il punto d'arrivo, esso può essere generalmente collocato tra la seconda metà del 700 e i primi decenni dell'800, quando l'avvio della rivoluzione industriale in Inghilterra e la caduta dell'antico regime per opera della Rivoluzione francese, modificarono la realtà economico, sociale, politica e culturale dell'Europa occidentale. 1.2. Moderno Il termine modernus comparve tra la fine del V e l’inizio del VI sec, come derivazione dell’avverbio modo, esso comparve in una lettera da Cassiodoro a nome del re dei goti Teodorico. Si era già fatta strada l’idea che il mondo antico era tramontato per sempre per cui nasceva l’esigenza di un termine che indicasse l’attualità. 1.3. Il mito del rinascimento. La periodizzazione dell’età moderna si affermò definitivamente nell’800 quando lo storico Jakob Burckhardt elaborò il concetto di rinascimento come alba della civiltà moderna. Alla base di questa prospettiva storica vi era la fiducia nel progresso di una borghesia europea trionfante che si apprestava a vivere la seconda rivoluzione industriale ed era animata dall’orgoglio di rappresentare il culmine del cammino umano verso la civiltà. Il progresso della quale era orgogliosa la società 800, poteva anche essere respinto in nome della tradizione come l’incarnazione del male assoluto, questa era la posizione di papa pio IX il quale respingevano le tesi di coloro che difendevano alcuni principi della cosiddetta civiltà moderna in nome dei principi immobili e incrollabili del cattolicesimo. Il concetto di modernità era l’espressione di un punto di vista laico, sostanzialmente anticattolico incentrato sull’affermazione dell’individuo che a partire da quel periodo aveva rivendicato la capacità di costruirsi il proprio destino e conquistato la propria libertà di pensiero e di coscienza. In quella svolta la borghesia europea trovava le proprie radici. 1.4. L’inizio dell’età contemporanea Anche il punto di arrivo dell’età moderna è stato oggetto negli ultimi decenni di interpretazioni che hanno cercato di sminuirne, se non di negarne la portata. Per quanto riguarda la Rivoluzione francese, il cosiddetto revisionismo storiografico, polemizzando con l’interpretazione classica elaborata dalla storiografia marxista, ha negato che essa abbia rappresentato la fine del sistema feudale e aperto la strada all’avvento della società borghese e ha insistito sui molti aspetti di continuità tra antico regime e la Francia rivoluzionaria. Sembra però difficile negare la capacità periodizzante della rivoluzione francese che attraverso la legislazione imposta nei paesi occupati aprì una nuova fase nel corso della storia europea distruggendo le basi della società tradizionale- in relazione alla rivoluzione industriale, anche se si estese agli atri paesi dell’Europa occidentale con notevole ritardo, senza provocare una trasformazione repentina e radicale dell’assetto economico-sociale, non c’è dubbio pero dei movimenti irreversibili destinati a modificare in maniera radicale il secolare problema della produzione dei mezzi di sussistenza. 1.5. Nuovi orientamenti della storiografia. Il concetto di età moderna, si può considerare ancora valido per quanto concerne l’arte, la cultura, la vita politica. Questa periodizzazione è parsa però sempre più inadeguata quando la storiografia ha spostato il suo interesse verso lo studio della società e dei comportamenti individuali, aprendosi all’influsso delle scienze umane. Punto decisivo di questa nuova direttrice degli studi storici è stata la rivista degli studi storici degli Annales, che ha spostato l’obiettivo della storia dagli eventi a quello delle strutture, proponendosi di studiare quei condizionamenti di natura geografica, biologica, economica, psicologica che permangono sostanzialmente immutati per lunghi periodi. Si è affermata così la categoria della lunga durata che ha focalizzato l’attenzione dello storico su fenomeni come la vita quotidiana o l’alimentazione. Uno dei motivi che hanno indotto molti studiosi a proporre un superamento del concetto di età moderna è la sua prospettiva eurocentrica, sentita ormai come innaturale e insufficiente rispetto alla sensibilità del mondo globalizzato. Molto importante è stata anche la crisi dello stato nazionale, che era stato uno dei cardini dell’affermazione della modernità nella storiografia ottocentesca ma che oggi viene messo in discussione da un lato della formazione di grandi organismi transnazionali, dall’altro dal rifiorire di nostalgie per il piccolo stato e delle molteplici aspirazioni alla formazione di più limitate identità di carattere locale o regionale. Soprattutto lo stato nazione è finito sotto accusa come principale responsabile delle tragedie provocate dai totalitarismi del XX sec. 1.6. Post-moderno. Dagli anni Settanta del secolo scorso si è affermata la categoria della postmodernità, definita come coscienza critica della stessa società postindustriale. Il concetto è nato prima nell’architettura quando è sembrato che si fosse esaurita la stagione del modernismo. A partire dagli anni Sessanta del 900, la vena produttiva di questa corrente è parsa esaurita e si affermata l’idea di postmodernismo che nasce dalla constatazione del fallimento del tentativo modernista di dominare con scelte razionali e profondamente innovative il rapporto tra uomo e ambiente. Il concetto, estesosi poi all’arte, alla letteratura e alla filosofia, ha come elementi centrali il rifiuto delle concezioni generali del mondo e della storia e la sfiducia nella possibilità di interpretazione razionale e unitaria di una realtà per sua natura complessa e mutevole, in definitiva caotica. 1.7. Un mondo senza futuro. Nell’età postmoderna cade definitivamente il concetto di progresso e appare molto difficile riscontrare nella pubblica opinione un atteggiamento di fiducia nel progresso della società in cui viviamo. Oggi appaiono infatti più evidenti alla coscienza contemporanea i costi della modernità, alla quale guardiamo senza trionfalismo. 2. La popolazione 2.4.4. Mortalità infantile e natalità. Un’incidenza altissima aveva la mortalità infantile, su questi dati pesavano certamente alcune malattie endemiche che per la loro permanenza provocavano nel complesso più danni delle stesse epidemie. I demografici si sono chiesti quali fattori concorrevano ad abbassare il tasso di fecondità. Grazie alla ricostruzione delle famiglie si è potuto stabilire che in Europa ci si sposava tardi a un’età di 25 anni per le donne, d’altra parte bisogna considerare che molti uomini non avevano una lunga durata a causa della scomparsa di uno dei due coniugi, l’allungamento dell’allattamento poi allungava anche la distanza tra un parto all’altro, in quanto provocava una temporanea sterilità e quindi allungava la distanza fra una gravidanza e l’altra. 2.5. La popolazione nell’età moderna. L’andamento demografico fu caratterizzato da un ciclico alternarsi di momenti di crescita e di crisi. lo sviluppo della popolazione europea nell’età moderna fu fortemente condizionato dalla vera catastrofe demografica provocata dalla peste con la gravissima crisi del 1347-1352 e poi con le successive ondate epidemiche che si manifestarono in diverse zone del continente. Il recupero dei vuoti lasciti da questa crisi fu in generale piuttosto lento, per cui i livelli di popolazione di inizio 300 furono raggiunti solo agli inizi del 500. A partire dalla metà del 700 iniziò una fase di crescita sempre più accelerata che assunse un ritmo tale da far segnare la seconda grande rottura nell’andamento della popolazione mondiale. Si è molto discusso sulle cause che diedero avvio nel corso del 700 a questa “transizione demografica”. Vi fu con ogni probabilità di un concorso di fattori diversi che fecero abbassare la mortalità e alzare la natalità. Non si può stabilire per quanto concerne l’Europa con la rivoluzione industriale in quanto l’aumento demografico si manifestò prima che questa facesse sentire i suoi effetti. Sulla diminuzione della mortalità pesarono sicuramente la scomparsa della peste e la minora frequenza e gravità delle carestie, grazie non solo ai progressi nell’agricoltura ma anche nel miglioramento dei trasporti. Un effetto positivo ebbe anche l’acquartieramento degli eserciti in caserme, che limito i danni provocati dalla presenza dei soldati sul territorio. 2.6. La demografia urbana L’urbanizzazione è un processo di concentrazione della popolazione che può avvenire attraverso la crescita delle città esistenti o tramite la formazione di nuovi centri di aggregazione. Per l’Europa occidentale nell’età moderno si può definire città un agglomerato di più di 5000 individui. Nella città bisogna inoltre considerare che è maggiore il numero di individui che non sono sposati, ecclesiastici ma anche donne impiegate come domestiche. La mortalità era mediamente più elevata in città che in campagna: infatti l’addensamento della popolazione e le condizioni igienico-sanitari. Si può parlare di un processo di urbanizzazione se la popolazione che vive in città cresce non solo in termini assoluti, ma soprattutto in relazione al complesso della popolazione. Un fenomeno caratteristico dell’età moderna è la comparsa di grandi città capitali, l’emergere di queste avvenerò in virtù della loro funzione di centro politico-istituzionale e amministrativo dello stato. 3. La società preindustriale. 3.1. Una società rurale. La società di antico regime era fondata su un’economia prevalentemente agricola. Nell’età moderna la condizione del mondo contadino si presentava sostanzialmente diversa nell’Europa centro-occidentale rispetto alla parte orientale del continente. 3.2. Il mondo rurale nell’Europa centro-occidentale. Tra il IX e il X sec a causa della frammentazione e della debolezza dei poteri politici, i proprietari terrieri assunsero sempre più una funzione di protezione e di difesa delle popolazioni che vivevano sulle loro terre. Il signore in cambio della protezione imponeva obblighi di varia natura, amministrava la giustizia e riscuoteva i tributi. In tal modo, le differenze fra le varie condizioni personali andarono progressivamente riducendosi, fino a perdere di fatto ogni significato. Scomparve quasi del tutto la servitù, ma contadini liberi o dipendenti dal signore serve addetti alla casa o al lavoro nei campi finirono per essere assimilati in una comune condizione di servaggio. Il servo era in una situazione di inferiorità giuridica che implicava una limitazione della sua libertà personale. Egli doveva obbedienza al signore, era obbligato a prestare a suo favore opere gratuite e non poteva lasciare le sue terre. A partire dal XII sec, si affermò il principio per cui è solo l'investitura del sovrano. Poteva giustificare e legittimare l'autorità del signore, il quale esercitava quindi nelle sue terre un'autorità delegata dal sovrano e perciò a lui, subordinata. Lo sviluppo dell'agricoltura e la ripresa degli scambi commerciali crearono, a partire dall'XI sec, le condizioni per una progressiva erosione del potere signorile, i contadini che grazie alla forte crescita economica poterono migliorare notevolmente la propria condizione, si batterono contro i signori per attenuare il peso della loro autorità e in queste lotte trovarono un sostegno decisivo nelle città che proprio in quel periodo si affermarono in larga parte dell'Europa come centri di potere e autonomi. Fra il XII e il XIII sec, decaddero quasi dappertutto le limitazioni della libertà personale, come l'obbligo di risiedere sulle terre del signore in alcune zone, poi le città, estendendo il loro domini al territorio circostante, disgregarono il potere delle signorie, attribuendosi in esclusiva l'imposizione fiscale, l'amministrazione della giustizia, il mantenimento dell'ordine e garantendo lavoratori una terra della terra, una piena libertà. Per l'età moderna è opportuno parlare di un potere signorile sostanzialmente ridotto alla sola dimensione economica. Infatti, la riserva signorina è notevolmente ridimensionata, non era più coltivata con il lavoro gratuito, ma era generalmente divisa in appezzamenti affidati a contadini titolari di diversi tipi di contratti agrari, perlopiù di lunga durata, che prevedeva il pagamento di canone in natura o, più spesso in denaro. La parte maggiore dell'azienda era invece suddivisa in unità di coltivazione sulle quali risiedevano le famiglie coloniche. La proprietà di queste terre non era però piena, ma condivisa con il signore, il contadino aveva la proprietà utile ma era soggetto alla propria alla proprietà eminente del signore che faceva gravare sulla terra numerosi diritti più o meno onerosi a seconda dei periodi delle zone. Inoltre. il contadino personalmente libero poteva lasciare la terra e poteva anche venderla, ma in tal caso doveva pagare al signore il diritto di laudemio. Il signore aveva anche il monopolio della caccia, della pesca e dell'uso dei corsi d'acqua. Occorre precisare che questi diritti signorili potevano essere ereditati e venduti come qualunque altra proprietà, per cui la loro titolarità non apparteneva necessariamente a un nobile. Al signore spettava anche la giurisdizione sul territorio sottoposto alla sua autorità, ma di fatto le case criminali e civili più importanti erano ormai di competenza dei tribunali reali. 3.3. Il servaggio contadino nell’Europa orientale. Nell'Europa orientale a partire dalla metà del 400, il mondo contadino fu costretto a subire gravi limitazioni della libertà personale, si parla perciò di secondo selvaggio. In queste zone vi erano grandi distese di fertili pianure, adatte soprattutto per la serie cerealicoltura, ma scarseggiava la manodopera a causa della bassa densità della popolazione. Inoltre, la struttura sociale era rigida e poco articolata a causa dello schiacciante predominio della nobiltà, mancava un forte gruppo intermedio e molto limitato era lo sviluppo delle città. Quando l'incremento demografico determinò un aumento delle domande di prodotti agricoli sia all'interno di queste regioni sia da parte dell'Europa occidentale i proprietari terrieri furono indotti a garantirsi il controllo della scarsa manodopera, vincolando i contadini alle terre e incrementando le loro condizioni di sfruttamento. La riserva un signorile era molto estesa e soprattutto era coltivata attraverso il lavoro fatto dai contadini, la cui intensità si accrebbe notevolmente a partire dal XV sec. I servi, non potevano lasciare le terre del signore, non potevano contrarre matrimonio senza il suo permesso e potevano essere venduti o scambiati con o senza la terra che era loro affidata. La famiglia contadina garantiva in genere attraverso i figli, la gestione della casa del signore ed era impegnata inoltre nelle manifatture che egli impiantava. Assai pesante era anche la giurisdizione esercitata sui servi che erano soggetti senza riserva all'autorità del signore, non potendo appellarsi contro le sue decisioni ai tribunali. Si determinò quasi nelle campagne un clima di profondo malessere che provocava periodicamente fughe collettive accompagnate in genere, ma da ogni sorta di violenza contro la famiglia del signore. 3.4. L’economia contadina Nel corso della moderna vi era in molte zone dell'Europa occidentale, una diffusa proprietà contadina. Questa era soggetta ai diritti dovuti alla proprietà eminente del signore. La proprietà contadina si presentava molto parcellizzata e risultava perciò largamente insufficiente ai bisogni della popolazione. Questa condizione di precarietà divenne ancora più grave quando la crescita demografica aumento la pressione sui terreni coltivabili, riducendo ulteriormente le dimensioni delle unità di coltivazione. Oltre ai fondi di conduzione diretta, il mondo contadino poteva disporre però delle terre date in affitto a condizioni molto diverse dai proprietari aristocratici, dagli enti ecclesiastici e dai proprietari cittadini. La struttura della famiglia contadina era condizionata dalla disponibilità di terre e dalla natura dei contratti agrari. Quando la peste ridusse drasticamente la popolazione, la terra disposizione del mondo rurale divenne abbondante e quindi si manifestò la tendenza alla formazione di famiglie di tipo nucleare. In seguito, l'incremento demografico accrebbe la pressione sul terreno coltivabile, per cui si manifestò in molte zone una tendenza alla formazione di famiglie più ampie nelle quali convivevano più generazioni. 3.5. Un’agricoltura di sussistenza Il modello dell'economia contadina, fu sempre un'agricoltura di sussistenza che mirava a, cioè in primo luogo, a produrre gli alimenti e gli altri prodotti di cui la famiglia aveva bisogno. Tuttavia, la famiglia non viveva isolata, ma era quasi ovunque integrata nella comunità del villaggio che ne condizionava ogni aspetto della vita, dell'attività economica e alle stesse vicende individuali. In Inghilterra e nella maggior parte dell'Europa occidentale, le case contadine si trovavano riunite nei villaggi, generalmente coincidenti con la parrocchia, insediamenti in genere non superiore al migliaio di abitanti e le unità di coltivazioni erano disperse nei cosiddetti campi aperti (open fildes). Le parcelle di proprietà di ciascun contadino erano spesso diverse e anche piuttosto lontane fra loro, ma non erano separate. Si trattava di una cultura di tipo comunitario in quanto per la frammentazione e la dispersione delle proprietà individuali ciascuno era vincolato alle pratiche di coltivazione adottate dal villaggio da tempo. Predominava quindi la coltivazione dei cereali, frumento e soprattutto segale, componente fondamentale della dieta delle classi popolari. L'altro aspetto caratteristico dell'agricoltura comunitaria del villaggio era la rotazione delle culture al l'applicazione della scienza matematica al problema della determinazione del punto, ovvero della posizione geografica di una nave in un dato istante. Si crearono così le premesse, per tentare finalmente la navigazione in mare aperto. Molte novità si ebbero anche nelle costruzioni navali, rimase a lungo attiva fino al XVII sec la galera o galea, che rappresentava il prodotto migliore delle marinerie mediterranee. Fu impiegata soprattutto in guerra, maneggevole e veloce, era la lenta nei lunghi percorsi e obbligata a rifornirsi spesso di acqua e viveri. I perfezionamenti nella tecnica marinara portarono invece i paesi atlantici a sviluppare soprattutto le navi a vela che divennero progressivamente protagoniste assolute dei traffici commerciali e dei combattimenti navali. Un'evoluzione di queste imbarcazioni fu la caravella di origine portoghese, molto maneggevole e veloce, aveva bisogno di equipaggio non numeroso e perciò poteva imbarcare, vivere acqua per affrontare lunghi viaggi, per questo fu il mezzo ideale dei viaggi di esplorazione. Uno sviluppo del veliero atlantico fu l'imponente galeone e va ricordato il fluyt utilizzato dagli olandesi a dalla fine del XVI sec, grazie a esso poterono vincere la concorrenza, abbassando il costo dei noli, sia perché l'ampia stiva consentiva il trasporto di grandi carichi. Uno dei rischi ai quali era sottoposto al commercio marittimo era l'attacco da parte dei pirati per impadronirsi del carico della nave dalla pirateria, almeno dal punto di vista teorico, va distinta la guerra di corsa che viene esercitata con il consenso di un governo contro le navi dello Stato nemico. Il fenomeno si diffuse nel Mediterraneo già a partire dal XIII sec e imperversò lungo tutto il XVI. Nel 500 si sviluppò anche la pirateria atlantica praticata ai danni di galeoni spagnoli che trasportavano oro e argento dalle miniere del nuovo mondo, da inglesi, olandesi e francesi. Sul piano pratico è difficile distinguere la pirateria e la guerra di corsa, quando scoppiava una guerra, i pirati si affrettavano a farsi rilasciare degli Stati coinvolti, lettere di corsa che di fatto davano loro il mandato di assaltare le navi nemiche, azioni che essi svolgevano anche in tempo di pace. Nel corso del XVIII sec, la pirateria declino sensibilmente e rimase attiva nell'Oceano Pacifico e soprattutto nell'Estremo Oriente e nell’oceano Indiano, dove sopravvive ancora oggi. Questi pericoli, insieme a quello di naufragi di deterioramento della merce nella stiva, indussero comunque ad utilizzare il commercio marittimo soprattutto per carichi ingombranti e non di grande valore, mentre per le merci di qualità e di prezzo elevato fu preferito al trasporto via terra, anch'esso ostacolato: dalla cattiva condizione delle strade, aveva costi molto elevati anche per innumerevoli dazi e pedaggi che bisognava pagare durante il tragitto. 4.5. Il commercio All'inizio dell'età materna il bacino Mediterraneo rappresentava ancora un nodo centrale dei traffici commerciali fra l'Europa e l'Asia. Grande sviluppo ebbero in questo periodo i commerci nei mari del nord, qui nel basso Medioevo si era affermata la potenza della Hansa, la Lega che riuniva molte città sulla costa del Mare del Nord e del Baltico e che si estese anche a città non marinare legate alle prime per rapporti commerciali. A partire dal XV sec, il ruolo della lega fu progressivamente ridimensionato dalla Svezia, nel 600 i traffici in questi mari furono dominati dalle navi olandesi che portavano il prezioso legname della Scandinavia e inoltre i cereali e metalli. un altro parte importante di questi prodotti commerciali ebbe, fin dal XVI sec la marineria inglese che erose progressivamente il primato di olandesi. Ma l'età moderna fu caratterizzata soprattutto dallo sviluppo dei traffici oceanici. I portoghesi nel 1498 riuscirono a raggiungere l'India, circumnavigando l'Africa, e poterono così acquistare le spezie direttamente dai produttori senza intermediazione veneziana, tuttavia, la concorrenza portoghese, non riuscì a tagliare fuori all'altro traffico delle spezie Venezia che per tutto il 500 mantenne, un posto importante nel commercio Mediterraneo. Dopo la scoperta delle Americhe, la formazione di un impero spagnolo e uno portoghese si aprirà un'intensa corrente di scambi commerciali attraverso l'antico, fu necessario infatti rifornire i coloni che si erano stabiliti nel nuovo mondo. Con la scoperta di ricche miniere di metalli preziosi sui territori occupati dalla Spagna cominciarono ad arrivare a Siviglia crescenti quantità di olio d'argento, In seguito furono importati in Europa di prodotti dei quali c'era una forte domanda nel corso del 600, al declino della Spagna e del Portogallo, ci fu l'affermazione prima dell'Olanda, poi della Francia e dell'Inghilterra come principale protagonista dell'espansione europea, attraverso la colonizzazione dell'America settentrionale. 4.6. La moneta metallica Di origine di sistema monetario vigore nell'età moderna risalgono alla riforma realizzata sul fine dell'VIII sec da Carlo Magno, il quale istituì un sistema di monometallismo fondato su un'unica moneta d'argento: Il denaro. La moneta si identificava in base al peso e alla lega: il peso era determinato dall'autorità monetaria e indicava quante monete dovevano essere coniate da una data, quantità di argento o di oro. Nella coniazione al metallo prezioso, si univa una quantità di metallo non nobile. L'incremento degli scambi per effetto della crescita economica iniziata nel secolo XI, sempre più inadeguato un sistema basato su una sola moneta, si provvide perciò dapprima alla coniazione di multipli del denaro e dal XIII sec, all'emissione di monete d'oro, si passò così a un sistema di bimetallismo, nel quale il valore delle monete era legato al valore dell'argento e dell’oro, questi due metalli preziosi, erano usati anche per altri scopi e avevano quindi un prezzo di mercato determinato dalla domanda e dall'offerta. 4.7. La moneta bancaria. L'origine della moneta bancaria, risale all'Italia del XII sec. I banchieri non si limitavano a fare da cambio valute o da intermediario fra i privati e la zecca, ma accettavano depositi di moneta metallica per i quali lasciavano una ricevuta. Ben presto i banchieri si accorsero che era sufficiente tenere in cassa una frazione del totale dei depositi per far fronte alle richieste di ritiro da parte dei depositari. Essi, perciò, per erogare la maggior parte delle somme ricevute in un deposito in operazioni di prestito. Quando le ricevute di accredito emesse dal banchiere cominciarono a circolare e furono trasferite con un semplice girata dal titolare, diedero vita alla prima forma di biglietto di banca, ovvero di moneta bancaria. Molto importante fu anche la diffusione della lettera di cambio comparsa nella seconda metà del XII sec, si trattava di un atto notarile con il quale il mercante (datore) dava una somma di denaro a un altro mercante (prenditore), il quale gli consegnava una lettera di cambio nella quale si impegnava a restituire la somma ricevuta in un’altra località, a un agente o corrispondente del datore. La restituzione avveniva in genere in moneta diversa e implicava comunque la corresponsione di un interesse in quanto era dilazionata nel tempo. Si otteneva in tal modo un trasferimento di denaro da una piazza all'altra, evitando i rischi connessi al trasporto della moneta. 4.8. La rivoluzione dei prezzi. L’età medievale fu caratterizzata da una ricorrente scarsità di metalli preziosi rispetto alle esigenze della circolazione monetaria. Sul finire del XV sec la situazione migliorò sensibilmente grazie ai progressi tecnici dell'industria estrattiva. Fu però soprattutto l'afflusso di metalli preziosi delle colonie spagnole a determinare, nel corso del XVI sec, un forte incremento della massa monetaria. Già i contemporanei misero in correlazione questo fenomeno con l'aumento dei prezzi che caratterizzò l'intero corso del 500. Questa teoria è stata poi definita dallo studioso americano Earl Jefferson Hamilton che mise in diretta correlazione l'andamento dell'inflazione con gli arrivi di oro e di argento. Egli ha ritenuto di individuare nell'economia europea del XVI sec una vera rivoluzione dei prezzi. Questa idea si basa sulla teoria che, se c'è poca moneta rispetto alle merci, il quoziente, cioè il livello dei prezzi sarà basso, se c'è molta moneta rispetto alle merci, il livello dei prezzi sarà alto. Su questa teoria si è molto discusso, si è rilevato che in società votata in larga misura all’autosufficienza gli scambi monetari erano comunque limitati, per cui non si può attribuire alla moneta lo stesso peso che ha nella realtà contemporanea. Inoltre, l'incremento dei prezzi fu nel complesso modesto, pari mediamente a circa il 2% annuo. Bisogna considerare poi che solo una parte dell'argento rimase in Europa poiché una quota rilevante finì in Asia per finanziare l'importazione di spezie e di altri prodotti di lusso. Solo dopo la scoperta della miniera di Potosì in Perù, nel 1540 si ebbe un incremento esponenziale della massa d'argento, mentre in realtà la tendenza inflazionistica era iniziata già molto tempo prima. In conclusione, si può affermare che all'origine del fenomeno vi fu fin dagli inizi del XVI secolo, l'incremento demografico al quale l'agricoltura faceva molto fatica a far fronte. Su questa situazione si innestò l'aumento della massa monetaria. Alla luce di questo si comprende il motivo per cui l'aumento dei prezzi non interessò in maniera omogenea tutti i prodotti, ma si concentrano soprattutto su quelli di più largo consumo da parte della massa della popolazione. 4.9. Moneta grossa e moneta piccola. Fin dal XII sec, quando furono coniate le monete d'oro, si determinò una netta differenziazione fra quest'ultime, utilizzate negli scambi internazionali, nelle transazioni finanziarie o nel commercio all'ingrosso e le monete cosiddette piccole che servivano invece per le compravendite quotidiane e per il pagamento dei salari. La tendenza alla svalutazione interessa in particolare le monete piccole che garantivano la circolazione interna ed erano il riferimento per la fissazione dei prezzi, esse finirono per contenere una quantità sempre minore di metallo prezioso. Nell'età moderna per le minute transazioni quotidiane si usavano monete che portavano impresso il loro valore nominale molto superiore al valore di mercato del loro intrinseco metallico. Al contrario, le monete in argento e oro ebbero sempre una maggiore stabilità del loro contenuto intrinseco, non recavano alcuna indicazione di valore in quanto quest'ultimo era fissato dall'autorità monetaria sulla base del valore del mercato dei due metalli. Ci sono poi le monete di conto che rappresentarono per tutto il periodo considerato lo strumento del quale tutti si servivano per far fronte ai bisogni della vita di ogni giorno. C'è una distinzione fra due sistemi monetari, le monete di conto ideali non realmente esistenti con le quali si fissavano i prezzi e si teneva la contabilità e le monete effettivamente coniate, che si utilizzavano per i pagamenti. Questo meccanismo era necessario per dare l'uniformità a un sistema monetario quantomai complesso e disordinato. Infatti, nell'epoca considerata le monete di nuovo conio, non sostituivano quelle precedenti, le quali continuavano a circolare, per cui c'era una moltitudine di unità monetarie. Tutte diverse per il tipo di metallo, per il peso e il valore intrinseco. Erano quindi delle unità di misura stabili nella quale tradurre in uniformare i valori delle diverse monete correnti. 4.10. Le mutazioni del cambio. Il cambio è il prezzo al quale la moneta viene cambiata, con un altro nel corso di una diminuzione del valore di una moneta nei confronti dell'altro si parla di svalutazione. Nell'età moderna il problema del cambio si poneva quotidianamente a tutti, a causa 5.4. Il patriziato Lo sviluppo delle città in Italia, nelle Fiandre, nella Svizzera e nelle zone occidentali meridionali dell'area tedesca determinò la progressiva affermazione di un altro tipo di ceto aristocratico, di origine urbana e soprattutto non legata alla funzione militare, la cronica stabilità delle istituzioni comunali a partire dalla metà del XIII sec, la tendenza alla formazione di governi più forte e duraturi, in grado di disciplinare conflitti politici e sociali. Questa esigenza si realizzò in molti casi attraverso l'emergere di una classe dirigente che assunse di fatto il controllo delle magistrature cittadine emarginando gli stati popolari, in pratica alla guida delle città si insediarono di patriziati ristretti gruppi di famiglie e di questi grandi mercanti e banchieri e anche di famiglie di tradizioni nobiliari che si riservarono in monopolio delle principali cariche, trovando in questa funzione la radice di una distinzione di status rispetto alla restante popolazione. 5.5. La città. La città rimase nella sua struttura e nella sua realtà quotidiana legata alla tradizionale frammentazione, in ceti, corpi, comunità e associazioni che costituivano la trama della vita sociale. Decisiva fu anche con la funzione delle confraternite, associazioni di laici a scopo religioso che promuovevano opere di carità e di assistenza che si legavano al tessuto urbano. Questo frammentato mosaico di posizioni giuridiche e di interessi che costituiva la città trovava un elemento di coesione nell’esigenza di controllare il territorio circostante allo scopo di garantire tue esigenze vitali per l'universo urbano la difesa da possibili attacchi nemici e di regolare l’approvvigionamento di frumento. Molto importante era anche la difesa del monopolio delle corporazioni artigiane per cui al di fuori delle mura cittadine era tollerata solo la presenza di poche attività. Indispensabili. Anche il regime fiscale, generalmente più favorevole alla città rappresentava un importante aspetto del dominio esercitato sulla campagna. 5.6. Gli ebrei. Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, gli ebrei si dispersero nei paesi del Mediterraneo, nel Vicino Oriente e in varie zone dell'Europa. Iniziava così il periodo della diaspora durante il quale essi rimasero fedeli alle loro origini. Fondamentale è in particolare il Pentateuco che raccoglie l'insieme degli insegnamenti e delle prescrizioni rivelati da dio e che costituisce la Torah scritta, la legge sacra dell'ebraismo. Non meno importante è la cosiddetta torah orale, ovvero il Talmud che raccoglie le interpretazioni della dottrina tradizionale giudaica, presentando una serie di norme giuridiche, di indicazioni etiche, di comportamenti nei riti, nelle liturgie e nell'alimentazione, che costituiscono parte essenziale dell'identità del popolo ebraico, figura centrale delle comunità era quindi il Rabino, interprete della legge e custode del patrimonio storico e culturale dell'ebraismo. Nell'età medievale fu particolarmente consistente la presenza degli ebrei nella penisola iberica, al cui sviluppo economico e culturali essi diedero uno aiuto assai rilevante. Chiamati sefarditi, nome ebraico della Spagna, essi, sotto la dominazione araba, poterono vivere in condizioni accettabili, pur non pur essendo soggetti a varie restrizioni e al pagamento della tassa prevista dal corano per ebrei e cristiani. La situazione degli ebrei peggiorò quando i territori in cui vivevano passavano sotto al controllo dei regni cristiani. In questo periodo cominciarono anche a circolare alcune leggende che avrebbero alimentato a lungo l'antisemitismo in di ampi strati della società europea. Nel basso Medioevo ci fu un peggioramento del loro status giuridico, non poterono più esercitare molte attività e non poterono acquistare beni immobili. Inoltre, fu vietato loro di sposare donne cristiane o di avere dei cristiani alle loro dipendenze. Dopo il Concilio lateranense 1179, che vieta i cristiani il prestito ad interesse ad altri cristiani gli ebrei si specializzarono nell'attività di cambio valute e nel prestito su pegno. L'espulsione della Spagna nel 1492, poi nel 1497 dal Portogallo segna una svolta decisiva nella storia delle minoranze ebraiche, in quanto colpì la comunità europea più antica, numerosa e radicata. Anche l'accettazione del battesimo, non più nei non pose fine alle discriminazioni, ai sospetti, proprio dalla necessità di verificare che gli ebrei convertiti chiamati marrani non conservasse sotto l'apparente fede cristiana la propria fede, nacque così nel 1478, l'inquisizione spagnola. Coloro che scelsero di partire pur di non convertirsi si diressero perlopiù nei Paesi Bassi, balcanici e verso l'impero ottomano. Negli stessi anni le espulsioni da quasi tutte le città tedesche determinò un esodo verso l'Europa orientale, in particolare la Polonia. Nell'impero ottomano gli ebrei, pagando la tassa prevista dal Corano, poterono esercitare diverse professioni in attività economiche, ma in Europa esse andarono incontro ad un generale aggravamento della loro condizione. Nella crisi religiosa del 500 prevalse una considerazione negativa della presenza ebraica, Lutero andate deluse le speranze nella loro conversione pubblicò un violento libello nel quale incito ad incendiare le sinagoghe e le case degli ebrei e a limitarne la libertà di movimento. Gli ebrei furono cacciati da tutti i territori italiani soggetti alla Spagna, mentre rimasero in alcuni Ducati o nella Repubblica di Venezia, proprio qui si istuzionalizzo una forma di segregazione che avrebbe caratterizzato tutta la vita degli ebrei nell’Europa moderna, il ghetto. Nel 1516 la Repubblica di Venezia impose agli ebrei, l'obbligo di risiedere in un'area separata che fu chiamata ghetto. Nel 1555 il Papa Paolo IV Carafa, dichiarò in una bolla che gli ebrei dovevano vivere in quartieri distinti, dai quali non potevano uscire di notte e nelle festività cristiane. In tal modo la segregazione divenne un principio di carattere generale. L'istituzione del ghetto, obbligo la comunità ebraica a vivere in spazi molto rispetti e gravemente carenti dal punto di vista igienico sanitario. A causa del sovraffollamento per le comunità ebraiche avevano enorme importanza i riti e le tradizioni sui quali si fondava la loro identità non solo religiosa ma anche culturale come lo shabbat, la pesah, la circoncisione e la cucina Kasher. Quanto maggiore era l'isolamento tanto era più forte la coesione interna a difesa della propria identità. Gli ebrei della comunità polacca di origine askenazita, si stabilirono perlopiù nei villaggi dove esercitavano il commercio e l'artigianato e si distinguevano per l'uso dello yiddish, lingua nata dalla fusione del tedesco con termini ebraici e slavi. Non mancano peraltro, molti ebrei che ascesero a posizione di grande prestigio e prosperità. Nel 700 il clima culturale e politico progressivamente si modificò grazie all'influenza del pensiero illuministico. Agli inizi degli anni 80, l'imperatore da Astro Giuseppe II, con diversi editti per le varie province dell'impero, adottò i primi provvedimenti favorevoli agli ebrei, concedendo loro alcuni diritti civili, si trattava di misure limitate. Fu la Rivoluzione francese a decretare la completa emancipazione, proclamando gli ebrei sulla base dei principi del 1789 cittadini francesi a pieno titolo, il clima cambiò nuovamente nell'età della restaurazione, in molti Stati furono messe in discussione le conquiste dell'età rivoluzionaria, in qualche caso, ad esempio nello Stato della Chiesa vi fu anche una violenta ripresa di misure discriminatorie. L'emancipazione che si affermò nel corso del XIX sec in forme e modi molto diversi, in buona parte dell'Europa apri storia dell'ebraismo ad una fase completamente nuova. Gli ebrei erano ormai liberi di spostarsi e di scegliere la loro residenza, potevano acquistare case e terreni e avere accesso alle professioni e a tutte le attività economiche ma questa integrazione nella società inevitabilmente allentava il vincolo che per secoli aveva tenuto unito le comunità. Paradossalmente il ghetto simbolo della dell'umiliazione imposta gli ebrei della società cristiana aveva avuto anche la funzione di proteggere dal mondo esterno il loro patrimonio religioso e culturale, che ora rischiava di andare disperso. 5.7. Poveri, marginali e vagabondi Nel periodo di passaggio dall'età medievale all'età moderna, mutarono le caratteristiche del pauperismo e muto anche l'atteggiamento della società di fronte a questo fenomeno, la società medievale, fondata sui valori morali della morale cristiana tendeva a considerare la povertà come l'immagine vivente del disprezzo per le cose del mondo predicato da Cristo, l'elemosina e la carità erano visti, quindi come preziose occasioni per meritare la salvezza eterna, tanto che era prassi abituale dei ricchi destinare nel testamento, in tutto o in parte, le proprie sostanze ad enti impegnati nel soccorso dei poveri. Già nel basso Medioevo si innestò progressivamente una crescente attenzione delle autorità pubbliche ad un problema sempre più avvertito, come decisivo per il mantenimento dell'ordine pubblico. La svolta nella condizione considerazione del pauperismo si determinano quando esso inizia a diventare un fenomeno di massa endemico, alla radice di questa evoluzione vi fu soprattutto la crescita demografica, che determinano una maggiore offerta di lavoro e una crescente pressione su un'agricoltura incapace di adattarsi alle nuove esigenze, innescando così un aumento della disoccupazione e un allargamento della forbice fra prezzi e salari. In questa situazione prevalse nelle classi agiate un atteggiamento di diffidenza e di timore e si affermò la tendenza a distinguere fra poveri buoni e meritevoli di assistenza e poveri cattivi da controllare ed eventualmente punire. In Inghilterra fu introdotto a livello locale una tassa obbligatoria che avrebbe dovuto fornire alla parrocchia le risorse necessarie per provvedere ai vecchi, ai malati, ai poveri che vi risiedevano. In sostanza, stabilì il principio per cui ogni comunità aveva la responsabilità di soccorrere ai propri poveri, mentre si cercò di contrastare in ogni modo lo spostamento di quest'ultimi verso la città. Nel corso del XVII sec la politica di centralizzazione della lotta al pauperismo che si caratterizzò in un piano che Michel Foucault ha definito la grande reclusione dei poveri, una prospettiva nella quale l'obiettiva di una sorta di igiene sociale veniva perseguito in modo radicale con una miscela di misure penitenziere ed indottrinamento morale e religioso. In Italia, alberghi per raccogliere mendicanti, poveri, barboni furono istituiti a Torino, Genova, Roma e Napoli, ma fra le case di correzione vanno ricordate soprattutto le workhouses istituite in Inghilterra per organizzare il lavoro obbligatorio di disoccupati, degli sbandati, degli oziosi, di fatto si trattò di orribili prigioni nelle quali furono rinchiuse alla rinfusa, in condizioni di assoluta carenza igienico sanitaria e di drammatica promiscuità, vagabondi e mendicanti, soldati abbandonati a sbandati e disertori. 6. Le forme e le strutture del potere. 6.1. Lo stato moderno Lo Stato moderno è una forma storicamente definita nel tempo e nello spazio, che si è affermata nell'Europa occidentale agli inizi del XIX sec ed è stata poi adottata in tempi molto diversi da tutti i popoli civilizzati. Si caratterizza come un organismo politico dotato di piena sovranità sul territorio e sugli individui sottoposti alla sua autorità in quanto dispone del monopolio legittimo della forza sia all'interno per garantire l'ordine sia all'esterno nei confronti degli altri stati. In tal senso, lo stato moderno è uno stato di diritto che regola la vita della società attraverso un ordinamento giuridico uniforme, fondato su norme astratte e generali e impersonali, e assume la forma di un ente che persegue i suoi scopi secondo la legge, in modo neutrale, imparziale. Esso ha assunto, anche a partire dal XIX sec, il carattere di Stato nazionale in quanto organizzazione politica di una popolazione che ha maturato una coscienza della propria identità sulla base di comuni caratteri etnici e linguistici o storici culturali. Questo tipo di Stato è sorto storicamente dalla Rivoluzione francese, la quale stabilì l'uguaglianza giuridica di Il processo di unificazione del potere della persona del sovrano si realizzò in anzitutto, riservando agli affari politici più importanti, in particolare la direzione della politica estera a organismi collegiali ristretti. Spesso all'interno di questi organismi si formò un più ristretto consiglio di gabinetto che si riuniva in modo del tutto informale in esso il re prendeva con poche persone di sua fiducia le decisioni più importanti. La composizione di questi organi tendeva in generale a escludere dagli affari di stato gli esponenti delle grandi case aristocratiche che, essendo depositare di importanti ambizioni e interessi familiari, miravano a mantenere o ad acquisire spazi influenza politica a corte e negli organi di governo. Le monarchie che perseguirono un modello assolutistico riservarono le cariche, puramente onorifica ai nobili, chiamando a far parte di questi consigli uomini nuovi, fedeli consiglieri ed esecutori delle decisioni politiche. Nell'età moderna, un posto centrale nella vita politica, ebbero i segretari di Stato, le cui segreterie erano al vertice di una macchina burocratica che, ovunque tesa a diventare sempre più complessa. Decisivo per il concreto esercizio dell'autorità e del controllo del territorio sul quale agivano poteri locali, depositari di autonomia e privilegi, spesso garantiti da statuti e capitolazioni di lontanissima data. Le monarchie per imporre la loro volontà sulle periferie si servirono di Commissari nominati dipendenti dal governo centrale. Tuttavia, la struttura burocratica creata dalle monarchie per rendere più efficaci l'influenza del centro sulle periferie, non sostituì la realtà preesistente, ma si sovrappose a essa. 6.8. La burocrazia: il sistema della venalità delle cariche. La tradizionale concezione premiale del potere condizionale in misura notevole il processo di formazione di un apparato amministrativo efficiente e funzionale, dando vita, ad esempio, alla pratica delle venalità delle cariche che fu presente in larga parte degli stati europei. Poiché fin dall'inizio si era stabilita la prassi di un commercio degli uffici, questi cominciarono ben presto a essere considerati dai loro titolari come un bene patrimoniale che poteva essere venduto, trasmessa in eredità, si determinò quasi un braccio di ferro fra gli ufficiali e re, il quale non intendeva perdere la disponibilità dell'ufficio e soprattutto, voleva continuare a ricavarne denaro. Come il beneficio l'ufficio comportava il conferimento di una funzione con la dignità ed essa legata e l'attribuzione di un reddito, ma soprattutto operò il permanere della mentalità feudale. La monarchia fu spinta dalla vendita degli uffici da esigenze di ordine finanziario, coloro che spendevano ingenti somme per acquistarli miravano soprattutto a lasciare la condizione di plebei. Entrare nell'ordine privilegiato, infatti, negli altri gradi le cariche finanziarie giudiziarie conferivano la possibilità di nobilitarsi. Si insediò alla testa dell'amministrazione, una casta di ufficiali inamovibili perché proprietari della loro carica, che formarono una nobiltà di toga o di roba. La venalità delle cariche fu un elemento importante di mobilità sociale. 6.9. La giustizia Il re emetteva ordinanze, editti, decreti e lettere patenti, spesso su argomenti specifici, ma per lo più non poteva stabilire norme dotata di validità generale perché trovava un limite nella pluralità di ordinamenti giuridici particolari garantiti dalla consuetudine e sanciti da allora formalmente da statuti che regolavano tradizionalmente la vita della società di antico regime. Il diritto, perciò, era un coacervo di norme provenienti da fonti diverse: le leggi romane, il diritto consuetudinario e nei paesi cattolici, il diritto canonico, statuti cittadini e una miriade di ordinanze e provvedimenti. In questa situazione il giudice di volta in volta doveva creare, la norma da applicare nel caso specifico. La giustizia di prima istanza era esercitata in molti casi da autorità e poteri periferici di fatto autonomi rispetto al potere centrale. Funzioni giurisdizionali erano esercitate anche da magistrature cittadine e da associazioni e corporazioni particolari; infatti, non vi era una chiara distinzione fra amministrazione e giurisdizione, per cui il più delle volte l'amministratore era anche il giudice in materia di sua competenza. La giustizia regia incontrava poi un limite nella giustizia ecclesiastica che aveva competenza esclusiva nelle cause concernenti componenti del clero e inoltre rivendicava la propria autorità in materia di eresia e per una serie di diritti attinenti alla sfera religiosa, come la bestemmia o l'adulterio. Il potere di questi tribunali particolari fu notevolmente limitato nel corso dell'età moderna, si stabilì che tutte le sentenze dovevano essere pronunciate in nome del re e per i processi più importanti furono previsti l’appello o l’avocazione. 6.10. I rapporti con la chiesa. La sacralità del potere monarchico legata alla sua origine divina si rifletteva sui rapporti con l'autorità ecclesiastica e in particolare nella volontà di accreditarsi come protettore della chiesa e come baluardo della fede. Nei paesi cattolici, rimase il tradizionale dualismo dei due poteri separati, le cui relazioni costituivano un aspetto centrale degli equilibri politico, istituzionale e sociali. Lo Stato tendeva ad affermare contro le pretese dei curialisti le prerogative spettanti al sovrano in materia di religione, rivendicando non solo il compito di proteggere l’istituzione ecclesiastica, ma anche il diritto di controllarla. In generale, l'esigenza di limitare e controllare il potere della Chiesa nei suoi aspetti istituzionali, giuridici ed economici fu una componente imprescindibile del processo di rafforzamento del potere monarchico e delle strutture e della struttura statale. Nodi decisivi in tal senso erano il diritto di nomina delle principali cariche ecclesiastiche e la possibilità di ricavare dalle proprietà della chiesa un contributo alle finanze statali. 6.11. Le finanze Tradizionalmente le imposte erano concepite come contributi straordinari legati, cioè ad una situazione contingente. Le ingenti risorse che richiedevano, l’esercito e lo stato non erano più possibili ricavarle dal patrimonio familiare della dinastia regnante o dagli occasionali donativi contrattati con i ceti e le comunità. Occorreva stabilire un prelievo fiscale sistematico e continuativo fu questo il principale obiettivo degli stati di antico regime, a sostegno delle richieste del sovrano giocarono soprattutto alle esigenze di difesa del territorio, dai nemici esterni e la conseguente necessità di ottenere fondi adeguati alle spese militari. Tutti gli Stati furono costantemente assillati dalla cronica difficoltà di far fronte alle crescenti esigenze finanziarie, non vi era un bilancio attendibile delle spese e delle entrate, in quanto i flussi erano gestiti da una miriade di grassi e enti particolari e non si arrivò mai a un'effettiva centralizzazione amministrativa. Quanto al sistema fiscale, non vi era uniformità perché erano in vigore regimi diversi e pesavano esenzioni e privilegi. Perlopiù le imposte dirette gravanti direttamente sul reddito o sul patrimonio rimasero fondate su basi largamente approssimativa, in quanto riscosse per testa, cioè per persona o per fuoco o famiglia. Nel 700 si ebbero i primi tentativi di razionalizzare il sistema, in molti stati si provvide a richiamare nelle mani dell'amministrazione la riscossione e si tentò di realizzare un'imposizione diretta e reale, promuovendo ad esempio la formazione di catasti che consentirono di dare una base oggettiva all'imposta fondiaria. Tuttavia, solo con la Rivoluzione francese si posero le basi per un apparato finanziario uniforme, efficiente, razionale. 6.12. La politica estera. Furono gli stati italiani dell'età umanistica rinascimentali a porre le basi della diplomazia moderna, prevedendo l'invio di un rappresentante permanente presso i governi stranieri, in particolare la repubblica di Venezia, dedita ad un corpo di ambasciatori di primissimo ordine, le cui relazioni al Senato presentano una fonte di straordinaria importanza questo processo, sviluppo delle relazioni diplomatiche fu rese necessarie dal sistema di equilibrio instauratosi fra i principali Stati della penisola. Agli inizi del 500 questo esempio fu seguito da tutti i principali paesi europei. 6.13. Gli sviluppi della tecnica militare. I progressi della tecnica militare che lo storico inglese, Goeffrey Parker, ha definita rivoluzione militare, fu da un lato, l’espressione delle profonde trasformazioni sociali che caratterizzarono la transizione dal Medioevo all'età moderna e in particolare il declino della nobiltà feudale, dall'altro, richiedendo una forte crescita delle esigenze finanziarie era il principale motivo che rese necessario un rafforzamento dell'amministrazione statale. Un aspetto centrale di questa evoluzione della tecnica fu sicuramente l'uso della polvere da sparo. Arrivata in Occidente probabilmente attraverso la mediazione del mondo musulmano inizi del XIV sec, tuttavia, il perfezionamento delle armi da fuoco fu lento, per cui gli effetti di questa scoperta si fecero sentire abbastanza tardi. Si vennero a creare inoltre eserciti interarmi che implicavano naturalmente una struttura organizzata e logistica più complessa e anche una profonda trasformazione dei piani tattici, questo fu il primo segnale di cambiamento. Soprattutto l'avvento delle fanterie che fu imposto dai trionfi conseguiti sul campo di battaglia dall'ordine svizzero. La centralità di essa nella struttura degli eserciti impose una nuova forma di reclutamento, il re poteva ora liberarsi dai vincoli nobiliari e assicurarsi il monopolio delle forze militari assoldando fanterie e predisponendo un parco di artiglieria, naturalmente era necessaria a tal fine e disporre di entrate finanziarie irregolari e cospicue. Nel XVI sec ci fu la crescente importanza delle armi da fuoco che determinò ben presto la necessità di un'ulteriore evoluzione della tecnica militare. La sviluppo delle armi da fuoco individuali le cui operazioni di caricamento e sparo di un archibugio potevano essere apprese in poco tempo da chiunque rendeva possibile mettere in campo in tempi brevi una massa notevole di soldati. Per quanto riguarda l'artiglieria, essa non ebbe un'incidenza significativi e sui campi di battaglia, a causa delle difficoltà di trasporto della lentezza nella cadenza del tiro, solo nella seconda metà del 400 i progressi tecnici misero a disposizione degli eserciti cannoni che davano risultati notevoli nell’assalto delle fortificazioni. Contro il fuoco di queste bombarde era indifendibile castello medievale che si trasformò progressivamente in una residenza di campagna, tuttavia, fu rapidamente trovato la risposta alla nuova terribile arma con la costruzione di fortezze bastionate a forma poligonale, un sistema di difesa che comportava costi enormi. La diffusione dell'architettura bastionata provocò una progressiva transazione verso una guerra statica di posizione, incentrata su lunghi assedi. I progressi della tecnica militare determinano la formazione degli eserciti permanenti di grandi dimensioni, cambio anche il mestiere del soldato, le truppe era sottoposte a un capillare addestramento furono composte da professionisti mercenari al soldo in volta delle potenze impegnate in guerra. 7. Il sistema degli stati alle soglie dell’età moderna 7.1. Il sacro romano impero. controllo formale della regolarità dal punto di vista giuridico degli atti reali, spesso però, esso sospendeva la registrazione sollevandole rimostranze. Il re aveva anche la possibilità di imporre la propria volontà convocando il Parlamento in una seduta solenne nella quale la presenza dei pari laici ed ecclesiastici, ordinava da autorità la registrazione. Nel 1542 Francesco stabilì, circoscrizioni fiscali per la riscossione della taglia, ma nelle province di recente annessione fu costretto a contattare annualmente l'ammontare dell'imposta con i tre ordini negli Stati provinciali. D’altronde le ordinanze emanate dal Consiglio reale non potevano dare un codice uniforme al paese poiché nel sud era in vigore il diritto romano, mentre al nord vigeva il diritto consuetudinario. 7.6. La Spagna La nascita della Spagna moderna, presa via dal matrimonio celebrato nel 1469 fra Isabella e Ferdinando, eredi rispettivamente della corona di Castiglia e di Aragona. La successione di Isabella sul trono castigliano nel 1474 fu contestata e provocò una guerra civile che durò fino al 1479, anno in cui con la contemporanea salita al trono aragonese del marito Ferdinando, si realizzò definitivamente l'unione dei due regni. Si tratto peraltro di unione personale, in quanto i due regni mantennero le proprie leggi e le proprie istituzioni. Il regno aragonese era composto da tre province l'Aragona, la Catalogna e Valencia possedeva la Sicilia e la Sardegna e aveva installato un rame della dinastia sul regno di Napoli, la Catalogna, in particolare, vantava una valida tradizione commerciale e marinara, ma era ormai in fase di declino. Ben maggiore del peso economico e demografico della Castiglia che raggiungeva i 6 milioni di abitanti e fondava la sua economia sull'allevamento delle pecore merinos controllata dalla patente organizzazione degli allevatori la mesta egemonizzata dalla grande nobiltà e su una fiorente manifattura laniera. La supremazia castigliana si manifestò fin dalla decisione di Ferdinando di risiedere nel regno di sua moglie e di delegare stabilmente l'amministrazione dei suoi domini ereditari a dei viceré. La concorde azione dei due sovrani porto ad un notevole rafforzamento dell'autorità della monarchia in Castillo, dove si poneva innanzitutto il problema di combattere la prepotenza nobiliare, la diffusa violenza. A tal fine la monarchia, appoggiandosi sul consenso della città, riorganizzò le milizie urbane, creando la Santa Hermandad, che represse con fermezza le aggressioni e le violenze private. La monarchia riuscì a sottomettere al suo servizio le grandi casate aristocratiche escludendole dalle cariche politiche e chiamando nel consiglio reale giuristi non nobili che avevano studiato diritto nell'università castigliane. Ferdinando e Isabella si preoccuparono anche di limitare il potere delle città nominando dei funzionari che avevano funzioni amministrative e giudiziarie ed esercitavano un controllo sulla vita delle comunità. Per quanto concerne la chiesa, i sovrani spagnoli, già sul finire del XV sec, si garantirono che il papa nominasse alle principali cariche ecclesiastiche le persone designate da loro. Inoltre, ottennero che le ricchezze della Chiesa dessero un contributo significativo alle finanze statali. Sul piano finanziario essi accrebbero in notevole misura la loro entrate grazie a una particolare imposta diretta che colpiva tutte le transazioni: l'alcalaba, e riuscirono perciò per lunghi periodi a non convocare le cortes del regno castigliano. Dopo la caduta di Granada, seguì un progressivo inasprimento delle politiche nei confronti dei musulmani, che furono obbligati per evitare di essere espulsi, a conversioni forzate e a battesimi di massa, proprio per controllare la sincerità di queste conversioni nel 1478 Ferdinando e Isabella avevano ottenuto dal papa la creazione di un tribunale dell'inquisizioni, esteso poi all'Aragona alla Sicilia, e alla Sardegna, questo tribunale era posto sotto la diretta dipendenza della monarchia fu l'unica istituzione comune ai vari domini ed ebbe una funzione decisiva nel preservare la purezza della fede cristiana e l'unità religiosa. La morte della regina Isabella nel 1504 pose un delicato problema di successione, la corona di Castiglia sarebbe spettata alla figlia dei sovrani, Giovanna, che aveva sposato il figlio dell'imperatore Massimiliano Filippo. Il bello, che governava i Paesi Bassi. Ferdinando, sperimento in questa occasione quanto fosse infida la mia nobiltà castigliana che si dimostra in gran parte ostile a lui. La morte di Filippo e la conseguente pazzia di Giovanna risolsero la crisi dinastica, e gli consenti di continuare a governare il regno di Castiglia. Nel 1512 egli occupando il regno di Navarra portò a compimento l'unificazione della Spagna. 7.7. L’Inghilterra. Uscito vincitore dalla guerra delle due rose Enrico VII Tudor, si occupò innanzitutto di restaurare l'autorità della monarchia contro le congiure e le violenze della nobiltà feudale, uscita molto indebolita dal conflitto e si guadagnò così il consenso degli abitanti delle città dediti al commercio, alla manifattura e dalla piccola e media nobiltà. Egli governò nel Consiglio privato con un ristretto numero di uomini e di sua fiducia e si servì per rafforzare la propria autorità della Corte della Camera stellata un tribunale che si occupava in particolare dei reati di natura politica e colpire con durezza le rivolte e disordini. Enrico VII accrebbe il proprio patrimonio, con le terre confiscate ai nobili ribelli, incrementò notevolmente le entrate finanziarie e ciò gli consentì di convocare solo una volta negli ultimi anni del suo regno al Parlamento, composto da due camere, la Camera dei Lord, nella quale sedevano i nobili titolati e i titolari delle alte cariche ecclesiastiche e la Camera dei comuni formata dai rappresentanti eletti dalle contee e dai borghi. Ad Enrico VII, successe Enrico VIII, che si impegnò senza molto successo nelle guerre continentali e lasciò la guida del governo al cardinale Thomas Wolsey, sotto il suo regno si ebbe il distacco dalla chiesa inglese da Roma nel 1534, che rappresentò una svolta decisiva anche negli equilibri istituzionali del regno, ponendo le basi per l'affermazione del ruolo centrale del Parlamento. 7.8. Gli stati dell’Europa settentrionale e orientale. Nel 1386 il regno di Polonia fu unito per matrimonio al granducato di Lituania, del quale era titolare la famiglia degli Jagelloni. La Lituania era uno stato molto esteso che comprendeva la Bielorussia e l’Ucraina e giungeva fino al mar Nero. La federazione rappresentava all’epoca il più vasto stato dell’Europa orientale. Sotto la guida degli Jagelloni la Polonia acquisì nel 1466 la Prussia occidentale o reale, ottenendo con Danzica e la Pomerania uno sbocco sul mare. La Polonia restava uno stato fraglie, soprattutto perché era dominata da una potente classe aristocratica, che impose il suo potere impedendo la formazione di una monarchia solida. Gli Jagelloni alla fine del XV sec estesero ancora la loro influenza sistemando un membro della loro famiglia, sui troni di Boemia e Ungheria. Quanto ai regni di Danimarca, Svezia e Norvegia, dall’unione di Kalmar del 1397 erano uniti in regime di legame personale sotto l’egemonia dei re danesi. 7.9. La Russia. Nel 300, il ducato Moscovia ampliò progressivamente i propri confini e sfrutto la sua posizione favorevole come nodo delle correnti commerciali fra il Baltico, il Caspio e il Mar Nero. Il fondatore dello stato russo fu Ivan III il grande che occupò la repubblica di Novgorod e il suo territorio assumendo il titolo di sovrano di tutta la Russia. All’interno limitò il potere dell’aristocrazia, i potenti boiari, ai quali contrappose un ceto di nuovi nobili legati al servizio della monarchia attraverso la concessione di terre che potevano essere revocate ad arbitrio dai sovrani. Egli importo dall’Occidente le armi da fuoco e adottò nuovo e costose tecnologie militari per la costruzione delle fortezze per cui accrebbe notevolmente la pressione fiscale sul mondo contadino. Molto importante fu il trasferimento da Kiev a Mosca del metropolita ortodosso, in quanto la chiesa legata alla tradizione bizantina contribuì al rafforzamento dell’autorità monarchica e insieme sviluppò i propri elementi di un’identità non solo religiosa ma anche culturale dello stato russo. Unico sovrano di fede ortodossa Ivan sposò una nipote dell'ultimo imperatore di Costantinopoli e si pose, come erede spirituale della corona bizantina. Uso poco il titolo di Zar che univa il titolo romano e poi bizantino di ceasar a quello di khan della tradizione asiatica. In questa prospettiva, Mosca si poneva come la terza Roma. L'opera di Ivan III fu perseguita dal figlio Basilio III e poi dal figlio di questi, Ivan IV il terribile, che nel 1547 assunse formalmente il titolo di Zar. Egli contrappose alla duma dominata dai boiari, un'assemblea composto dai ceti, l’assemblea territoriale e sancì con alcuni decreti, il processo dello svilimento del mondo contadino. Formò il primo nucleo nell'esercito di professione con un soldo regolare. Instaurò relazioni con gli olandesi e gli inglesi, i quali fondarono la prima impresa commerciale, la compagnia di Moscovia. Ivan IV, proseguì anche la politica espansionistica sconfisse i tatari, occupo il Kazan, sottoponendo al suo dominio tutto il corso del Volga fino al Mar Caspio. Nel 1560 la morte della moglie che aveva arginato le tendenze violente del suo carattere, apri una seconda fase del suo regno, nella quale Ivan IV colpi con straordinaria crudeltà tutti coloro che riteneva suoi oppositori. Nel 1570 la città di Novgorod sospettata di intese con la Polonia fu saccheggiata e incendiata dai suoi miliziani sul finire del suo regno. Ivan, aprendo una direttrice di espansione che sarebbe poi stata centrale nella politica estera russa, attacco la Livonia nel tentativo di dare alla Russia uno sbocco sul Baltico, ma fu sconfitto dalla Polonia e Svezia. L'aumento della pressione fiscale per coprire le spese militari e le violenze contro la popolazione, portò il paese in uno stato di grave prostrazione. Gli successe il figlio Fedor, debole e malato di mente, la guida dello Stato fa assunta perciò dal ministro. Boris Gudanov, già uomo di fiducia di Ivan, alla morte di Fedor fu eletto dallo zar da un'assemblea territoriale. La sua situazione divenne però precaria a causa di una terribile carestia che colpì Mosca e dalle accuse non provate di aver ucciso il figlio minore di Ivan Dimitrij. Alla sua morte si aprì per la Russia un periodo di completa anarchia, nel quale comparvero falsi Dimitri, finché nel 1613, un'assemblea territoriale elesse zar il tredicenne Michael Fedorovic Romanov, la cui dinastia rimase fino al 1917. 7.10. L’impero ottomano. Il primo nucleo dell'impero ottomano era un piccolo Emirato dell'Anatolia occidentale. Nel corso del XIV sec, gli ottomani estesero i loro domini tanto che nel 1388 il califfo di Bagdad, riconobbe la loro potenza conferendo al sovrano il titolo di sultano. Nei primi decenni del XV sec, l'impero bizantino era ridotto ormai alla capitale di Costantinopoli, e a pochi territori circostanti, per rafforzare il fronte cristiano il concilio di Ferrara- Firenze tentò di superare le divisioni religiose proclamando un’effimera riunificazione fra la Chiesa orientale e quella romana, che però fu osteggiata dal clero bizantino e non ebbe seguito. Il tiepido aiuto degli Stati cristiani non valse a fermare l'attacco decisivo portato dal sultano Maometto II il conquistatore. Costantinopoli fu presa il 29 maggio 1453 e divenne la capitale dell'impero con il nome di Istanbul, la cattedrale di Santa Sofia fu trasformata in maschera. Maometto si impadronì in seguito della Grecia, della Serbia, della Bosnia e dell'Albania, giungendo a ridosso del Regno di Ungheria. L'espansione ottomana interessò anche il mar Nero, che dopo l'acquisizione di Crimea, divenne in pratica un modo interno all'impero. Il sultano Selim I combatte a est contro l'impero persiano di safawidi occupando l'Armenia e il Kurdistan, quindi sottomise la Siria. L'influenza ottomana si estese quindi sull'Egitto e sugli stadi Barbareschi del regnare in Cina fino al 1912. Con i manciù la Cina si trovò per la seconda volta soggetta alla dominazione straniera. In realtà il controllo dell'impero non era facile per i manciù, solo pochi conoscevano a sufficienza il cinese e furono perciò costretti a servizi della classe dirigente cinese e a mantenere la precedente struttura burocratica. Essi intendevano comunque preservare le proprie tradizioni in segno di sottomissione. I cinesi maschi furono obbligati ad adottare la tipica acconciatura manciù, rendendosi la parte anteriore della testa e intrecciando i capelli restanti con una coda di cavallo. Ma erano troppo pochi, per cui andarono a incontrare incontro a un processo di assimilazione. La storiografia ha molto discusso sul paradosso della storia cinese, un popolo che aveva acquisito molto prima dell'Occidente risorse e conoscenze tecniche fondamentali che non intraprese la via della modernizzazione. La causa potrebbe essere stata la necessità di concentrare gli sforzi nella difesa della frontiera terrestre, costantemente minacciata dai mongoli. Ci si è anche chiesti perché lo sviluppo delle manifatture non abbia portato a forme di centralizzate di direzione della popolazione, in realtà nel mancato sviluppo cinese aggirano diversi fattori, la disponibilità di manodopera a basso costo non incentivava le innovazioni tecnologiche, ma pesano soprattutto la rigida struttura gerarchica della società e il tradizionalismo della cultura ferma nel culto della propria superiorità. 8.3. Il Giappone Un primo nucleo di organizzazione politica si forma in Giappone a partire dal XVII sec a Kyoto, intorno alla corte dell'imperatore. Nel 1192 si affermò a Edo lo shogunato: la carica di shogun che divenne ereditaria e assunse il governo effettivo del paese, mentre l'imperatore era al di fuori delle contese politiche come supremo depositario della legittimità. Tuttavia, già nel XII sec perse buona parte della sua autorità, in quanto i grandi proprietari terrieri delle province erano di fatto autonomi e disponevano di guerrieri di professione. Ne derivò un lungo periodo di endemiche guerre civili che portarono alla completa frantumazione del Giappone nella seconda metà del XVI secolo. In questa anarchia si imposero due capi militari che posero le basi per la riunificazione del paese. Ciò diede avviò a una nuova lunga fase della storia del Giappone che si chiama era Edo, dal nome della città sede dello shogunato, ma anche Tokugawa, dal nome della dinastia che tenne la carica ereditariamente fino al 1867. Sul piano istituzionale, era caratterizzata da un equilibrio fra tre centri di potere a Kyoto, la Corte imperiale a Edo lo shogun che controllava più del 25% della produzione agricola, e le principali città e più di 250 signori feudali che di fatto erano simili assoluti nei loro territori, dove ricevevano dai contadini di 2/3 dei prodotti della terra. Gli shogun imposero un accentramento burocratico che permise loro di assumere di fatto la direzione politica del paese. Per garantirsi la fedeltà dei proprietari terrieri fu imposto loro di trascorrere ogni anno un periodo nella capitale e di lasciare alla loro partenza moglie e figli in ostaggio. Quanto ai samurai la formazione degli eserciti permanenti nelle città lì allontano dalla campagna, questi favori di ritorno all'ordine. La religione nazionale era lo scintoismo che considera tutti i fenomeni naturali espressioni di forze divine, esso non è il problema dell'anima e della salvezza dopo la morte, la partecipazione ai suoi riti non preclude la possibilità di aderire ad altre religioni o dottrine filosofiche, esso infatti, ha fortemente subito l'influsso del buddismo e anche di alcuni aspetti del confucianesimo. Le tre religioni oggi convivono in larga parte della popolazione. Lo scintoismo ha peraltro avuto una funzione importante in chiave nazionale perché ha fornito la legittimazione del potere dell'imperatore, ritenuto fino al 46’, di natura divina, in quanto discendente della suprema divinità scintoista, la dea del sole. Quanto al cristianesimo, era stato introdotto a partire dalla metà del 500 dal gesuita Francesco Saverio, ma già sul finire del secolo si sviluppò una violenta persecuzione nei confronti dei cristiani. I missionari furono uccisi o espulsi e il cristianesimo fu severamente prescritto come una pericolosa dottrina straniera. Questa svolta si inseriva nella politica del paese chiuso adottata dal regime nei primi decenni del XVII secolo. Nel 1635 fu vietato e giapponesi a uscire dallo stato e fu imposto ai residenti all'estero di tornare e quindi furono cacciati i mercanti stranieri e solo agli olandesi fu permesso di restare nell'isolotto artificiale di Deshima. La società era fondata sulla divisione in quattro classi, guerrierI, agricoltori, artigiani e mercanti, questo ordine era considerato una legge naturale, ciascuno era vincolato alla propria condizione. Non mancano, tuttavia, un notevole sviluppo economico che modificò di fatto la struttura sociale. Grazie al miglioramento della rete dei trasporti vi fu un aumento del commercio interno e si formò un mercato nazionale. Molte terre furono bonificate e fu intensificata la produzione del riso, ma soprattutto furono incentivate colture che non volte la sussistenza della popolazione. Si crearono le premesse per il via del processo di industrializzazione. Prova di questa crescita sull'aumento della popolazione nello sviluppo delle città. La storiografia negli ultimi anni ha insistito sulle specificità del caso del Giappone, che avrebbe rappresentato il solo paese nel mondo extraeuropeo ad avviarsi autonomamente verso la forma di produzione capitalistica. La politica del paese chiuso favorì infatti lo sviluppo dell'economia e pose le premesse già nell'era Edo al processo di industrializzazione che si sarebbe pienamente realizzato nella seconda metà dell'Ottocento. 8.4. L’impero Safawide di Persia Nel 1478 alla morte di Uzum Husan, turcomanno, che dal 1466 aveva regnato su Armenia, Mesopotamia e Persia, si aprì un periodo di anarchia del quale approfittò Ismail I membro di una famiglia di sceicchi della Persia, egli riuscì a sottoporre sotto al suo dominio gran parte del territorio persiano fino al Golfo Persico e nel 1501 si proclamò primo shah dell'Iran, fondando la dinastia dei safawidi, destinata a regnare fino al 1722. Fin dall'inizio lo Stato persiano ebbe come suo principale nemico l'Impero ottomano, con il quale fu costantemente in lotta, in particolare per il possesso dell'Iraq e per il controllo dei numerosi principali musulmani e cristiani, formalmente autonomi lungo la catena del Caucaso. A questi motivi si aggiunge poi una contrapposizione di natura religiosa, i safawidi imposero come religione nazionale l'islam sciita che considerava gli usurpatori i primi tre califfi e negava il carattere elettivo del califfato. Questa posizione religiosa sarà anche il fondamento della loro legittimità che si ponevano come eredi diretti di un discendente del profeta. Un contributo decisivo al rafforzamento della dinastia venne dallo Scià Abbas I il grande, il quale riordino l'esercito su nuove basi con l'istituzione di truppe mercenarie e ottenne importanti vittorie sugli ottomani, occupando il territorio fino a che a Baghdad. Data la natura, prevalentemente montuosa l'agricoltura era possibile solo grazie a un complesso sistema di irrigazione. La terra era per lo più nelle mani delle grandi, di grandi proprietari. Abbas I, si impegnò a sviluppare l'agricoltura ma la popolazione rimase formata di maggioranza da gruppi nomadi dedita all'allevamento, si sforzo anche di incentivare il commercio, fondando nel 1623 sul Golfo Persico un porto che da lui prese il nome. Sposto la capitale a Isfahan, che arricchì di grandi opere pubbliche, l'impero raggiunse il suo massimo splendore, testimoniato anche dalla grande fioritura letteraria e artistica. Dopo la sua morte, l'impero ebbe un lento declino. Nel 1722 l'Impero fu travolto dall'invasione degli afghani. Qui si mise in luce un'avventuriera Nadir Quli che sconfisse gli afghani e assunse il potere il titolo di scia, in seguito occupò tutto il territorio afghano e quindi invase all'India e Delhi, ponendo fine all'impero Mughul alla morte di Nadir la Persia piombo in un periodo di anarchia, di sanguinose guerre civile. A partire dal 1786. La capitale fu spostata a Teheran. 8.5. L’impero Moghul Nel XVI sec, nella parte settentrionale del subcontinente indiano, si era stabilito uno stato musulmano, il sultanato di Delhi. Nel 1398 il sultanato era caduto in una condizione di anarchia caratterizzata da ripetute frammentazioni del territorio e da frequenti insurrezioni rivolte. Nella penisola del Dakhan vi erano invece vari principati induisti. Il processo di riunificazione di questi territori fu opera di un capo militare di stirpe turca e di fede musulmana Zahir ad-Din Muhammad chiamato Babur. Egli conquisto il sultanato Delhi, creando nell'India nord-occidentale sulle rovine del sultanato, un ampio dominio destinato a rappresentare il primo nucleo dell'impero moghul. In realtà lo Stato creato da Babur rimase per lungo tempo precario, anche a causa dei principi induisti locali. Il consolidamento dell'impero fu del nipote Akbar il grande che riuscì a imporre il suo controllo su tutta l'India settentrionale e in seguito estese i suoi domini. Una delle cause della fragilità dell'impero, era la sua eterogeneità. Vi convivevano infatti popolazioni di etnie, di lingue diverse, ma il fattore principale era la religione. La maggioranza della popolazione era legata all'insieme di credenze e di pratiche religiose risalenti all'origine dell'antica letteratura veda, che gli inglesi nel XIX sec designarono con il nome induismo. Essa è un modo per concepire la vita secondo l'ordine del cosmo e i principi universali che lo animano. Parte essenziale di quest’ordine è pertanto la sacra e immodificabile divisione della società in quattro classi, i sacerdoti, i guerrieri o governanti, gli artigiani e i mercanti, gli addetti ai lavori servili e al di sotto delle caste, vi erano gli impuri, agli intoccabili. Circa un quarto della popolazione aderiva invece all'islam che si era diffuso attraverso la dominazione turca. Nell’età moderna si forma una nuova corrente religiosa, il movimento sikh, che condivideva molti motivi della tradizione induista ma rifiutava il sistema delle caste e soprattutto intendeva unire indù e musulmani nella fede di un Dio unico. All’arrivo degli europei per altro inizio una limitata penetrazione del cristianesimo. Akbar, cerco di superare queste divisioni promuovendo una riforma religiosa sociale che sancisse la parificazione di fronte allo stato di musulmani e indù. Egli a tal fine abolì la tassa prescritta dal Corano e pratico una larga tolleranza, operando anche una limitata apertura nei confronti dei gesuiti, infine, volle stabilire un nuovo culto che cercava di fondere insieme elementi di tutte e due le religioni, allo scopo di imporre la fede in un solo Dio e di garantire l'armonia fra le diverse confessioni. Per superare le forti resistenze egli pose al centro del nuovo culto la venerazione della sua stessa persona. La riforma in realtà mirava ad avviare un processo di modernizzazione dell'inda, ma era troppo legata al suo prestigio per cui non sopravvisse alla sua morte. L'Impero Moghul costruì nel tempo, una struttura amministrativa solida. Figura principale era il foujdar comandante militare e capo amministrativo. L'economia dell'impero si fondava su un’agricoltura di sussistenza generalmente arretrata e l'impero era caratterizzato da un alto livello di civiltà ed una grande fioritura artistica e letteraria. 8.6. L’America precolombiana. Queste civiltà ferme all’età della pietra non conoscevano il ferro e non utilizzavano la ruota, ma costituirono grandi opere pubbliche e splendide città con imponenti complessi monumentali dedicati alle cerimonie e al culto. Spicca fra tutte per la sua raffinatezza sul piano culturale, architettonico e artistico, la civiltà dei Maya fiorita fra il Guatemala e la penisola dello Yucatan. Essa conosceva la scrittura e accumularono un gran numero di osservazioni astronomiche, calcolarono con grande precisione i cicli della luna e di Venere e anche di altri pianeti e predispose la tabella che consentivano di prevedere l'eclissi. Quando arrivano gli spagnoli, il regno si era già frantumato l'unità politica, in stati minori. Da meno di un secolo, invece, si era fermato l'impero umanistico, invece, seppe collocare le opere antiche nel contesto storico e culturale nelle quali esse erano sorte e alla luce delle quali potevano essere intese nel loro vero significato. L’abisso esistente fra la nuova cultura e quella medievale, nel rapportarsi e l'eredità classica si può misurare in particolare sul piano linguistico, gli umanisti considerarono con disprezzo il barbaro latino dei chierici e imposero un come norma del parlare e dello scrivere l’imitazione della lingua latina dell'età classica. Alla ricerca di chiarezza ed eleganza formale, corrispose anche nella stampa la sostituzione del pesante e contorto carattere gotico con l'argine nitida scrittura del corsivo italico, detto anche aldino dal nome del tipografo veneziano che per primo lo utilizzo. Al centro della prospettiva umanistica c'era la c'era la rivalutazione della parola e del discorso. Tant'è che la tipica forma delle opere del periodo fu il dialogo nel quale più interlocutori espongono posizioni diverse, argomentando con un raffinato uso della retorica. 9.4. L’arte. Nell'età moderna si fece strada una nuova sensibilità che considera la natura e l'uomo nel loro autentico significato e valore, a prescindere dal loro coinvolgimento in un disegno divino. L'artista si proponeva di ricostruire lo spazio secondo precise regole matematiche, in modo da creare sulla superficie bidimensionale del foglio o della tela l'effetto tridimensionale attraverso l'uso della distanza e della profondità. Si affermò così la tecnica della prospettiva elaborata da Brunelleschi ed esposta poi nel 1436 nel trattato de pictura da Leon Battista Alberti, il termine del latino, prospettiva derivato dal latino, indica appunto il tentativo di rappresentare il mondo, come lo vede l'occhio umano, quindi, secondo le leggi dell'ottica. Alberti riteneva che uno dei requisiti essenziali della formazione del pittore fosse la conoscenza della geometria. Anche questa svolta nell'arte fu sentita e rappresentata come una rinascita della cultura classica. Tuttavia, considerando che della pittura antica sono rimaste poche testimonianze dirette, l'opera degli artisti for largamente originale e si ispirò più che altro a un canone generale fondato sulla ricerca dell'armonia e della bellezza, nel quale si riassume la grande lezione dell'arte classica. A partire dal XV sec mutava anche la figura dell'architetto Leon Battista Alberti, pensava che l'architettura avesse il compito di creare edifici e città e ispirati a un'ideale di razionalità e di armonia, luoghi in grado di favorire il pieno sviluppo delle attività dell'uomo e della sua personalità. 9.5. La nuova concezione dell’uomo. Piccola della Mirandola, immagina che Dio, dopo aver dato vita a tutti gli esseri del creato, abbia pensato di produrre l'uomo affinché vi fosse anche qualcuno in grado di comprendere e ammirare la ragione, la bellezza, la vastità di un'opera così meravigliosa. Posto da Dio, nel cuore del mondo, non soggetto come la natura alle leggi della necessità l'uomo era chiamato a scegliersi da solo con il suo libero arbitrio, la propria forma. Pico esprimeva così in termini divenuti poi classici un tema che rappresentava il fondamento di tutta la civiltà rinascimentale. Dalla rivalutazione della dimensione terrena dell'uomo deriva l'aspirazione ad una società armonica e razionale. Motivo che fu svolto da molti architetti con progetti e idealizzazioni che hanno avuto largo spazio nella composizione letteraria fra queste si segnala in particolare, l'opera pubblicata nel 1516 da Thomas More utopia, che descrive la felice situazione sociale dell'isola di Utopia in cui non esisteva proprietà privata né denaro, e tutti lavoravano per sei ore al giorno e potevano impiegare la restante parte del loro tempo in attività intellettuali. Non ci sono guerre e sono tollerate tutte le religioni accomunate dalla fede in un Dio buono e provvidente. 9.6. La nuova concezione della natura. Grande fortuna e bella versione Latina, curata nel 1463 da Marsilio Ficino del corpus ermeticum, una raccolta di scritti filosofici e teologici risalenti al II sec d.C., attribuiti a una mitica figura di antichissimo sapiente Ermete trimegisto. In esso era esposto la dottrina risalenti secondo la tradizione all'antico Dio egizio, identificato dai greci come Ermes, da qui il nome ermetismo dato a tutta questa corrente di pensiero. Questi testi tramandavano i principi di un sapere occulto in quanto riservati tra pochi iniziati che conteneva il segreto per dominare attraverso le arti magiche e le forze misteriose che animava nel mondo. Queste dottrine ebbero un posto di primo piano nella cultura rinascimentale. Assai diffusa era l’astrologia vale a dire lo studio degli influssi che il moto degli astri ha su tutti i movimenti nel mondo terreno e quindi anche sulle passioni. Né erano ancora ben definiti i confini fra la chimica e l'alchimia, vale a dire il complesso di teorie e di pratiche che miravano alla trasmutazione dei metalli in oro o alla scoperta di sostanze in grado di prolungare la vita. Anche lo studio della matematica si accompagnò alla diffusa convinzione del valore simbolico e magico dei numeri, i quali, secondo dottrine risalenti alla tradizione pitagorica avrebbero celato un codice che conteneva la chiave per interpretare i segreti della natura. Bisognerà giungere ai principi matematici di filosofia della natura di Newton pubblicati nel 1687 per individuare una definitiva frattura fra la scienza moderna e le teorie e le pratiche di matrice magico alchimista. Fino al 1440 il filosofo tedesco Nicolò Cusano o da Cusa, afferma l'idea di un universo infinito nel quale non esiste un centro, questa convinzione metteva in discussione l'immagine del cosmo fondata sulla fisica aristotelica e condivisa da tutta la cultura medievale. La teoria di Aristotele ripresa e sistemata dal geografo e astronomo Claudio Tolomeo nel II sec poneva la terra immobile al centro dell'universo, divenuta dal XIII sec per opera di Tommaso d'Aquino la posizione ufficiale della chiesa, questa teoria fu superata solo gradualmente e con innumerevoli difficoltà. Copernico abbatté il fondamento di tutta la fisica aristotelica, cadeva la convinzione che il mondo celeste e quello terrestre o sublunare fossero costituiti di materia diversa, la terra è parte integrante dell'universo per cui i suoi movimenti rispondevano alle stesse leggi fisiche che regolavano gli altri corpi celesti. Il contributo dell'umanesimo a questo processo di affermazione del metodo scientifico, va individuato soprattutto l'esplicito rifiuto del principio dell’autorità, vale a dire della volontà di non accreditare alcuna affermazione o giudizio che non fossero comprovati in campo letterario dalla critica filologica e storica e per quanto concerne il mondo della natura, nella diretta osservazione nei fenomeni. 9.7. Il prezzo della modernità. La mentalità medievale e assegnava ogni uomo della società un posto e una funzione stabilità riconducibile in ultima la volontà divina. Ora l'uomo rivendicava la propria dignità e la propria libertà di scelta nella vita terrena, ma questo lo caricava di una responsabilità prima sconosciuta che portava in abilmente con sé il crollo di antiche e radicate certezze che avevo la rassicurante immagine medievale del cosmo chiuso e fisso nell'eterna regolarità del moto circolare uniforme. Si creano le premesse per il superamento di alcuni principi indiscussi del pensiero medievale, come ad esempio la tradizionale tendenza a conferire maggiore nobiltà alla quiete rispetto al movimento e si affermava un modo radicalmente nuovo di considerare il mondo fra il mondo celeste e quello terreno. Non a caso in molti iscritti del periodo ci sono celebrazioni alla virtù, intesa come capacità dell'uomo di dirigere gli eventi che si contrappone alla fortuna, ovvero secondo i canoni della cultura classica, il fato, il destino avverso che ostacoli disegni dell'uomo e ne panifica gli sforzi. Si comprende la radice più vera della profonda religiosità di un'epoca che erroneamente è stata giudica irreligiosa da Burckhardt. L'età umanistica-rinascimentale fu attraversata da crisi religiose che diede vita a modi diversi a una fede più profonda, radicata nella coscienza. 9.8. Erasmo da Rotterdam Erasmo da Rotterdam proseguì l'ideale di un umanesimo cristiano la sua formazione fu fortemente influenzata dai fratelli e sorelli della vita comune, comunità dedita allo studio, all'assistenza e all’istruzione. Questi gruppi perseguivano uno stile di vita semplice, una religiosità interiore, animata dallo spirito evangelico e dal desiderio di ispirarsi al modello di Cristo. Erasmo acquisisce precocemente una solida formazione umanistica che, integro con l'apprendimento del greco. L'opera di rinnovamento culturale e religioso perseguita da Erasmo si espresse innanzitutto nel tentativo di applicare il metodo critico della filologia, oltre che ai testi classici, anche alle sacre scritture: un programma esposto nella prefazione alle Annotationes al Nuovo testamento di Lorenzo Valla, opera da lui ritrovata e pubblicata nel 1505. In questo testo Erasmo presenta abilmente la grammatica, ovvero la filologia come una disciplina umile che si occupa di minuzie serva di tutte le altre e infinitamente inferiore alla teologia, poi però, con una un efficace artificio retorico, il rapporto viene completamente rovesciato e la serva filologia si trasforma nella disciplina più utile di tutti, la sola che consente di ricostruire la verità degli antichi testi. Erasmo afferma di non accettare l'autorità degli antichi e degli stessi padri della Chiesa e rivendica il diritto della libera ricerca intellettuale di procedere nei suoi studi senza incontrare ostacoli e limitazioni. Erasmo portò a compimento il suo progetto alle stampe nel 1516: il Novum instrumentum, che presentava il testo greco del nuovo testamento con una nuova versione in latino e un apparato di annotazioni critiche. L'opera pose le basi della moderna critica biblica. Erasmo si fece fautore di un ritorno all'origine, non solo per quanto concerne le fonti, ma anche nel sentimento religioso che egli voleva, semplicemente puro e lontano da ogni esteriorità fedele allo spirito evangelico. Nei suoi scritti, in particolare nei “Colloquia” del 1522, una raccolta di dialoghi latini egli critico gli eccessi della devozione e tutte quelle forme di religiosità esteriore che riteneva estranee al vero spirito del cristianesimo. Il suo ideale di vita cristiana si trova spiegato con particolare efficacia nella parte conclusiva dell'elogio alla follia. L'opera più nota pubblicata nel 1511 in Inghilterra, scritto concepito durante il viaggio di ritorno dall'Italia nel 1509, nacque come uno scherzo suggerito dalla singolare somiglianza fra il nome greco della follia moria e il cognome del suo amico Thomas Morra, al quale l'opera fu dedicata. Nella prima parte la follia dimostra che senza di lei nessun aspetto della vita potrebbe esistere, infatti, se gli uomini si lasciassero guidare dalla saggezza, sarebbero indotti da questa a non compiere molte delle loro azioni. Erasmo, per bocca della follia, paragona la vita a una rappresentazione nella quale ognuno degli attori porta una maschera, se qualcuno la rompesse per finzione, tutta l'efficacia del dramma sarebbe distrutto perché è proprio la finzione a tenere avvinti gli spettatori. Nella seconda parte dell'opera si sviluppa una satira a tratti davvero sferzante nei confronti di tutti i protagonisti della vita culturale e sociale, tutti ostentano una falsa sapienza che in realtà non è che follia. Ma la parte più interessante è quella con conclusiva, nella quale Erasmo propone un parallelo fra il platonismo e il cristianesimo, concordi nell'interpretare la realtà sulla base di una contrapposizione fra anima e corpo e spirito in materia. Nella filosofia di Platone, l'anima è prigioniera del corpo e tende a staccarsene per ricongiungersi al mondo delle idee dal quale proviene del quale conserva un vago ricordo, analogamente, coloro che vivono sforzandosi di seguire il modello di Cristo, disprezzano le cose terrene e gli aspetti materiali della vita. Tuttavia, solo pochi uomini sono capaci di vivere con tanta profondità il messaggio cristiano e per questo sono derisi, disprezzati, spedizione del toscano Giovanni da Verrazzano che raggiunse nel 1524 le coste dell’America settentrionale. 10.6. L’impero portoghese. L’impresa della circumnavigazione dell'Africa fu affidata a Vasco de Gama, esperto navigatore ma anche soldato e abile diplomatico. Egli partì nel luglio 1497 e raggiunse Malindi, dove attiene la collaborazione di un esperto pilota arabo che condusse la flotta fino a Calicut sulla costa indiana. I rapporti con i principi locali non furono facili, ma in ogni modo Gama riuscì a ottenere una certa quantità di pepe e cannella e fece ritorno a Lisbona nell'estate del 1499. La nuova via per le Indie era aperta il compito di consolidare questa rotta commerciale fu affidato a una nuova spedizione comandata dal nobile Pedro Alvares Cabral. Allontanandosi dalla Costa per intercettare secondo la rotta consueta il corso degli eventi Alisei per poi puntare verso sud, la flotta compì una larga deviazione che la portò a toccare le coste di una terra sconosciuta, Cabral ne prese possesso a nome del Portogallo, dando del nome di terra della vera croce, lo sfruttamento economico della nuova terra, chiamata poi Brasile sarebbe iniziato solo molto più tardi. Giunti a Calicut Cabral fondo un emporio, ma dovette far fronte all'ostilità dei mercanti arabi e locali, ad un attacco ad alcuni uomini egli espose incendiando alcune navi arabe e bombardando la città. Strinse rapporti commerciali con il regno di Cochin rivale di Calicut da cui ottenne un carico di spezie che riportò in patria. La volontà dei portoghesi di imporre il proprio predominio nell'Oceano indiano urtava gli interessi dei mercanti musulmani e dei sovrani indiani, che controllavano tradizionalmente i traffici con i porti orientali del Mediterraneo attraverso il Golfo Persico e il Mar Rosso. Il re Manuel I era risaluto a stroncare con la forza la resistenza ovunque non fosse possibile stabilire alleanze e accordi commerciali. Sulla costa occidentale dell'Africa era stato sufficiente garantirsi l'appoggio del Congo il cui re si era convertito al cristianesimo. Sulla costa orientale i portoghesi approfittando della rivalità fra le città della costa, si allearono con Malindi e Mozambico e schiacciarono con la forza la resistenza di Mombasa, che fu rasa al suolo. Da allora l'egemonia portoghese si sostituì a quella musulmana. Nell'Oceano Indiano il progetto di dirottare i traffici attraverso la via del capo di buona speranza fu perseguita con brutale violenza, sostenuta dalla superiorità garantita dalle armi del fuoco. I portoghesi costruirono una serie di fortezze a protezione dei loro empori e strinsero o imposero con la forza accordi commerciali. Per contrastare questa avanzata, il sultano dello stato indiano di Gujarat, il sovrano mamelucco dell'Egitto e il sovrano di Calicut, sostenuti dall'Impero ottomano, da Venezia e dalle e dalla repubblica di Ragusa, allestirono una flotta, ma furono sconfitti dai portoghesi il 2 Febbraio 1509. Protagonista di questa fase dell'espansione portoghese fu il Governatore Alfonso de Albuquerque che nel 1510 egli occupò Goa, nel 1515 conquistò Malacca; quindi, costrinse anche qui il sultano di Calicut a sottomettersi ed accettare la presenza di una fortezza portoghese. In seguito, i portoghesi acquistarono il controllo di Ceylon e giunsero anche nelle isole Molucche ricche produttrici. Il Portogallo a partire dal 1543 apri qualche linea di commercio e con il Giappone e nel 1557 grazie accordo con l'impero cinese, fondò una colonia commerciale a Macao. Con le Molucche l'impero portoghese raggiunse la sua massima estensione, forte di questa acquisizione il Portogallo poté imporre un controllo militare sul libero commercio dell'impero indiano attraverso un sistema di lasciapassare. I portoghesi però non riuscirono a bloccare le tradizionali vie commerciali fra l'Oceano Indiano e il Mediterraneo orientale, e dovettero accontentarsi di riscuotere dei pedaggi. Il commercio portoghese si aggiunse quindi a quello veneziano, ma non lo soppianto. D’altra parte, la via era lunga e non priva di rischi e inoltre comportava costi molto elevati. Lo “Estado da India” fu un impero commerciale non territoriale, il centro dell'impero era Goa, dove arrivava ogni anno da Lisbona una flotta che portava mercanzia, i soldati, ecclesiastici e ritornava, dopo un anno e mezzo con un carico di spezie e tessuti orientali. Il traffico era controllato dalla casa da India di Lisbona che prendeva che prevedeva la riserva di una quota dei proventi a favore della corona. Anversa divenne un centro importante di smistamento delle spezie che arrivavano via mare da Lisbona per essere distribuite in tutta Europa. 10.7. Mondo nuovo. Nel 1499-1500 e nel 1501-1502 il fiorentino Amerigo Vespucci prese parte a due spedizioni, la prima organizzata dalla Spagna e la seconda dal Portogallo, che esplorano le coste atlantiche dell'America meridionale. E comprese che non dall'Asia si trattava ma di un nuovo continente. La lettera divulgata a suo nome nel 1503 con il titolo Mundus Novus esplicita questa intuizione, che fu raccolta dal cartografo tedesco Martin Waldseemuller s il quale in una carta stampata nel 1507 pose sulle nuove terre il nome di America. 10.8. Il viaggio di Magellano. L'idea di girare il continente americano da sud fu concepita da un portoghese Ferdinando Magellano egli aveva interesse a cercare una nuova via alternativa a quella aperta da Vasco de Gama. Magellano, convinse Carlo V a finanziare la sua impresa, promettendogli di rivendicare alla sovranità spagnola le Molucche già raggiunte dai portoghesi. La spedizione partì da Siviglia nel settembre 1519, dopo una breve sosta raggiunse la Patagonia, dove dovette fermarsi a passare l'inverno per le cattive condizioni climatiche. Riprese il viaggio nell'ottobre 1520 dove trovo lo stretto che da lui avrebbe preso il nome e passo nell'oceano che egli chiamò pacifico. Nel 1521 raggiunse un gruppo di isole che rivendico alla Spagna e che si sarebbero chiamate in seguito filippine, qui Magellano rimase ucciso in uno scontro con gli indigeni. Nel novembre 1521 la spedizione raggiunse comunque le Molucche dove lascio come base una piccola guarnigione. Dopo un lungo viaggio tornò in patria nel settembre 1522, una sola nave con una 20 uomini. Il vicentino Antonio Pigafetta, che era tra i superstiti, ha lasciato un importante diario di viaggio, al suo arrivo nelle isole di Capo Verde egli constato con sorpresa che, nonostante avesse tenuto diligentemente il conto dei giorni, la data era il 10 luglio 1522 e non il 9. come aveva calcolato, per la prima volta si osservò che facendo il giro del mondo verso ovest, si perde un giorno mentre lo si guadagna se si va verso est. I successivi tentativi di raggiungere le Molucche e la guarnigione fallirono, per cui nel 1529 Carlo V decise di rinunciare a ogni pretesa sulle isole che rimasero sotto il controllo del Portogallo. Lo stretto di Magellano, a causa delle grandi difficoltà della navigazione non poté essere utilizzato come una normale via di passaggio dal dall'antico al Pacifico. 10.9. La conquista. Comincia all'epoca della conquista e della colonizzazione delle terre che erano stata scoperta. Già nel 1495 un decreto dei sovrani spagnoli, concesse a tutti i loro sudditi che volevano cercare fortuna nelle nuove terre il permesso di partire con l'obbligo di riservare la corona al 10% dei beni riportati in patria e dei profitti negli scambi commerciali. La conquista fu quindi fin dall'inizio affidata all'iniziativa individuale, gli spagnoli che arrivarono si insediarono in questa prima fase nelle isole caraibiche soprattutto Haiti e Cuba, dove incontrarono popolazioni primitive che furono da loro impiegate soprattutto nella ricerca d'oro nelle sabbie dei fiumi. Nel contempo, fu avviata l'esplorazione della terraferma, soprattutto alla ricerca di schiavi per sostituire la popolazione indigena che decimata dalla fatica e dalle malattie. A partire dal 1513 nello Yucatan, gli spagnoli vennero per la prima volta in contatto i Maya cominciando ad avere notizie dell'esistenza a nord di un vasto e ricchissimo impero. Iniziò così l'epoca dei conquistadores, avventurieri senza scrupoli, avidi di oro e di gloria che fra il 1519-1550 distrussero con brutale spietatezza le civiltà precolombiane assoggettando al dominio della Spagna un immenso territorio. Il primo fu Herman Cortes, egli ricevette dal governatore di Cuba l'incarico di verificare la veridicità delle voci sull'impero azteco e nel febbraio 1519 partì dall'isola con 11 navi dopo aver costeggiato lo Yucatan sbarco sulla costa messicana dove fondo la città di vera Cruz, quindi, dopo aver affondato le navi per evitare diserzioni, iniziò la marcia verso l'interno. A questo punto egli mutò arbitrariamente la natura della sua missione e assunse la carica di capitano generale della nuova colonia, facendo riferimento direttamente al re di Spagna e scavalcando l'autorità del governatore di Cuba. Egli non incontrato resistenza, anzi, fu accolto come un liberatore dai popoli sottomessi dagli aztechi e poté giungere così fino alla capitale, dove fu ricevuto dal sovrano Moctezuma II, che con un inganno fece prigioniero e lo tenne in ostaggio, costringendolo a pagare un ingente riscatto in oro. Cortes si servì del prestigio personale del sovrano per imporre la propria autorità. Tuttavia, di fronte alla brutalità l'ostilità della popolazione indigene crebbe ed esplose in una rivolta guidata dal fratello del sovrano. Quando Moctezuma II per le pressioni cerco di sedare la ribellione fu osteggiato dal suo popolo per la sua arrendevolezza e fu anche lievemente ferito, morì pochi giorni dopo. Il 30 giugno 1520, la rivolta degli aztechi costrinse gli spagnoli a una precipitosa fuga dalla città e si rifugiarono nella città di Tlaxloco, con la quale strinse un’alleanza e dopo alcuni mesi riorganizzate le forze, ritorno nella capitale che cinse d'assedio. L'attacco era sostenuto da migliaia di indios, nemici degli aztechi. La resistenza di quest'ultima, spiegata anche dal diffondersi di un'epidemia di vaiolo. Negli anni seguenti, tutto il territorio dell'Impero fu sottomesso, ciò che restava della capitale fu distrutta e sulle sue rovine fu edificata La Città di Messico, Cortes nel 1522 fu nominato da Carlo V capitano generale e governatore dei territori conquistati, ma quando nel 1529 fu creato il vicereame della nuova Spagna i suoi titoli non vennero rinnovati. Per quanto riguarda l'impero degli inca le prime informazioni sulla civiltà furono raccolte negli dagli spagnoli nel 1522. Queste voci giunsero all'orecchio di Francesco Pizzarro che dopo alcuni tentativi falliti, ottenne nel 1529 da Carlo V la nomina a governatore e capitano generale della provincia. Pizzaro incontro al 15 novembre 1532 il sovrano Atahualpa e riuscì a catturarla, tenne l'imperatore prigioniero per diversi mesi, nel frattempo avviò una ricognizione nei territori dell'impero e in suo sostegno giunsero rinforzi guidati da Diego de Almagro. Gli Inca tentano di liberare il loro sovrano pagando un riscatto in oro, ma ciò nonostante Pizzarro, dopo un processo falso, lo fece giustiziare nell'agosto 1533. Nel novembre la presa il saccheggio della capitale Czuco segnano la fine dell'impero. Nel 1535 Pizzarro fece costruire la città dei re, chiamata poi Lima, destinata a diventare la capitale del vicereame di Perù, istituito nel 1542. Scoppiò poi un conflitto tra i due conquistadores per l'attribuzione dei territori occupati Almagro fu sconfitto da Pizzarro, tre anni dopo il figlio di Almagro e alcuni suoi partigiani attuarono la vendetta. L'eredità degli Inca sopravvive ancora oggi nei gruppi della zona andina che parlano ancora la lingua quechua. 10.10.La distruzione delle civiltà precolombiane. La storiografia si è interrogata sulle cause che consentirono a pochi uomini di sottomettere popolazioni infinitamente più numerose. In una prima fase un notevole impatto ebbe sicuramente il terrore provocato dall'armatura e dai cavalli e soprattutto dalle armi da fuoco che gli indigeni non avevano mai visto. Gli spagnoli, inoltre, con Filippo gli raccomandò di impegnarsi a proteggerli dagli abusi e dagli eccessi commessi ai loro danni. Riguarda i caratteri dei degli abitanti del nuovo mondo, molte testimonianze, a cominciare proprio dai resoconti di Colombo accreditarono un'immagine di popoli primitivi, semplici e pacifici che vivevano in una condizione di innocenza e in totale armonia con la natura. Si formarono così i primi elementi della nozione del buon selvaggio. Un'idea o un mito che tante volte sarebbe stato contrapposto in seguito ai mali del progresso e della civiltà. 10.15.La storia della conquista dal punto di vista dei vinti. La volontà di dominio dell'Europa ha condizionato inevitabilmente anche la ricostruzione delle civiltà precolombiane della loro repentina scomparsa. I loro tempi furono abbattuti come simboli di violata tria e furono in gran parte distrutti monumenti, le loro città e le testimonianze della loro storia, per cui la documentazione disponibile è quasi tutto orientata dal punto di vista dei vincitori. È difficile comprendere alcuni caratteri originali della religione di quei popoli, perché le informazioni sono in larga misura condizionata da fraintendimenti o dalle deformazioni. Gli scavi archeologici e le ricerche linguistiche etnografiche si sono poste il compito difficile di ricostruire la storia della conquista, a partire dalla visione dei vinti cercando, cioè, di comprendere come quei popoli hanno interpretato l’arrivo degli spagnoli e hanno vissuto la sconfitta e anche di mettere in luce cosa è rimasto di quella tragedia nella loro memoria. Questi studi hanno contribuito a correggere la prospettiva eurocentrica che ha condizionato la storiografia, rendendo finalmente protagonisti della storia anche coloro che i pregiudizi razzisti dell'Europa hanno considerato inferiori. Il primo aspetto della sopraffazione perpetrato ai danni di quei popoli fu proprio il nome di indiani o di indios, che fu attribuito al loro dagli europei. 11.La Riforma protestante. 11.1. Le premesse. Da tempo era viva nel corpo della cristianità l'aspirazione a una riforma che ponesse fine alla corruzione della Chiesa e le consentisse di esercitare con efficacia il suo ministero personale. I Papi del 400 si impegnarono a ripristinare la propria autorità attraverso un processo di centralizzazione che richiamo negli uffici della curia, il governo della Chiesa. La spregiudicata gestione del potere provocava un diffuso malcontento tra i fedeli, in particolare in quei territori, come la Germania, che erano soggetti a un vero e proprio sfruttamento a causa della mancanza di un solido potere centrale che facesse da argine rispetto alle pretese dei papi. In particolare, urtava l'attribuzione dei benefici a uomini che si limitavano a incassare i proventi delle mense vescovili e trascuravano i propri doveri pastorali, che spesso nemmeno si recavano nelle loro diocesi, affidandole a un vicario. Nel 1511 l'imperatore Massimiliano aveva promosso la redazione dei gravami della nazione tedesca, che denunciava la rapacità della Curia romana. 11.2. Lutero. Martina Lutero nacque in Turingia nel 1483, mentre studiava giurisprudenza nel 1505 decise di entrare nel commento degli eremiti agostiniani, dove due anni dopo prese il sacerdozio. La decisione fu occasionata secondo il suo stesso racconto, dal pericolo corso per la caduta di un fulmine. In particolare, lo atterri la prospettiva di una morte senza confessione. Fin dall'inizio, la sua esperienza religiosa fu condizionata da un’ossessione per il problema della salvezza, animato da una religiosità tradizionale egli concepiva la vita, una lotta contro il demonio, sempre pronta a tentare l'uomo per trascinarlo nel baratro della perdizione eterna. Consigliato dal suo superiore, si dedicò agli studi biblici e divenne lettore di teologia all'Università di Wittenberg e proprio in un ciclo di lezione sull’epistole ai romani di Paolo di Tarso, trovò la rivelazione della quale andava in cerca, il punto fondamentale della dottrina luterana, la giustificazione per sola fede. La concezione pessimistica dell'uomo indusse Lutero, a negargli qualsiasi ruolo per la sua natura irrimediabilmente corrotta dal peccato originale. Le opere dell'uomo apparentemente meritevoli come atti di pietà e carità, per lui sono inquinate dall'orgoglio dall'ipocrisia e dall'egoismo. Egli non dà alcun valore a opere compiute per timore di punizione, per il desiderio di ricompensa di malavoglia e per costrizione. La salvezza è un dono di Dio. l'uomo ha in questo un ruolo assolutamente passivo è la grazia divina che infondendogli la fede lo rende giusto e lo chiama la vita eterna. Al centro della riflessione di Lutero c'è la figura di Cristo morto per redimere l'umanità del peccato. La teologia della Croce apri a Lutero, come egli scrisse, la porta del cielo. Nel 1517 aveva già maturato la sostanza del suo pensiero teologico, egli però non pensava di essersi posto al di fuori della tradizione ecclesiastica, fu un evento occasionale, lo scandalo delle indulgenze a indurlo una presa di posizione che sarebbe divenuta poi l'atto di inizio della riforma. 11.3. La questione delle indulgenze. Alberto di Hohenzollern già titolare di due vescovati ambiva ad avere anche l'arcivescovado di Magonza. Occorreva per questo una dispensa papale che fu ottenuta con il pagamento di un'ingente somma di denaro. il Papa concesse ad Alberto, perciò, il permesso di lanciare nei suoi territori confinanti con la regione di Lutero una campagna di vendita delle indulgenze il cui ricavato sarebbe stato diviso a metà: una parte sarebbe servita ad Alberto per restituire la somma anticipata dai banchieri, l'altra parte sarebbe servita a contribuire alla costruzione della Basilica di San Pietro a Roma. Lutero forse non conosceva i termini di questa operazione, ma quando vide la spregiudicatezza con la quale i predicatori cercavano di convincere la popolazione ad acquistare le indulgenze prese posizione con la redazione del latino di 95 tesi che secondo una tradizione non verificata affisse alla porta della cattedrale di Wittenberg alla vigilia di Ognissanti del 1517. La pratica dell'indulgenza si fondava sulla teoria del tesoro dei meriti dei santi, a questo patrimonio si poteva accedere, attraverso la mediazione della Chiesa, per compensare le colpe dei peccatori, i quali potevano ottenere in tal modo per sé o per i defunti, la remissione parziale o totale delle pene temporali da scontare in purgatorio questo beneficio era per peraltro condizionata alla contrizione e all'assoluzione in confessione. L'offerta di una somma di denaro in origine, non legata alla concessione, ne divenne invece la condizione essenziale. I predicatori incaricati da Alberto di vendere le lettere con il sigillo papale, che garantivano l’indulgenza pur di ottenere introiti promettevano ai fedeli non solo la remissione delle pene, ma anche il perdono dei peccati, a prescindere da un sincero pentimento e giunsero ad affermare che nel momento stesso in cui la moneta tintinnava sul fondo della cassa, all'anima volava dal purgatorio in paradiso. Lutero, condannava le indulgenze perché creavano nel cristiano un atteggiamento sbagliato, lo incitavano a prendere una scorciatoia per sfuggire alle sue colpe, mentre invece ogni uomo, consapevole della propria miseria, doveva innanzitutto maturare un sincero e profondo sentimento per i propri peccati. Lutero arrivò a negare la radice stessa della pratica delle indulgenze, per lui non esisteva alcun tesoro dei meriti dei santi, perché nessun uomo può avere merito agli occhi di Dio. 11.4. La rottura con Roma Lo scritto di Lutero, subito tradotto e stampato in tedesco, suscitò nei suoi confronti un vasto consenso in tutti gli ambienti favorevoli alla riforma della Chiesa e innesco reazioni che andarono al di là delle sue intenzioni, un ruolo decisivo nella diffusione della riforma ebbe la stampa. I principi essenziali del suo pensiero furono divulgati in forma schematica e semplificata da una massa enorme di opuscoli, libelli e manifesti che raggiunsero tutti gli strati della popolazione. Negli anni seguenti Lutero elaboro le basi della sua dottrina che riassunse in tre scritti pubblicati nel corso del 1520, “alla nobiltà cristiana della nazione tedesca”, “la cattività babilonese della Chiesa” e “la libertà del cristiano” in queste opere riformatore tedesco rifiutava l'autorità del Papa e poneva nella sacra scrittura la sola guida della chiesa. Lutero, stabilì un rapporto diretto e immediato con l'individuo e la divinità, crollava così tutto l'apparato istituzionale costruito dalla chiesa. Furono aboliti il monachesimo e il celibato dei preti, egli ridusse i sacramenti riconoscendo solo battesimo ed eucarestia, gli unici comprovati dalla sacra scrittura. In base al principio del sacerdozio universale dei credenti, per cui tutti sono fratelli in Cristo cadde l'idea di un clero dotato di uno status rispetto diversa rispetto ai laici. Spariva il purgatorio, la cui invenzione risaliva al XII sec. La reazione di Roma giunse nel luglio 1520 con la bolla “exsurge domine”, che minacciava la scomunica se non avesse ritrattato le sue dottrine. Lutero bruciò sulla pubblica piazza, la bolla e il codice di diritto canonico, atto simbolico di rifiuto dell'intera istituzione ecclesiastica. Nel frattempo, la situazione in Germania, dove nel 1519 era stato eletto imperatore Carlo V, era esplosiva su pressione del duca Federico il saggio di Sassonia e del quale Lutero era suddito. Carlo acconsentì ad ascoltare riformatore, alla dieta di worms, dove Lutero decise di non ritrattare le proprie tesi, condannato come eretico e posto al bando dell'impero, fu il principe Federico, il saggio a salvarlo, facendolo rapire sulla via del ritorno e condotto nel castello della Wartburg, tradusse la Bibbia in tedesco, opera importante per la storia linguistica della Germania. 11.5. I rivolgimenti in Germania. Esplosero nella società tedesca le tensioni: I cavalieri ritennero che fosse giunto il momento di mettere le mani sulle proprietà ecclesiastiche, primo passo verso il ripristino della libertà tedesca sotto gli auspici del potere imperiale. Più importanti furono gli sconvolgimenti provocati dalla guerra dei contadini, che fra il 1524 e il 1525 infiammò larga parte della Germania. La rivolta, trovo un motivo di coesione nell’istintivo, senso di giustizia e di eguaglianza, ispirato al richiamo del Vangelo. La protesta voleva essere pacifica, ma non mancavano violenze contro chiese, monasteri e castelli. Fra i predicatori, capi politici e militari che guidarono il movimento, si segnala la figura di Thomas Muntzer, un discepolo di Lutero, che staccandosi dalle posizioni del maestro aveva collegato la riforma religiosa a un profondo rivolgimento sociale che, anche attraverso l'uso della forza, stabilisse il regno della giustizia e della pace. Egli riteneva che la voce di Dio risuonasse direttamente nel cuore degli eletti e predicava perciò l'imminente avvento in terra del regno di Cristo e la comunione dei beni affinché la povera gente potesse vivere la vera chiesa spirituale. Alla rivolta pose fine nel 1525 la sconfitta degli insorti nella battaglia di Frankenhausen. Lutero prese subito le distanze dalle rivendicazioni dei contadini ed esortò i principi a batteri di ribelli, in quanto per lui la libertà del cristiano è solamente interiore, la realtà terrena non deve interessarlo più di tanto perché egli vive nella speranza e nell'attesa di essere accolto nel Regno di Cristo che verrà dopo la fine dei tempi, quindi, il cristiano deve in ogni caso obbedienza al potere politico, qualunque esso sia, poiché stabilito da Dio per mantenere l'ordine. A queste esposizioni conservatrici si ispirò l'organizzazione delle comunità luterane. Rimase ferma in Lutero la distinzione fra la Chiesa invisibile, composta da quanti sono destinati da Dio alla salvezza e la chiesa visibile, vale a dire la comunità di coloro che aderiscono ad una comune professione di fede. La Chiesa moderna divenne una così una chiesa di stato amministrata da commissioni composte calviniste nei secoli successivi al 500 individuò un modello di tipico di mercante, che considerava il guadagno come una benedizione divina e quindi vivendo in modo estremamente frugale e austero lo utilizzava per investirlo nella sua impresa o al soccorso dei poveri. 11.11.Ginevra città di dio. Secondo il modello del nuovo testamento, egli istituì quattro ordini: i pastori, ministri riuniti nella venerabile compagnia dei pastori, responsabili del culto e della predicazione, i dottori ai quali era affidata l'educazione alla difesa dell'ortodossia, i diaconi che si occupavano dell'assistenza ai malati e 12 anziani laici scelti dal Consiglio cittadino fra i suoi membri con il compito di vigilare sulla vita cristiana dei cittadini nei 12 distretti nei quali era divisa, la città. Gli anziani e i pastori formavano insieme il concistoro che esercitava un controllo penetrante su ogni aspetto della vita, morale e sociale. Calvino garanti, l’indipendenza della chiesa, dallo stato che non poteva intromettersi nella vita della comunità riformata. Calvino impose una rigorosa disciplina che tesa a trasformare la città in una repubblica di santi, lo stato era responsabile nella prospettiva calvinista della realizzazione di questo progetto di rigenerazione cristiana. Vi era quindi una distinzione di compiti fra i due poteri che erano stati chiamati ad agire in concerto, si può parlare quindi di Bibliocrazia, nel senso che la legge della Bibbia posta a fondamento di tutta la vita, non solo religiosa ma anche politica, sociale ed economica della città. Calvino, quindi attribuiva al potere politico il dovere di ispirare le sue azioni alla parola di Dio e riteneva che anche che fosse legittima la resistenza contro provvedimenti ingiusti, non da parte dei singoli sudditi, ma iniziativa delle magistrature inferiori. La sua azione riformatrice si si legò in modo indissolubile alla città, perché si impose come la principale garante della sua autonomia, Ginevra, grazie all'adesione alla riforma, si costituì in una Repubblica indipendente. La progressiva identificazione di Ginevra con la fede calvinista influì misura notevole anche sulla composizione demografica, molti cattolici e dissidenti furono espulsi, mentre per converso arriva un consistente flusso di profughi. 11.12.Il caso Serveto. Il concetto di chiesa militante proprio di Calvino e spiega bene le ragioni della grande intransigenza mostrata nei confronti degli oppositori e dei dissidenti, in particolare le posizioni contrarie alla dottrina ortodossa. In questa prospettiva si spiega l'esecuzione capitale di Miguel Serveto, un medico spagnolo che aveva divulgato in precedenza posizioni contrarie al dogma della Trinità. Di passaggio a Ginevra e fu riconosciuto e denunciato e dopo un processo bruciato vivo nel 1553 per anabattismo e antitrinitarismo, l'episodio che ebbe un grande eco in tutta Europa, innescò un'aspra polemica fra il riformatore e numerosi dissidenti che criticarono l'uso della violenza in materia di fede. 11.13.Geografia della riforma. La diffusione del luteranesimo in Germania fu favorita dal fatto che esso dava la possibilità ai principi di confiscare le ingenti proprietà della Chiesa e ai feudatari ecclesiastici di secolarizzare i loro beni, dando vita con essi a dei principati laici. Dopo il 1525 il cattolicesimo riguadagno varie zone toccate dalla riforma e rimase saldamente stabilito in buona parte della Germania meridionale. Convinto che la corona imperiale gli assegnasse la missione universale di ripristinare l'unità della cristianità Carlo V si impegnò con ogni mezzo per superare la divisione religiosa della Germania. Dopo aver sconfitto la Francia e ottenuto il controllo dell'Italia, egli minacciò alla dieta di spira del 1529 di rimettere in vigore gli editti contro il luteranesimo, contro questo disegno si alzò la protesta dei sei principi e di 14 città che avevano aderito alla riforma, entrò in uso allora il nome di protestanti per i seguaci delle nuove dottrine, l'anno seguente alla dieta di Augusta, il principale collaboratore di Lutero, Filippo Melantone, in vista di un tentativo di conciliazione presento una versione moderata della teologia luterana, caduta dopo diversi mesi di trattativa, ogni possibilità di accordo per l'intransigenza dei teologi cattolici, i principi luterani rifiutarono l'invito di sottomettersi a si unirono nel 1531 nella lega di Smacalda, guidati dai duchi di Sassonia e di Assia, il Luteranesimo si stabilì nell'Europa settentrionale. Nell'Europa settentrionale, dove dal 1397 l'azione di Kalmar aveva istituito sotto l'egemonia danese un legame personale fra i tre regni di Danimarca, Norvegia e Svezia, il passaggio alla riforma di queste regioni fu dovuto in origine a motivazioni soprattutto politiche, legate alla volontà dei sovrani di incamerare i beni della Chiesa e di controllare le nomine ecclesiastiche. Nel 1523 la Svezia si sollevò contro il re di Danimarca, Cristiano II che si era reso responsabile nel 1520 del massacro dei suoi oppositori a Stoccolma e si dichiarò indipendente, affidando la corona a Gustavo Vasa. Il nuovo sovrano si impadronì dei beni del clero e nel 1527 favorì la costituzione della prima chiesa nazionale protestante. Nel 1525, in seguito a un'insurrezione di Danimarca cristiano II fu costretto a fuggire e perse il trono in favore dello zio Federico I, sotto il suo successore Cristiano III di fede protestante, il luteranesimo fu proclamato religione di Stato. Esauritasi l'espansione del luteranesimo l’ala marciante della riforma divenne il calvinismo in Germania, i calvinisti che venivano detti riformatori penetrano soprattutto nel Palatinato, mentre in Francia gli adepti furono chiamati ugonotti. 11.14.La nascita della chiesa anglicana. In Inghilterra il distacco dalla Chiesa di Roma fu originato da cause esclusivamente politiche. L’atto supremazia con il quale nel 1534 Enrico VIII si attribuì il titolo di capo supremo della chiesa in anglicana. Le uniche novità significative furono la soppressione dei conventi e l'introduzione della Bibbia in volgare. Solo in seguito alla Chiesa anglicana si aprì all'influenza delle dottrine protestanti, nella seconda metà del 500, sotto il regno di Elisabetta I si sviluppò nella società inglese una corrente ispirata alla tradizione calvinista che per il suo rigore morale fu chiamato puritanesimo. 11.15.La riforma radicale. Con il nome di forma radicale divenuto di uso corrente nella storiografia dopo l'opera pubblicata con questo titolo nel 1962 dallo storico statunitense Giorgio Huntston Williams si designa un insieme di gruppi e anche di esperienza individuali che portarono alle estreme conseguenze, il principio di un ripristino del cristianesimo evangelico. L’anabattismo. Il primo tema sul quale si realizzò un distacco delle correnti radicali dalle chiese stabilite, fu il battesimo che in base agli esempi della Bibbia, avrebbe dovuto essere praticato agli adulti. I gruppi che seguiranno questa indicazione furono chiamati anabattisti, cioè ribattezzatori termine improprio, perché per loro non si trattava di una ripetizione di battesimo, in quanto ritenevano non valido quello praticato da bambini. La questione era molto delicata perché implicava il problema dell'assetto della comunità, quest'ultima, attraverso il battesimo dei bambini, trasmette di generazione la fede comune e quindi si radica in un territorio fino ad identificarsi con l'intera società sia ha in questo caso una chiesa. Il battesimo da adulti è invece un punto di arrivo di un processo di rigenerazione interiore il cristiano, in tal caso, entra volontariamente a far parte di una comunità, si forma in tal modo una setta, un gruppo di pochi individui che insieme aspirano alla perfezione della vita cristiana. La condotta morale era il principale requisito per essere accolto in queste ristrette comunità. Il loro era un cristianesimo etico che si traduceva in una vita austera, caratterizzata da sobrietà, mitezza, umiltà, rettitudine. Ciò li portava a una radicale separazione della società che essi consideravano il regno di Satana, gli anabattisti non assumevano cariche pubbliche, non giuravano e rifiutavano l'uso della forza, questa, infatti, è praticato dalla Stato istituito da Dio per punire i peccatori, ma è aborrita alla chiesa dei santi, nella quale vige la mitezza di Cristo. Essi subirono una spietata repressione che essi subirono con rassegnazioni, molti, anzi, videro nel martirio la suprema testimonianza della loro santità. Sotto la guida Giovanni da Leida gli anabattisti decisero ad abbandonare il pacifismo che lei aveva sempre caratterizzati e ricorsero alla forza per instaurare il regno dei santi. Individuarono la nuova Gerusalemme nella città renana di Munster, dove abbatterono l'oligarchia e stabilirono un regime teocratico, sostenuto dai ceti popolari, luterani e cattolici furono espulsi e fu proclamata la comunione dei beni e la poligamia. Dopo un lungo assedio la città cadde, colpita da una durissima repressione da parte dei cattolici e luterani. L'episodio discreditò a lungo il movimento che fu riorganizzato da Menno Simons, i cui seguaci furono detti mennoniti. 12.Le “horribili” guerre d’Italia. (1494-1530) 12.1. La penisola italiana nel XV sec. Dopo la pace di Lodi del 1454 il quadro politico della penisola italiana rimase incentrato sull’equilibrio stabilitosi fra i cinque maggiori stati: il regno di Napoli, lo stato della chiesa, il ducato di Milano, la repubblica di Venezia e la repubblica di Firenze. 12.1.1. Il regno di Napoli. Il Regno di Napoli, che il papato considerava un proprio feudo, era passato nel 1458 a Ferdinando I di Aragona, l'esponente di un ramo legittimo della famiglia che reggeva lo stato aragonese in Spagna. I tentativi di Ferdinando di rafforzare l'apparato amministrativo e finanziario si scontrarono con l'opposizione della potente feudalità, che nelle province spadroneggiava. Nel 1485 i Baroni nella speranza di abbattere la dinastia aragonese organizzarono una congiura che fu duramente repressa. 12.1.2. Lo stato della chiesa. Al centro della penisola c'era lo Stato della Chiesa che possedeva anche due enclave, Benevento nel regno napoletano e in Francia, Avignone. Rientrati a Roma nel 1420 dopo lo scisma d'occidente, i papi si impegnarono a ripristinare il proprio dominio temporale sia nella capitale dove il loro potere era condizionato e limitato dalle grandi famiglie dell'aristocrazia romana, come gli Orsini e i Colonna, sia nel territorio dello Stato dove alcune città affidate dalla Chiesa a signori locali, erano di fatto autonome. Obiettivo costante della politica pontificia fu mantenere un equilibrio politico fra gli stati italiani e più in generale a livello europeo, in modo che il papa potesse svolgere una funzione di mediazione e avere libertà d'azione per consolidare il proprio potere, sia come capo della cattolicità, sia come sovrano temporale. Per questo motivo ostacolo sistematicamente gli Stati italiani più forti e poi nella lotta tra le potenze europee per la supremazia in Europa si impegno per scongiurare un assoluto predominio dell'uno o dell'altro. Questa strategia si intreccia con la tendenza dei pontefici di questo periodo a favorire con ogni mezzo la propria famiglia di era però agitata dalle lotte fra le fazioni: I piagnoni fautori del frate, chiamati così per le loro lamentele, a cui si opponevano agli arrabbiati, favorevoli all'oligarchia e ai partigiani dei Medici detti bigi o palleschi, Scomunicato dal papa e abbandonato da una parte della popolazione Savonarola fini al rogo come eretico. Questa prima repubblica fiorentina, sopravvisse alla sua morte, ma si trovò in una situazione sempre più precaria in quanto dipendeva interamente dal sostegno della Francia. Inoltre, essa dovette far fronte alla ribellione di Pisa che aveva approfittato dell'occasione per sottrarsi al dominio. Carlo VIII a Roma si accordò facilmente col Papa e quindi potete conquistare Napoli senza combattere il re di Napoli, Alfonso d'Aragona abdicò in favore del figlio Ferdinando II che, non potendo opporsi all'esercito francese, fuggi ad Ischia. Gli Stati italiani e lo stesso Ludovico il Moro che essendo morto nel frattempo il nipote aveva ormai raggiunto il suo scopo, compresero che l'insediamento della Francia a Napoli rappresentava una grave minaccia. Si fermò così una Lega alla quale parteciparono a Venezia, Milano, il Papa, Ferdinando il cattolico e l'imperatore Massimiliano. Colto di sorpresa, Carlo VIII dovette abbandonare Napoli e risalire la penisola. L'avventura di Carlo VIII si era conclusa rapidamente senza lasciare cambiamenti di rilievo, se non la rinascita della Repubblica Fiorentina, ma aveva dimostrato in maniera evidente la debolezza del sistema politico italiano. 12.3. Il ducato di Milano al centro della contesa. Morto nel 1498 Carlo VIII, senza lasciare eredi, la corona francese passo al cugino Luigi XII del ramo Valois-Orleans che riprese i suoi progetti puntando però sulla conquista di Milano, sul quale poteva accampare dei diritti in quanto discendente di Valentina Visconti. Egli si accordo con Venezia, alla quale promise Cremona, con la confederazione elvetica e con il papa Alessandro VI che ottenne in cambio per il figlio Cesare l’investitura del ducato di Valentinois in Francia e il matrimonio con l’erede della famiglia d’Albret. Trovatosi isolato Ludovico il moro fu costretto a rifugiarsi presso Massimiliano d’Asburgo che aveva sposato una sua nipote. Egli tento in seguito di riconquistare il suo stato ma fu sconfitto a Novara e fini la sua vita prigioniero in Francia. Quindi Luigi XII volse le sue mire sul regno di Napoli, per questo ritenne necessario accordarsi con il re di Spagna che possedeva la Sicilia. L’accordo fu stipulato con il trattato segreto di Granada che prevedeva la spartizione del regno tra Spagna e Francia. Il re di Napoli Federico III fu colto di sorpresa e cedette i suoi diritti a Luigi XII senza combattere. Al re di Francia venne dato il possesso di Campania e Abruzzo e il titolo di re di Napoli mentre alla Spagna, Calabria e Puglia. Ben presto però scoppio tra i due alleati un conflitto che volse a favore della Spagna. La battaglia di Garigliano fu una disfatta per l’esercito di Luigi XII che fu costretto a sancire il trattato di Lione che sancì l’esclusiva appartenenza del regno di Napoli alla Spagna. 12.4. L’avventura di Cesare Borgia. Alessandro VI grazie all’appoggio francese cercò finalmente di realizzare il suo obiettivo di creare uno stato per il figlio Cesare. Questi nominato cardinale, lascio la porpora per assumere la carica di gonfaloniere della chiesa e con le forze messegli a disposizione da Luigi XII riuscì a crearsi un dominio personale fra la Romagna e le Marche eliminando con la forza e con l0inganno i numerosi signori e tiranni di quelle zone. Cesare riusci con la sua azione a consolidare il dominio del papa in territorio in cui la sua autorità era solo nominale. La morte improvvisa di Alessandro VI pose fine alla sua impresa. Dopo il breve pontificato di Pio III, fu eletto papa Giulio II, grande nemico dei Borgia, Giuliano della Rovere. Cesare ammalatosi dovette assistere impotente alla disgregazione del suo stato. 12.5. La lega anti-veneziana. Giulio II prosegui la politica del predecessore cercando di ricondurre tutto il territorio dello stato sotto il pieno controllo del governo romano, egli infatti guidando le truppe ristabilì la sua autorità sulle città di Perugia e Bologna. Nel perseguire questo programma si urtò con Venezia che deteneva Ravenna e Cervia e aveva approfittato della caduta di Cesare Borgia per occupare nella Romagna, nominalmente dipendenti dallo stato della chiesa, Rimini e Faenza. Venezia con il suo spregiudicato espansionismo si era attirata molte ostilità, nella lega di Cambrai organizzata da Giulio II, entrarono Ferdinando il cattolico, Luigi XII, l’imperatore Massimiliano e vari principi italiani. Le truppe francesi inflissero a quelle veneziane una terribile sconfitta, tutte le conquiste della terraferma andarono perdute e la stessa città lagunare sembrò minacciata. La repubblica fece appello a tutte le sue energie e con un’abile azione diplomatica fece leva sui contrasti fra il papa e la Francia per uscire da suo isolamento e superare la crisi, del resto tutti i territori sottratti da Venezia erano stati recuperati e i contadini della terraferma erano legati al dominio veneziano. Negli anni seguenti Venezia riuscì a recuperare i possedimenti di terraferma ma le sue mire espansionistiche erano tramontate. Da allora la repubblica fu prudente, partecipando alle guerre d’Italia solo per difendere il suo territorio. 12.6. “fuori i barbari!” Giulio II si pose l’obiettivo di recuperare il ducato di Ferrara che egli considerava un feudo pontificio e che era sostenuto dalla Francia. Egli concluse perciò un accordo con la confederazione elvetica contro Luigi XII. Questi reagì convocando a Pisa un concilio che avrebbe dovuto deporre il papa. Egli a sua volta riunì a Roma il V concilio lateranense e organizzo contro la Francia un’ampia coalizione, la lega santa che univa gli svizzeri, Venezia, Ferdinando il cattolico e il re d’Inghilterra. L’iniziativa fu giustificata da papa con la parola d’ordine “fuori i barbari” ma non era in gioco la liberazione del territorio italiano. Sul piano militare la Francia riuscì a sconfiggere le forze nemiche nella battaglia di Ravenna, ma l’arrivo di un corpo di spedizione della confederazione elvetica, costrinse Luigi XII ad abbandonare Milano, dove rientrò Ludovico il moro. La sconfitta francese segnò anche la fine della prima repubblica fiorentina: un corpo di spedizione spagnolo ristabilì la signoria del Medici, il cui potere fu rinsaldato quando morto Giulio II, fu eletto papa il Cardinale GIOVANNI, figlio di Lorenzo il magnifico con il nome di Leone X. Proprio nel 1513 dopo la fine della prima repubblica fiorentina Machiavelli inizio a scrivere il principe che prendeva atto lucidamente della crisi del sistema politico italiano e del modello repubblicano. 12.7. La conclusione della prima fase delle guerre d’Italia. Nel 1515 morì senza eredi diretti Luigi XII, per cui il tono francese passò a Francesco di Valois-Angouleme. Il giovane sovrano scese in Italia con un forte esercito e affronto nella battaglia di Marignano le truppe di Spagna, impero e ducato di Milano. La battaglia segnò la sconfitta dei mercenari svizzeri che costituivano il nerbo della coalizione, dando inizio al declino della grande potenza militare elvetica. La Francia occupò Milano e stipulò un trattato di pace perpetua con gli svizzeri, i quali occuparono Locarno e il restante territorio dell'attuale Canton Ticino. L'equilibrio raggiunto fu sancito dalla pace di Noyon che lasciava ai francesi Milano e agli spagnoli a Napoli. L'anno precedente era stato dichiarato maggiorenne il nipote dell'imperatore Massimiliano, Carlo d'Asburgo, che poté assumere così il governo dei Paesi Bassi e nel 1516 alla morte del nonno Ferdinando anche il trono di Spagna. Francesco e Carlo sarebbero stati i protagonisti del duello franco-asburgico per il controllo della penisola e la supremazia in Europa. 12.8. Carlo V Carlo d'Asburgo nasce da Filippo il bello, figlio di Massimiliano I e di Maria di Borgogna, e da Giovanna, figlia dei re spagnoli. Egli crebbe nelle Fiandre, che Massimiliano aveva affidato al padre Filippo, alla morte improvvisa di questi nel 1506, che provocò un acuirsi della follia della Madre, Carlo divenne sovrano dei Paesi Bassi che furono, retti in suo nome dalla zia Margherita d'Austria. Dichiarato maggiorenne nel 1515, l'anno seguente alla morte del nonno Ferdinando, egli fu proclamato con il nome di Carlo I re di Spagna e non reggente, come invece avrebbe voluto il Consiglio di Castiglia, in quanto l'erede legittima della corona era la madre Giovanna. Quando nel 1517 si recò in Spagna dovette confrontarsi con la difficile realtà di uno Stato formato da due regni distinti ed attraversato da conflitti religiosi, sociali e da forti tensioni autonomistiche. Le Cortes opposero una sorda resistenza alle sue richieste di sostegno finanziario e nel 1519, mentre in Spagna la morte Massimiliano I portò a Carlo i domini ereditari austriaci e inoltre apri il problema della successione al quale il giovane era ovviamente il naturale candidato. Questa prospettiva appariva però pericolosa per la Francia, che, accerchiata dai domini asburgici, si sarebbe vista preclusa l'espansione verso il Reno e verso l'Italia. Gioco a favore di Carlo il sostegno dei ricchi mercanti banchieri di Augusta, così il 28 giugno 1519 egli fu eletto all'unanimità e assunse con il nome di Carlo V con il titolo di imperatore del Sacro romano impero. La straordinaria eredità di Carlo fu favorita dal caso soprattutto per la morte di tutti i possibili eredi della corona spagnola, ma fu anche il frutto di una strategia matrimoniale volte a stabilire una rete di alleanze in funzione antifrancese. Carlo convocò nuovamente le Cortes castigliane per chiedere un sussidio finanziario e quindi lasciatela la reggenza al suo precettore Adriano da Utrecht parti per le Fiandre. Esplose il malumore degli spagnoli, con la rivolta della città che intendevano difendere le prerogative della comunità contro i funzionari regi che le limitavano. Il movimento chiedeva riunioni regolari delle Cortes e garanzie della loro indipendenza. La rivolta si estese rapidamente formando una giunta centrale di coordinamento e assunse una matrice popolare avanzando richieste di ordine sociale contro il potere dei nobili e dei ricchi. Per questo motivo la nobiltà si schiera in difesa del re, la sconfitta degli insorti a Villareal segnò, la fine del movimento, Ma Carlo V, compresa la necessità di tener conto delle tradizioni e della specifica realtà del Regno spagnolo. Lasciata la Spagna, si trovò a dover fronteggiare una situazione complessa, l'unità religiosa della Germania che era minacciata dal dilagare della rivolta promossa da Lutero, mentre Francesco I era intenzionato a dare battaglia per rompere la morsa nella quale si trovava, Carlo, si garantì l'alleanza dell'Inghilterra e del Papa Leone X e decise nel 1522 di lasciare i domini ereditari al fratello Ferdinando che sarebbe stato in sua assenza luogotenente dell'impero. 12.9. La ripresa della guerra in Italia. Fu Francesco I a prendere l'iniziativa, attaccando senza successo sui Pirenei e Lussemburgo. La guerra poi si spostò in Italia, dove la sconfitta della Bicocca obbligò i francesi a lasciare lo stato di Milano che fu affidato al governatore Gerolamo Morone in vista della restaurazione del secondogenito di Ludovico il Moro, Francesco II Sforza, nel contempo si ebbero due altri eventi favorevoli alla causa asburgica, l'elezione a Papa come successore di Leone X del precettore di Carlo Adriano di Utrecht che si chiamo Adriano VI e inoltre la defezione del potente contestabile dell'esercito francese Carlo di Borbone. Con un notevole sforzo finanziario, re di Francia riuscì a mettere assieme un nuovo forte esercito con il quale scese in Italia e nell'ottobre 1524 si impadronì protestantesimo accentuò l'aspirazione di Carlo V a porsi come arbitro dei conflitti religiosi e come garante dell'unità dell'Europa cristiana. 13.3. Gli ottomani alle porte di Vienna. Fin dal 1520, gli Asburgo avevano dovuto fronteggiare sul confine orientale dell'impero la minaccia che l'Impero ottomano faceva gravare sul regno cristiano di Ungheria, stato cuscinetto che separava i due. Nell'estate del 1526 il sultano Solimano il magnifico passò il Danubio e sconfisse l'esercito ungherese, nella battaglia. Nella battaglia morì re Luigi II Jagellone, che era anche lei di Boemia. Solimano il magnifico, penetrò in gran parte del territorio ungherese ed entrò in Buda. Ferdinando, il fratello di Carlo che aveva sposato una delle sorelle di Luigi, rivendicò i regni del cognato, ma mentre egli poté assumere senza problemi la corona di Boemia, in Ungheria la successione fu contestata da un partito nazionale magiaro ostile agli Asburgo, La vedova di Luigi II Maria, riuscì a fare eleggere da una parte della nobiltà Ferdinando, ma a lui si contrappose la candida la candidatura del voivoda di Transilvania Giovanni Szapolyai sostenuta da Solimano, che intendeva fare dell'Ungheria uno stato vassallo dell'impero ottomano. Negli anni seguenti l'esercito turco prosegue la sua offensiva e nel 1529 si spinse fino alle mura di Vienna ma le difficoltà logistiche dell’imprese lo indussero a desistere e a firmare la pace, per cui fu mantenuta sul trono di Buda lo Szapolyai e a Ferdinando fu riconosciuto il possesso di una parte minore del territorio ungherese, la cosiddetta Ungheria imperiale, quando alla morte del voivoda nel 1540 il conflitto si riaprì, il sultano con una spedizione militare occupò la maggior parte del territorio ungherese e la annette all'impero ottomano come provincia di Buda, la Transilvania fu data a Giovanni Sigismondo, figlio del figlio del voivoda. Questa situazione non fu sostanzialmente modificata dai ripetuti scontri negli anni seguenti. Fino alla fine del 600 i due imperi si trovarono a diretto contatto e in tal modo l'impero asburgico divenne l’avamposto della cristianità. 13.4. La lotta contro i turchi nel Mediterraneo. Il problema turco si poneva anche nel Mediterraneo, dove gli stati dei paesi berberi dell'Africa settentrionale, i detti Barbareschi rappresentavano la base per le scorrerie sulle coste spagnole e italiane e per atti di pirateria ai danni delle navi cristiane. Proseguendo la lotta contro i mussulmani, Ferdinando il cattolico aveva conquistato il controllo di diverse località sulla costa africana e imposta un protettorato ad Algeri, ma quest’ultima era stata conquistata dai corsari barbareschi che trovarono in Barbarossa un valido capo. Nel 1535 Francesco I, sempre animato dal desiderio di riaprire la partita in Italia, strinse un patto di alleanza con il sultano, Carlo V decise allora di preparare con un notevole sforzo finanziario, una spedizione verso gli stati africani, le truppe occuparono la fortezza di La Goletta che difendeva Tunisi e riuscirono a conquistare la città anche grazie alla rivolta di migliaia di schiavi cristiani, stabilendovi un principe soggetto al protettorato spagnolo. Ma la barbarossa riuscì a sfuggire rifugiandosi ad Algeri. In realtà era difficile ottenere un successo decisivo sul fronte Mediterraneo a causa delle divisioni del fronte cristiano; Venezia non era favorevole a uno scontro frontale con l'impero ed era disposta a contribuire militarmente solo per difendere le sue linee di commercio e i suoi possedimenti in Oriente, mentre a Carlo V stava a cuore la sicurezza del Mediterraneo occidentale. A ogni modo, nel 1538 si riuscì a organizzare una flotta cristiana formata da navi spagnole e veneziane che si scontrarono con quelle del Barbarossa a Prevesa porto sulla costa dell'Epiro. Fu un grave insuccesso per il quale non mancano da parte veneziana accusa di scarso impegno ad Andrea Doria, un ultimo tentativo di contrastare la potenza su ottomana sul mare fu fatto nel 1541, l'impresa fu fissata per la fine di ottobre, onde evitare di incrociare la flotta turca che nei mesi invernali restava in porto ma una terribile tempesta distrusse la metà della flotta e il resto della spedizione al tornò in Spagna. 13.5. La ripresa della guerra franco imperiale. Il segnale per la ripresa della guerra fu la decisione di Carlo i di occupare lo stato di Milano alla morte alla morte del Duca Francesco II sforza. Francesco, I penetrò nella Savoia e nel 1536 occupò Torino, Carlo V, rispose attaccando in Provenza e nei Paesi Bassi, ma il conflitto si trascinò senza eventi risolutivi fino alla tregua di 10 anni firmata a Nizza nel giugno 1538. Nessun esito ebbe anche la ripresa delle ostilità nel 1542 da parte di Francesco I, i francesi, sostenuti dalla flotta ottomana, non riuscirono a occupare Nizza, appartenente al duca di Savoia, fu Carlo a ottenere importanti successi, ampliando i suoi uomini nei Paesi Bassi con l'occupazione della Gheldria. Sì, giunse quindi alla pace di Crepy che ribadiva lo status quo, si prospettò allora una combinazione matrimoniale che avrebbe dovuto portare alla pacificazione con la Francia: Il matrimonio fra il giovane duca di Orleans, terza figlia di Francesco I, e una principessa asburgica, che avrebbero dovuto portare in dote in dote o i Paesi Bassi o Milano. Si pose a Carlo e ai suoi consiglieri una difficile scelta, un problema che poi si risolse per la morte precoce del principe francese. 13.6. Opposizioni al predominio spagnolo nella penisola. Vi fu in molti ambienti una sorta di ostilità nei confronti del predominio spagnolo, che si manifestò con tentativi di congiura e colpi di mano. A Firenze nel 1537 il Duca Alessandro fu assassinato da un suo cugino che spiegò il suo gesto come un tirannicidio in nome degli ideali repubblicani gli successe Cosimo I che avvio lo stato verso il principato, ricevendo da Carlo V l'investitura come duca di Firenze e poi, nel 1569 dal Papa il titolo di granduca di Toscana. D'altra parte, Carlo V dovette fare i conti con la politica del papa Paolo III Farnese che tese sempre a limitare l’egemonia spagnola nella penisola cercando di mantenere il più possibile una posizione di neutralità e sostenendo Carlo solo nella lotta ai protestanti e all'impero ottomano. La sua politica presentò una certa ambiguità perché egli mercanteggio il suo sostegno per ottenere l'assenzo dell'imperatore alla creazione di uno stato per la propria famiglia. A tal fine egli gioca abilmente sul fatto che Carlo aveva bisogno della sua alleanza e contava sulla convocazione di un concilio per un accordo con i protestanti. Appena eletto papa Paolo III nominò cardinali i nipoti e nel 1545 staccò dal territorio pontificio, Parma e Piacenza, erigendola in Ducato, che affidò al figlio Pier Luigi Farnese. La politica indipendente dai Farnese che sembravano disposti a offrire un punto d'appoggio alla Francia, suscitò sospetti di Carlo V e nel 1547 il governatore di Milano Ferrante Gonzaga fece assassinare Pierluigi Farnese e occupò Piacenza. Un altro focolare di resistenza si aprì nella repubblica di Siena, dove nel 1555 la popolazione schiaccio il presidio spagnolo e si pose sotto la protezione della Francia nell'intento di difendere la tradizione repubblicana. 13.7. Il problema protestante. Il fallimento dei colloqui dei protestanti e cattolici, svolti sia ad agosta nel 1530, avevano indotto i principi che avevano aderito alla riforma, a collegarsi nella Lega di Smalcalda, il partito protestante, era diventato così una forza politica e militare. Non potendo ricorrere alle armi, Carlo V rinnovò le sue pressioni per un concilio al nuovo Papa Paolo III. Nel frattempo, egli punto su una serie di incontri fra luterani e cattolici, nella speranza che essi raggiungessero un accordo sul piano teologico l'ultimo di questi colloqui, svoltasi a Ratisbona nel 1541, non portò ad alcun risultato. Carlo V, perciò, dopo la pace di Crepy decise di passare all'azione e mosse guerre alla lega, che sconfisse nel 1547. La forza militare degli stati protestanti, era stata spezzata e Carlo V poté convocare una dieta ad Augusta, nella quale impose l'interim, vale a dire una regolamentazione provvisoria delle relazioni fra cattolici e luterani in attesa che il Concilio portasse alla pacificazione religiosa, nello stesso tempo propose anche una forma di costituzione dell'impero in senso federale, che prevedeva le leve regolari con la formazione di un esercito imperiale stabile e tributi fissi destinati a una cassa comune. 13.8. Il fallimento della pacificazione religiosa. Al Concilio di Trento furono approvati decreti che chiudevano la porta ad ogni dialogo o compromesso con i protestanti. Quanto poi alla riforma federale, essa incontrò l'opposizione della maggior parte degli Stati che intendevano difendere le proprie prerogative in nome della libertà tedesca. I principi protestanti poterono perciò riorganizzarsi, nel 1551 realizzarono un accordo segreto con il nuovo re di Francia, Enrico II, promettendogli in cambio del suo sostegno i vescovati di Metz Toul e Verdun città della Lorena di lingua francese, l'offensiva protestante colse completamente di sorpresa Carlo V, che fu costretto a fuggire da Innsbruck senza denaro e senza truppe per sottrarsi all’umiliazione, di essere catturato dai suoi nemici. Avendo preso atto dell'impossibilità di risanare la divisione religiosa, Carlo diede incarico al fratello Ferdinando di negoziare una soluzione di compromesso. Si crearono così le promesse per la pace di Augusta del 25 settembre 1555. Che per la prima volta sancì l'avvenuta rottura dell'unità cristiana, in base a essa fu concessa la libertà religiosa solo agli ordini dell'impero non hai sudditi, ovvero spettava al sovrano a scegliere la religione cattolica o luterana, ai dissidenti non restava che convertirsi o emigrare. In alcune città dove era già in vigore, fu permessa la convivenza delle due religioni. Venivano riconosciute le secolarizzazioni dei beni avvenute fino all'anno normale 1552. La clausola del reservatum ecclesasticum non riconosciuta formalmente dai protestanti imponeva ai vescovi che sarebbero passati alla riforma in futuro, di rinunciare ai beni, e alla carica. 13.9. Le abdicazioni. Sul piano militare, Carlo tentò invano di recuperare Metz, che Enrico II aveva occupato. Per quanto riguarda la situazione italiana, Siena fu costretta, dopo una strenua resistenza, a capitolare, finiva, questi anche per lei, l'età repubblicana, la città fu annessa ai domini di Cosimo di medici. Ma i francesi e restavano insediati in Savoia e nel Piemonte che occupavano dal 1536. In sostanza, nessuno dei due contendenti, anche per la mancanza di denaro, era ormai in grado di ottenere risultati significativi e concordarono perciò a Vaucelles nel febbraio 1556 una tregua di 5 anni. A questa data Carlo aveva già deciso di mettere in atto però la decisione di abbandonare il potere. Nell'ottobre 1555 aveva abdicato alla sovranità dei Paesi Bassi con una cerimonia tenutasi nel palazzo di Bruxelles in seguito, nel gennaio del 1556, sempre a Bruxelles, egli aveva lasciato anche le corone di Castiglia e Aragona al figlio Filippo. Carlo conservo formalmente la dignità imperiale, alla quale però rinunziò riservandola al fratello Ferdinando. Quindi partì per la Spagna, dove trascorse i suoi ultimi giorni presso il convento di Geronimi dove morì nel 1558. 13.10.Le personalità do Carlo V Carlo V, presenta una personalità complessa e per certi versi sfuggente e indecifrabile, dalla formazione giovanile gli derivano l'orgoglio dinastico e legame con la tradizione 14.3. Aspirazioni di riforma. Non c'è dubbio che molte voci si erano levate ben prima della protesta di Lutero, come quella di Savanarola ed Erasmo, ma anche nella massa dei fedeli furono viventi gli anni, l'aspirazione a una religiosità vicino allo spirito evangelico e l'insoddisfazione per l'incapacità dell'apparato ecclesiastico di dare risposta al bisogno di consolazione delle coscienze. Nel Concilio lateranense V, convocato da Giulio II in risposta al Concilio Gallicano di Pisa-Milano. il generale degli Agostiniani, Egidio da Viterbo affermò l'urgente necessità di una riforma della chiesa che avrebbe dovuto però interessare non alla struttura e l'apparato dogmatico, ma gli uomini, vale a dire la formazione e la qualità morale degli ecclesiastici su questa linea si si collocò il libello indirizzato al nuovo papa, Medici Leone X da due Patrizi veneziani Vincenzo Guerini e Tommaso Giustiniani, in questa scritto essi proponevano, tra l'altro, la traduzione della Bibbia in volgare, perché tutto il popolo potesse accostarsi alla parola di Dio. 14.4. I nuovi ordini religiosi. Questo bisogno di rinnovamento è dimostrato anche dalla nascita di molti nuovi ordini religiosi impegnati nella società, sorti da iniziative spontanee e successivamente approvate dall'autorità. All'immediata e semplice religiosità popolare, risposero gli oratori del divino Amore confraternite sorte in diverse città italiane tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, dedite a opere di carità e di devozione. Dal tronco della grande tradizione Francescana nacquero nel 1528 i cappuccini. Si ricordano inoltre i teatini istituiti da Gaetano da Thiene e da Giampietro Carafa, futuro Papa Paolo IV, vescovo di Chieti, dediti alla cura dell’anima; in barnabiti, affiancati dal ramo femminile delle angeliche; i somaschi attivi nell'assistenza materiale e spirituale ai poveri e ai malati, e nell'educazione; fra gli ordini femminili le orsoline votate alla carità. 14.5. I gesuiti. L'ordine più importante sorto in quegli anni fu la campagna di Gesù, fondata nel 1534 a Parigi dallo spagnolo Inigo di Loyola, un hidalgo che costretto ad abbandonare la carriera delle armi, mise la sua forza volontà al servizio della fede cristiana. Ai voti tipici della scelta monastica, povertà, castità e obbedienza, i gesuiti ne aggiunsero un quarto, l'assoluto obbedienza al papa, la loro regola fu approvata da Paolo III nel 1540. Il capo dell'ordine, detto generale, dipendeva direttamente dal pontefice, il gesuita entrava nella compagnia dopo un lungo e rigoroso noviziato, nel quale imparava ad annichilire la propria volontà e la propria personalità, preparandosi a ubbidire ai propri superiori. I metodi per vincere la propria volontà e per ordinare ogni atto una rigorosa disciplina e al perfezionamento della vita cristiana esposti dal Loyola negli esercizi spirituali, che prevedevano un controllo quotidiano attraverso un esame di coscienza dei progressi fatti nel superamento dei difetti, nella correzione dei peccati. I gesuiti furono attivi innanzitutto nell'istruzione, nei loro collegi, in cui si formarono i rampolli delle casate aristocratiche e delle famiglie più ricche. L’ordinamento degli studi elaborato nel 1599 forniva un’educazione severa e di alto livello, imperniata nello studio del latino e della retorica, sulla dottrina cattolica e su un forte spirito di competizione, i gesuiti ebbero anche un notevole peso politico, in quanto furono spesso confessori e consiglieri. Infine, si impegnarono nell'attività missionaria per la diffusione del cristianesimo. 14.6. La lotta per il concilio. Oltre Carlo V, anche Lutero aveva dichiarato di essere pronto a discutere le sue tesi in un Concilio, a patto che esso fosse libero, cioè non condizionato dal papa cristiano, vale a dire fondato sull'autorità della scrittura e in terra tedesca. L'attesa del concilio era viva in tutto il corpo della cristianità, ma essa si riunì solo ben 28 anni dopo dalla protesta sollevata da Lutero, questo ritardo fu dovuto soprattutto alla riluttanza dei Papi quali temevano una ripresa delle teorie conciliariste. Il clima cominciò a mutare con il papato di Paolo III Farnese che nominò una commissione di cardinali e alti prelati per elaborare un progetto di riforma della chiesa, la commissione emise un parere che denunciava i molti mali che impedivano alla chiesa un corretto esercizio della sua funzione pastorale. Paolo chiamo anche al cardinalato, uomini colti e animati dal grande zelo religioso, come l'inglese Reginald Pole, il veneziano Gaspare Contarini e Pietro Bembo, ma i non facili rapporti politici con Carlo V allontanano la convocazione del concilio. 14.7. La diffusione della riforma in Italia. Le opere dei riformatori si diffusero in Italia, spesso anonime o con false indicazioni degli autori e dei titoli. Le dottrine riformate trovarono simpatie o adesione in diverse città e in tutti gli strati della società. Un forte radicamento popolare lo ebbero le comunità anabattista che si formarono in varie zone della penisola e si diffusero in particolare nel Veneto. Aderirono alla riforma nel 1532 anche le comunità dei seguaci dell'eresia Valdese, formatesi nel XII sec e sopravvissute alle persecuzioni. In un primo tempo la rottura non fu percepita come insanabile e molti speravano nell'attesa del prossimo concilio che si potessero ricomporre i dissensi sulla base di un rinnovamento della chiesa che venisse incontro almeno ad alcune proposte avanzate dai riformatori. Si diffusero perciò posizioni non ben definite, sensibili alle istanze delle riforme, ma non disposte a un'aperta rottura con Roma e si manifestò la tendenza alla formazione di gruppi, clandestini inclini al nicodemismo. Molto importante fu opera dello spagnolo Juan de Valdés che, rifugiatosi in Italia per sfuggire all'inquisizione spagnola, si stabilì a Napoli dove fino al 1541 cenacolo di formazione spirituale che influenzò in molti protagonisti della riforma italiana al suo insegnamento si formarono aristocratici e alti prelati, come l'inglese Reginald Pole. Legato agli ambienti degli illuminati Valdes riteneva decisiva nella vita religiosa la diretta illuminazione divina che trasforma la coscienza individuale liberandola da ogni norma o pratica esteriore e inducendola un abbandono mistico all'amore di dio. Nel 1543 fu pubblicato a Venezia il Trattato del beneficio di Cristo crocifisso, opera intrisa di richiami, abilmente dissimulati alle dottrine calviniste che divulgò la sensibilità religiosa di questi gruppi influenzati dall'umanesimo erasmiano. I circoli dei cosiddetti spirituali giudicavano del tutto indifferente la partecipazione alle funzioni delle chiese stabilite, ciò che importa è la fede che arde nel profondo della coscienza e giungevano in tal modo a dissolvere il concetto stesso di chiesa per ridurre l'esperienza religiosa a una profonda spiritualità interiore. 14.8. La congregazione del sant’Uffizio. Nel 1541 il Cardinale Contarini, che era convinto della fondatezza delle tesi luterane sulla giustificazione cerco al colloquio di religione di Ratisbona di negoziare con Melantone una formula di comune sul piano teologico, con il fallimento di questo tentativo si chiuse il periodo transitorio. L'anno dopo, di fronte al crescere della diffusione delle dottrine ereticali Paolo III promosse una stretta repressiva reclamata dal cardinale Carafa, esponente dell'area più intransigente della curia, nacque così nel 1542 la congregazione cardinalizia del Sant'Uffizio o dell'Inquisizione, presieduta dal Papa con il compito di organizzare e dirigere la rete dei tribunali inquisitori istituiti nel Medioevo. Questa decisione segnò una vera svolta, fu sempre più difficile assumere posizioni intermedie o di compromesso e anche gli spazi per la dissimulazione si restrinsero. Emblematico fu il caso di Bernadino Ochino generale di cappuccini chiamato a giustificarsi a Roma preferì lasciare l'abito e fuggire a Ginevra, dove fu accolto da Calvino. 14.9. Il concilio di Trento. Nel dicembre 1545 sei aprì a Trento il Concilio indetto da Paolo III fin dal 1542, ma ritardato a causa della guerra. Si stabilì che avevano diritto di voto: I vescovi, e i generali degli ordini mendicanti, mentre non votavano i consulenti teologi e canonisti Carlo V suggerì di non trattare per prima le questioni teologiche ma di promuovere innovazioni sul piano morale e disciplinare, nella speranza di un compromesso con le chiese protestanti, questa linea era condivisa da altri vescovi ma queste posizioni furono sconfitte, il concilio decise già nella prima frase di affrontare le questioni teologiche e condannando il principio della giustificazione per sola fede, chiuse le porte a ogni dialogo. La decisione di spostare del Concilio a Bologna con il pretesto di un'epidemia di tifo fu un nuovo motivo di conflitto fra il Papa e Carlo V, che si aggiunse alla questione di Parma e Piacenza, di conseguenza i lavori ai quali non parteciparono più i vescovi spagnoli proseguirono senza risultati fino alla morte del papa. Il Concilio si riaprì a Trento nel 1551 sotto il nuovo Papa Giulio III del Monte, ma fu nuovamente sospeso nel 1552 per la ripresa della guerra. Nel 1555 il quadro mutò con l’elezione del cardinale Gian Pietro Carafa, papa con il nome di Paolo IV, Egli diede la alla politica del papato un orientamento antispagnolo. Per quanto riguarda i problemi religiosi, era favorevole a una dura repressione a difesa dell'ortodossia, per questo egli non riconvoco il concilio e perseguì una politica di accentramento e di rafforzamento del primato del papa fondato in particolare sulla centralità dell'Inquisizione. Egli utilizzo spregiudicatamente il tribunale per avviare le rese dei conti con i prelati di orientamento riformatore. Paolo IV propose nel 1559 anche il primo indice dei libri proibiti, la morte fu coltà con gioia dalla popolazione romana che assaltato le carceri del Sant'Uffizio, e libero e prigionieri. Il nuovo papa Pio IV de Medici fece segnare una svolta rispetto alle linee del predecessore, i cui nipoti furono processati e condannati. Sotto il suo pontificato si svolse fra il 1562 e il 1563, l'ultima fase del concilio e anche la più intensa sia per la maggior presenza di vescovi sia per le decisioni prese. Per quanto riguarda la Bibbia, il testo latino Di Girolamo fu confermato come adozione ufficiale, i fedeli furono obbligati ad attenersi alle interpretazioni della chiesa, il concilio ribadì la dottrina cattolica sul numero 7, sulla natura e sulla validità dei sacramenti e riguardo all'eucarestia confermo la transustanziazione. Contro il principio del sacerdozio universale dei credenti agli ecclesiastici fu mantenuto attraverso il sacramento dell'ordine, uno status diverso rispetto al laicato. Inoltre, fu definita la dottrina delle indulgenze e furono ribaditi l'esistenza del purgatorio e il culto dei santi. Il Concilio provvide anche un rinnovamento morale, disciplinare della compagine ciclistica per la formazione del clero furono istituiti seminari aperti anche i figli dei più poveri, i parroci furono tenuti a registrare battesimi e matrimoni per controllare l'adempimento da parte dei fedeli dei precetti religiosi. Nella restaurazione della funzione pastorale della Chiesa, un ruolo centrale fu riconosciuto ai vescovi, ai quali fu imposto il divieto di accumulare più benefici e l'obbligo di risiedere nelle diocesi e di visitarla ogni due anni presentando una dettagliata relazione a Roma. 14.10.L’affermazione dell’assolutismo papale. La scelta di Trento, principato vescovile in terra italiana, ma compresa nei confini dell'impero, vuole essere una soluzione di compromesso rispetto alle richieste di un della Bibbia in volgare posizione adottata nel 1596 con l'inserimento della traduzione della scrittura nell'indice dei libri proibiti, privati della possibilità di accostarsi alla parola di Dio, le masse italiane furono indirizzate verso una religiosità attenta soprattutto agli aspetti esteriori e grandiosità al culto, ma povera di autentica, vissuta spiritualità. 14.17.Il concilio di Trento nella storia. Il Concilio di Trento, nonostante la sua tormentata storia e la sconfitta delle posizioni più aperte al rinnovamento, fu l'ultimo grande concilio della storia della chiesa prima del vaticano secondo, il mondo cattolico, ne fu profondamente segnato, tant'è che si può parlare di una chiesa post-tridentina nettamente distinta dall'età precedente. 15. L’età di Filippo II. 15.1. Le conseguenze politiche della controriforma. L’affermazione del primato del papa quale capo assoluto della chiesa di Roma, pose agli stati cattolici il problema di difendere l’autonomia delle chiese nazionali e quindi le loro prerogative nell’amministrazione della vita religiosa. Per questo motivo l’accettazione dei decreti conciliari andò incontro a notevoli difficolta. In Spagna la pubblicazione fu accompagnata dalla formale riserva che essa non poteva limitare il potere statale. La Francia in nome delle libertà della chiesa gallicana non accettò formalmente la bolla. Più eclatante fu la mancata recezione dei decreti conciliari da parte del sacro romano impero. 15.2. Espansione della riforma protestante. L’ala marciante della riforma fu il calvinismo, in Germania i calvinisti definiti “riformati” si diffusero soprattutto nel Palatinato renano e nel Wuttermberg. In Scozia i seguaci di John Knox, formatosi nell’esilio a Ginevra, riuscirono con l’aiuto dell’Inghilterra a imporre il calvinismo, organizzato in chiesa presbiteriana, come religione nazionale. La regina cattolica Mary Stuart fu costretta dopo quale anno a fuggire in Inghilterra. 15.3. La chiesa anglicana assume un’impronta protestante. Il distacco dell'Inghilterra dalla Chiesa di Roma era stato originato da cause politiche, il re Enrico VIII desiderava avere un erede maschio che non era in grado di dargli la moglie Caterina del d'Aragona. Nel contempo, gli aveva rotto l'alleanza con la Spagna aderendo nel 1528 alla lega cognac contro Carlo V. A questi motivi si aggiunse la sua passione per una dama di Corte Anna Bolena. La sua richiesta di annullamento del matrimonio a papa Clemente VII, che dopo il sacco di Roma era ormai legato alla Spagna, non fu accettata per non urtare Carlo V, allora Enrico VIII fece votare dal Parlamento i provvedimenti che ruppero tutti i rapporti della Chiesa con Roma e infine, nel 1534, l'atto di supremazia che lo dichiarava capo supremo in terra inglese. Non mancano resistenze, ma la chiesa inglese nell'insieme accettò il cambiamento, ottenne così da un tribunale ecclesiastico la dichiarazione di nullità del matrimonio con Caterina e quindi la legittimazione dell'unione con Anna Bolena. Il distacco dalla Chiesa di Roma fu uno scisma senza eresia sul piano dottrinale e liturgico, nulla cambiò, tant'è che Enrico VIII, continuo a perseguitare i protestanti. Il principale cambiamento fu la soppressione dei monasteri, le cui ingenti proprietà fondiarie furono incamerate dallo Stato. Enrico ebbe in tal modo la disposizione, un notevole ma patrimonio che però dilapidò con partecipazioni a guerre europee che non diedero alcun risultato, a lui successe suo figlio Edoardo VI un fanciullo di di salute cagionevole, nato dalla terza moglie, Jane Seymour, i protettori che governavano in suo nome aprirono la Chiesa anglicana all'influenza delle dottrine protestanti. Le cose mutarono radicalmente con l'avvento al trono di Maria Tudor, l'unica, la figlia nata dal matrimonio di Enrico VIII con Caterina, Maria, che sposò nel 1554 il figlio di Carlo, Filippo, allora principe ereditario poi re di Spagna si impegnò con l'aiuto del cardinale Pole, in un tentativo di restaurazione cattolica e mandò al rogo molti di coloro che avevano appoggiato l'introduzione della riforma, tante da essere chiamata Maria la sanguinaria. Nel 1558 sali al trono la figlia che Enrico aveva avuto da Anna Bolena Elisabetta, sotto il suo lungo Regno, la Chiesa anglicana trovò finalmente un assetto stabile e si legò definitivamente al mondo protestante anche se non assunse mai una precisa identità confessionale. 15.4. La fine della lotta per la supremazia in Europa. Tocco agli eredi di Francesco I e Carlo V portare a compimento la guerra per la supremazia in Europa. Fu il re francese Enrico II a prendere l’iniziativa per sostenere in Italia la svolta antispagnola voluta dalla politica pontificia di Paolo IV Caraga. Ma la penisola ormai saldamente legata alla Spagna, non era più al centro del conflitto che si risolse invece nei paesi bassi dove l’esercito spagnolo comandato da Emanuele Filiberto di Savoia, ottenne nel 1557 a San Quintino una schiacciante vittoria. Filippo II non fu in grado di sfruttare il successo a causa delle difficoltà finanziarie che lo obbligarono nello stesso anno a dichiarare la bancarotta. Anche Enrico II che era riuscito a conquistare Calais, doveva fronteggiare una durissima posizione finanziaria. La morte di Maria Tudor nel 1558 privò Filippo II dell’appoggio inglese e favori quindi la pace che fu stipulata a Cateau Cambresis nell’aprile 1559. La Francia dovette confermare le rinunce a Milano e Napoli, restituire la Corsica a Genova, e i suoi stati al duca di Savoia, Enrico II conservò i tre vescovati e Calais e mantenne anche in Italia alcune piazzeforti in Piemonte e il marchesato di Saluzzo. Filippo aveva ormai il pieno controllo della penisola italiana, dove tutti gli stati tranne Venezia, erano legati alla potenza spagnola. A conferma dell'avvenuta separazione fra i due ramo di Asburgo, il fratello di Carlo V, Ferdinando imperatore e re di Boemia e di Ungheria, rimasto neutrale, non partecipò alle trattative. A garanzia della pace fu celebrato il matrimonio fra Filippo e Isabella di Valois figlia di Enrico II, in realtà il trattato di Cateau Cambrésis resse a lungo, perché poco dopo, la morte di Enrico II, aprì in Francia una profonda crisi politica religiosa che mise fuori gioco il principale avversario della Spagna. 15.5. Il re prudente. Filippo era molto diversa dal padre, lontano dalla tradizione borgognona egli aveva un senso altissimo della sua autorità e i modi austeri e gravi dell'aristocrazia castigliana. Formatosi in Spagna, fece il suo apprendistato all'ombra del padre che gli affidò precocemente responsabilità politiche. Caratteristica principale della sua personalità fu una religiosità, tanto sentita quanto chiusa e intollerante. Tornato in Spagna nel 1559 decise di spostare la Corte a Madrid, posta esattamente al centro della penisola e fece costruire nei suoi pressi un imponente edificio dedicato al martire di San Lorenzo l'Escorial, che divenne la sua residenza preferita. Egli governo, quindi dal suo gabinetto di lavoro, dove esaminava quotidianamente le pratiche che gli passavano i suoi segretari sulle quali apponeva le sue osservazioni e correzioni fino alla decisione finale. Convinto di dover rendere conto a Dio dei suoi atti, egli quando i problemi implicavano un caso di coscienza, si consultava con i suoi confessori o con i teologi di corte, è divenuto corrente l'appellativo di re prudente che è stato considerato in modi diversi come espressioni di saggezza e coscienziosità o come sintomo di pedanteria e di irrisolutezza. Filippo ebbe quattro mogli, dall'ultima delle quali la nipote Anna da Austria ebbe poi l’erede, il futuro Filippo III. 15.6. L’acquisizione della corona portoghese. La morte del re del Portogallo, Sebastiano in Marocco aprì la strada a Filippo II per ottenere la corona portoghese, a Sebastiano successe il fratello, il vecchio cardinale Enrico, alla sua morte, Filippo intervenne in armi e si fece riconoscere come erede della corona di Aviz, anche in nome dei legami di parentela che lo legavano a quella famiglia, la sua prima moglie. In tal modo la Spagna acquisì anche il controllo dell'impero coloniale portoghese. Il Portogallo conservò la sua struttura istituzionale e le sue leggi. 15.7. La Spagna imperiale. Benché la corona del Sacro romano impero fosse passata al ramo austriaco della famiglia, la vocazione imperiale che aveva assegnato l’esperienza del padre rimase in eredità a Filippo e ne segnò il destino non più legato al sogno dell'unità e della pace della cristianità, ma la difesa della fede contro gli eretici e infedeli. Si parla perciò di sistema imperiale spagnolo, anche in ragione della grande estensione territoriale e della grande potenza militare e finanziaria alimentata dal flusso dei metalli preziosi che arrivavano dal nuovo mondo. Tuttavia, Filippo se si erse a paladino della controriforma, mirò innanzitutto ad accrescere la potenza della Spagna, e non esitò a scontrarsi con il pontefice per difendere le prerogative dello stato. I territori sottoposti alla sovranità di Filippo, la cui amministrazioni era delegata con ampi poteri a viceré o governatori conservavano le proprie distinte entità giuridiche e istituzionali, cioè che le univa era la fedeltà alla dinastia regnante. La struttura di governo era imperniata sul sistema di consigli, si tratta di un organo regionale di composizione variabili, con funzioni consultive che preparavano delle consulte in base alle quali riprendeva le sue decisioni il più importante del Consiglio di Stato, competente per la politica estera, per gli affari di maggior rilevanza nella quale si vedevano gli esponenti della grande nobiltà. Gli altri erano competenti per materia o per territorio di questi organi, ne facevano parte soprattutto i letrados funzionari di origine non nobile che avevano studiato nelle università. Da un certo momento, comunque, Filippo II affrontò molte questioni specifiche in organismi informali, le giunte con pochissimi collaboratori fidati. 15.8. Le finanze La Spagna poteva contare su un costante flusso di metalli preziosi, questi però non coprirono mai più del 25% delle entrate; la parte restante proveniva da imposte dirette, dalle quali era esente la nobiltà, dai contributi versati dalla chiesa e da imposte sulle transazioni commerciali. La lentezza della riscossione rendeva indispensabile il ricorso alle anticipazioni di banchieri e finanzieri, nella forma di asientos prestiti a breve termine e ad alto tasso di interesse, garantiti da future entrate. La bancarotta consisteva nella riconversione forzosa dei prestiti a breve termine, in prestiti a lungo termine, che davano un interesse minore ed erano di fatto perpetui, esse diventarono una costante della storia spagnola. Dopo il 1527 i principali finanziatori spagnoli furono i genovesi. 15.9. L’unità della fede. L'unità religiosa era essenziale in Spagna per dare coesione e solidità al sistema e insieme per legittimare la missione della dinastia che lo reggeva. Garantire l’unità divenne perciò un'ossessione, di qui la centralità che assunse nel regno di Filippo, II l'inquisizione unica istituzione veramente comune ai vari domini che controllava anche la stampa. Già dall'inizio il suo regno, la scoperta di alcune comunità protestanti diede occasione a diversi atti di fede, cerimonie pubbliche nelle quali si consegnavano gli Guisa dietro la quale con ogni probabilità vi fu il consenso della regina, convinta che potesse bilanciare l'eccessiva forza degli ugonotti. Fu organizzato così un attentato contro Coligny, che però rimase solamente ferito. Dopo questo episodio i Guisa decisero di farla finita con gli ugonotti e avviarono ancora una volta, col tacito beneplacito di Caterina, un massacro dei calvinisti presenti in massa per la celebrazione delle nozze, con Coligny furono uccisi più di duemila ugonotti, Enrico di Borbone ebbe salva la vita convertendosi al cattolicesimo. Alla strage della notte di San Bartolomeo seguirono molti massacri in varie città, l'episodio più tragico della guerra di religione provoco una radicalizzazione delle due posizioni si affermarono nel mondo protestante ma anche cattolico, le cosiddette le teorie dei cosiddetti monarcomachi che giustificavano la resistenza al tiranno, affermando il diritto di deporre e perfino uccidere i sovrani che opprimessero la vita religiosa dei sudditi. Gli ugonotti si era organizzati come uno stato nello stato con una propria forza militare e solide piazzeforti alla loro testa si propose nel 1576 si pose Enrico di Navarra, fuggito dalla corte, ritornato alla fede calvinista. Per contro i cattolici si unirono in una Lega Santa organizzazione politica militare capeggiata dal duca di Guisa. Caterina la invisa fiorentina era accusata di aver usato con l'intrigo, la doppiezza le arti diaboliche del suo concittadino Machiavelli. Si sviluppò però con un orientamento che aspirava alla pacificazione del regno ovvero il partito delle politiques cattolici moderati che individuarono l'unica via d'uscita delle guerre civile nel rafforzamento della monarchia. 15.13.L’Inghilterra di Elisabetta I. All'inizio del suo regno, Elisabetta miro a consolidare il proprio potere reso fragile dal fatto che il matrimonio dal quale era nata non era riconosciuto dalla Chiesa di Roma. Nel 1568 Mary Stuart, già moglie del re di Francia Francesco II e regina di Scozia, fu dichiarata dalla nobiltà calvinista decaduta dal trono scozzese e dovette rifugiarsi in Inghilterra. L’ex regina di Scozia discendente da Enrico VII era la pretendente cattolica per la corona inglese per questo fu tenuta sotto stretta sorveglianza e Elisabetta era quindi obbligata a legarsi al campo protestante il solo che poteva garantire la sua legittimità. Ella, confermo la natura ibrida della chiesa anglicana, che conservò la liturgia tradizionale e la struttura episcopalista, mentre sul piano dottrinale adottò con i 39 articoli di fede del 1571, molti principi delle dottrine protestanti, in particolare calviniste. Tuttavia, fu molto cauta nei rapporti con Filippo ed evito di farsi coinvolgere nei confronti del continente solo dopo la rivolta dei cattolici della contea del Nord, la scomunica lanciata nel 1570 dal Papa Pio V che sceglieva i sudditi dall'obbligo di fedeltà nei suoi confronti assunse un atteggiamento severo verso il dissenso cattolico e si schierò a favore degli ugonotti francesi e dei ribelli olandesi. 15.14.L’indipendenza delle province unite. I successi di Filippo II sui ribelli olandesi la strage della notte di San Bartolomeo sembrano segnare una svolta in favore delle forze cattoliche. Ma i costi sostenuti dalla Spagna per imporre la sua sovranità sui Paesi Bassi avevano esaurito le sue risorse finanziarie, Filippo fu quindi costretto nel 1575 a una nuova bancarotta. Di conseguenza, agli inizi del 1576 le truppe spagnole, non avendo ricevuto la paga, si ammutinarono e sottopose la città di Anversa ad un terribile saccheggio che ne segnò l'irreversibile declino. Il sacco di Anversa provocò un diffuso malcontento anche nelle province meridionali che si accordarono con Olanda e Zelanda nel chiedere l'allontanamento delle truppe spagnole, la libertà di coscienza e il ripristino delle tradizioni autonomie. La rivolta sembrò accomunare, protestanti e cattolici. Questi ultimi, però, furono ben presto preoccupati dai progressi del calvinismo. Il nuovo governatore nominato nel 1578, Alessandro Farnese, figlio di Margherita d'Austria e Duca di Parma, seppe far leva abilmente sui contrasti confessionali per ottenere il ritorno all'obbedienza delle province meridionali le quali, con l’unione di Arras riconobbero la sovranità di Filippo II, in cambio del ristabilimento degli antichi privilegi, rimasero fermi invece nelle loro posizioni ostile alla Spagna le province settentrionali, che subito dopo strinsero un patto di alleanza militare e finanziaria, l'Unione di Utrecht, premessa dalla dichiarazione formale di indipendenza della Repubblica delle 7 Province Unite che fu siglata all'Aia nel 1581 si realizzava così la separazione delle province meridionali, corrispondente all'attuale Belgio, rimasti fedeli alla Spagna. Un esodo di calvinisti verso le province settentrionali sancì anche la divisione confessionale fra i due stati. Filippo II pose una taglia sulla testa di Guglielmo d'Orange che fu effettivamente assassinato, ma ormai la Spagna non aveva più la possibilità di riconquistare i territori perduti. Essa, tuttavia non si rassegnò e solo nel 1648, al termine della guerra dei Trent'anni, riconobbe ufficialmente l'indipendenza delle Province Unite, per questo la lunga lotta di queste ultime per sottrarsi al dominio spagnolo, è chiamata anche la guerra degli ottant'anni. 15.15.La fine delle guerre di religione in Francia. Nel 1574, molto Carlo IX salì al trono, il fratello Enrico III ritornato dalla Polonia, dove l'anno precedente ed è stato eletto re. La svolta si ebbe nel 1584, quando morì il duca di Alencon, ultimo figlio maschio di Enrico II e Caterina. Non avendo Enrico III, figli l’erede al trono diventava proprio Enrico di Borbone, il capo del partito calvinista, ebbe così inizio così l'ultima fase delle guerre civile, la guerra dei tre enrichi che vide contrapposto il re Enrico III, il capo della Lega Enrico di Guisa ed Enrico di Borbone. Enrico III, decise di liberarsi dallo strapotere della Lega, sostenuto dalla Spagna attirò in un tranello nel castello di Blois, il duca di Guisa, facendolo assassinare. Quindi, si alleò con il rischio di Borbone, con il quale nel luglio 1589 pose d'assedio a Parigi. Schierata con la Lega e retta dai rappresentanti dei 16 quartieri della città. Il 1° agosto fu però a sua volta assassinato da un frate domenicano. Prima di morire indicò come successore Enrico di Borbone, che a questo punto era re di Francia con il nome di Enrico IV, la presenza di un calvinista sul trono era una novità inaudita che contrapponeva l'obbedienza al re e la fedeltà alla Chiesa. Enrico valoroso, comandante abile politico pose nuovamente d'assedio la capitale, mentre Filippo II interveniva con le sue truppe dai Paesi Bassi. Ma ormai l'intransigenza della capitale ostile a ogni compromesso non era più seguita nel paese, stanco della sanguinosa guerra civile. Del resto, Enrico si poneva ora come non come il capo di una fazione, ma come al difensore dell'unità del regno contro la Spagna. La decisione di convertirsi al cattolicesimo e la successiva cerimonia di consacrazione crearono le condizioni per la fine della guerra civile. Ora che il re non era più un eretico, cadeva da parte dei predicatori cattolici la necessità di combatterlo. Nel 1594, entrò a Parigi e nei mesi seguenti tutte le province lo riconobbero come legittimo sovrano. L'anno seguente fu assolto e riconosciuto anche dal papà, Enrico poté così respingere l'intervento spagnolo e stipulare nel 1598 la pace di Vervins che ribadiva le clausole del trattato di Cateau Cambresis. Nello stesso anno, emanò l'editto di Nantes che pose fine alle guerre di religione, il cattolicesimo fu riconfermato, religione dello Stato, ma i calvinisti ottennero la libertà di coscienza e di culto in tutta la Francia, ad eccezione di Parigi e qualche altra zona ed i diritti civili, a garanzia di queste concessioni si videro riconosciuti il possesso di un centinaio di piazzeforti, il che li rendeva uno stato nello stato. Erano svolta, poiché la libertà di coscienza era stavolta garantita agli individui e non ai sovrani. Tuttavia, rimaneva ancora ben saldo nella la convinzione che l'unità di fede fosse indispensabile per l'unità politica l'editto era una tregua armata, una fase transitoria. 15.16.L’invincibile armata. Il sostegno dato da Elisabetta ai ribelli olandesi e agli ugonotti in Francia, determinò una crescente tensione con Filippo II che invano propose alla regina di rinnovare attraverso un loro matrimonio legame dinastico fra i rispettivi regni. Elisabetta, rifiuto tutti i pretendenti e si impegnò nel consolidamento interno dell'Inghilterra, che nel frattempo conosceva una crescita demografica e importanti trasformazioni nell'agricoltura e grande slancio delle attività manifatturiere e commercianti. Un altro motivo di contrasto con la Spagna era il tacito sostegno dato da Elisabetta alla guerra di corsa contro le navi spagnole. Nel 1587 Elisabetta decise di condannare a morte Mary Stuart, accusata di aver continuato a tessere intrighi, fu questo un ulteriore motivo che indusse Filippo II a promuovere l'attacco decisivo contro L’Inghilterra al quale da tempo pensava, il piano prevedeva una flotta prendesse il controllo del canale della Manica per poi sbarcare In Inghilterra. Un colpo di spedizione che si stava preparando nelle Fiandre sotto la guida di Alessandro Farnese. La flotta partita da Lisbona fu dispersa da una tempesta e attaccata dalle navi inglesi. L'appuntamento con le truppe di Alessandro Farnese fallì e le navi spagnole, sempre incalzate da quelle inglesi, furono costrette a circumnavigare le isole britanniche, andando incontro a ulteriori tempeste. 15.17.Il declino della Spagna: crisi finanziarie e difficoltà dell’economia. L'indipendenza delle province unita, la formazione della monarchia di Enrico IV in Francia, il fallimento dei tentativi di sconfiggere l'Inghilterra, era evidente, il mancato raggiungimento dei principali obiettivi nella politica estera di Filippo II. Anche all'interno permaneva il problema del separatismo dei regni di Aragona e di Catalogna che si facevano scudo dei tradizionali privilegi di cui godevano per opporsi alle ingerenze del centralismo castigliano. Molto grave era anche la situazione finanziaria, l'afflusso dei metalli preziosi quando arrivava in Spagna era già impegnato a garanzia dei prestiti già ottenuti oppure era di dirottato a pagare le importazioni di prodotti di lusso per l’aristocrazia o a finanziare le guerre, ma soprattutto pesavano negativamente le condizioni dell'economia. L’agricoltura era limitata dall'estensione dei pascoli gestiti dalla potente corporazione dell'allevamento della Maestà controllata dall'alta nobiltà, che non era in grado di assicurare il fabbisogno dei cereali che era necessario acquistare all'estero. L'industria tessile dei panni lana e della seta conobbe un irreversibile declino, pesavano negativamente in tal senso, l'imposizione fiscale e soprattutto il debito pubblico, che sottraeva ai capitali agli impieghi produttivi, indirizzarli verso la ricerca di rendite finanziarie. Negli ultimi anni del regno una serie di carestie e di pestilenze concorso a delineare un quadro molto negativo delle condizioni della Spagna quando Filippo II morì nel settembre mila 1598, in molti ambienti castigliani appariva chiaro che la stagione della Spagna imperiale era tramontata e che occorreva cambiare rotta per preservare ciò che restava della potenza spagnola. 16. La Guerra dei trent’anni. 16.1. Le premesse. La pace d'augusta e l'editto di Nantes erano concepite dalle due parti contrapposte come tregue. Si era, realisticamente, preso atto delle necessità di tenere distinti gli assetti politici delle divisioni religiose, ma restava la generale convinzione che non fosse possibile l'unità politica senza unità di fede. Le forze cattoliche, in particolare, erano animate dalla volontà di riconquistare gli spazi perduti. 16.2. La Francia da Enrico IV al cardinale Richelieu. 16.5. Le province unite. Al declino delle province meridionali corrispose alla rapida ascesa politica ed economica delle sette province settentrionali. Sul piano istituzionale erano legate all'alleanza stipulata nel 1579 con l'Unione di Utrecht, si trattava di una confederazione i cui membri erano gelosi della propria autonomia legati al proprio particolarismo. Le città dell'Olanda erano governate dai reggenti, membri di famiglie arricchitasi con il commercio e con la finanza, che si erano attribuite al monopolio delle cariche pubbliche, dando vita a patriziati urbani. In Frisia prevalevano i contadini proprietari come in Gheldria e Overijssel dominava la nobiltà che trovava nella casa di Orange il principale punto di riferimento per quanto concerne la religione, il calvinismo dava la sua impronta allo stato, ma vi era una notevole presenza di cattolici, di sette radicali ed ebrei. Organo centrale erano gli stati generali che si riunivano all'Aia, ne facevano parte rappresentanti degli Stati delle sette province. Le decisioni dovevano essere prese all'unanimità e rappresentanti erano vincolati a rispettare le istruzioni ricevute i rispettivi stati provinciali. Il sistema poté funzionare soprattutto perché l'Olanda era in gran lunga la provincia più popolosa, più ricca e più potente che versava più della metà delle imposte federali. Di fatto, il potere esercitato da due cariche che nel corso dell'età moderna si alternarono alla guida dello Stato, lo statoholder e il Gran pensionarlo, tradizionalmente in Olanda, Zelanda e nella maggior parte delle altre province veniva nominato un governatore che carica, che comportava il comando dell'esercito e della flotta, un membro della casa di Orange, famiglia principesca, che manteneva una splendida corte all'Aia e aveva un gran prestigio per aver guidato la rivolta contro la Spagna. Gli Orange avevano grande seguito nella nobiltà ed erano popolarissimi nel popolo minuto della città. Allo Statoholder si contrapponeva il gran pensionario che era il presidente degli stati provinciali d'Olanda e il capo della delegazione olandese degli stati generali. Pur trattandosi di una carica non federale, in virtù dell'importanza della provincia olandese, divenne talvolta il vero responsabile della politica dello stato, egli era responsabile soprattutto dei patriziati urbani e dei gruppi mercantili e imprenditoriali. Le Province Unite avevano un sistema politico molto complesso una sorta di costituzione mista nella quale convivevano orientamento principesco e monocratico e un principio repubblicano. Tutta la storia delle Province Unite è segnata dall'alternanza dal potere di queste due cariche, lo statoholder nei periodi di guerra, il gran pensionario nei periodi di pace, non mancarono nella storia dello stato aspri conflitti che rischiarono talora di degenerare in guerra civile. Ciò accade ad esempio, all'inizio del 600, quando si diffusa la dottrina di un teologo. Professore dell'Università di Leida, già Jakobus Harmensz, (arminio) che si distaccò dalla rigida predestinazione calvinista sostenendo che l'uomo, può in parte cooperare con la grazia. Le sue tesi furono ampiamente contrastate dai calvinisti intransigenti e in particolare da Francois Gomaer. Su questa controversia teologica si innestò il conflitto politico fra lo statoholder Maurizio di Nassau, fautore dei gomaristi e il Gran pensionare Oldenbarneveldt favorevole invece agli arminiani, dietro questa contrapposizione si nascondeva ls tendenza degli Orange o estendere la propria influenza sullo stato e la tradizione repubblicana e federale dei patriziati e della borghesia mercantile. Ebbe la meglio Maurizio di Nassau, il quale fece arrestare il Gran pensionario, poi processato e giustiziato. Nel 1618-19 si riunì a Dordrecht, un sinodo di teologi calvinisti che condannò formalmente la dottrina arminiana, ma non scomparve ed esercitò una notevole influenza anche al di fuori dei confini olandesi. 16.6. La Polonia. Nel 1569 per effettuare delle decisioni della dieta riunitasi a Lublino il Regno di Polonia e il Granducato di Lituania ai fusero dando vita a uno stato di grandi dimensioni, esso comprendeva molte etnie di lingue e di religione diversa. Nei 1569 fu ribadito formalmente che la corona sarebbe stata assegnata per l'elezione da parte di tutta la nobiltà polacco-lituana. La Polonia assunse da allora la configurazione di una Repubblica nobiliare nella quale la aristocrazia impedì la formazione di un solido potere monarchico. Con la morte di Sigismondo Augusto, che non aveva eredi, si estinse la dinastia degli Jagellone. Nel 1573 fu eletto re Enrico di Valois, che restò in Polonia sullo 5 mesi, perché l'anno seguente, molto al Fratello Carlo IX ritorno in Francia per succedergli sul trono. In seguito, furono scelti i voivodi di Transilvania Stefano Bathory e Sigismondo III Vasa, figlio del re di Svezia Giovanni III. La scelta di eleggere re stranieri rispondeva al disegno di impedire un rafforzamento dei poteri della corona. In ogni caso, la nobiltà impose ai sovrani, condizioni che li impegnavano al rispetto dei suoi privilegi e alla convocazione biennale della dieta, in caso di inadempienza da parte del re, i nobili si ritenevano sciolti dall'obbligo di obbedienza. Nel contempo i sovrani furono anche impegnati a confermare il regime di tolleranza religiosa fra le molte fedi presenti nel paese. Il clima andò progressivamente modificandosi sul finire del XVI sec, quando si fece sentire L'influsso della controriforma, in particolare attraverso gli istituti educativi gestiti dai gesuiti. L’offensiva cattolica ottenne un'importante successo, con la decisione di unirsi con la Chiesa di Roma, presa nel 1596 dalla Chiesa ortodossa rutena, detta da allora uniata. Sigismondo III, ebbe per qualche anno anche il tuono svedese, dal quale fu deposto a opera dello Zio Carlo IX. Dopo di lui furono eletti i suoi due figli Ladislao e Giovanni II Casimiro. I Vasa appoggiarono il processo di restaurazione del cattolicesimo, che comporta una progressiva emarginazione di protestanti. 16.7. Una potenza emergente: La Svezia. In Svezia la monarchia fu resa ereditaria da Gustavo Vasa nel 1544, ma era limitata dalla presenza di due organi, la dieta e il senato o consiglio del regno, il consenso della dieta era necessario per l'approvazione delle leggi per la riscossione delle imposte e l'arruolamento delle truppe. In essa era decisivo il ruolo della nobiltà che controllava di fatto anche il senato. L’adozione del luteranesimo era stata nel 1527 l'occasione per la rottura dell'Unione di Kalmar, fu messa in discussione sotto il regno di Giovanni III figlio di Gustavo e da suo figlio Sigismondo, che essendo re di Polonia nel 1592, ereditò anche la corona svedese. A questo tentativo di restaurazione cattolica si oppose l’aristocrazia guidata da Carlo, l'ultimo figlio di Gustavo Vasa. Il quale fece deporre dalla dieta il nipote e assunse egli stesso la corona con il nome di Carlo IX. L'affermazione della potenza svedese si ebbe sotto il suo successore del figlio Gustavo II Adolfo. Convinto luterano mostro qualità di politico e di stratega e consolidò la monarchia ottenendo l'aiuto militare della nobiltà in cambio del riconoscimento dei suoi privilegi. Per quanto concerne l'esercito, egli mantenne il sistema di coscrizione che obbligava le comunità a dare infanti ogni 10 uomini validi, ma portò la ferma a vent'anni, formando così un esercito di soldati professionisti animati da grande zelo religioso. Gustavo II Adolfo, introdusse anche importanti novità nell'armamentario e nella tattica e ottiene i primi successi strappando alla Russia nel 1617 l'Ingra e la Carelia, territori molto importanti perché congiungevano l'Estonia svedese alla Finlandia, consentendo alla Svezia il controllo integrale delle coste dell'omonimo Golfo. Il 1621 tolse anche alla Polonia la Livonia con l'importante porto di Riga, ma l'obiettivo principale della Svezia era al controllo del Baltico. 16.8. Gli Asburgo d’Austria. Il ramo austriaco degli Asburgo, era titolare titolo dinastico degli stati ereditari, ma aveva anche tradizionalmente le corone elettive dell'impero di Boemia e di Ungheria. Sia Ferdinando sia il suo successore e il figlio Massimiliano, prendendo atto della debolezza della dignità imperiale cercano di realizzare in Germania una pacifica convivenza fra protestanti e cattolici sulla base dei principi e stabiliti dalla pace di Augusta. Quest'ultima, però, era avvertita da tutti come un compromesso provvisorio, diventato inoltre inattuale perché non prevedeva non prendeva in considerazione il calvinismo, diffusosi in varie zone della Germania ed è adottato dall’elettore del Palatinato Federico IV e dall’elettore di Brandeburgo, Giovanni Sigismondo, si poneva inoltre il problema dei signori cattolici che erano passati alla riforma secolarizzando, i loro possessi, rendendoli ereditari, eludendo la clausola del riservataun ecclesiasticum che obbligava in tal caso di cederli. Alla morte di Massimiliana II fu eletto imperatore del figlio Rodolfo, secondo il quale stabilì la sua residenza nel castello di Praga, dove si dedicò a coltivare le arti, l'astrologia e l'alchimia, circondato da uno stuolo di uomini di cultura, di maghi e di artisti, mentre i domini ereditari l'arciducato di Austria e l'Ungheria erano governati dal fratello Mattia, sotto il Regno di Rodolfo ebbe inizia la grande offensiva cattolica che ebbe la sua roccaforte nel ducato di Baviera e si servi della compagnia di Gesù, che fondò numerosi collegi per l'educazione della nobiltà. I principi protestanti diedero vita quindi nel 1608 all'Unione evangelica guidata dall'elettore del Palatino Federico V a essa si oppose l'anno seguente la lega cattolica alla quale era a capo il Duca Massimiliano I di Baviera. Contro l’offensiva cattolica si mosse anche la nobiltà boema che nel 1609 impose all'imperatore la concessione di una lettera di maestà che garantiva la libertà di coscienza e di culto a tutte le fedi, compresi i seguaci della confessione boema che raccoglieva i vari gruppi eredi della tradizione hussita, poiché l’unione evangelica, era sostenuta dalla Francia, mentre quella cattolica dalla Spagna, sembrava che l'impero si stesse avviando verso la guerra civile. La morte di Enrico IV allontanò per il momento questo pericolo. Intanto Mattia apri un conflitto dinastico con il fratello Rodolfo II, che mostrava segni di squilibrio mentale, egli riuscì nel 1611 a deporre il fratello, tenendolo di fatto prigioniero nel suo castello e l'anno seguente alla sua morte, fu eletto anche imperatore. Dietro di lui si profilava la figura del nipote Ferdinando, Duca di Stiria, fautore di una politica intransigente nei confronti dei protestanti e deciso a rafforzare le prerogative della corona imperiale. 16.9. La Guerra dei trent’anni: la prima fase (boema-palatina) Eletto dei di Boemia nel 1617, Ferdinando mise in atto la politica di restaurazione cattolica, i reggenti ai quali aveva delegato in sua assenza l'amministrazione del regno ordinarono la demolizione di due chiese protestanti, vedendo che le concessioni fatte erano in pericolo, gli Stati di Boemia si autoconvocarono per esprimere la loro protesta, ma i loro rappresentanti non furono ricevuti da Ferdinando a Vienna. Allora una loro delegazione, invase il 23 maggio 1618 il castello di Praga e sfogo la sua rabbia, gettando dalla finestra due delegati imperiali con il loro segretario che è rimasti illesi riuscirono a fuggire. La defenestrazione di Praga fu l'atto inizio della guerra che fu chiamata in seguito dei trent'anni, la rivolta fu sostenuta dai ceti alle province del regno di Boemia e da quelli dell'alta e Bassa Austria. Essendo morto nel frattempo Mattia, la dieta elesse all'unanimità imperatore del Sacro romano Impero Ferdinando, pochi giorni prima gli stati di Boemia animati dal desiderio di difendere la loro tradizionale autonomia oltre che gli ideali di riforma della tradizione hussita, avevano dichiarato decaduto Ferdinando e offerto da corona Boemia a Federico V elettore del Palatinato a capo dell'Unione evangelica. A questo punto divenne inevitabile lo scontro con Ferdinando II. Fra l'altro l'esito del conflitto dipendeva dalla composizione della dieta elettorale, nella quale i tre elettori cattolici si contrapponevano ai tre principi protestanti di Sassonia, Brandeburgo e Palatinato, se svolgere una politica personale ispirata più ai suoi privati interessi che alle direttive imperiali. Ferdinando emise quindi un ordine di cattura contro di lui per tradimento e venne assassinato nel Febbraio del 1634. Nel frattempo, la guerra volse in favore degli eserciti imperiali e spagnolo, a questo punto la Sassonia e il Brandeburgo, decisero di uscire dal conflitto stipulando con l'imperatore la pace di Praga 1635, in cambio della sospensione dell'editto di restituzione, restavano sul suolo tedesco le truppe svedesi Oxstierna si accingeva anche gli altri avviare trattative di pace quando la Francia decise di entrare direttamente nel conflitto. 16.13.La quarta fase (francese). L’intervento francese muto la natura della guerra, non si trattava più di una guerra civile tedesca, ma di una ripresa dello scontro fra gli Asburgo e la Francia, decise a impedire un rafforzamento della corona imperiale; perciò, Richelieu pur essendo un cardinale della chiesa cattolica, non esitò ad appoggiare i protestanti, al suo fianco combatterono, la Svezia e le Province Unite, sempre impegnate contro la Spagna, che nel frattempo dovette affrontare alcune gravissime crisi interne. 16.14.La rivolta della Catalogna e la successione del Portogallo. La Spagna doveva fronteggiare le ricorrenti difficoltà finanziarie e fu costretta perciò ad un ulteriore inasprimento della pressione fiscale. Nel 1640 il tentativo di approfittare della presenza di un esercito in Catalogna per imporre alle corti e una maggiore collaborazione alla guerra provoco la rivolta di catalani, i quali si consideravano una nazione distinta per lingua e cultura rispetto alla Castiglia e non intendevano rinunciare alla propria autonomia. Nel 1641 alla Catalogna si pose addirittura sotto la protezione della Francia. Questo aveva effetti assai gravi, perché il regno catalano era in prima linea nella guerra con la Francia e si che si svolgeva sui Pirenei. Negli stessi mesi anche la nobiltà portoghese, chiamata da Madrid a unirsi all'esercito che doveva marciare sulla Catalogna, insorse e proclamo all'indipendenza del Portogallo affidandola corona al duca di Breganze con il nome di Giovanni IV. Preso atto del fallimento del progetto politico dell’Olivares a Filippo IV lo licenzio. In seguito, il governo di Madrid, dovette dichiarare una nuova bancarotta e nel 1647 fronteggiare anche le rivolte di Napoli e Palermo. Solo nel 1652, le truppe spagnole poterono rientrare a Barcellona, approfittando dei timori della nobiltà catalana per i risvolti sociali che la rivolta stava assumendo. Quanto al Portogallo, la Spagna tento a lungo di recuperarlo, ma alla fine del 1668 dovette riconoscerne l'indipendenza. 16.15.La pace di Vestfalia. Il corso della guerra divenne progressivamente sfavorevole degli Asburgo. Nel 1637, gli olandesi avevano ripreso Breda, in seguito avevano tagliato la via di Spagna che da Milano portava a Bruxelles e anche sul mare gli olandesi ottennero un'importante vittoria sulla flotta spagnola. Si continuo a combattere mentre si svolgevano complesse trattative di pace, alla fine nel 1648 furono stipulate fra le varie potenze belligeranti trattati, designati nell'insieme come pace di Vestfalia, non posero fine alla loro guerra che sarebbe durata fino al 1659 la Francia e la Spagna. Quest'ultima riconobbe l'indipendenza delle Province Unite e anche le acquisizioni territoriali che avevano ottenuto, la Francia, mantenne i vescovati di Metz Toul e Verdun e la Lorena, parte dell’Alsazia e alcune piazzeforti sul Reno, oltre a Pinerolo, in Piemonte. La Svezia ottenne solo una parte della Pomerania, quella occidentale quell'orientale fa acquisita con i vescovati di Magdeburgo, Minden e Ravensburg dall’elettore di Brandeburgo. Per quanto riguarda la situazione dell'impero, si portò al 1624 l'anno normale, sanando così le secolarizzazioni dei beni ecclesiastici avvenuti fino a quella data dopo la quale, invece, sarebbe rimasto l'obbligo di restituzione per i principi che fossero passati alla riforma. Le concessioni della pace di Augusta furono estese calvinisti, la Baviera ottenne l'alto Palatinato e mantenne la dignità elettorale, il basso Palatinato, fa assegnato al figlio di Federico, Carlo Ludovico, al quale fu restituito il titolo di elettore. I membri del collegio elettorale salirono così a 8. Il rifiuto di Innocenzo X di riconoscete trattati di pace evidenziò la crisi del ruolo internazionale del papato, la Guerra dei trent’anni segnò anche il fallimento del tentativo di Ferdinando di rafforzare la corona imperiale. I principi si videro riconosciuto il diritto di fare alleanze e di promuovere guerre purché non rivolte contro l'imperatore. Questi non poteva fare guerra e stipulare pace, levare milizie e imporre tasse senza il consenso della dieta. Restava in Germania, la terribile eredità di un conflitto che aveva distrutto risorse, devastato villaggi e città, e aveva portato allo stremo le condizioni della popolazione colpita da epidemie e carestie. 17. La prima rivoluzione inglese. 17.1. L’avvento della dinastia Stuart. Nel 1603 muore senza eredi di Elisabetta I salì sul trono d'Inghilterra il figlio di Mary Stuart, Giacomo I Stuart, che già regnava in Scozia dal 1567 con il nome di Giacomo VI, si realizzò così un'unione personale tra i due regni che solo a partire dal 1707 sarebbero fusi con la riunificazione dei rispettivi parlamenti. 17.2. L’eredità elisabettiana. Sotto il regno di Elisabetta l'Inghilterra aveva conosciuto una forte crescita demografica, notevole era stato anche lo sviluppo dell'economia, durante il XVI sec le recinzioni avevano rotto in molte zone, l'economia di villaggio, fondata sugli open fields e ampliato i pascoli a beneficio della manifattura laniera, i cui prodotti rappresentavano il 75% circa delle esportazioni, si erano sviluppate anche nel settore tessile, le manifatture a domicilio, che aggiravano i vincoli delle corporazioni, affidando le attività produttive fuori città a contadini-artigiani. Elisabetta, inoltre, aveva sostenuto la crescita della flotta e favorito lo sviluppo dei commerci attraverso la creazione di compagnie privilegiate. 17.3. Le istituzioni. Sul piano istituzionale, Elisabetta aveva mantenuto buoni rapporti con il Parlamento, ma lo aveva convocato di rado. Il Parlamento inglese era formato da due camere, la camera alta o camera di lord o di pari, nella quale sedevano i nobili titolati e i vescovi della chiesa e la camera bassa o dei comuni i cui membri erano eletti dalle 46 contee in Inghilterra e Galles invece e dai centri urbani che avevano il diritto di essere rappresentati. Nelle contee votavano tutti i proprietari liberi che avessero 40 scellini di rendita annua, mentre nei borghi le modalità dell’elezioni erano molto diversificate. Il re che poteva convocare o sciogliere a sua descrizione, il parlamento tendeva a limitare il volo della camera dei comuni alla tradizionale funzione di approvare le imposte. Tuttavia, nel corso del 500 i comuni erano intervenuti più volte nei problemi politici religiosi e avevano acquisito un crescente rilievo rispetto alla Camera di Lord. 17.4. La chiesa anglicana, Durante il Regno di Elisabetta, la Chiesa anglicana aveva raggiunto un suo equilibrio. I 39 articoli approvati nel 1563 davano alla dottrina della Chiesa una netta impronta protestante ma si ispiravano a un prudente sincretismo che fondeva diversi aspetti della riforma, senza esprimerne una precisa scelta confessionale. D'altra parte, la liturgia era rimasta cattolica e soprattutto la struttura ecclesiastica era ancora imperniata sui vescovi. Ciò che premeva Elisabetta era l'unità religiosa, erano tollerate posizioni anche piuttosto diverse sul piano dottrinale, a patto che si prestasse obbedienza alla sovrana che era anche il capo della Chiesa. Nella seconda metà del 500 si erano sviluppate nella società inglesi corrente religiosa che tendevano al superamento di questo ambiguo compromesso e auspicavano a un'evoluzione della Chiesa anglicana, verso una piena adesione al calvinismo, per il rigore che li caratterizzava gli esponenti di questo dissenso religioso furono chiamati puritani, concordi nel voler purificare l’anglicanesimo da tutti i residui del cattolicesimo, il movimento presentava peraltro al suo interno diverse posizioni dottrinali e politiche. Quanto ai cattolici chiamati papisti, furono sempre visti con sospetto perché fedeli a un sovrano straniero il Papa che aveva dichiarato illegittimo il regno di Elisabetta. 17.5. La società inglese. La società inglese si differenziava dalla realtà continentale per il suo dinamismo al vertice della piramide sociale c'erano ii nobili titolati che avevano un saggio ereditario nella Camera dei Lord. Si trattava di un gruppo distretto che aveva conosciuto un sensibile declino su sia sul piano economico a causa delle difficoltà di mantenere l'elevato tenore di vita richiesto a corte, sia sul piano politico. I nobili inglesi non avevano privilegi feudali e fiscali, ma solo alcune prerogative, onorifiche, inoltre, i figli cadetti non disponevano delle tue opportunità dei cadetti nelle società continentali, La chiesa anglicana non offriva infatti la possibilità di impiego nel mondo ecclesiastico. D’altra parte, la mancanza di un forte esercito permanente precludeva la vita della carriera militare. Non disponendo di uno status privilegiato, spesso si dedicavano agli affari al commercio. La vendita dei beni acquisiti dalla corona con la soppressione degli ordini religiosa rafforzò notevolmente l'ascesa della piccola nobiltà di campagna: la Gentry un ceto di proprietari terrieri che vivevano nobilmente pur disponendo di patrimonio molto differenziati. Nell'insieme si trattava. Solo la gentry maggiore, dotata di ricche proprietà e di cospicuo patrimonio si fregiava del titolo di baronetto, di cavaliere o di signore. La natura aristocratica della gentry non era legalmente riconosciuta e costituiva una realtà di fatto, non era sufficiente avere un'estesa priorità fondiaria, occorreva anche che fossero riconosciuti alla famiglia un prestigio e un'autorità che ne facessero il principale punto di riferimento della vita della contea. Questi gentiluomini di campagna si garantirono il controllo del governo locale, in quanto esercitavano in genere la funzione dei giudici di pace, carica di nomina regia di fatto non retribuita, che comportava l'amministrazione della giustizia, la fissazione dei prezzi dei salari e il mantenimento dell'ordine pubblico. Questo ceto, approfittando del declino dell'aristocrazia titolata, assunse che un rilievo politico a livello nazionale, in quanto dai ranghi proveniva la maggioranza dei rappresentanti eletta dalla camera dei comuni. Nella città al vertice della gerarchia si ponevano le comunità di mercanti e uomini d'affari particolarmente potente era quella di Londra, dove l'area centrale chiamata City era la serie principale delle attività commerciali e finanziarie. Si può parlare a proposito di questi gruppi sociali di borghesia, a patto da tenere presente che essi erano ancora legati in parte alla terra inseriti nella struttura della società di antico regime, non avevano una coscienza di classe. Il governo delle città era controllato da un'élite formata dai grandi mercanti, uomini di legge e funzionari dell'amministrazione. Alla base della società urbana vi erano gli artigiani salariati e lavoratori non qualificati. L'Inghilterra del 600 era ancora prevalentemente rurale, vi era un cospicuo numero di proprietari e di copyholders che occupavano la terra con un contratto d'affitto che lascia Londra, mentre i capi dell’opposizione ritornavano trionfalmente in parlamento, era l'inizio della rivoluzione. 17.8. Gli ostacoli al tentativo assolutistico degli Stuart. Mancavano in Inghilterra i pilastri sui quali l’assolutismo si basava, non vi era un esercito permanente che era stato il principale motivo addotto dalle monarchie continentali per introdurre una tassazione stabile, il re non disponeva di un solito apparato burocratico che gli consentisse, a livello di contea il controllo del governo locale che era gestito attraverso i giudici di pace della gentry. Il potere legislativo inoltre era limitato dal fatto che vigeva in Inghilterra la Common Law, diritto consuetudinario per il quale i giudici amministravano la giustizia in base alla giurisprudenza precedente e alla dottrina. Infine, la monarchia non disponeva di un solido apparato finanziario. Proprio su questo si incentrava la lotta dei comuni che bloccò il tentativo assolutistico degli Stuart, facendo valere il principio per cui non si riscuoteva in Inghilterra alcuna imposta senza il loro consenso. Attraverso questo conflitto istituzionale, il parlamento venne ad assumere un ruolo completamente nuovo, fino a diventare il centro della vita politica, ridimensionata drasticamente l'importanza della camera dei lord, i comuni, in quanto rappresentanti del popolo si ponevano come l'espressione della volontà del paese in contrapposizione alle politiche liberticide della corte e quindi reclamavano il diritto di esprimere l'indirizzo politico che il governo avrebbe dovuto attuare. Particolarmente significativo e in tal senso la Grand remostrance approvata il 22 novembre 1641, nella quale, i comuni chiedevano al re di rispettare nella nomina e nella revoca dei ministri la volontà del parlamento, era la prima embrionale formulazione del principio della responsabilità del potere esecutivo di fronte al potere legislativo. 17.9. La prima fase della rivoluzione. All'inizio della guerra civile il paese rimase in gran parte neutrale, in attesa di conoscere gli sviluppi degli avvenimenti, comunque, Carlo grazie alla cavalleria formata dai gentiluomini di provincia rimasti fedeli alla corona ottenne dei successi sulle forze parlamentari e nel 1643 controllava tre quarti del paese avendo la sua roccaforte nell'Inghilterra occidentale e la sua capitale a Oxford. Tuttavia, il Parlamento poteva contare sull'aiuto finanziario della City, disponeva della flotta passata dalla sua parte e nel 1643 strinse un'alleanza con gli scozzesi. Il 2 luglio 1644 un esercito parlamentare ottenne a Marston Moor, una prima importante vittoria si distinse nella battaglia Oliver Cromwell, un'esponente della gentry di fede calvinista, comandante della cavalleria degli Ironsides. Nel 1645 Cromwell organizzò l'esercito di nuovo modello che decise la guerra in favore del Parlamento, riportando una grande vittoria a Naseby. Questo esercito era caratterizzato da una ferrea disciplina e da un forte spirito egualitario, per cui la selezione, era basata sul merito, ma soprattutto risultò decisiva la fede calvinista che animava soldati che si sentivano chiamati da Dio a combattere come strumenti per il trionfo dei suoi disegni. A Carlo non rimase che prendere atto della sconfitta e nel maggio 1646 decise di arrendersi agli scozzesi, che l'anno seguente lo consegnarono al parlamento dietro il pagamento di un lauto compenso. 17.10.La spaccatura del fronte rivoluzionario. A questo punto poiché nessuno pensava che si potesse fare a meno della monarchia si poneva il problema di un accordo con il re che stabilisse le rispettive prerogative della corona e del Parlamento. Questo compromesso risultò impossibile sia per la resistenza di Carlo, ma soprattutto a causa delle divisioni del fronte rivoluzionario. Emerse intanto le profonde differenze esistenti nel movimento puritano, la maggioranza in Parlamento era detenuta dai presbiteriani, calvinisti austeri e intransigenti che essendo stati aboliti i vescovi nel 1646 intendevano imporre una chiesa di Stato alla quale tutti avrebbero dovuto conformarsi, struttura sul modello scozzese con la formazione di sinodi composti da ministri del culto e anziani laici. L'altra ala del movimento puritano, gli indipendenti o congregazionalisti rivendicavano invece l'autonomia delle congregazioni religiose ed era favorevoli a un regime di tolleranza per le varie confessioni, salvo per i cattolici. Queste posizioni dovevano ora confrontarsi con le aspirazioni a un profondo rinnovamento religioso e politico che si erano diffuse nella popolazione durante la guerra civile. Proliferano sette e congregazioni che si ricollegavano in vario modo alle posizioni della riforma radicale. Inoltre, si era fermato a partire dal 1646 un vero partito politico, con una sua organizzazione, i livellers, radicati soprattutto nelle classi lavoratrici delle città, nonostante il nome che indicava coloro che colmavano fossati o abbattevano le siepi nei campi, essi non intendevano mettere in discussione la proprietà privata e reclamavano solo misure per alleviare la miseria della popolazione essi perseguirono soprattutto un programma politico di netta impronta democratica, fondata sull'affermazione della sovranità popolare, fonte di ogni diritto, essi chiedevano una riforma elettorale che concedesse il diritto dei voti a tutti i maschi adulti liberi sul piano religioso erano favorevoli a una completa libertà di coscienza anche per i cattolici, volevano anche l’abolizione della Camera di Lord ed erano di orientamento repubblicano. Questo programma trovo un notevole consenso tra i soldati dell'esercito, tra i lavoratori delle città e tre piccoli contadini colpiti dalla crisi economica, dal rialzo dei prezzi e dalle carestie. Si apri così la seconda fase della rivoluzione che vide contrapposti il parlamento controllato dai presbiteriani di orientamento moderato e l’esercito nel quale trovavano largo seguito sia il non conformismo religioso, sia il radicalismo politico dei livellatori. La maggioranza presbiteriana del Parlamento pensava di liquidare l'esercito o smobilitando senza le paghe arretrate, oppure inviandola a combattere contro i ribelli irlandesi. I soldati reagirono eleggendo degli agitatori delegati, incaricati di presentare le loro richieste ai capi militari. Inoltre, l'esercito occupò Londra e si impadronì della persona del re. Cromwell in questa fase si mosse con molta prudenza, egli si rendeva conto che molti presbiteriani erano inclini ad accordarsi con il re, baluardo dell'ordine del rispetto delle gerarchie. D'altra parte, non condivideva l'estremismo delle sette e dei livellatori, ma accetto il confronto con gli agitatori per evitare che gli sfuggisse il controllo dell'esercito che era la vera base del suo prestigio, della sua forza politica. La distanza rispetto alle posizioni dei livellatori apparve evidente nella riunione del Consiglio generale dell'esercito tenutasi nel 1647 presso Londra, le posizioni democratiche dei livellatori furono esposte ma trovarono l'opposizione dei grandi e di Cromwell si ribadì che i diritti civili spettavano a tutti ma che solo i proprietari potevano avere il diritto di voto, proprio mentre si chiudeva questo dibattito, Carlo riusciva a fuggire, rifugiatosi nell'isola di Wight si accordo con gli scozzesi accettando il presbiterianesimo in cambio del loro sostegno e fomentò una rivolta realista nel Galles, Cromwell, resosi conto che ogni accordo con il re era impossibile, sconfisse i realisti e gli scozzesi nella battaglia di Preston. Poiché i contrasti politici religiosi rendevano ancora impossibile un accordo generale, le spaccature fra esercito e parlamento poteva essere risolte solo con un colpo di Stato il 6 dicembre 1648 il colonnello Pride agendo in nome del consiglio dell'esercito, arreestò 45 parlamentari e impedì l'accesso a Westminster (Purga di Pride), ciò che restava della camera dei comuni dopo questa operazione, il cosiddetto Rump parliament, istituì senza il consenso dei lord un'alta corte di giustizia che processò e condannò a morte Carlo, che fu decapitato nel gennaio 1689, subito dopo il parlamento abolì la camera dei Lord e proclamò la Repubblica d'Inghilterra, Scozia e Irlanda. 17.11.La liquidazione del movimento livellatore. La situazione politica dopo la condanna del re non era stabilizzata. Una parte notevole della popolazione era fedele al re, il cui prestigio era molto cresciuto grazie all'atteggiamento fermo e coraggioso tenuto di fronte alla morte. Inoltre, il figlio di Carlo fu riconosciuto da scozzesi irlandesi come re con il nome di Carlo II. D'altra parte occorreva far fronte alle radicali richieste dei settari e dei livellatori, fra l'altro proprio in quei mesi alcuni gruppi di contadini occuparono alcune terre comuni e iniziarono ad ararle, furono chiamati per questo diggers, leader Gerard Winstanley, partendo dall'esperienza anabattista considerava contraria al cristianesimo, la proprietà privata e vagheggiava una forma di comunismo agraria di matrice biblica, era un movimento pacifico che esprimeva la speranza che il nuovo regime venisse incontro ai poveri e ai diseredati. La reazione dei proprietari stroncò sul nascere queste iniziative. Cromwell cerco di chiudere la fase rivoluzionaria e ripristinare l'ordine per dare solide basi al regime repubblicano. Egli aveva realizzato due dei tre punti del programma livellatore, l'abolizione della monarchia e della camera dei lord, ma non aveva alcuna intenzione di promuovere la riforma elettorale. Il Parlamento stabilì che, in attesa di nuove elezioni, il potere sarebbe stato gestito da un consiglio di stato, controllato di fatto dai capi dell'esercito. I livellatori ripresa allora la loro agitazione, quando il loro leader politico John Lilburne, denunciò in un opuscolo le nuove catene delle imposte al popolo Cromwell lo fece arrestare, quindi riprese il pieno controllo dell'esercito, e represse con durezza l'ammutinamento di alcuni reparti. Lilburne fu poi assolto dalle accuse mossegli, ma ormai la breve parabola del movimento finita. Le istanze democratiche ed egualitarie esaurite gli spazi di azione politica, fluirono nel mondo del non conformismo religioso, che avrebbe cercato rifugio al di là dell'Atlantico. Si diffuse allora la setta degli uomini della quinta monarchia che secondo il libro di Daniele, vivevano nell'attesa millenaristica del regno della giustizia, Lilburn stesso aderì alla setta di quaccheri, un movimento fondato da un calzolaio, George Fox, chiamato così per via del tremito che li caratterizzava nei momenti collettivi di esaltazione mistica. Essi ritenevano che lo spirito di Dio fosse nel cuore di ogni uomo che perciò l'umanità, può ritornare allo stato di innocenza anteriore al peccato di Adamo. Molti aspetti li ricollegavano agli anabattisti il radicale pacifismo e il rifiutò il giuramento, lo spirito egualitario. Anche i quaccheri emigrano nel nuovo mondo, dove si raccolsero nella colonia di Pennsylvania fondata nel 1681 dal loro confratello William Penn, il nome della città da lui fondata, Philadelphia esprime bene lo spirito dei membri che furono i primi a combattere la schiavitù. 17.12.Il lungo interregno, Fra il 1649-1650 Cromwell represse con straordinaria brutalità la rivolta dell'Irlanda, migliaia di irlandesi furono costretti all'esilio e le terre confiscate furono assegnate a protestanti inglesi o a membri dell'esercito. Con un'ulteriore campagna militare egli riportò l'ordine anche in Scozia, costringendo Carla II a fuggire in Francia. Durante il suo governo, Cromwell ridiede slanciò la vocazione marinara che si era affermata sotto il regno di Elisabetta e con l'atto di navigazione promulgato nel 1651 stabili che nei porti inglesi potessero attaccare solo navi inglesi o di paesi dai quali provenivano le merci, il provvedimento colpiva direttamente gli interessi olandesi che ricavavano ingenti profitti dal mercato dei noli marittimi e provocò infatti, fra l'Inghilterra e le Province unite tre guerre. Inoltre, mosse guerra anche alla Spagna, alla quale nel 1655 strappo l'isola di Giamaica. Rimase invece insoluto il problema dell'assetto della vita dell’uomo e della terra, dimostrando che il nostro pianeta aveva un passato di molti milioni di anni e soprattutto che solo dopo un lunghissimo intervallo era comparso l’uomo. Punto di arrivo di questo processo di affermazione della scienza moderna è individuato nella pubblicazione del 1687 dei principi matematici di filosofia naturale di Isaac Newton, egli con la gravitazione universale spiegò scientificamente i movimenti dei corpi celesti. 18.3. La caccia alle streghe. Assai diffusa era nel mondo antico la convinzione che esistessero individui dotati di facoltà straordinarie. Su questa credenza si innestò nel corso del medioevo la tradizione cristiana che suffragata dalla bibbia affermava la presenza nel mondo del diavolo, definito dalla teologia scolastica come puro spirito. Nel corso del XIII sec, si fece strada la convinzione che i poteri magici di alcuni individui derivassero da un patto con il diavolo. Da queste premessi si affermarono nel XV sec le componenti del concetto di stregoneria che avrebbe ispirato i processi dell’età moderna: il patto stretto con il diavolo per ottenere poteri illeciti sulla realtà naturale, il sabba ovvero la riunione degli adepti in luoghi isolati, il volo notturno che consentiva loro di recarsi al sabba e i vari riti. Molto importante per la diffusione di queste credenze fu un manuale a uso degli inquisitori pubblicato nel 1486 il martello delle streghe, non mancarono voci contrarie alla credenza: Johann Weyer affermò che le donne accusate di stregoneria erano in realtà povere malate. Le teorie sulla stregoneria furono condivise dal mondo protestante e da quello cattolico. A partire dal XV sec si ebbe un progressivo incremento dei processi, istituiti in genere da tribunali civili. In Spagna e in Italia, tuttavia furono le rispettive inquisizioni a farsi carico della lotta alla stregoneria, perché il patto col diavolo fu interpretato comun un rinnegamento del cristianesimo e quindi apostasia. Le persone coinvolte nei precessi appartenevano per lo più agli strati inferiori della società, in particolare del mondo rurale. Si tratta di individui marginali o per qualche motivo isolati dalla comunità, la stragrande maggioranza erano donne, spesso anziane e vedevo, che erano esposte alle denunce a causa della loro professione; guaritrici, levatrici, indovine ecc. la prevalenza delle donne si spiega con i diffusi pregiudizi circa la lor inferiorità e della loro vulnerabilità, ma era dovuta anche alla imperante mentalità sessuofobica, in quanto in molti casi si riteneva che il diavolo seducesse le donne inducendole ad avere con loro rapporti sessuali. Molte ammissioni furono estorte con la tortura, ma ci fu anche un certo numero di persone che erano convinte di possedere dei poteri o che comunque sfruttavano a fini di lucro queste presunte capacità. La grande maggioranza dei processi si concentrò in un’area comprendente, Francia, Germania e Svizzera, ma il fenomeno interesso anche le colonie americane: Salem. In generale le autorità laiche furono molto più propense a cedere emettendo sentenze di condanne, alle pressioni delle comunità. Al contrario l’inquisizione spagnola e romana, adottarono un atteggiamento di cautela nei confronti del fenomeno. Nei processi l’inquisizione si trovò di fronte a superstizioni, riti ancestrali e residui di antiche feste pagane. In questi casi la distinzione fra magia e superstizione era molto difficile. La chiesa comunque non mirava a colpire questa realtà con una dura repressione e persegui piuttosto un’attenta ricognizione allo scopo di isolarli e riassorbirli attraverso un’opera di disciplinamento e rieducazione. La caccia alle streghe andò progressivamente esaurendosi in tempi e modi diversi nelle zone d’Europa a partire dalla fine del XVII sec. 18.4. Il pensiero politico. Il XVII secolo fu caratterizzato sul piano politico dall’affermazione dell’assolutismo. A livello teorico, questa tendenza fa espressa dall'inglese Robert Filmer che ritenne il potere assoluto del monarca conforme alla natura in quanto simile all'autorità del padre sui figli e dal francese Jacques Benigne Bossuet che espose la teoria dell'origine divina della monarchia. Il contributo più importante del pensiero seicentesco e nell'affermazione della scuola del diritto naturale, (Giusnaturalismo) che avrebbe dominato la riflessione politica fino agli inizi del XIX sec. Il Giusnaturalismo afferma che esiste un diritto naturale, formato dall'insieme di norme di condotta che si ricavano dalla natura stessa dell'uomo anteriore e superiore al diritto positivo, cioè alle leggi dello stato. L'olandese Grozio, pose le basi del diritto internazionale, proprio nel diritto naturale, il quale esprime norme riconosciuto e valide da tutti, in quanto ciascuno può ricavarle interrogando la propria ragione. Il vero teorico del giusnaturalismo moderno è stato l'inglese Thomas Hobbes, autore in particolare del Leviatano pubblicato nel 1651, la sua riflessione parte dalla condizione degli uomini nello stato di natura, vale a dire prima della fondazione della società. In questa situazione non ci sono leggi, ciascuno gode della massima libertà, indipendenza. La visione pessimistica dell'uomo induceva Hobbes a ritenere che gli individui non sono naturalmente portati a vivere in società, anzi il contrario, sono guidati dall'egoismo e dalla cupidigia, dalla ricerca del proprio utile anche a danno dei loro simili. Nello stato di natura vige la guerra di tutti contro tutti, in quanto nessuna è sicuro della sua vita e dei suoi beni, potendo essere in qualunque momento sopraffatto dai suoi simili. Per questo motivo gli uomini rinunciano alla propria indipendenza e cedono tutti i loro diritti a un monarca assoluto che stabilisce le leggi a garanzia della sicurezza di tutti e punisce coloro che la infrangono. Naturalmente egli ritiene che lo stato di natura universale non sia mai esistito storicamente, ma si realizza solo per alcuni determinati momenti e luoghi. Il passaggio dallo stato di natura alla società presuppone un accordo fra gli individui, un contratto sociale composto da due distinti patti, un pactum societatis con il quale gli uomini decidono di vivere in una società e un pactum subiectionis con il quale essi dedicano i loro diritti a un potere che regge la società attraverso le leggi. Hobbes ritiene che l'assolutismo fosse la sola forma di governo in grado di garantire la sicurezza, ovvero la vita degli individui. Il monarca al quale gli uomini cedano tutti i loro diritti ha un potere enorme e per questo viene rappresentato come Leviatano, il mitico mostro biblico. L'inglese John Locke, autore di due trattati sul governo pubblicati nel 1690, ritenne che gli uomini nel contratto sociale non cedessero tutti i loro diritti, ma la minore porzione possibile, essi rinunciano solo al diritto di farsi giustizia da sé contro i tentativi dei propri simili, di privarli di vita o dei beni, in quanto ritengono che la loro sicurezza sarebbe stata garantita meglio da un potere in grado di imporre a tutti il rispetto delle leggi. Essi conservano però nella società di altri diritti di cui godevano nello stato di natura, vale al dire il diritto alla vita, alla libertà e alla proprietà. Il prezzo sociale prevede che lo stato debba garantire questi diritti, in caso contrario i sudditi hanno il diritto di abbatterlo. Dal giusnaturalismo lockiano deriva quindi uno Stato liberale. 18.5. Il mercantilismo. Il termine mercantilismo, derivato dall'espressione sistema mercantile usata da Adam Smith, entrato in uso alla fine del XIX sec per indicare l'indirizzo di politica economica seguita da tutti gli stati durante l'età moderna. Il nome riflette una realtà nella quale il capitale commerciale dominava la vita economica e controllava anche la produzione manifatturiera. Caratteristica principale è la subordinazione dell'economia alla politica, lo stato deve intervenire nella vita economica perché lo sviluppo della ricchezza nazionale determina maggiori introiti per le finanze attraverso le imposte e una crescita delle riserve di metalli preziosi. Emblematico a riguardo è il giudizio risalente al 1666 di Colbert, ministro delle finanze francese di Luigi XIV secondo cui la prosperità nazionale non era considerato un fine in sé quanto un presupposto della forza politica dello Stato. La politica mercantilistica si basa sulla convinzione che la moneta metallica sia, se non la sola, la principale forma di ricchezza per una nazione. Per uno Stato che non disponeva delle ricche miniere americane, la principale possibilità per accrescere le proprie riserve di metalli preziosi era offerta dal commercio internazionale: occorreva vendere all'estero più di quanto si acquistava, perché il saldo della bilancia commerciale attiva sarebbe stato colmato dagli stati esteri con oro e argento. Per questo la politica mercantilistica mirava ostacolare nell'importazione di prodotti stranieri, imponendo su di essi dazi doganali, per sviluppare all'interno manifatture ancora non presenti o per sostenere quelli svantaggiati per qualità o per costi rispetto alla produzione straniera lo stato concedeva privilegi, esenzioni fiscali e monopoli, in modo che quei settori potessero svilupparsi al riparo della concorrenza. Erano favorite, invece, le importazioni di materie prime, ma naturalmente era più vantaggioso ricavare quest'ultime dai propri possedimenti, per questo tutti i maggiori stati europei si lanciarono alla conquista di estesi territori coloniali che rappresentavano anche un mercato sicuro per la produzione nazionale, vigeva infatti il principio dell'esclusiva per cui il commercio delle colonie poteva avvenire solo con la madrepatria e in linea di principio solo su navi nazionali. Il mercantilismo si fondava sulla concezione conflittuale dei rapporti economici. Le sue politiche, ritenendo che la popolazione fosse una risorsa per la grandezza dello stato, favorivano un incremento demografico, esse si sforzarono anche di rimuovere gli ostacoli al libero commercio entro i confini nazionali, eliminando pedaggi, balzelli e uniformando la moneta e promuovendo il miglioramento della rete stradale, la costruzione di canali e lo sviluppo dei porti. 18.6. L’espansione europea. Questa espansione vide protagoniste le province unite, l’Inghilterra e la Francia, desiderosi scalzare Portogallo e Spagna dalla posizione di vantaggio che avevano acquisito a tal fine cercarono una via per le indie alternativa alla circumnavigazione dell'Africa, gli inglesi nel 1553, fondarono la compagnia di mercanti di Londra detta compagna di Moscovia con l'intento di trovare il passaggio verso l'Asia a nord-est. Molti tentativi furono fatti da navigatori inglesi e francesi per aggirare il continente americano alla ricerca del passaggio a nord-ovest, quando fu chiaro che i ghiacci rendevano impraticabile quelle rotte, le spedizioni ripiegarono su obiettivi limitati, da un lato di una via commerciale con il porto di Arcangelo, dall'altro la colonizzazione dell'America settentrionale. 18.7. Il colonialismo olandese. Le province unite tentarono di inserirsi nel lucroso commercio delle spezie cercando di rompere il monopolio che il Portogallo tentava di imporre. Le prime compagnie che gestirono i commerci in oriente riunirono mercanti che operavano in maniera indipendente o al massimo si associavano per una singola spedizione. Si pose ben presto l’esigenza di coordinare queste imprese, che spesso si facevano concorrenza nacque così nel 1602 su iniziativa del Gran pensionario la compagnia delle indie orientali. Questa compagnia privilegiata ricevette il monopolio dei commerci al di là del capo di Buona speranza, con il potere di fare guerra e di contrarre alleanze, di fondare le colonie e di costruire le piazzeforti. Essa divenne una società per azioni il cui capitale sociale era divisa in quote, che ognuno poteva acquistare partecipando poi agli utili in proporzione al denaro investito. La compagnia olandese promosse azioni militari contro gli insediamenti del Portogallo, mirando solo ai profitti del commercio gli olandesi non colonizzarono questi territori. L'unica colonia olandese fu quella del capo
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