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Vittorio Sereni-Gli strumenti umani, sintesi del corso tenuto dal prof. Tortora, Appunti di Letteratura Italiana

Il documento presenta il riassunto delle dispense utili ai fini dell’esame e tutte le analisi delle poesie di Vittorio Sereni.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 11/01/2023

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Scarica Vittorio Sereni-Gli strumenti umani, sintesi del corso tenuto dal prof. Tortora e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Vittorio Sereni: Gli strumenti umani Esposito- lettura della poesia di Vittorio Sereni/Luzi-Introduzione a Sereni/Mazzini-Forma e Solitdine Vittorio sereni nasce nel 1913, appartiene ad una società in cui la borghesia colta crede molto alla letteratura. Sereni scrive la prima raccolta di poesie nel ’46 “Frontiera” e la pubblicherà solo nel ’65, quest’opera rappresenta due fondamentali caratteristiche: - È debitrice all’ermetismo e ci dimostra il legame del poeta con i padri poeti; - Mantiene un legame nei confronti della concretezza attraverso la menzione degli oggetti. Il poeta, dato il periodo, viene arruolato nell’esercito fascista e verrà catturato nel ’43 in Sicilia dagli alleati, trascorrerà il proprio periodo di prigionia in Algeria dove scriverà “Diario di Algeria”. In cui egli racconta la propria prigionia e attraverso cui traspare il senso di inferiorità trascinatosi dal poeta a causa della mancata partecipazione alla Resistenza, come invece altri colleghi letterati avevano fatto. Gli anni di silenzio che intercorrono tra le due opere si pensa siano stati anni di riflessione ed isolamento da parte del poeta, sebbene nel mentre pubblicasse poesie in riviste denominate plaquettes, a dimostrazione della viva partecipazione del poeta ai problemi del suo tempo. Il periodo (Cultura) Ci troviamo durante il dopoguerra, un periodo di grande instabilità e incertezza da cui scaturisce una vera e propria crisi: sociale, politica e letteraria. Sono anni in cui il fascismo venne sconfitto ma ciò non significava fosse scomparso nella mente e nella moralità delle persone. La crisi culturale non fu immediata, gli intellettuali dell’epoca erano tesi al nuovo e credevano nella possibilità di realizzarlo, avevano fiducia nel dopo. Solo più tardi scopriranno l’impatto con una realtà sfiduciosa che non viaggiava sulla loro stessa lunghezza d’onda. La fiducia portata avanti dagli intellettuali dell’epoca diede vita al neorealismo, la pubblicazione delle opere di Gramsci ne sono un vivo esempio. Essi offrivano un sostegno pratico alla politica, interiorizzando l’idea di “intellettuale impegnato.” Sereni risulta distante da tutto ciò, egli ribadisce l’indipendenza dell’ intellettuale da certi schemi. Contemporanea allo sviluppo della nuova società industriale è la nascita della neoavanguardia in cui l’attenzione al reale diventa demistificare una società che falsa il reale stesso, si tentò una sorta di mimesi linguistica per esprimere l’alienazione della società, unica possibilità per ritrovare la strada perduta. Sereni risulta essere in disaccordo anche con la neoavanguadia. Uno dei tentativi per reagire a questo stato di cose fu la pubblicazione assieme ad Isella Gallo ed altre personalità nel 1963-64 della rivista “questo e altro”, rivista che ci appare divisa tra due tensioni: -contrastare le ideologie della neoavanguardia; -riproponeva una corretta considerazione della poesia riportandola alla sua essenza dubitativa e conoscitiva; Questo tema della funzione della poesia sarà presente anche ne “gli strumenti umani”, interiorizzata nei versi stessi della poesia. Egli considera la poesia una forma di conoscenza capace di adeguare la reattività del soggetto alla mutevolezza del reale. Una dinamica di eventi che determina il rapporto che l’io instaura con l’esperienza del reale alla ricerca della propria identità. La poesia ha la capacità di riconoscere la contraddittorietà della realtà ma riesce a permettere all’io di riconoscervisi, di vagliare i propri dati dell’esperienza Gli strumenti umani raccoglie composizioni dal 1945 al 1965, l’opera risulta essere divisa in 5 sezioni: -uno sguardo di rimando; -una visita in fabbrica; -appuntamento ad ora insolita; -il centro abitato; -apparizioni o incontri. Sezioni disposte in ordine cronologico di scrittura e narrativo, come a dimostrare una crescita del poeta tramite la costruzione di un personaggio che si racconta. I motivi ricorrenti in tutta l’opera di sereni sono quelli del viaggio e del ritorno (viaggio all’alba, ancora sulla strada di Zenna, viaggio di andata e viaggio di ritorno, ancora sulla strada di Creva) Egli ripercorre i luoghi della propria giovinezza, ponendo un confronto tra presente e passato sottolineando l’impossibilità, dopo la guerra, di poter recuperare il rapporto di armonia con la natura che stava alla base di “Frontiera”. Egli comprende che un soggetto non può riproporsi di fronte ad un paesaggio con lo stesso sentimento di una volta. Il ritorno serve ad evidenziare un senso di vuoto. Sereni è spinto da un duplice atteggiamento: la memoria affettiva e la costante percezione della differenza tra il tempo della giovinezza e il presente. Da qui egli determina che il mutamento prevarica l’eternamente fisso, sotto le forme esasperate di un mutamento tecnologico aggressivo. L’obiettivo della raccolta è da individuare nel richiamo alla comunicazione, il desiderio di uscire da ogni immobilismo e di superare ogni paura segno della volontà umana di vivere nella storia non in solitudine. PRIMA SEZIONE UNO SGUARDO DI RIMANDO Raccoglie le poesie che risalgono al periodo de 1945-1957 giungendo forse fino agli anni 60, costituiscono il grafico del disorientamento psicologico sofferto da sereni negli anni appena post fascismo. Dopo un periodo di grandi speranze nel rinnovamento l’it risulta delusa. Emerge una sofferenza che è l’emblema di un tempo storico: l’incertezza e l’ottimismo, l’apertura e la chiusura danno vita ad una struttura in cui i contrari convivino senza annullarsi. In questa prima sezione la volontà di comunicare si instaura attraverso lo sguardo, lasciando intatta una forma sfumata di comunicazione (l’equivoco). Questo gruppo di poesie coincide con la volontà del poeta di chiudere con il passato, di andare oltre, di cancellare i segni della corruzione e della violenza. Lo sguardo di rimando non è da intendere nei confronti della realtà trascorsa; è la risposta del poeta alle cose passate e presenti, è l’espressione di ciò che la vita suscita nel poeta. Per sereni il dialogo (via scarlatti/comunicazione interrotta) comporta un prezzo: la rinuncia al sogno, prendere atto del male del mondo Emerge inoltre un tratto particolare di sereni, egli prova un grande senso di inferiorità per non aver partecipato agli ideali portati avanti da chi ha combattuto la resistenza. Ed emerge l’invidia per i più giovani che possono godere della contemporaneità senza questo sentimento. Successivamente, la gelosia per la gioventù andrà a trasformarsi in presa di coscienza della propria estraneità ad un mondo di cui si dovrebbe essere parte attiva ma in cui il poeta si rifugia nella Le iterazioni realizzano un duplice scopo: - Tentativo di vincere, attraverso l’evocazione, la sfiducia nelle sue capacità di manifestarne dell’essere; - Ripetizione di fonemi con le allitterazioni crea un fondo melodico e una cadenza ritmica alla lingua ex: “va tutta case la via.” la presenza del “ma” e degli interrogativi sottolineano la drammaticità dell’esperienza e l’inconoscibilità del reale. Il ma ha la capacità, ad inizio verso, di spezzare la continuità logica del pensiero. Sul piano temporale gli avverbi come “anche, ora, sempre” indicanti una linea di continuità, connessa ai verbi che indicano un ritorno “ridire, ritornare, rinnovare..”, convivono con parole indicanti l’imprevisto “di colpo, all’improvviso, d’un tratto.” Mentre l’aumento dei gerundi rientra nell’adeguamento del flusso poetico al flusso temporale segnando il passaggio dal passato al presente. Negli anni in cui la neoavanguardia procedeva nella sua disintegrazione del linguaggio, sereni usa un approccio differente, più inclusivo che tiene conto della rottura della compattezza del sistema linguistico mantenendo però un grado di comunicabilità accettabile, necessario per vincere il narcisismo del poeta e per restare in contatto con la collettività. La voce de poeta continua a tessere la sua rete per trattenere il senso della vita e dare una parvenza di futuro. Il ritmo prosastico si fonde con la poesia, la tendenza lirica sereniana viene corretta dal verso lungo e tendente alla prosa. Il poeta sente l’esigenza di nuove formule senza cadere nell’andamento semplicemente raziocinante. La reticenza (sospensione del discorso), insieme alla ripetizione, è una delle figure retoriche più usate in questa raccolta. Sereni cerca di riprendere gli espedienti della neoavanguardia sebbene l’incompiutezza e L’esitazione siano sinonimo di inadeguazione. Il tentativo di sfruttare i moduli della neoavanguardia è un tentativo, da parte del poeta, di operare in modo nuovo l’espressività. L’ironia è lo stato mentale di sereni che adotta nel suo modo di fare poesia e si fonde con i suoi esponenti linguistici ed espressivi: l’ironia è il punto i arrivo dopo il conflitto tra il poeta e il mondo, in essa si risolve il moralismo e trovano nuova vita gli elementi stilistici che nei momenti di insolutezza non avevano trovato la giusta applicazione. Il ma sereniano: esistono 3 differenti tipologie di “ma” usati nella raccolta degli strumenti umani; 1-“ma” con funzione grammaticale 2-“ma” con funzione intonazionale 3-“ma” con funzione strutturale:operano su porzioni di testo formate anche da numerose frasi. 1= sono congiunzioni avversative che hanno la funzione di precisare, facendo emergere una posizione riflessiva e raziocinante. 2= assumono una valenza enfatica, espressiva ed esplicano l’azione a livello ritmico-intonazionale. Questi “ma” occupano frasi sotto forma di domanda, invocazione o dell’esclamazione. Via scarlatti Contenuta nella prima sezione: uno sguardo di rimando Composta da tre strofe, la prima di due versi che ha valore enunciativo, la seconda di 22 versi e l’ultima di un verso. Con non altri che te È il colloquio. Non lunga tra due golfi di clamore Va, tutta case, la via; Ma l’aperto d’un tratto uno squarcio ove irrompono sparuti Monelli e forse il sole a primavera. Adesso dentro lei par sempre sera. Oltre anche più s’abbuia, È cenere e fumo la via. Ma i volti i volti non so dire: Ombra più ombra di fatica e d’ira. A quella pena irride Uno scatto di tacchi adolescenti, L’improvviso sgolarsi d’un duetto D’opera a un accorso capannello. E qui t’aspetto. Sereni in questa poesia descrive una via di Milano, via scarlatti, una via piena di case movimentata e con un po’ di chiasso. Una via non lunga e buia che ad un tratto viene squarciata e quindi si apre a bambini e forse ad un po’ di sole primaverile. Ha molti elementi di oscurità contrastati da molti elementi di vita: bambini o il sole (elemento più precario perché forse va via). Il poeta non riesce a distinguere i volti ma sembrano segnati dalla fatica e dall’ira. A tutto ciò si contrappone uno scatto di tacchi adolescenti e una coppia che canta un pezzo di opera. Con non altri che te è il colloquio: sereni imposta la poesia rivolgendosi a un tu generico, un tu rivolto al lettore. Egli sceglie come forma di dialogo la poesia, perché la poesia è comunicazione sociale e ha bisogno del lettore per vivere. L’obiettivo poetico è il dialogo con il lettore. Golfi: una parola scelta con cura, richiama un aspetto marino, movimentato, essendo il golfo un bacino di acqua. Il motivo della scelta di questa parola è strettamente poetico, è una sinestesia (scelta di parole appartenenti a due sfere sensoriali differenti) che descrive il clamore delle case. Ma: avversativo, tipico di sereni, ha una funzione propositiva volta a rafforzare i versi precedenti e sottolinea l’idea di una via oscura e buia rafforzata dal forse successivo. Monelli: è un termine scelto non in senso vezzeggiativo, più per sottolineare che sono fastidiosi. Abbassa il registro linguistico. Adesso dentro lei par sempre sera:la via sembra ancora più oscura e diventa cenere e fumo quindi riconferma l’oscurità. Oltre: è una collocazione temporale che ci permette di collocare il soggetto. Cenere e fumo: ricollegabile ad un senso di sporcizia. Ombra: perché nella società di massa siamo tutte ombre uguali, segnate dalla fatica e dall’ira di una società consumistica. A quella pena irride…adolescenti: da al testo un nuovo elemento di vita e riprende l’allegria di Montale. L’improvviso sgolarsi d’un duetto…capannello: è l’immagine di una coppia che canta un pezzo di opera. T’aspetto: il poeta sta aspettando, ma chi aspetta? Può aspettare: -l’io Vittorio, che si trova altrove -una donna, l’ipotesi romantica ha un valore salvifico ma è una prospettiva adottabile soprattutto dal lettore. L’arrivo di qualcuno inoltre serve a riscattare il luogo. Cosa c’è di importante in via scarlatti da dover aspettare qualcuno lì? Via scarlatti è una via chiusa e il poeta è come se stesse aspettando qualcuno che lo venga a salvare ma potrebbe essere anche la realtà che tutti vivono e che si deve affrontare. L’io lirico di questa poesia si trova sulla via dal punto di vista fisco ed esistenziale. Questo si oppone ai tesi ermetici e rarefatti precedenti, tali testi miravano a far perdere il lettore nelle parole. Via scarlatti è un testo tangibile, è ricollegabile geograficamente ed è concreta attraverso i suoi rumori e odori. Questo tipo di poesia spinge molto sul versante umano tanto da dare anche delle collocazioni temporali “adesso”, cosa che nella poesia ermetica non avveniva poiché si puntava ad un tempo paradisiaco, impreciso. La dimensione e la concretezza riportata nel testo determinano successivamente anche un’abbassamento del registro linguistico poetico. Il tasso di lirismo viene rialzato dall’uso delle figure retoriche tradizionali quali: enjambementes, assonanze, allitterazioni. Tutto ciò è fondamentale per riportare ad un alto livello la poesia che durante gli anni 50/60 era diventata un genere inferiore ed era stata estromessa dalle arti. Perciò i letterati che si avvicinavano alla poesia avevano bisogno di riconfigurare lo stile per affrontare le sfide della società di massa dell’epoca. Questa poesia non è diversa da ‘città vecchia’ di Saba, uguali: -ambientazioni; -parole che abbassano il registro; -io lirico agente La differenza sta nel filtro usato da Saba: il lessico religioso, questo consente un riscatto nella fase finale che non esiste in via scarlatti Comunicazione interrotta Il telefono Tace da giorni e giorni. Ma l’altro nel quartier più lontano Ha chiamato a perdifiato, a vuoto Per intere settimane. Lascialo dunque per sempre tacere Ridicola conchiglia appesa al muro E altrove scafi sussultino fuggiaschi, Sovrani rompono esuli il flutto amaro: Nel giro di una notte: Una notte di passi e di rintocchi. (Determinano atmosfera liturgica) Ma come tarda la luce a ferirmi. Valdomino, volto di dio. Un volto brullo ho scelto per specchiarmi Nel risveglio del mondo. Ma dimmi una sola parola E serena sarà la mia anima. L’uso del tu ci fa capire che ci sono du persone differenti che interagiscono in maniera certa, al contrario di via scarlatti in cui è incerto il dialogo con un interlocutore. All’interno di questa poesia è è possibile individuare due nodi problematici,: 1-la luce: che può essere vera o metaforica che crea discontinuità con la prima parte del testo e potrebbe ambiguamente portare il lettore a pensare a delle scene di guerra; 2-l’ipotesi della preghiera, sereni è laico, ma ha ricreato nel testo un registro cattolico e liturgico vv.5 Giro: è una parola che fa sistema ed allude ad una struttura ciclica che annulla la linearità. Per ciò inizia a farci intuire che il titolo, sebbene senza soggetto, forse un soggetto ce l’ha ed è chi sperimenta gli sensazioni. Valdomino: collocazione geografica, il cui nome può farci risultare “volto di dio” vol(to) domino. Sebbene questo dio sembri più un’entità che un dio cristiano. Quest paese rimanda all’infanzia di sereni, perché è un paese vicino luino, periodo in ci il bambino declina il mondo secondo i propri desideri. Brullo: arido, senza brio. Poiché è quello in cui l’io poetico si rispecchia, proprio per ciò non riesce a salvare il poeta Il tu di questo testo è un tu generico, che deve salvare l’io Vittorio come farebbe dio. Nel risveglio del modo: l’alba e allo stesso tempo la salvezza del mondo. Un ritorno Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema Ma pari più non gli era il mio respiro E non era più un lago ma un attonito Specchio di me una lacuna nel cuore. Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema: il poeta guarda una regata sul lago maggiore, immagine che da una riflessione metapoetica poiché attraverso questa immagine si riflette sulla poesia. Il bianco e compatto poema allude alla letteratura del passato, ad una letteratura di pienezza a cui rimanda “compatto”. Proprio perché tutto il tempo provvisorio è perdita a cui si contrappone la pienezza dell’infanzia allora tutta l’immagine delle vele sul lago è un rimando all’infanzia. Ma: avversativa che spezza l’idillio infantile, facendoci accorgere che nella memoria del poeta l’infanzia non corrisponde più al “respiro”, cioè al presente. Specchio di me: il lag diventa lo specchio del poeta, lo specchio dell’ adulto, uno specchio di acqua che ha creato un vuoto nel cuore del poeta. Lo stile letterario ha una valenza per sereni, egli ritiene che può regredire al tempo dell’infanzia e per rendere l’idea di ciò usa uno stile più vecchio. Regredisce a livello stilistico come a livello contenutistico vista la vena ermetica del poeta stesso. Nella neve: titolo ricollegabile alla natura. Edere? Stelle imperfette? Cuori obliqui? Dove portano, quali messaggi Accennavano, lievi? Non tanto banali quei segni. E fosse pure uno zampettio di galline- Se chiaro cantava l’invito Di una bava celeste nel giorno fioco. Ma già pioveva sulla neve, Duro si faceva il caro enigma. Per una traccia cera e confortevole Sbandavo, tradivo ancora una volta. In questo testo siamo davanti ad uno scenari naturale con la neve. Edere? Stelle imperfette? Cuori obliqui?: le prime tre domande sono dei rimandi a repubblica (edere), all’aldilà (stelle imperfette), e a qualcosa di perfetto che non si realizza. Dei rimandi ad un mondo ulteriori e ricordano ciò che montale chiama “l’alfabeto della natura”. Non tanto banali quei segni: possono essere interpretate delle impronte, enigmi, presagi con un significato recondito da scoprire. L’io poetico vede questi segni perciò possiamo immaginare che stia cambiando. Bava: è il vento mattutino e l’attribuzione “celeste” rimanda a questo mondo ultraterreno che rinforza l’idea di segni quasi derivanti da un presunto aldilà. La poesia si chiude con un’avversativa, il caro(rimando allinfanzia) enigma si fa irrisolvibile e dunque si pone la domanda se seguire i sogni o meno. Il poeta però non rischia e tradisce l’infanzia, questo ha una valenza positiva e negativa data dall’affermazione dell’età adulta. L’io Vittorio sbanda poiché non riesce a seguire questa traccia confortevole perdendosi nel tempo provvisorio dandoci il senso di un forte fallimento. Il bianco costella i testi della regressione, in generale in questi testi emerge del monocromatismo. Paura: il titolo farà cappello per tutto il testo, trascinando un senso di negatività nello stesso. Questo testo ci mostra un incontro con la natura Che dovrebbe essere felicità piena è invece all’insegna della paura , di quella negatività malinconica che pervade sempre la vita dell’uomo. È nuovamente un testo all’insegna di un “paradiso” perduto e alla riconquista dello stesso. Da Chiasso a Capolago dopo il rombo del treno Con la pioggia vicina e i paesi lontani A tu per tu con quel verso d’uccello. E l’aria invade anche ora Artiglia l’anima sfonda la vita E insiste. I questo testo il rombo del treno non ha nulla di armonico, rimane impresso nella percezione del lettore che non riuscirà a dimenticarsi di questo rumore. Il treno appare in contrasto con il verso d’uccello, due elementi opposti, la civiltà meccanica e la natura piena. I verbi all’interno del testo rimandano ad un io Vittorio che deve seguire la brezza di vita ma che per paura del tempo provvisorio rimane bloccato. Uccello: è un richiamo a l’upupa, uccello Montaliano. Il suo verso potrebbe essere un rimando all’aldilà. E insiste: l’insistere è quasi di contenimento come se il desiderio assoluto del poeta ancora sopravvivesse. Viaggio di andata e di ritorno Con questa poesia si conclude la suite luinese, si tende a leggere questo testo come l’ultimo viaggio a luino del poeta, leggendo i primi 4/5 testi troviamo un sereni che cerca (in maniera fallimentare) di riabitare luino. Ora l’impegno con la realtà che lo circonda è sempre più impellente. È il momento della fine del delirio dell’ immobilismo e cerca di conquistare la prospettiva della città. Fa i conti con quello che l’Italia è costretta a vivere, il dopoguerra, una nuova prospettiva di rinnovamento (50/60). Andrò a ritroso nella nostra corsa Di poco fa Che tanto bella mai ti sorprese la luna. Mi resta una città prossima al sonno Di prima primavera. O fuoco che ora tu sei Dileguante, o ceneri confuse Di campagna e annotta e si sfa, O strido che sgretola l’aria E insieme divide il mio cuore. Il sonno: nel vocabolario sereni amo è un termine che indica un periodo di non vita sebbene abbia un accezione positiva. Importante in questa poesia è il termine città, si riferisce a luino o a Milano? Milano: la città della non vita se confrontata con luino che è il luogo della naturale pienezza la spola della teleferica nei boschi, i minimi atti, i poveri strumenti umani avvinti alla catena della necessità, la lenza buttata a vuoto nei secoli, le scarse vite, che all'occhio di chi torna e trova che nulla nulla è veramente mutato si ripetono identiche, quelle agitate braccia che presto ricadranno, quelle inutilmente fresche mani che si tendono a me e il privilegio del moto mi rinfacciano. Dunque pietà per le turbate piante evocate per poco nella spirale del vento che presto da me arretreranno via via salutando salutando. Ed ecco già mutato il mio rumore s'impunta un attimo e poi si sfrena fuori da sonni enormi e un altro paesaggio gira e passa. Piante: suggeriscono una ciclicità, la ripetizione del tempo che a primavera si rinnovano, dopo la primavera e quindi la giovinezza l’io è condannato all’estate e quindi all’invecchiamento. L’io è condannato al tempo lineare, al contrario delle piante che si rinnovano sempre ogni primavera. Luino è il paese del tempo ciclico Ma: si oppone al testo del 41 poiché sereni ora è nell’età adulta, al contrario del testo precedente. (strada di Zenna) Estate: elemento malinconico, associata ai demoni nella tradizione classica. Vento: è il vento della macchina e luino nella sua staticità non viene colpita neanche dal vento “non la muta il mio rumore..”, sta a significare che luino non reagisce alla contemporaneità, rischia di diventare un luogo morto. Il vento è un elemento che ricorre spesso in Sereni come simbolo di vita e/o riflessione metapoetica, sereni in questo componimento non può disperarsi per la perdita di luino poiché luino non agisce più sul poeta. La poesia viene scritta nel pieno degli anni 50, lo storicismo era la corrente principale dell’epoca, la linea della storia va sempre avanti e porta avanti una linea evolutiva. La fermezza che traspare in luino risulta qualcosa di arretrato. Ma…cose:non porta ad una conclusione ma lascia trasparire la sofferenza dalle immagini della natura, di quella vita che non presenta altro che staticità. La successiva ripetizione degli oggetti e laddove cita montale, fa una riflessione metapoetica, sottolineando che la sua è una poetica dell’oggetto attraverso ciò cambia anche il tipo di poetica. Da qui in avanti montale sarà sempre presente, non sarà però una poetica del barlume, sereni si apre alla città. Si ripetono identiche: sereni, ancora una volta, ci conferma che non vede cambiamento. Gli strumenti umani, titolo della raccolta, sono gli strumenti per affrontare la vita. Ed è chiaro che siamo attaccati alla catena delle necessità, e gli strumenti umani sono un modo per affrontare queste necessità e per fuggire dalle stesse. Che si tendono a me: piante antropomorfizzate Mi rinfacciano: la gente di luino gli rinfaccia di aver abbandonato il paese per la città più moderna. Luino però, oramai non ha più spazio nel poeta. Ed ecco…gira e passa: luino è paragonata ad un sonno enorme In questa poesia cambia la proiezione dell’io lirico del poeta, sereni nel finale dice di aver pietà per le piante che arretrano e se ne vanno al progredire in linea retta della macchina, il rumore è mutato, egli descrive il cambio marcia dell’auto che lo porta fuori da “sonni enormi”, il sonno di luino. Questa volta chi “gira e passa se ne va” è l’io lirico del poeta Vittorio. Da questo punto in poi sereni sarà proiettato verso la città e la nostalgia di luino lascia il posto alla volontà di vivere a pieno la vita attiva. Importante però è sottolineare che sereni no avrà mai una posizione netta, ci sono sempre sfumature . Il ricordo di luino avrà sempre sfumature positive anche quando avrà un’eccezione negativa con la sua dimensione di tempo immobile. Finestra La poesia riecheggia i temi di “ancora sulla strada di Zenna”, allude al tempo necessario per risolvere l’argomento della mutevolezza e del cambiamento. Non a caso le due poesie condividono la primavera già Accennata nel secondo verso di “finestra”. In questa poesia gli elementi temporali simboleggiano il contrasto fra la gioia del ritorno, di ciò che si rinnova, e la coscienza della provvisorietà/caducità. Il tutto provocato dalla semplice azione del poeta nell’affacciarsi alla finestra. (Scenario che ricorda le Occasioni di Montale.) in questo componimento ritorna la primavera come gioia “la primavera/che si aspettava da anni” , e insieme come motivo di trepidazione ansiosa sinonimo che le stagioni diventano allusioni significanti. La città diventa un luogo chiuso, non amato dove il verde appare solo sui terrazzi e dove un grillo è un fenomeno addirittura straordinario. Sul piano stilistico è importante sottolineare L’iniziare, senza mediazione, il discorso diretto e la presenza delle iterazioni. Di colpo – osservi – è venuta, è venuta di colpo la primavera che si aspettava da anni. Ti guardo offerta a quel verde al vivo alito al vento, ad altro che ignoro e pavento – e sto nascosto – e toccasse il mio cuore ne morrei. Ma lo so troppo bene se sul grido dei viali mi sporgo, troppo dal verde dissimile io che sui terrazzi un vivo alito muove, dall’incredibile grillo che quest’anno spunta a sera tra i tetti di città – e chiuso sto in me, fasciato di ribrezzo. Pure, un giorno è bastato. In quante per una che venne si sono mosse le nuvole che strette corrono strette sul verde, spengono canto e domani e torvo vogliono il nostro cielo. Dillo tu allora se ancora lo sai che sempre sono il tuo canto, il vivo alito, il tuo verde perenne, la voce che amò e cantò – che in gara ora l’ascolti?, scova sui tetti quel po' di primavera e cerca e tenta e ancora si rassegna. Di colpo..anni: il poeta si affaccia dalla finestra in compagnia di una figura femminile (forse la moglie), come suggerisce la presenza di “osservi”. Annuncia attraverso un “tu”, l’arrivo della primavera che per sereni è una stagione con un duplice significato: -età fiorita -rapporto di immobilità e movimento trattato nel componimento precedente. Ti guardo..morrei: il poeta osserva il “tu”, presenza che risulta essere felice per l’avvento della primavera descritta con parole di accezione positiva “verde”/“vivo alito di vento”. Il primo, “verde”, fa riferimento alla verde età; il secondo, “vivo alito di vento”, ricorda la brezza montaliano anch’essa rievocante il periodo della giovinezza. Il poeta osserva la donna non solo nella sua leggerezza “par stendersi al vento” ma ne prevede un destino ostile che però l’io “ignora”, pur essendone impaurito (pavento). E sto nascosto: evidenzia la reazione del poeta che in quella situazione preferisce nascondersi al penserò di una paura indefinibile tanto che se dovesse “toccare”, il suo cuore ne morirebbe “morrei”. Ma lo so…ribrezzo: il “ma “ avversativa rende un cambio di situazione. Infatti subentra la consapevolezza di quel timore sconosciuto: l’imbroglio della natura, l’inganno del tempo. Lo scorrere del tempo è sottolineato dalla presa di coscienza del poeta “il grido dei viali” da cui sereni si affaccia e vede la vita che scorre lungo la strada. Ora il poeta non cede all’inganno di un ritorno “Ma lo so troppo bene se sul grido dei viali mi sporgo, troppo dal verde dissimile io che sui terrazzi un vivo alito muove, dall’incredibile grillo che quest’anno spunta a sera tra i tetti di città – e chiuso sto in me”. Il flusso dei suoni e del vento sembra una scia magica che scorre tra i terrazzi delle case. Il tema di questo componimento è una corsa automobilistica a Brescia, nel componimento si intrecciano due tipi di sentimenti: rimorso e delusione, entrambi ricollegabili alla corsa e all’amore. Per fare il bacio che oggi era nell’aria quelli non bastano di tutta una vita. Voci del dopocorsa, di furore sul danno e sulla sorte. Un malumore sfiora la città per Orlando impigliato a mezza strada e alla finestra invano ancor giovani d’anni e bella ancora Angelica si fa. Voci di dopo la corsa, voci amare: si portano su un’onda di rimorso a brani una futile passione. Folta di nuvole chiare viene una bella sera e mi bacia avvinta a me con fresco di colline. Ma nulla senza amore è l’aria pura l’amore è nulla senza la gioventù. Brescia, primavera ’55 Il bacio: nella sua accezione più comune è l’avvicinamento tra corpi (corpi assenti nella sezione dedicata Luino. Ma in questo caso “il bacio nell’aria”non proviene da affetto umano ma è la conseguenza di un sentimento vissuto come pena d’amore piacevole che non può essere paragonato ai baci di tutta una vita. “Oggi” ed “era” sottolineano come il momento descritto sia già avvenuto, cosi come il tempo reale della lirica allude forse alla sera. Voci…sorte: in questi versi si passa al contesto della competizione automobilistica. Nel momento in cui tutto è già finito tanto che l’attenzione è rivolta alle “voci” del dopocorsa che commentano con “furore” (risentimento) l’esito negativo della competizione. Un malumore..si fa: i questi versi si fa riferimento ad Ariosto. Nel v.5 lo sguardo si ridimensiona “un malumore sfiora la città”, dando una visuale più ampia fino ad estendersi alla città. In questo passaggio il furore si trasforma in malumore, sensazione ancor più negativa che già sembra accennare allo stato interiore del poeta stesso. Orlando: è l’alternativa ego del pilota, che verso il traguardo corre ma sul più bello “impigliato in mezzo alla strada” si ferma a causa di un guasto. La presenza di orlando per logica prevede la presenza dell’amata angelica che aspetta invano orlando. In questi versi (7-8-9) tutto rinvia alle occasioni perdute, i vuoti incolmabili, ma anche quello dell’uomo stretto nella precaria condizione del tempo così come è stretta angelica tra i due ancora dei versi che la accompagnano. Voci..passione: le voci diventano amare, forse aumentano i litigi tra i tifosi e danno vita ad un onda di rimorso. Così il poeta si discosta da questa futile passione. Ciò che sembra è che sereni decida di arrendersi e di lasciarsi andare nell’accettazione che anche quei momenti felici sono, per lui, purtroppo mutati. Folta..colline: il cielo si addensa di nuvole chiare quindi non portatrici di pioggia come quelle di “finestra” ma anticipatrici di una bella sera. Per la prima volta l’io sembra pronto ad affrontare un contatto di panismo con la natura a lui “avvinta” cioè stretta in un abbraccio che persino il vento fresco di colline sembra rafforzare. Ma nulla…gioventù: si apre con un’avversativa e il ma ha funzione riepilogatrice. Il verso è tragico, il vento positivo dei versi precedenti non ha valore senza amore. Così come l’amore non vale nulla senza la gioventù. Tutto ciò che prima era stato il ventaglio di emozioni elaborato da sereni ora viene riportato al reale, messo a confronto con la voracità del tempo e dell’esistenze e il poeta sembra essere privo sia del piacere del bacio che della gioventù. Anni dopo La splendida la delirante pioggia s'è quietata, con le rade ci bacia ultime stille. Ritornati all'aperto amore m'è accanto e amicizia. E quello, che fino a poco fa quasi implorava, (La “e” sembra avere valore di “ed ecco che”) dall'abbuiato portico brusìo romba alle spalle ora, rompe dal mio passato: volti non mutati saranno, risaputi, di vecchia aria in essi oggi rappresa. Anche i nostri, fra quelli, di una volta? Dunque ti prego non voltarti amore e tu resta e difendici amicizia. La splendida…stille: i primi due versi sono molto classicheggianti. La pioggia è il soggetto e viene definita splendida e delirante, aggettivi quasi ossimori i che sono in grado di sottolineare i volti che la pioggia può assumere e quindi l’atmosfera che circonda il poeta. La situazione finale vede la pioggia che si è calmata e conclusa. Ritornati…amicizia: successivamente si torna all’aperto e si affiancano due sentimenti: amore e amicizia quasi antropomorfizzati che sono vicini al poeta. In ordine di importanza “amore” occupa il primo posto. E quello…passato: in questi versi c’è un cambio prospettico in cui “quello” si potrebbe riferire al volto di uno spettatore che, come Sereni, esce dalle porte del teatro. Prima il personaggio “quasi implorava”ovvero lamentava qualcosa; poi una volta fuori rumoreggia (romba) e alle spalle del poeta irrompe dal passato. Il vv.7 ha due interpretazioni: -l’uomo che provoca un rumore e che si muove verso il poeta per riferirgli una parla; -il riemergere della memoria. Il rumore “brusio” ora è alle spalle del poeta come se un’ombra irrompesse dal passato per aggredirlo. Volti…rappresa: i volti sono quelli de “gli immediati dintorni” che riemergono dalla folla, ma allo stesso tempo vecchi volti che riemergono dalla memoria del poeta. Sono fisionomie “non mutate”di amici e conoscenti che sono “risaputi”. Questi volti però sono mascherati dalla “. vecchia aria”che in essi si addensa, tanto da impedire che il recupero della memoria passata faccia scaturire da quegli sguardi una luce, un messaggio. Egli traccia un disegno di una società del tempo che fatica a riemergere, muore nel passato e conserva un fragile ricordo. Anche..volta?: il poeta si domanda se anche i nostri sono volti mascherati. Egli riconosce di copiare/emulare i volti di coloro che non fanno trasparire il passato. Dunque…amicizia: si susseguono 4 verbi esortativi rivolti ad amore (ti prego non voltarti) in primis e ad amicizia(resta e difendici). Il poeta invoca la pietà affinché il tempo che ha mutato i volti risparmi la capacità di sentire emozioni. Le ceneri = momento di crisi per il poeta In userò testo lo stato di crisi di sereni raggiunge la massima capacità espressiva. Inizialmente venne chiamata “mercoledì delle ceneri”, successivamente venne modificato il titolo onde evitare ambiguità con la posizione religiosa di sereni. Venne composta nel marzo 1957. Il titolo ci trasmette una sorta di annichilimento e può essere connessa a “le ginestre” in cui le ceneri rappresentano la fine. Ha una struttura molto rigida con versi dispari ed endecasillabi, un po’ classicheggiante. È un testo di attesa in cui sereni attende nuovamente l’ispirazione ed emerge la tristezza per questo blocco che lo ha accompagnato per tutti gli anni 50. Nella prospettiva di una rinascita il poeta scrive e usa la scrittura (cioè uno strumento umano) per rinascere. Che Aspetto io qui girandomi per casa, Che s’alzi un qualche vento Di novità a muovermi la penna E m’apra una speranza? Nasce invece una pena senza pianto Né oggetto, che una luce Per se di verità da se presume -e appena è un bianco giorno e mite di fine inverno. Che spero io più smarrito tra le cose. Troppe ceneri sparge attorno a se la noia, La gioia quando c’è basta a se sola. Che aspetto…speranza: sono 4 versi retti da un punto interrogativo autoreferenziale. Egli usa un tono quasi ironico consapevole della propria immobilità e dell’inutilità del suo movimento “su e giu per casa”. L’ambiente domestico richiama l’azione del poeta di gironzolare per casa nel tentativo di avere un’intuizione. La speranza: non è solo l’occasione poetica ma uno sguardo rivolto all’esterno, al futuro, che sta alla fine di quel blocco continuo che avvolge poeta e società. PERIODO STORICO DI RIFERIMENTO: dopoguerra, una fase di ricostruzione, una fase in cui la politica italiana diventa bipolare; democrazia cristiana aveva la maggioranza con opposizione dipartito comunista e socialista. Il miracolo economico placa la situazione e a partire dal ’58 l’economia risale inaspettatamente. Evento che combacia con lo sblocco poetico di sereni che ebbe una durata di 11/12 y. Negli anni 60 la realtà industriale occupa un grande potere e determina la vita di tutto il paese. Dal 55 al 70 l’it subisce una forte emigrazione dal sud al nord per lavorare in fabbrica. L’Italia ora diventa borghese il che equivale a più averi e più guadagni. UNA VISITA IN FABBRICA: l’atteggiamento di sereni in questo componimento è riconducibile un’esperienza biografica, per la problematica che il testo porta avanti e perché viene analizzata dal lato umano. Più che di una descrizione si tratta della realtà analizzata e misurata sull’animo del poeta, ed emerge la coscienza dell’inconoscibilità di quel mondo sebbene ci si trovi a contatto. Notiamo la mancanza di volontà nel cambiare una situazione, la volontà è semplicemente quella di aderire al reale. C’è un impatto diretto con la fabbrica che nell’autobiografia di sereni corrisponde al periodo dal 1952 al 1958, coincidente all’impiego di Sereni in Pirelli. Nella seconda sezione c’è il completo distacco, anche stilistico, dalle forme espressive precedenti; l’io poetico irrompe in una nuova realtà industriale. Sezione composta da un poemetto dalla struttura quinaria. La poesia con andamento prosastico, ci porta nei reparti di una grande fabbrica. Il primo elemento che emerge è la sirena che annuncia l’inizio del lavoro; non è però la sirena della fabbrica che egli visita poiché affermerà “tutte spente erano le sirene.” È una “sirena artigiana” che subito rimanda alle più potenti sorelle usate in guerra e ci riporta a quella realtà e a tutti i problemi che ne conseguirono. Quindi il punto di partenza è la ripetizione che attiva un confronto con il passato, questo poemetto riporta le spranze di un’intera generazione che si affacciava alla maturità tra “avvenire” e sofferenza dei lavoratori, tutto accompagnato dal rumore della sirena che diventa “voce”. Addentrandosi nella fabbrica, Sereni ne da subito un’immagine critica, in cui emerge il concetto di alienazione che proprio in quegli anni andava man mano ad essere maggiormente trattato. Su tutti implacabile E ipnotico il ballo dei pezzi dall’una all’altra sala. Questa sezione rende consapevole il poeta della sua estraneità di “uomo di cultura” ma pronto ad avvertire la condizione operaia, la cui disumanizzazione è occultata dal potere, in cui il miraggio di un vano profitto non basta a compensare la sofferenza del lavoro svolto in fabbrica ne tantomeno la reificazione dell’individuo. La sofferenza della classe operaia viene usata anche per recuperare il ricordo del sacrificio compiuto dal popolo italiano durante la guerra, questo ci porta ad un parallelismo importante tra: inferno, guerra e l’inferno dell’ officina; tra oppressione del potere politico e quella del padronato economico-industriale. Il rapporto è instaurato attraverso l’inserimento di immagini e suoni. Il suono della sirena riporta subito alla memoria dei segnali del periodo bellico. Ovunque c’è un senso di amarezza, sereni ceca la presenza umana e in ogni verso dove sembra esserci un momento più dolce il suo senso finale è di sofferenza. A voler rappresentare questa situazione sono i versi che ricordano un momento di guerra: “La sacca era chiusa per sempre E nessun moto di staffette, solo un coro Di rondini a distesa sulla scelta fra cattura E morte..” Il gerundio ci aiuta a ricollegare il “vissuto e il vivente”(raffrontando o rammemorando) attraverso una procedura che mette ancor più in evidenza la condizione che attanaglia l’operaio. Nella 4 strofa l’intellettuale parla con con gli operai, il testo riporta la voce operaia, essi sono condannati ad una morte in vita, ciò che viene descritto è la situazione di non speranza che della classe operaia, un misto tra alienazione e conseguenze nevrotiche. Su tutto domina l’incapacità del poeta di penetrare fino in fondo questa realtà “che sai di loro/che ne sappiamo tu e io, ignari dell’arte loro” e da qui deriva l’incapacità di prendere una posizione tanto che l’unica soluzione ad un certo punto sembra essere la fuga nell’amore: infatti nell’ultima sezione (la quinta) il poeta impaurito da questo viaggio dantesco nell’industria si rifugia nella solitaria riconferma di un amore come unica possibilità di comunicazione. Il cuore non basta più per comprendere il mondo, ora c’è bisogno della forza della ragione, dell’intransigenza morale. La novità strutturale e stilistica di “una visita in fabbrica” viene condensata in un ritmo continuo che segue ogni momento del pensiero in relazione alle molteplici sfaccettature della realtà. Il testo è pieno di rimandi all’inferno dantesco, l’inferno è un luogo dei dannati come sono dannati gli operai in fabbrica. All’interno di questo testo troviamo l’io lirico che si ferma e attraversa l’inferno. La II sezione: egli parla di quartieri, di aiuole e di una rosa che può fiorire in questi quartieri che devono nascondere ogni forma di pena. Poi elabora delle domande, domande che si perderanno nella sua memoria poiché egli non è parte dell’industria, seppure ne appaia connesso(insistendo sulla differenza tra intellettuale e operaio). Insiste sul fatto che il ballo dei “pezzi” sia il moto di benessere degli operai. Nella III sezione: si parla di amore, morte e infortunio sul lavoro. Nella IV sezione: c’è il dialogo, il lavoratore non sa con chi prendersela, sente la propria vita rubata ma non sa con chi avercela, forse con se stesso? Successivamente sente che durante la guerra non aveva scelta tra morte e cattura ma perlomeno poteva combattere il nemico. Il lavoratore in fabbrica, se pur cosciente della soppressione, non può e non combatte l’oppressore. Nella V sezione: il pane degli operai è legato al guadagno altrui per cui è un pane amaro. Successivamente c’è una telefonata che implora amore. Torna la sirena. E la speranza lascia spazio all’ira, e più importante dell’ira è la chiarezza poiché la pazienza finirà e il grido per troppo tempo represso verrà liberato. Parte degli strumenti umani diventano: l’amicizia, la scoperta della gioia come euforica tensione verso un progetto collettivo, questo ha valore assoluto contro una società ricca di delusioni. Tale gioia si identifica e si sdoppia con l’immagine femminile dell’interlocutrice. Alla gioia si contrappone l’odio “la scoperta dell’odio”. Sereni tenta di superare il proprio atteggiamento oratorio in questo componimento e tenta di evitare l’elegia; nei versi di “Una visita in fabbrica” egli, a volte, usa un linguaggio noto alla poesia politica, usa sonorità particolari fino a giungere a versi altamente intonati, classicheggianti in contrasto con l’andamento altamente prosastico del testo stesso: (Vv.19-21) O voce abolita, già divisa, o anima bilingue Tra vibrante avvenire e tempo dissipato O spenta musica già torreggiante e triste. Sono versi tratti dalla prima parte che infonde al testo un tono particolare, al contrario la seconda parte presenta un linguaggio più semplice e aderente alla realtà rappresentata. Ove sereni cerca d innalzare il livello medio del discorso, di dargli forza tramite l’apporto ideologico, inevitabilmente cade nella retorica, ex: “sentore di sangue e fatica.” Dal punto di vista stilistico i termini colti si addensano nelle part più deboli, quasi a dare supporto ad un tono altrimenti povero o mancante, di conseguenza nelle stesse parti aumentano gli accorgimenti retorici. Differenze con il testo del Menabò Sereni scrive questo componimento in due fasi, la prima pubblicata sul Menabò e la seconda redatta per la raccolta “gli strumenti umani. Le due versioni differiscono princip perché la versione de “gli strumenti umani” ha eliminato versi e gruppi di versi soprattutto in apertura o alla fine delle singole sezioni. Erano versi soprattutto funzionali alla narrazione della rivista, che nella stesura della raccolta devono essere sembrati superflui all’autore. Egli va verso una tendenza generale alla sobrietà che si completa con il tentativo di eliminare tratti troppo segnati dal coinvolgimento ideologico e a tratti populistici. Scarse sono invece le varianti puntuali. TERZA SEZIONE APPUNTAMENTO A ORA INSOLITA: in questa sezione il poeta dimostra di essere pronto a confrontarsi con il suo tempo. La sonnambula La poesia ha una sua particolarità, è internamente virgolettata poiché viene lasciata la parola ad un personaggio che possiamo conoscere solo dal titolo: La Sonnambula. Sereni presta la sua voce a questo personaggio ma allo stesso tempo il lettore risulta consapevole di questo meccanismo dell’io lirico. La scena si complica poiché si tratta di un sogno e quindi viene accompagnata da analogie e allusioni. Probabilmente ci troviamo in montagna dato il “gallo alpestre” e “la città oramai lontana”: -Niente come l’inverno Di mezza montagna Dice che l’inverno finirà Niente come il gallo alpestre Nella voragine del canto Distanzia la città, propaga Di qui a laggiù un visibilio di valli. Nel sonno dei corpi ti sento Avvicinarti al mio sonno: Nel tunnel smanioso prendi me, Ragazza viziata che tu salvi Sul punto di farsi viziosa Da ogni mio gesto per te, anche il più basso Cogli su me queste rose di rupe. Ci aspetta la città con la sua primavera. Non sai che città, Che primavera ti preparo…- Niente…valli: versi descrittivi riguardanti il paesaggio, l’inverno, la montagna. Successivamente si apre una dimensione allusivamente erotica e il motore dell’azione diventa il “tu”: “ti sento”, “tu salvi”.. in cui l’io che parla risulta essere fortemente passivo. binomio soldato-scolaro sigilla l’autoritratto del poeta. In questi due versi finali sembra che il poeta tenga legati giovinezza e maturità, sebbene li abbia sempre separati. Il grande amico potrebbe anche essere la memoria poetica che conduce alla sua luce, luce liberatrice della parola. Scoperta dell’odio (vedi quaderno) richiama il testo “maschere” del 36 contenuto in frontiera, in cui veniva criticata la borghesia. Il titolo parla di una crescita, dalla giovinezza all’età adulta che implica lo scontro. Il tono è arrabbiato e violento. Lo scontro passa attraverso l’immagine del fuoco, il fuoco della battaglia, ribadito dal “brucerò”. L’io lirico si cala nella posizione di censore sociale, egli afferma di aver commesso un errore: ovvero credere in un amore lirico, ingenuo. Durante la scrittura della scoperta dell’odio sereni commentava una visita in fabbrica (52//56) affermando che in quegli anni lui stesso aveva creduto alla rivoluzione. Nel 58 egli ha la sensazione di trovarsi in una fase molto meno dinamica e coincide con la scrittura di questo testo. . Qui stava il torto, qui l'inveterato errore: credere che d'altro non vi fosse acquisto che d'amore. Oh le frotte di maschere giulive oh le comitive musicanti nei quartieri gentili... Alla notte altre musiche rimanda la terrazza più alta e di nuovo fiorita si dilunga la strada fuori porta? Ma venga, a ora tarda, venga un'ora di vero fuoco un'ora tra me e voi, ma scoppi infine la sacrosanta rissa, maschere,f nell'esatto modo mio di non dovuto amore e dissipato, gente, vi brucerò. Ma venga: inizia con un’avversativa che è un’avversativa soprattutto da un punto di vista di chiusura di un argomento con una precedente impostazione, vuol dire chiudere con la natura, con il simbolismo, con i rimandi ermetici, con una poesia portatrice di sentimenti. Ora l’apertura è verso la realtà sociale. e i vostri fini giochi di deturpato amore: la borghesia viene accusato di aver usato la parola amore per fini turpi, sereni sta intrecciando lo scontro sociale con lo scontro esistenziale affettivo. Sembra come se le disuguaglianze sociali e il deturpare l’amore fossero sullo stesso piano. Compiere disuguaglianze sociali è essere complici di un atto di non amore e in questo modo esso diventa amore dissipato. Sereni sembra voler recuperare la rabbia degli operai di “una visita in fabbrica”. Sereni, poeta non impegnato, decide di riaccendere la rabbia sopita e lo fa inserendo in questo discorso la parola ‘amore’. Sempre attiva è la contraddizione per cui gli intellettuali che propongono di scardinare il meccanismo di oppressione delle classi sub-alterne essendo egli stessi esponenti della stessa borghesia oppressiva. Anche sereni è un borghese colto che lavora in Pirelli. Un incubo Certo si piacciono, certo L’uno dell’altra ha gioia, a giudicare Dal cigolio del letto che si fa Ritmo d’un brutto sogno oppure Sussulto in dormiveglia, quasi vero. Ma non è che si burlino di te, Hanno ben altro in corpo. Questo è certo. Dunque dov’è l’offesa? Ma non è Offesa, è strazio. E poi, sappilo, nulla Più turba dell’altrui piacersi Ilare e atroce Infinitamente dolce se non trova Limite in altri-e tanto meno in te Che ne muori. Quei bambini giocano il titolo fa già parte della poesia per dare velocità, come se fosse inserito all’interno di una riflessione in corso, una meditazione. Questo determina il basso ritmo del testo. In questo componimento torna il tema dell’infanzia. L’infanzia è un luogo, un momento che deve essere tutelato ed è un tema che viene declinato sulla dialettica dei padri-figli, generazioni a confronto adultità ed infanzia. Che i figli debbano uccidere i padri è un concetto abusato. È un testo che fa sistema con “il tempo provvisorio”: la distorsione del tempo è il tempo provvisorio. Il tempo provvisorio è quello non passato a cercare di cambiare la propria vita e quella degli altri. Mentre nel dopoguerra s respirava aria di rinnovamento sereni ritiene che negli anni del boom economico l’Italia si trovasse nella “sterminata domenica”. In questa fase sereni cerca una nuova identità poetica, affronta i grandi temi: amore, amicizia, opposizione sociale ecc.. Sereni non è un poeta che costruisce il tema dell’infanzia, egli ha come obiettivo la rappresentazione dell’ adulto sentendo la necessià di sbarazzarsi delle illusioni giovanili. Si interessa al tema dell’infanzia perché vuole capire in che tipo di mondo vivranno i bambini in base a ciò che la sua generazione ha costruito Quei bambini che giocano un giorno perdoneranno se presto ci togliamo di mezzo. Perdoneranno. Un giorno. Ma la distorsione del tempo il corso della vita deviato su false piste l’emorragia dei giorni dal varco del corrotto intendimento: questo no, non lo perdoneranno. Non si perdona a una donna un amore bugiardo, l’ameno paesaggio d’acque e foglie che si squarcia svelando radici putrefatte, melma nera. <<D’amore non esistono peccati, s’infuriava un poeta ai tardi anni, esistono soltanto peccati contro l’amore >>. E questi no, non li perdoneranno. Uno dei primi elementi che emerge è l’eredità lasciata dai padri che è molto al di sotto delle aspettative visto che i bambini dovranno “perdonare” i padri. Perdoneranno. Un giorno: paratassi eccessiva, tipica di una riflessione sofferta. L’interpunzione netta è la ferita che sta provando l’io. “Ma”: questo tipo di ma strutturale segna una linea di confine nella poesia, bipartendo il componimento poetico e caricandosi di una forza morale e concettuale. Ma la…non lo perdoneranno: Qui sereni riporta cosa non perdoneranno, questi versi fanno sistema con il tempo provvisorio poiché ciò che non perdoneranno è “l’emorragia dei giorni” l’immobilità. Non perdoneranno l’io Vittorio titubante, l’aver scelto strade sbagliate ed improduttive. Varco: parola tipicamente montaliana, è l’anello che tiene, lo squarcio che permette di arrivare oltre. Ma questo varco non esiste, è il varco di una comprensione sbagliata e di questo si deve sbarazzare sereni. Non si perdona…melma nera: viene recuperato il tema dell’amore proposto nella sonnambula per parlare di altro: Quello di luino è un amore di serie b, un tentativo fallimentare di salvezza e questo non può essere perdonato come una donna non perdona un amore bugiardo. Qui c’è il collegamento con il successivo testo “Saba”. Saba era stato lasciato dalla propria donna per il tradimento poi però la donna decide di tornare. Questo “ritorno” è un tema che ricorre spesso. Le parole virgolettate sono riferite a Saba e sereni afferma che gli unici peccati sono quelli contro l’amore, quelli del tempo dissipato passato a difendersi e non a investire amore, nella società e nel dialogo con gli altri. Questii peccati non posso essere perdonati dai figli perché rendono ancora più putrefatte le nostre radici. D’amore..non li perdoneranno: Amore declinato come amore per la vita, per l’altro, per il mondo, per l’amicizia, tutto ciò che si contrappone al tempo provvisorio. Questo testo ci mostra come il singolo tema (confronto padri e figli) viene declinato e si lega con tutti gli altri temi: infanzia, amore etc. Tutto questo ha anche una venatura sociale, perché inserito nella raccolta si colloca in testi che si leggono anche politicamente. Saba Davanti questo testo ci si dovrebbe chiedere perché sereni citi Saba, sicuramente lo fa per posizionarsi poeticamente. Saba è il poeta degli oggetti, è l’antitodo maggiore nei confronti dell’ermetismo, rimase estraneo all’ermetismo (che viene subito dopo le sue prime raccolte) ma anche al simbolismo ( D’Annunzio/pascoli). Saba fu il poeta che a inizio guerra usa la realtà nelle sue opere dando vita ad na poesia che parla del reale, che non ha paura del sostantivo “cose”: nomina oggetti ed è un poeta con una dimensione narrativa. Saba non è un narratore su modello dei poemetti ottocenteschi, costruisce le sue raccolte secondo una dimensione narrativa in cui la vicenda è tutta terrena: c’è un io lirico che si muove all’interno di un mondo di oggetti, incontra persone e svolge azioni. Questo per sereni è la chiave di vola , il modello di riferimento. Sereni fece una tesi su Gozzano il quale usava un registro ironico non facendo altro che legittimare ed affermare il registro lirico. Gozzano parla delle buone cose di pessimo gusto, della signorina felicità, ma con registro ironico perché riconosce che la poesia lirica è un’altra. Montale riteneva Gozzano il più letterato di tutti ma sereni rifiuta dallo stesso anche l’eccessiva trasparenza. Per sereni è fondamentale l’oscurità nella poesia, l’ambiuguità consente la coabitazione di significati differenti. Sereni quindi rifiuta Gozzano e recupera Saba da cui riprende: -la possibilità di non essere aulici; -di non essere eccessivamente lirici; - di non essere simbolisti - di essere seri. Gli strumenti umani che vengono letti in senso progressivo ha anche una dimensione decisamente spaziale. Luino prima come unico luogo, e poi si vede traiettoria che porta fuori Luino e conduce finalmente a Milano. Una volta conquistata Milano, l’io vittorio si può muovere alla conquista del resto d’Italia o d’Europa. Nel momento in cui il baricentro della raccolta non è Luino, ma è collocato a Milano allora si può tornare a Luino come uno che ritorna abitando in un altro posto. La dinamica spaziale della raccolta è di occupare progressivamente più posti. In questa poesia ci troviamo fuori stagione, ha una prospettiva iniziale estiva con molti riferimenti all’estate o al mare. Una seconda lettura ci fa capire che ci troviamo in un mare fuori stagione, l’effetto vuole essere un mare negato. Dove ci troviamo? Bocca di magra, luogo importante poiché: -si amplia lo spazio geografico degli strumenti umani -per sereni è il luogo delle vacanze Il titolo ci fa capire cosa stia facendo sereni a bocca di magra, è di passaggio. Un solo giorno, nemmeno. Poche ore. Una luce mai vista Fiori che in agosto nemmeno te li sogni. Sangue a chiazze sui prati, Non ancora oleandri dalla parte del mare. Caldo, ma poca voglia di bagnarsi. Ventilata domenica tirrena. Sono già morto e qui torno? O sono il solo vivo nella vivida e ferma Nullità di un ricordo? Fiori..bagnarsi: paratassi ( costruzione del periodo fondata su un criterio di coordinazione ex: parlava e rideva) usata poiché c’è l’elemento che è riconducibile alla dinamica del ricordo che sfalda la concretezza del reale. Quindi da un lato sembra esserci monologo interiore, dall’altro c’è la descrizione di un processo definibile quasi fotografico. Ventilata domenica tirrena: riconducibile ad un solo giorno Tra le immagini e i pensieri riportati da sereni c’è lo scarto rispetto alla norma estiva e capiamo che è di passaggio. Fino a domenica tirrena c’è un solo blocco, in questo blocco i termini “un solo giorno” e “ventilata” sono gli argini spaziali che contestualizzano, mentre la parte interna è narrativa dell’io che riflette. Argomento principale: vita, morte, tempo. Lo scarto che c’è con l’estate che sta arrivando e che ancora non c’è da senso di passaggio del tempo= adultità. Il poeta si trova ad abitare un tempo lontano dal suo. Sono già morto e qui torno? O sono il solo vivo nella vivida e ferma nullità di un ricordo? In questa poesia inizia ad entrare un aspetto fondamentale della poesia di sereni: la figura della morte o del morto che interloquisce. Compaiono morti in funzione contrastiva rispetto all’io lirico, tutto questo serve per uscire dai confini della realtà. Sereni costruisce un testo basato sul tempo, sulla mancata sintonia con il luogo e su elementi che gli altri non vedono. In questo senso infrange la barriera del materialismo e della concretezza. In più una spiaggia a bocca di magra viene chiamata “la spiaggia dei morti” per cui lui gioca su questa ambiguità: sono morto o vivo in questa spiaggia? Una luce mai vista Fiori che in agosto nemmeno te li sogni: riecheggiano le espressioni parlate, un tono basso con frasi nominali, tutto ciò abbassa lo stile del testo. Il tutto strutturato attraverso una metrica alquanto lineare: endecasillabo, settenario, doppio settenario, ottonario etc.. Anche situazione o amici sono ambientati a bocca magra e questo segue la logica degli strumenti umani che segue una precisa geografia. Situazione Anche questa poesia è ambientata a bocca di magra, luogo di villeggiatura di sereni frequentato da: vittorini, fortini e bodini in cui si riunivano per conversare. La forza del luogo comune, Dolorosa. Lo zampillo della pompa nell’erba, Sospiro inavvertito. Il giardino all’imbrunire. Seggiole in tondo, sdrai. Sguardi noti si incrociano: uno solo, evasivo. Generalmente calmi. Sul rovescio del luogo comune Le campane del vespro. Inascoltate. Da secoli e secoli a quest’ora Una spoglia ancora calda Di sangue e senso. E attorno le rondini a migliaia. Sono io tutto questo, il luogo Comune e il suo rovescio Sotto la volta che più e più s’imbruna. Ma non può nulla contro un solo sguardo Di altri, sicuro di se che si accende Dello sguardo mio stesso Contro gli occhi colpevoli Contro i passi furtivi che ti portano via. Seggiole in tondo: si riferisce alla situazione in cui sereni, vittorini etc si ritrovavano a bocca di magra per conversare. Vittorini e Fortino avevano le idee ben chiare a livello politico, al contrario di sereni il quale non si è mai politicamente schierato da nessuna parte. “Lo sguardo evasivo” è proprio quello di sereni che si dimostra inquieto per questo suo non schieramento. Poi c’è il rovescio del luogo comune: ci sono le campane del Vespro (ora tarda del tramonto) inascoltate per secoli, una spoglia dei tempi passati, piena di sangue e senso. E intorno ci sono rondini a migliaia. Sereni vede le cose in maniera differente dagli altri, vede quello che gli altri non vedono e che di solito passa inosservato, crede molto nella natura e nel fatto che essa possa portare dei messaggi (animismo). Le campane che racchiudono anni di storia, chissà chi vi ha versato il sangue, chissà magari quante persone le hanno suonate. E le rondini a migliaia non sono altro che la libertà, la libertà di non scegliere e rimanere a un passo incerto dal farlo. Sotto la volta che più e più s’imbruna: sottolinea lo scorrere del tempo, la notte che arriva. Sereni è un uomo come gli altri, che partecipa agli incontri, che vive come le altre persone ma è anche colui che vede altro. Ma il suo sguardo fortemente incerto non può far nulla contro altri sguardi fortemente convinti, che si accendono al vedere dello sguardo di sereni (e quindi trae forza dall’incertezza di sereni). Sereni quindi scappa, continua a scappare da un’eventuale scelta contro occhi che lo colpevolizzano. I versi di “situazione” riconducono e incarnano nel soggetto la tendenza all’ossimoro o al contrappunto che caratterizza il libro. Gli amici Nell’anno 51 li ricordi La giuliana e il Giancarlo Ballerini e acrobati com’erano Con vocazione di poveri Di cui sarà il mondo domani, Salute gioventù fierezza scatto. E oggi? In una torpida Mattina del 60? O di essi e dei figli Bellissimi e terribili di cui Con intatta vocazione di poveri Ancora può essere il mondo Domani Per la decima estate non si orna Di nuovo la bocca di magra? Che tempi-mormori- sempre più confusi Che trambusto di scafi e di motori Che assortita fauna sul mare. Non lasciatemi qui solo -stai Per gridare- ritornate… Ma ecco da dietro uno scoglio Sempre forte sui remi Spuntare in soccorso il Giancarlo. E ti sembra un miracolo. Vittorio poi restituisce alla gioia la sua cittadinanza dicendole che se pensa alla città socialista pensa alla gioia, affermando che una rivoluzione ha ragione d’esistere nel momento in cui da gioia privata e personale, perché l’individuo non può essere cancellato. Successivamente sereni si espone sull’it degli anni ’60. Parafrasi:La città appare nuova e c’è il sole e d’improvviso appare la vetrina e lui diventa improvvisamente gioioso. Subito davanti alla gioia prova complesso di inferiorità, cioè non si può essere felici se c’è mondo di sfruttati. Nel testo ci sono riflessioni metapoetiche in “altri tempi avrei detto angelo”, cioè avvisa che non lo farà più: Sono considerazioni in cui lui ammette che in altri tempi avrebbe scritto diversamente. Io Vittorio esprime rabbia, anche se lo dice a sé stesso, prima non ci riusciva neanche. Ma crede anche nella gioia, perché la gioia include tutto, e dice di credere a quella parte che lui cerca di nascondere. Lui dice gioia di vivere vuole averla sempre. Perché se pensa alla rivoluzione pensa alla gioia In questo testo la città non ha necessità di essere raggiunta, da “Saba” in avanti le poesie hanno come base ovvia la città, Milano, nello specifico. La città…al mattino: la città in questo testo sembra essere luminosa. Qui c’è un gioco di contraddizione, un cortocircuito poiché la città sfavilla quasi di più all’ombra che al sole, questo può avere una o più interpretazioni: - La prima, di stampo baudleriano: la città è il luogo dello shock e riesce a scuotere con tutte le sue caratteristiche (luci artificiali..). Quindi questi primi te versi sembrano essere un incipit per far entrare in contrasto elemento artificiale e naturale. - L’ombra negli strumenti umani ha valore di protezione e di difesa ricollegabile ad un elemento naturale: il verde, il verde è sempre collegato alla vita. Questa poesia è un punto di svolta nella raccolta, l’io Vittorio cerca l’impegno politico, ciò che il tempo chiede all’intellettuale e assume la connotazione di intellettuale impegnato. Tale impegno deve conciliarsi con l’appagamento di se al di la dei doveri nei confronti degli altri. Daquesta poesia lo stile di sereni si fa più prosastico, disinvolto e sicuro. Dalla IV sezione in poi lo stile di sereni perde ogni elemento dubitativo, dimensione privata e pubblica finiscono per intrecciarsi l’una con l’altra. Sereni si apre alla dimensione individuale che non diviene più una colpa o una debolezza. QUARTA SEZIONE: IL CENTRO ABITATO Questa sezione è caratterizzata dalla molteplicità dei temi e dalla varietà dei modi espressivi, ha come motivo di coesione la resistenza sia come ricordo individuale di un’esperienza mancata sia come monito civile troppo in fretta dimenticato dalla civiltà. Nel sonno, (poemetto in 6 parti) il titolo: rimanda ad una condizione già precedentemente affrontata ne “gli strumenti umani”, il sogno è legato a momenti epifanici, momenti in cui la coscienza si rilassa e ha la possibilità di confrontarsi o scontrarsi con la realtà, un momento in cui si può conoscere se stessi. In questo testo la condizione del sonno è differente, qui è vera morte in vita, è una condizione di sonno sociale, la città diventa luogo della distruzione dell’io. Se consideriamo “gli strumenti umani” come un diario di crescita, una crescita che si muove in differenti direzioni (avanti e indietro), il sonno è una condizione di fuga “in avanti” poiché lo aiuta nel posizionamento sociale, lo aiuta ad alzare la voce. Allo stesso tempo è una fuga all’indietro poiché rappresenta la coscienza della sconfitta, di non speranza che è la sconfitta di tutti quegli ideali di resistenza portati avanti dalla resistenza. Tutto ciò sarà la spinta per la sezione successiva in cui il poeta avrà un impegno civile maggiore. È una poesia fedele al tema della sezione in cui il valore di fede nella libertà, rappresentato tramite il ricordo di un gruppo di partigiani uccisi “i cresimandi della storia”, viene messo a confronto con una società consumistica erosa dal qualunquismo dilagante. Scompare la memoria dell’erotismo italiano della resistenza, il poeta denuncia la delusione delle speranze di riscatto popolare e la sconfitta operaia. Il tutto avviene mentre la borghesia capitalista avanza, vanificando il sacrificio di coloro che si sono battuti per la libertà. Nella seconda parte della raccolta c’è l’Intreccio tra storia privata e storia collettiva, la prima acquista rilievo attraverso una proiezione sociale, questa connessione è presente anche nella VI parte de “Nel Sonno”, dove sereni accenna alla spensieratezza e al distacco che colpiscono coloro che pur amandosi non riescono a liberare il loro amore dall’egoismo. I. Tardi, anche tu li hai uditi quei passi che salivano alla morte indrappellati dall’ordine sparso di un settembre dai suoi già freddi ori, per rientrare nell’ordine chiuso, coatto, di tante domeniche premilitari reinventandolo di fierezza e scherno con tutta la forza del piede, con pudore di cresimandi della storia, su spalti, per poligoni di tiro, comparse alla ribalta che poi vanno nel buio – e ancora tanta forza da bucare la raffica spezzare muraglie sorvolare anni, quei loro passi giunti fino a te. II. Per tutta la città, nelle strade per poco ancora vuote un assiduo raschiare, manifesti a brandelli, vanno a brani le promesse di ieri e lungo i marciapiedi è già il tritume delle cicale scoppiate. Sceso all’incrocio un manovratore lavora allo scambio con la sua spranga, riavvia giorni e rumore. – Ecco i soli sconfitti, i veri vinti… – anonima ammonisce una voce. III. Di schianto il braccio s’è abbattuto e passa ad altri, piú forti, la mano del vincitore. Dirò che era giusto e tenterò una compostezza appena contraddetta dagli occhi folli. Che presto saranno spenti. Presto sullo sparato del decoro il bruco del disonore… IV. Abboccherà il demente all’esca dei ragazzi del bar? Certo che abboccherà e per un niente nella sua nebbia si ritroverà dalla parte del torto. Lo picchieranno, dopo, piú di gusto. C’era altro da fare delle domeniche? I giornali attorno ai chioschi garruli al vento primaverile: viene un tale, canaglia in panni lindi, su titoli e immagini avventa un suo cagnaccio. – La sporca politica e noi sempre pronti a rifondere il danno, Pantalone che paga – e getta soldi all’accorso edicolante. Approvazioni, intorno, risa. V. L’Italia, una sterminata domenica. Le motorette portano l’estate il malumore della festa finita. Sfrecciò vano, ora è poco, l’ultimo pallone e si perse: ma già sfavilla la ruota vittoriosa. E dopo, che fare delle domeniche? Aizzare il cane, provocare il matto… Non lo amo il mio tempo, non lo amo. L’Italia dormirà con me. In un giardino d’Emilia o Lombardia sempre c’è uno come me in sospetti e pensieri di colpa tra il canto di un usignolo e una spalliera di rose… VI. oppure tra cave e marcite una coppia. volevo ben altro. Il tutto si conclude con il divario incolmabile tra il realizzarsi delle cose e le aspettative. Già domani…uditi: ancora una volta, come in visita in fabbrica è il pensiero dell’amore che conduce il poeta verso una via di fuga, sebbene sia un momento precario e i “passi” rinnovano la ferita che oramai sembra scolpita nel cuore di Sereni, a ricordo di qualcosa che non va dimenticato. Ed è cosi che il finale della poesia si ricollega con l’inizio. “Se domani tu stesso te ne scordi”: non se ne ricava un senso certo, forse quello implicito potrebbe essere che se l’io poetico dimentica il potere della poesia (superare il peso opprimente della realtà) perde dunque la fiducia nella parola e la sua funzione. Negli ultimi versi c’è un tono esistenziale secondo cui scrivere poesie è un destino già deciso, l’uomo si fa aggredire dalla necessita di scrivere poesia e, quando si scrive, si ha la sensazione di sentirci più leggeri. Ma si tratta solo di un attimo, poiché all’orizzonte il destino del poeta torna ad affacciarsi. Sereni sembra voler dire che per sapere cos’è la poesia bisogna dire ciò che la poesia non è. Per sereni scrivere è autoterapia usata per “pagare un fastidioso debito” (v.7), placare qualche colpa profondamente radicata (v.8), o scollare un debito (v.12), cioè liberarsi di qualche fardello che lo tormenta per poi passare al peso successivo (v.13), all’infinito. Ora per sereni scrivere è necessità. Ai versi viene affidato il compito di denunciare il vuoto dei valori in cui è caduta la società contemporanea e di testimoniare una residua fede nelle capacità comunicative della parola poetica. Corso lodi Ritorna il motivo dell’indifferenza del poeta per il suo tempo, per le falsità e le durezze del suo tempo con i suoi inutili ornamenti “zazzere e zimarre” e torna la figura dell’amico, chi sa la strada da percorrere. Il componimento è secco nella prima parte, e presenta parole violente “croste” “zazzere” che accompagnano e determinano tutto il tono del componimento. E-disse G. Sciogliendosi in uno sbadiglio- E piantale queste cose se ti riesce Nelle fredde gallerie di quadri falsi e di croste, Le zazzere e le zimarre. Piantala se ti riesce una volta per tutte La tetra folla che a annusa trifola ornamentale, La turba dei baschi marxesistenzialisti Esistenzialmarxisti. E una volta di più illudendomi Che fosse sul serio per l’ultima volta Sul ponte che scavalca la nebbia della città Dove l’anno si strugge in brace e in cenere Io lo seguii. Il male d’africa Una motocicletta solitaria. Nei tunnel, lungo i tristi cavalcavia di Milano un’anima attardata. Mah! È passata, e ora fa la sua strada e un’eco a noi appena ne ritorna, col borbottío della pentola familiare nei tempi che si vanno quietando. Diversa da Orano cantava la corsa del treno sul finire della guerra e che bel sole sul viaggio e a sciami bimbetti, moretti sempre piú neri di stazione in stazione già con tutta alle spalle l’Algeria. Pensa – dicevo – la guerra è sul finire e ponente ponente mezzogiorno guarda che giro per rimandarci a casa. E dei bimbi moretti sempre piú neri di stazione in stazione give me bonbon good American please la litania implorante. Rimbombava la eco tra viadotti e ponti lungo un febbraio di fiori intempestivi ritornava a un sussulto di marmitte che al sole fumavano allegre e a quel febbrile poi sempre piú fioco ritmo di ramadan che giorni e giorni ci durò negli orecchi ci fermammo e fu, calcinata nel verbo sperare nel verbo desiderare, Casablanca. E poi? Ho visto uomini stravolti nelle membra – o bidonville! – barracani gonfiarsi all’uragano altri petali accendersi – ‘sono astri perenni’, ‘no, sono fiori caduchi’, discorsi di cattività – farsi di estiva cenere, e quando piú non si aspettava quasi fummo sul flutto sonoro diretti a una vacanza di volti di là dal mare, da una nereggiante distanza, in famiglia coi gabbiani che fidenti si abbandonavano all’onda. Ma caduta ogni brezza, navigando oltre Marocco all’isola dei Sardi una febbre fu in me: non piú quel folle ritmo di ramadan ma un’ansia una fretta d’arrivare quanto piú nella sera d’acque stagnanti e basse l’onda s’ottenebrava rotta da luci fiacche – e Gibilterra! un latrato, il muso erto d’Europa, della cagna che accucciata lí sta sulle zampe davanti: Tardi, troppo tardi alla festa – scherniva la turpe gola – troppo tardi! e altro di piú confuso sul male appreso verbo della bianca Casablanca. Questa ciarla non so se di rincorsa o fuga vecchia di dieci o piú anni di un viaggio tra tanti… – s’inquietano i tuoi occhi – e nessuna notizia d’Algeria. No, nessuna – rispondo. O appena qualche groppo convulso di ricordo: un giorno mai finito, sempre al tramonto – e sbrindellato, scalzo in groppa a un ciuco, ma col casco d’Africa ancora in capo un prigioniero come me presto fuori di vista di dietro la collina. Quanto restava dell’impero… e il piffero ramingo tra le tende a colmare la noia e, non appena zitto, quel vuoto di radura dove il fuoco passò e gli zingari… Trafitture del mondo che uno porta su sé e di cui fa racconto a Milano tra i vetri azzurri a Natale di un inverno di sole mentre – Symphonie nelle case, Symphonie d’amour per le nebbiose strade – la nuova gioventú s’industria a rianimare il ballo. Siamo noi, vuoi capirlo, la nuova gioventú – quasi mi gridi in faccia – in credito sull’anagrafe di almeno dieci anni… Portami tu notizie d’Algeria – quasi grido a mia volta – di quanto passò di noi fuori dal reticolato, dimmi che non furono soltanto fantasmi espressi dall’afa, di noi sempre in ritardo sulla guerra di lei, lo sguardo fisso e torvo: storia d’altri e, già vecchia, di loro. Moriva d’apprensione e gelosia al punto di volersi morto, di volerlo veramente, lí tra le braccia di lei. Rabbiosamente non voleva sciogliersi. Chi cederà per primo? La domenica d’agosto era, fuori, al suo colmo e tutta Italia sulle piazze nei viali e nei bar ferma ai televisori… Un gesto appena, – si disse – cerca d’essere uomo e sarai fuori dalla stregata cerchia. E, la convulsa stretta perdurando (che lei d’istinto addoppiava), alla cieca una mano errò sull’apparecchio, agí sulla manopola: nella stanza fu di colpo la gara, si frappose tra loro. Il campione che dicono finito, che pareva intoccabile dallo scherno del tempo e per minimi segni da una stagione all’altra di sé fa dire che più non ce la fa e invece nella corsa che per lui è alla morte ancora ce la fa, è quello il suo campione. Lo si aspettava all’ultimo chilometro: «se vedremo spuntare laggiú una certa maglia…» e qualcosa l’annuncia, un movimento di gente giú alla curva, uno stormire di voci che si approssima un clamore un boato, è incredibile è lui è solo s’è rialzato ha staccato le mani ce l’ha fatta… e dunque anch’io posso ancora riprendermi, stravincere. S’erano intanto gli occhi raddolciti e di poco allentandosi la stretta s’inteneriva, acquistava altro senso, ritornava altrimenti violenta. Per una voce irrotta nella stanza… L’istinto che non la tradisce scocca esatto sempre al momento giusto tra i suoi pensieri semplici. Sa capire il suo uomo: lo sa bene che piú suppone lui di stravincere a sé meglio l’avvince e fin che vorrà se lo tiene. «Caro – gli dice all’orecchio – amore mio…» E la domenica chiara è ancora in cielo, folto di verde il viale e di uccelli non ancora spettrali case e grattacieli, solo un po’ piú nitidi a quest’ora di avanzato meriggio dell’ultima domenica di questa nostra estate. E se a lui pare che un brivido percettibile appena s’inoltri nel soffio ancora tiepido che approda alla terrazza: anche agosto – lei dice d’un tratto ricordandosi – anche agosto andato è per sempre… Sí li ho amati anch’io questi versi… anche troppo per i miei gusti. Ma era il solo libro uscito dal bagaglio d’uno di noi. Vollero che li leggessi. Per tre per quattro pomeriggi di seguito scendendo dal verde bottiglia della Drina a Larissa accecante la tradotta balcanica. Quei versi li sentivo lontani molto lontani da noi: ma era quanto restava, un modo di parlare tra noi – sorridenti o presaghi fiduciosi o allarmati credendo nella guerra o non credendoci – in quell’estate di ferro. Forse nessuno l’ha colto cosí bene questo momento dell’anno. Ma – e si guardava attorno tra i tetti che abbuiavano e le prime serpeggianti luci cittadine – sono andati anche loro di là dai fiumi sereni, è altra roba altro agosto, non tocca quegli alberi o quei tetti, vive e muore e sé piange ma altrove, ma molto molto lontano da qui. QUINTA SEZIONE: APPARIZIONI O INCONTRI Questa sezione racchiude i testi tra il ’61-’65 e affronta il tema della morte, ciò che in frontiera era un presagio luttuoso e in diario d’Algeria era un evento legato alla guerra, qui si dilata e viene esposto tramite le poesie. Gia da “le sei del mattino” e “di passaggio” i morti erano entrati a far parte della poetica di sereni, rappresentando epifanie oracolari che permettevano al poeta privilegiato di dare un senso alla storia, alla vita privata e sociale. Emergono numerose figure che stringono un dialogo con il poeta teso ad approfondire le ragioni dell’io pensante e le sue contraddizioni. Non mancano i testi che ricordano il sereni più antico, come “le fornasette” e “al distributore” in cui ci sembra chiaro come non sia mutato il rapporto tra il poeta e le cose e la poesia, per cui tutti i cambiamenti avvengono in funzione della libertà e del rispetto della stessa. Un sogno poesia in cui ribadisce la libertà dagli schemi. Sereni alla figura plumbea che gli impedisce il passato non riesce a opporre nulla di concreto ed è costretto a ingaggiare una lotta di esito incerto: La rissa Dura ancora, a mio disdoro. Non lo so Chi finirà nel fiume. Ancora una volta sereni espone l’irresolutezza, la precarietà della propria situazione nonostante stia già attraversando un momento di “lotta”. Ero a passare il ponte su un fiume che poteva essere il Magra dove vado d'estate o anche il Tresa, quello delle mie parti tra Germignaga e Luino. Me lo impediva uno senza volto, una figura plumbea. «Le carte» ingiunse. «Quali carte» risposi. «Fuori le carte» ribadì lui ferreo vedendomi interdetto. Feci per rabbonirlo: «Ho speranze, un paese che mi aspetta, certi ricordi, amici ancora vivi, qualche morto sepolto con onore». «Sono favole, - disse - non si passa senza un programma». E soppesò ghignando i pochi fogli che erano i miei beni. Volli tentare ancora. «Pagherò al mio ritorno se mi lasci passare, se mi lasci lavorare». Non ci fu modo d'intendersi: «Hai tu fatto - ringhiava - la tua scelta ideologica?» Avvinghiati lottammo alla spalletta del ponte in piena solitudine. La rissa dura ancora, a mio disdoro. Non lo so chi finirà nel fiume. Sottopone uno sconosciuto guardiano della rivoluzione “figura plumbea” ad un interrogativo Impedendogli di proseguire verso il futuro “non si passa senza un programma/hai fatto tu la tua scelta ideologica?” L’alter ego sentinella è lo specchio del dubbio sull’efficacia della poesia in un sistema sociale dominato dall potere economico, dal capitale, dall’opulenza consumistica (“beni”) che attanaglia ch vuole restare fedele alla vocazione e al mestiere del poeta. Le fornasette demitizzazione dell’amore come in “ancora sulla strada di Creva” Tra l’asfalto giunto sin qua su Al valico e le acque boschive Colgo il gesto leggiadro che preserva Il lembo della gonna Fuori dal polverone d’allora, indolore con dolore. Gettai nel riverbero il mio perché l’hai fatto? (Intervento dell’io nel dialogo) Ma non svettarono voci lingueggianti in fiamma, non la storia di un uomo: simulacri, e nemmeno, figure della vita. La porta carraia, e là di colpo nasce la cosa atroce, la carretta degli arsi da lancia fiamme…. (Rimando alla guerra ) rinvenni, pare, anni dopo nel grigiore di qui tra cassette di gerani, polvere o fango dove tutto sbiadiva, anche - potrei giurarlo, sorrideva nel fuoco – anche…e parlando onorato: “mia donna venne a me di Val di Pado” sicché (non quaglia con me – ripetendomi – non quagliamo acque lacustri e commoventi pioppi non papaveri e fiori di brughiera) ebbi un cane, anche troppo mi ci ero affezionato, tanto da distinguere tra i colpi del qui vicino mattatoio il colpo che me lo aveva finito. In quanto all’ammanco di cui facevano discorsi sul sasso o altrove puoi scriverlo come vuoi: NON NELLE CASSE DEL COMUNE L’AMMANCO ERA NEL SUO CUORE Decresceva alla vista, spariva per l’eterno. Era l’eterno stesso puerile, dei territori rosso su rosso, famelico sbadiglio della noia col suono della pioggia sui sagrati… Ma venti trent’anni fa lo stesso, il tempo di turbarsi tornare in pace gli steli se corre un motore la campagna, si passano la voce dell’evento ma non se ne curano, la sanno lunga le acque falsamente ora limpide tra questi oggi diritti regolari argini, lo spazio si copre di case popolari, di un altro segregato squallore dentro le forme del vuoto. …Pensare cosa può essere – voi che fate lamenti del cuore delle città sulle città senza cuore – cosa può essere un uomo in un paese, sotto il pennino dello scriba una pagina frusciante e dopo dentro una polvere di archivi nulla nessuno in nessun luogo mai. Il funerale incontrato da Sereni era di “una furia nera”, dato che amplia il cromatismo. Il luogo non è cambiato, l’unico che ha subito cambiamenti è il poeta stesso. Vi è l’incontro con un uomo suicida, un uomo che ha già superato il muro dell’aldilà. L’io lirico quindi pone una domanda all’anima (“anima” tipico termine dannunziano degli anni 50/60) “in che rapporto con l’eterno?”. Essendo l’anima un soggetto che non esiste è come se il poeta riservasse questa domanda per se stesso, domanda fitta di rimorso per non essere restato a luino ad aiutare l’amico. Mi volsi per chiederlo alla detta anima, cosiddetta. Immobile, uniforme rispose per lei (per me) una siepe di fuoco crepitante lieve, come di vetro liquido indolore con dolore. I versi che seguono fanno sistema con il canto XXVII del purgatorio, il canto dei lussuriosi che bruciano nel fuoco. Qui c’è un passaggio importante: Dante e Virgilio sono costretti a superare una siepe di fuoco per arrivare al paradiso e dante in quel momento sente un calore fortissimo tanto che il “vetro bollente” sarebbe stato refrigerante. Queso passaggio nella divina commedia è importantissimo poiché è l’ultimo passaggio prima della purificazione. L’io vittorio dialoga con il suicida che ha attraversato la siepe di fuoco. mia donna venne a me di Val di Pado: verso di dante che fa pronunciare a cacciguida nel XV paradiso, nel solenne momento dell’autopresentazione. non quaglia con me – ripetendomi – non quagliamo acque lacustri e commoventi pioppinon papaveri e fiori di brughiera Qui i suicida afferma che dopo aver attraversato la siepe non c’è il paradiso “acque lacustri”, e che per lui la storia di un Dio salvifico non funziona. Il tutto viene riportato con un linguaggio colloquiale “non quaglia.” L’anima del suicida dice tutto ciò mentre si trova nel fuoco e sereni crea l’immagine di un uomo suicida che supera il purgatorio, il che è un paradosso. In un mondo in cui dio è morto non c’è speranza e redenzione, perciò non esiste riscatto definitivo. Tutto il ‘900 è una lotta per distruggere la nostra aspettativa di ordine, totalità e pienezza. È un secolo che torna sovente sul concetto di purgatorio ed inferno: -un purgatorio che toglie la speranza di redenzione, una condizione permanente dell’uomo: un dolore costante che promette una beatitudine futura che mai avrà luogo. Il suicida ricorda il suo mestiere di giardiniere, il suo cane che gli è stato ucciso e riporta alla memoria i suoi ricordi. Anche l’anziana del testo precedente ricordava il suo passato. Il motivo del suicidio? Un furto nelle casse del comune: NON NELLE CASSE DEL COMUNE L’AMMANCO ERA NEL SUO CUORE Decresceva alla vista, spariva per l’eterno: nell’ultima parte del componimento l’anima inizia a scomparire. Sparisce anche l’io poetico come dimostrato dall’assenza della prima persona. Lo scorrere del tempo, sempre uguale nonostante l’apparenza del cambiamento, collega lo squallore delle forme del vuoto urbano a quelle di una campagna non più idilliaca, che oramai rappresenta solamente una natura indifferente di fronte all’immobilità. Le acque che hanno inghiottito il suicida, ieri paludose e oggi limpide, sono incuranti verso l’umanità. Voi che fate: conduce ad un finale tragico, lo scriba è il poeta e allo stesso tempo un agente burocratico di quel tempo fermo. Fin poi ad arrivare ad un ultimo verso che detiene una rispettiva amaramente nichilista: un nulla che non lascia speranze, ne consolazioni ne tantomeno la speranza di un dialogo. L’io via via va sempre di più isolandosi, egli si rispecchia nella sua riflessione ma non dialoga, rimane ancorato in un caotico monologo. Il piatto piange: (adozione del verso lungo) titolo di un romano di Piero Chiara, autore abbastanza letto al suo tempo ma appartenente al canone minore. In questo romanzo si parla del gioco d’azzardo intorno al lago maggiore. I due autori sono stati sempre amici e un giorno Piero Chiara si mette a raccontare le vicende di alcuni giocatori di luino che giocavano sotto un sottoscala di un ristorante. Sereni ne rimase molto colpito a tal punto di farsi mandare dall’amico una relazione scritta sul fatto. Componimento ambientato a luino (ambiente provinciale della giovinezza) che ha una forte intertestualità e metaletterarietà: -aspetto metalett: sereni ritiene il testo ne aulico ne classico. Egli si posiziona, facendo riferimento ad un romanzo comune dell’epoca, all’interno di una letteratura mainstream, una letteratura per tutti. Se ci pensiamo è l’obiettivo ultimo degli strumenti umani, componimento che inizialmente propone atmosfere molto rarefatte, di difficile comprensione per poi arrivare ad una poesia più semplice, chiara di facile comprensione (per tutti). Egli fa l’opposto di Montale e degli ermetisti, montale con “la bufera” da vita all’ultimo tentativo di complessità, sereni man mano si semplifica senza però dar vita ad una fotocopia del reale. Questo comporta zone d’ombra e ambiguità che ci permettono di declinare la duplice natura della realtà stessa. Il piatto piange, invece, gioca la carta dell’assoluto realismo: riporta una storia reale raccontata dal suo amico Piero Chiara, questo permette al poeta un confronto con Luino. Sebbene il realismo sia una componente fondamentale nel testo, rimane un componimento non del tutto trasparente. Gli enjambementes creano discontinuità e ambiguità. Il tema principale è quello ritrovato in “intervista a un suicida” e “ancora sulla strada di Zenna” ovvero: la chiusura e l’immobilità provinciale. Egli demitizza quel mondo amato precedentemente, di abitudini vuote che contribuiscono alla ripetizione dell’esistere. Egli arriva a provare pietà per le vittime della ripetizione dell’esistere, per tutti coloro che sono relegati a quella realtà, incapaci di staccarsi da luino. Sereni si sente legato a quel mondo sentimentalmente, egli è parte di quella sofferenza. che viene messo qui in discussione. È il problema dell’omologazione che Pasolini solleverà. L’omologazione è la rinuncia individuale a tutti i desideri più intimi. Tutto il secondo Novecento dedica uno spazio al concetto di massa, alla rinuncia dell’individualità e della realizzazione di sé. Tutto finisce con violenza, i giocatori della bisca sono gettati fuori e il vento spazza le carte. I giocatori della bisca, il suicida, la vecchia dal riso vermiglio sono tre esempi di fallimenti, dovuti anche al fatto di trovarsi in un luogo sbagliato, in un tempo provvisorio. Tutto finisce con violenza, i giocatori della bisca sono gettati fuori e il vento spazza le carte. I giocatori della bisca, il suicida, la vecchia dal riso vermiglio sono tre esempi di fallimenti, dovuti anche al fatto di trovarsi in un luogo sbagliato, in un tempo provvisorio. Questi morti rappresentano un monito negativo, essendo bloccati nel tempo provvisorio. Essi chiedono di confrontare con sereni il loro vissuto. Il loro monito è quello di cercare di uscire dal tempo provvisorio e questo lo si nota nel passaggio delle ripetizioni di “loro” e “me”. La droga dell’io vittorio è la poesia, ha cercato in essa riparo, ma vedendo il monito di coloro che sono rimasti bloccati ha la forza di andare avanti. Seme/fidanzati: con riferimento alla primavera sono elementi con connotazione erotico- sessuale. Vento: le carte vengono spezzate dal vento, lo stesso vento che ne “le sei del mattino” era sinonimo di vita. Intervista a un suicida e il piatto piange: Il caso del suicida era il caso di una sconfitta, di una bancarotta dell’anima, un fallimento economico ed esistenziale. Il suicida è chi ha troppo amato, troppo investito. Il piatto piange parla dell’opposta realtà, di chi si è protetto dalla vita attraverso lo sperpero, senza alcun investimento costruttivo, senza alcuna generosità. Sopra un’immagine sepolcrale: ispirato ad un fatto biografico di sereni, una visita al cimitero di luino in cui vide la tomba di un coetaneo morto giovane sepolto nello spazio riservato ai bambini. Cosa avviene? Incontro con l’immagine sepolcrale di un bambino sorridente in un cimitero adibita alle sepolture dei “morti innocenti”, l’io lirico rimane stupefatto di come possa una creatura aver percorso “così poca strada.” La stessa stupefazione del poeta è presente anche nel volto del bambino che sembra essere in attesa del ritorno di Dio sulla terra per “liberare i vivi e i morti.” Nel verso finale, con una prospettiva pessimistica, il poeta riconosce la vanità delle “lagrime” versate per quella morte e del “seme”, “vanamente sparso” anch’esso, che non ha portato a maturazione il proprio frutto. Questodiscorso, condotto in prima persona dall’io Vittorio, è spezzato a metà dal verso isolato che contiene una citazione mutila di un aforisma di Leonardo Da Vinci: “il sonno.” Il sorriso balordo che mi fermò tra le lapidi e le croci, nella piccola selva dei morti innocenti, delle vite appena accese e spente nel candore era la stessa mia stupefazione 5 che avesse in tanti anni fatto così poca strada. O dormiente, che cosa è sonno? Il sonno… E qui egli sta tra i pargoli innocenti stupefatto nel marmo come se un Tu dovesse veramente ritornare a liberare i vivi e i morti. E quante lagrime e seme vanamente sparso. Ambientazione spaziale: il componimento è collocato nei primi testi della sezione “apparizione e incontri” quelli che nel dattiloscritto «Piano generale per una ristampa di tutte le poesie non rifiutate», risalente a un periodo compreso tra il ’59 ed il ‘60, Indicate come “poesie luinese.” 4 e che avrebbero dovuto costituireun ciclo luinese compatto. Questo gruppo di testi, contrapposto al successivo ciclo europeo-cittadino, è rintracciabile in modo compatto all’interno della V sezione della raccolta, nettamente delimitato da due poesie di confine, “Un sogno” e “a un compagno di infanzia”, nelle quali l’io lirico attraversando in ciascuna un ponte, fa ritorno a Luino per poi andarsene. compagno di infanzia, nelle quali l’io lirico, attraversando in ciascuna un ponte, fa ritorno a Luino p Se l’occasione del testo e l’ambientazione della vicenda presso il paese della giovinezza di Sereni forniscono i primi indizi per l’interpretazione, un passo ulteriore può essere fatto analizzando il verso 7, chiave di volta dell’intero componimento. Il sonno (v.7): citazione di Leonardo inserita in questo modo tronca produce due effetti: -tronca il lirismo del poeta -tiene legato con forza il componimento e potenzia il significato del fatto biografico narrato rendendo universale la riflessione. La citazione: “o dormiente, che cosa è sonno?” Il sonno ha similitudine di morte. E quante lagrime e seme vanamente sparso: ultimo verso, in cui si ultima la disillusione dell’io vittorio, è un verso fortemente annichilente nella sua massima nullificazione. Nell’’insistere “sull’infinita vanità del tutto” sereni risulta vicino all’ultimo verso di “intervista a un suicida” nulla nessuno in nessun luogo mai. Il componimento s conclude con la constatazione della vanità della vita, nella triste atmosfera evocata dalle lacrime “nullamente” versate. Il poeta esce da questa esperienza arricchito dalla consapevolezza che più di tutto è vano “un seme vanamente sparso”, da cui germoglia una vita sperperata Nell’immobilità di un sonno troppo simile alla morte. I versi iniziali e finali del componimento ci permettono di capire la ricchezza del componimento stesso: Le “lagrime” si contrappongono al “sorriso” iniziale con cui la poesia venne aperta che aveva avviato l’incontro tra il poeta e l’altro. Il sorriso è simbolo della “gioia” pur concludendo con la rassegnazione finale del poeta in cui tutto è vano., il sorriso è stato lo strumento che ha permesso al poeta di dar vita a questa riflessione, di accedere alla verità, per quanto parziale e irrisolta. Inoltre, il sorriso fa sistema con “la vecchia vermiglia del suo riso” ritrovato nel componimento “ancora sulla strada di Creva” che si accompagnerà a quello del padre che “si ritira ridendo” nella conclusione de “il muro.” Al distributore In questo componimento si racconta l’incontro con Dante Isella (critico). Questa poesia risulta coerente con la sezione a cui appartiene “apparizioni o incontri”, infatti di un incontro si tratta.” In questo componimento l’incontro diverrà reale, attraverso una precisa indicazione topografica il poeta riporta l’incontro con un grande critico letterario con i suoi occhi azzurri. Nel mese a me più avverso, di novembre Tra incredibile luna e vapori Di svenevole azzurro Venne a me un azzurro più fermo. Subito fuori da Mendrisio, al bivio Per Varese. “Non ci siamo mai visti, ma Ci conosciamo,-disse-sono Isella” O azzurra fermezza di occhi di re Di Francia rimasti con gioia in Lombardia… Il centro tematico dell’opera risulta convergere nella parola “azzurro”, ripetuta per ben tre volte nel componimento, elemento che non sembrerebbe risultare strano nel caso di Sereni, poeta che fonda la propria poetica sulle iterazioni. L’azzurro per Sereni è il colore, l’atmosfera di “prodigi” e “avventi”, a riprova di quanto “al distributore” sia ben inserita nella sezione di appartenenza. L’azzurro diventa spazio fertile di illusione e realtà, di sparizioni e avventi. A un compagno d’infanzia Non resta piú molto da dire e sempre lo stesso paesaggio si ripete. Non rimane che aggirarlo noi due nel vento urlandoci confidenze futili e crederle riepiloghi, drammatiche verità sulla vita. «Ma tu hai la bellezza…» «Chiacchiere nel vento tenebroso, religione della morte: gli anni che passano tali e quali, la collina che riavvampa in autunno, i campanili assolati imperterriti, pietrificate ossa di morti, le nostre radici troppo simili, da troppo per non dolersi insieme, che quel vento fa gemere…» Un’autostrada presto porterà un altro vento tra questi nomi estatici: Creva Germignaga Voldomino la Trebedora – rivivranno con altro suono e senso in una luce d’orgoglio… Non che sia questo la bellezza, ma la frustata in dirittura, il gesto inaspettato e improvviso, come dimostrato dalla moltitudine di elementi urbani confusi. Il testo mette in gioco due forme differenti di dialogo: -il primo dialogo è quello con Anna Frank, così come all’improvviso compaiono il suicida, la nonna morta e la gioia compare anche la casa di Anna Frank, mettendo in gioco un dialogo mentale sognato. - il secondo dialogo, con un amico, è finalmente una comunicazione non interrotta, quel dialogo che l’autore da inizio raccolta cerca e che qui, finalmente, avviene. Sereni nel discutere con l’amico discute anche con Anna frank. «Casa di Anna Frank»: dietro questa parte del verso c’è la prima puntualizzazione di sereni, egli critica gli enti turistici olandesi che tendono ad una pubblicità turistica eccessiva, ci si ricordi che si parla di un autore che cerca volutamente casa sua, il suo posto. Sereni, invece, si imbatte nella casa di A.F senza cercarla. L’ambientazione: Anna frank compare all’interno di Amsterdam, non sono sereni e l’amico dirigersi verso di lei ma è la città (Amsterdam) che con un evento casuale impone il ricordo della barbarie nazista su i due. Gli olandesi erano vittime della forza nazista e gli italiani colpevoli di appoggiare quella forza. Questa Amsterdam impone l’identità di A.F. A questo punto interviene l’amico di sereni che fa una puntualizzazione, il “ma” cambia la prospettiva, cambia l’argomentazione e la porta avanti. Sereni ad ogni ponte cerca AF, ma non la trova, proprio perché causa sua è solo lì ma al tempo stesso la ritrova sempre. E Amsterdam riesce a dare memoria di ogni Anna frank vissute lì che non hanno avuto il tempo di scriverlo. La città: una volta raggiunta, viene sottoposta anche a polemica. Le città sono i luoghi del lavoro oppressivo ed alienante. In questo caso, Amsterdam, città non italiana, offre una rappresentazione più positiva dovuta al suo saper mantenere una memoria. Amsterdam è povera dal punto di vista degli elementi che la costituiscono. Però, proprio in questa sua austerità e morigeratezza, Amsterdam sembra essere permeata tutta dalla stessa sostanza. Amsterdam non rimuove la storia pregressa, Amsterdam non vuole una sterminata domenica ma è disposta ad accettare tutte le ferite dell’epoca. Gli Olandesi sono disposti a pagare la colpa o a portare il peso di quello che è stato, sia come vittime che come carnefici. L’Olanda, nella rappresentazione generosa che ne dà Sereni, è una comunità disposta a fare i conti con il passato. Amsterdam è vertiginosa, sempre estrema. Nella seconda parte (l’interprete) prendono parola gli olandesi, l’interprete. Sereni insiste sull’aspetto lavorativo, gli olandesi sono grandi lavoratori e fanno affari anche con i tedeschi. Nell’ultima parte (volendam) sereni interpreta il compito lasciatoci dalla storia: ricordare. Il compito più importante è quello di non cedere alla pietà ingiusta. Noi non possiamo dedicarci all’amore, l’amore sarà poi per i nostri figli. Sebbene sereni si dedcherà alla pietà nella lirica successiva “la pietà ingiusta.” La pietà ingiusta è un componimento che riflette da vari punti di vista sull’esperienza della 2 guerra mondiale e sull’olocausto. In sereni prenderà sempre più forma l’idea che la guerra abbia portato ad un punto di strappo nella storia dell’uomo, poiché porta alla luce la possibilità di un male assolto mai sperimentato così potente. La storia in questo caso non può più procedere oltre quel male, quel male ha interrotto e bloccato il senso della storia, non si può andare avanti poiché occupa la mente anche dopo la sua fine. L’io ci descrive la situazione nel mentre che avviene e il testo si apre introducendo una battuta altrui in francese. Mi prendono da parte, mi catechizzano: il faut faire attention, vous savez. Et surtout si l’affaire Doit marcher jusq’au bout, ne causez pas de ces choses bien passées. Il paraît qu’il en fut un, un SS qu’il a été même dans l’armée quoique pas allemand… Ecco in cosa erano forza e calma sospette l’abnegazione nel lavoro, la cura del particolare, la serietà a ogni costo, fino in fondo… Intorno c’è aria di niente, mani sulla tavola, armi (chi le avesse) al guardaroba: solo adesso si comincia a capire - e l’affare un pretesto il pranzo un trucco, una messinscena benché non esistano dubbi sulle portate benché non ci siano orripilanti cataste sulla tavola né sotto ma in cucina, chi può dirlo? ah le dotte manipolazioni di cui furono capaci, matasse, matassine innocue, oro a scaglie da coprirne un deserto di sale, di nubi d’anime esalanti-esulanti da camini con la piena dolcezza degli stormi d’autunno altre anche meno visibili spazzate da una raffica in un’ora di notte è una questione d’occhi fermi sul cammello che passa e ripassa per la cruna in piena libertà e con tocchi di porpora una città d’inverno, una città di cenere si propaga dentro una lente di mitezza. Solo adesso si comincia a capire. Incredibile – dirò più tardi – le visioni immotivate che si hanno a volte (e pazienza per queste ma esserne coinvolti al di là del giudizio fino al tenero, fino all’indebita pietà …): le giubbe sbottonate della disfatta, un elmo ruzzolante tra i crateri, sugli argini maciullati facce su facce lungo un canale a ridosso di un muro un reparto in sfacelo che si sbraca, se ne fotte della resa con dignità, ma su tutte quella faccia d’infortunio, di gioventù in malora con la sua vampa di dispetto di bocciato di espulso dal futuro nell’ora già densa della campagna verso l’estate che verrà … Tra poco apparecchieranno, porteranno le cartelle per la firma. Si firmerà. Si firmerà la pace barattandola con la nostra pietà – e lui rimesso in sesto, risarcito di vent’anni d’amaro bene potus et pransus arbitro dell’affare. Non si vede più niente. Se non - per un incauto pensiero, per quel momento di pietà - quella mano quel mozzicone di mano sulla parete. Ci conta ci pesa ci divide. Firma. E tutti quanti come niente - come la notte ci dimentica. Traduzione: il faut faire attention, vous savez. Et surtout si l’affaire Doit marcher jusq’au bout, ne causez pas de ces choses bien passées. Il paraît qu’il en fut un, un SS qu’il a été même dans l’armée quoique pas allemand: Bisogna fare attenzione, sai. E soprattutto, se l’affare vada buon fine, Non rivangare le cose passate. Sembra stato uno, uno delle SS Che si è arruolato nell’esercito Senza essere tedesco.. Sono istruzioni rispetto ad un atteggiamento da seguire, sembrerebbe riguardare un terzo soggetto che deve partecipare ad un incontro di affari: l’io poetico deve incontrare un personaggio rispetto al cui passato ci sono delle ombre. Il personaggio sembra essere un generale delle SS. Il francese è un elemento di disorientamento per il lettore che attutisce il contenuto della rivelazione contenuta “scendere a patti.” Seconda strofa: da questo punto in poi il testo segue un doppio binario: -realistico: il poeta rende conto della situazione che sta vivendo (descrizione della scena, pranzo o cena di lavoro); Una frontiera metafisica: un confine estraneo alla dimensione onirica come dimostrato dai vv. 1- 2. Il “vi dico” assume valenza di autoconvincimento poiché la poesia è originata in uno stato di coscienza privilegiato, il “quasi sogno” comune al testo “il muro.” Il Ticino viene identificato mediante alcuni stereotipi: “un paese dove mangiano per tempo.” L svizzera viene descritta come un paese in ordine, un ordine che viene scalfito solo dalla rigogliosa natura primaverile che emerge (vv.4-6) Nei vv.9-10 “nell’affanno del ritardo/o di un temuto malinteso” denota l’appuntamento fissato con i colleghi di sereni. Ad una seconda lettura il ritardo assume connotazioni differenti: -il ritardo all’appuntamento con la storia e l’esp della resistenza. Non era un sogno, vi dico – se può non esserlo un paese dove cenano per tempo, griglie serrande stuoie. (Indica che i negozi sono chiusi e la gente è a cena) nessuno sulle porte (e cosa era, di colpo sul primo incontestabile giorno di primavera, quella mesta buriana di piante e siepi?) un paese che sfila all’infinito con sagome e targhe straniere nell’affanno del ritardo o di un temuto malinteso. Ma già, primi indizi, ci venivano incontro sagome e targhe familiari e facce, a mezzo, a mezz’aria tra certi parapetti tenere buffe zitte nel po’ di luce che restava finché furono palesi un Carlo qualche Piero alcuni Sergi e altri che non nomino per ragioni di misura e per una specialmente, decisiva se vi dico che c’era tra loro Maurizio vecchio argento d’Italia fuoco calmo e vivo. Vi dico che non era un sogno. C’erano tutti, o quasi, i volti della mia vita compresi quelli degli andati via e altri che già erano in vista lì, a due passi dal confine non ancora nei paraggi della morte. Il “ma” del verso 11 segna l’inizio della comparsa sulla scena del paese che sfila all’infinito da parte di tutti i volti della vita del poeta, tende anche a rappresentare una situazione realmente accaduta a sereni. La compagnia che lo attende è composta da “un Carlo, un qualche Piero, alcuni sergi”, alludendo a Carlo Bo e Piero bianconi (capi giuria). Nell’ultima parte della poesia emerge il contrasto, la tensione tra “vita e morte”, come dimostrato dai sostantivi che compongono gli ultimi vv (vita, morte, via). Sereni trova davanti a se tutte le persone della sua vita compresi quelli andati via. La speranza si oppone a “la pietà ingiusta” e le poesie olandesi. Metropoli scorcio sulle anonime e inumane città moderne e su lavoro che vi si scorge. Altri pi vengono: altri, di altro tipo. Con frange magari, con lenti spesse e cupe magari Di forte armatura- testa tutta di testa Tutta tecnica, tutto il testo di plastica Dottorini di Oxford. Guarda invece il vecchio fighter sul quadrato Guardia sinistra o destra, vecchia volpe Abbagliata di città, come muove al massacro: La sua eleganza, qualità Prettamente animale tra le poche che l’uomo Può prestare alle cose, La finta saputa a memoria La danza in scioltezza che gli dura col fiato Purchè resti dinamite da spendere Ma sapere che è a vuoto, che ogni volta la posta Non è già più sotto i colpi la stessa E allora il gioco non ci riguarda più, Le città etichette di valigie fiammelle di necropoli. Le immagini relative alla metropoli compensano il senso di inuilità, di morte civile che incombe sulla società industriale tanto da diventare una necropoli nel verso finale. Il muro Questa poesia rinnova il dissidio fra ciò che fa parte del passato del poeta e ciò che invece è parte di una nova vita. Sono quasi in sogno a Luino lungo il muro dei morti. Qua i nostri volti ardevano nell’ombra nella luce rosa che sulle nove di sera piovevano gli alberi a giugno? Certo chi muore… ma questi che vivono invece: giocano in notturna, sei contro sei, quelli di Porto e delle Verbanesi nuova gioventù. Io da loro distolto sento l’animazione delle foglie e in questa farsi strada la bufera. Scagliano polvere e fronde scagliano ira quelli di là dal muro – e tra essi il più caro. ………………………………..“Papà – faccio per difendermi puerilmente – papà…”. Non c’è molto da opporgli, il tuffo di carità il soprassalto in me quando leggo di fioriture in pieno inverno sulle alture che lo cerchiano là nel suo gelo al fondo, se gli porto notizie delle sue cose se le sento tarlarsi (la duplice la subdola fedeltà delle cose: capaci di resister oltre una vita d’uomo e poi si sfaldano trasognandoci anni o momenti dopo) su qualche mensola in Via Scarlatti 27 a Milano. . Dice che è carità pelosa, di presagio del mio prossimo ghiaccio, me lo dice come in gloria rasserenandosi rasserenandomi mentre riapro gli occhi e lui si ritira ridendo – e ancora folleggiano quei ragazzi animosi contro bufera e notte – lo dice con polvere e foglie da tutto il muro che una sera d’estate è una sera d’estate e adesso avrà più senso il canto degli ubriachi dalla parte di Creva. Il muro è uno spazio che allude al concetto di oltre. Il poeta si trova in sogno a luino, dove il muro è quello del cimitero, la vicenda deriva da varie stratificazioni dell’esperienza di sereni per cui ci sembra di stare in una dimensione onirica. Egli si raffigura insieme a dei giovani che giocano una partita al tramonto e chiude con una domanda che trasmette un profondo senso di inquietudine frutto del dubbio che ciò che sta vedendo sia vero o meno. Sereni è distratto dal frusciare delle foglie, dai rumori della natura, stessa natura che assume il ruolo di tramite con i morti i quali vogliono essere ricordati. In questo fruscio sereni sente i lamenti dei defunti che sono adirati, e il rimprovero del padre che lo accusa di non ricordarlo. Il padre emerge dalla memoria quasi affettiva del poeta rompendo uno stato di quiete che la natura ripropone nella sua illusoria ciclicità. Sereni torna bambino, cerca delle scuse per difendersi ma si accorge che non ha senso opporsi. Del padre l’unica cosa che rimane sono gli oggetti che sono la causa della perdita dell’orientamento di sereni che lo fa cadere in una dimensione trasognata. Il padre lo ammonisce dicendogli che gli oggetti sono carità pelosa, cioè hanno un proprio tornaconto, un secondo fine. Il padre conferma a sereni L’ineluttabile transitorietà dell’esistere. Questo però, non conduce il poeta ad una rinuncia nel credere ad una metamorfosi del mondo, dove la comunione con i morti sia una delle forze attive del mondo che lo spingano verso un’evoluzione e una traccia della storia da seguire per il futuro. Il padre poi si rassegna e si ritira ridendo, segno di aver raggiunto la gloria e la beatitudine. Fino poi ad arrivare al risveglio del poeta. Pantomima terrestre (dialogo con un amico con un interlocutore che assume un tono ironico portavoce del sentimento del poeta, come ironico è anche il poeta soprattutto nel rispondere rifacendogli il verso. Ma se è già guasto, con queste stesse mani: e tu chi sei tu così avanti sulla scala del giudizio e del valore, dillo ai tuoi discepoli e seguaci ai tuoi consoci, vengano a questi bicchieri di delizia a questi apparati di fresco ma in comunione ma tutti ma in una volta sola. È rimasta una chiazza una pozza di luce non convinta di sé un pozzo di lavoro con attorno un girotondo di prigionieri (dicono) sulla parola: sanno di un bagliore che verrà con dentro, a catena, tutti i colori della vita – e sarà insostenibile. Sembra allora di capirlo a che si ostinano dove puntano che cosa vogliono o non vogliono che cosa negano che scappatoie infilano i motori nella giostra serale (Delinea la monotonia dell’esistere) con quelli che fingono a ogni giro di andare via per sempre con quelli che fingono a ogni giro di arrivare dentro un paese nuovo per cominciare ex novo – e i primi lampi lo scroscio sulle foglie l’insensatezza estiva. I ricongiunti A ninetto (Si vede che non ce l’ha fatta che non aveva abbastanza ala Per uscirne- avremmo detto laggiù- Per togliersi dalle ghiaie del Taro Dalle ultime siepi delle arie Di calpestano: in fondo aveva tralignato No era più dei nostri) Invece ci siamo tutti proprio tutti E solo adesso, con te, La tavolata è perfetta sotto queste pergole. La spiaggia è un testo che infonde speranza, sebbene non rientri nel carattere dell’io poetico di questa raccolta. Tanto da concludersi con un verso che infonde speranza “non dubitare… parleranno”. Il soggetto della poesia, soggetto superficiale sono i morti e il loro mondo e dietro di essi c’è la volontà del poeta di essere rassicurato. Sono andati via tutti - Blaterava la voce dentro il ricevitore. E poi, saputa: - Non torneranno più - Ma oggi Su questo tratto di spiaggia mai prima visitato Quelle toppe solari... Segnali Di loro che partiti non erano affatto? E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse. I morti non è quel che di giorno (I morti, cioè quegli elem che ancora non sono riusciti a parlare) In giorno va sprecato, ma quelle Toppe di inesistenza, calce o cenere Pronte a farsi movimento e luce. Non Dubitare, - m'investe della sua forza il mare - Parleranno. La poesia si apre in forma dialogica con una battuta “sono andati via tutti” che equivale a dire “sono morti tutti”sebbene il significato ultimo della frase lo si comprenderà meglio a fine poesia. La voce della prima battuta sembra una voce impazzita per il dolore che rassegnato svela verità dolorose. Ma: significativo del desiderio del poeta di andare finalmente oltre la normale elaborazione del dolore. La spiaggia: A questo punto Sereni scopre qualcosa; trova il modo di entrare in un nuovo mondo; valica i confini dell'umano ed entra nella Spiaggia, ossia in una specie di mondo ultraterreno, un limbo quasi, inesplorato, nel quale mai nessun vivo era stato (mai prima visitato). La spiaggia diviene metafora dell'aldilà: spingendosi fino ai limiti estremi di un'allegoria che forse è solo analogia, si potrebbe vedere nei granelli di sabbia la metafora della polvere usata in ambito religioso per ricordarci la nostra natura peritura e terrena (e che cos'è in fondo la sabbia se non polvere ad uno stadio straordinariamente puro). Toppe solari: metafora chee da una parte è consacrata dalle parole stesse del poeta che le paragona a dei segnali dei morti e della loro permanenza, dall'altro è percepibile su un piano semantico. Per toppe si può intendere infatti il buco nel quale si inserisce la chiave e con un leggero salto logico (neanche tanto impegnativo visto che ci si trova a parlare di una spiaggia) si potrebbe pensare a delle orme, orme sulla sabbia che determinano comunque zone più scure, che segnalano con la loro stessa esistenza il passaggio recente di qualcuno, che, in quanto toppe, cioè buchi, giustificano la visione dei morti come di elementi-chiave che svelano il mistero. Se ciò è vero e queste sono orme che determinano la presenza dei morti sul terreno, allora le toppe che compaiono al verso 11 non sono più usate come metafora dei morti, ma come metonimia degli stessi poiché toppe varrebbe orme, le quali a loro volta, subiscono un transfert di designazione. Prima infatti le toppe venivano usate per determinare la presenza, al verso 11 designano l'inesistenza, cose che non si escludono a vicenda. Calce o cenere: i morti sono presenze inesistenti sulla spiaggia ma il poeta li vede e sono designati come calce o cenere. Ma queste polveri, indici di umanità, e di un'umanità sprecata, sono anche segnali di una vicinanza al divino, poiché sono pronte a farsi movimento e luce. I morti sono anche indifferenti al loro stato. Il fatto straordinario che per la prima volta un vivo arrivi all'interno del loro mondo sembra non impressionarli, né turbarli minimamente, e perciò non smettono di esibire un silenzio che per il poeta è insopportabile (e zitti quelli al tuo voltarti come niente fosse), per quel poeta che si volta, che compie cioè lo sforzo di penetrare in quel mondo sconosciuto che è la morte. E se i morti sono zitti, pur tuttavia il protagonista della poesia non si perde d'animo e anzi investito dalla forza che gli deriva dall'ottimismo di una volontà attaccata alla vita (il mare in antitesi con la spiaggia, regno dei morti, diventa regno dei vivi - verso quattordici: m'investe della sua forza il mare) assicura che riuscirà a far parlare i morti, a sapere da loro non si sa che cosa, presumibilmente verità metafisiche, domande che da sempre investono gli uomini, verità che comunque solo i morti possono conoscere, verità che la poesia non rivela, verità che non sono tema della poesia, che non la riguardano, quasi che il poeta stesso voglia rivelarci non un chissà quale mistero, ma piuttosto sembra intenzionato a consegnarci un messaggio di conforto, che riguarda lui prima di tutti. Questo messaggio diventa chiaro grazie a quel parleranno di fine verso, che oltre ad avere un significato che secondo la teoria degli atti linguistici si potrebbe definire assertivo, ci dà un'informazione come certa, ha anche un significato conativo che vuole esprimere un comando, una minaccia, una speranza. Un atto che rassicura sulla definitiva possibilità di accettare la morte, di comprenderla e giustificarla come qualcosa di naturale, di vitale. La disarmonia Varie pubblicazioni precedono “gli strumenti umani”, uno dei più importanti è “l’opzione” (1964), un testo in prosa in cui viene raccontato un piccolo giallo ambientato alla fiera del libro di Francoforte. Sereni sceglie di impostare il testo in prima persona con un dialogo costante con. Una muta figura femminile. La vicenda si svela tramite il racconto che l’autore fa alla sua accompagnatrice. Ciò che accomuna il testo con la raccolta in esame è che tutto verte su figure mane e la loro problematica complessità. È il “riesame di una serie di delusioni, di fallimenti personali e collettivi” che prendono corpo nell’io narrante. Ne “l’opzione” è interessante il tessuto espressivo: un dialogo fittizio, un palato che si muove su piani diversi connessi tra loro. Lo stile linguistico segue questo andamento, passando dall’esclamazione familiare a termini dotti. Sono gli stessi effetti che vengono riscontrati nelle ultime liriche di sereni: tentativo di aderire alla realtà senza trascurare il proprio io. Importanti nella poetica di sereni furono le traduzioni, già nel ’47 escono “leviatan” da julien green, le traduzioni di Rene char e su Williams Carlos Williams, che hanno fortemente agito sulla sua poetica. Soprattutto con Williams notiamo una grande affinità: ogni poesia di Williams è un fatto a se stante, si pone come un problema a se e con un proprio destino (autonomo organismo vivente), inoltre presenta la totale assenza tra ciò che è definibile poetico e non poetico, elemento che sarà presente anche nelle ultime liriche di sereni. Meno prominenti sono le caratteristiche in comune con Char, il poeta identifica la poesia come il motore della vita stessa. Non è però diversa la prospettiva di Char sul rapporto realtà-poesia. I “feullettes d’hypnos” sono un diario di guerra, il diario di char come comandate di un gruppo partigiano, pieno di appunti personali, sensazioni ed eventi vissuti. Il libro di char riempie il vuoto che sereni prova in “diario di Algeria” e nella traduzione egli tenta una sorta di riparazione, un tentativo di incarnarsi in char e rivivere un tempo vissuto altrove. In strumenti umani, rispetto a diario di Algeria viene meno la speranza, emerge la delusione storica che si unisce alla sofferenza esistenziale.
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