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Viva l'Italia- Paolo Carusi, Appunti di Storia Politica

riassunto libro, capitoli 1-2-3-4-5

Tipologia: Appunti

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Scarica Viva l'Italia- Paolo Carusi e più Appunti in PDF di Storia Politica solo su Docsity! CAPITOLO 1, RIASSUNTO DAL LIBRO. Al principio degli anni Sessanta, mentre il paese iniziava a toccare con mano gli effetti del boom economico, a Genova, si formava un piccolo circolo di giovani autori musicali gravitanti intorno ai musicisti e arrangiatori Gianfranco e Gianpiero Reverberi, i quali avrebbero spinto questi autori a cimentarsi in prima persona con l’interpretazione dei propri brani (Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio De André). Sulla scia di questo gruppo, altri autori di canzoni avrebbero cominciato ad interpretare le proprie composizioni come Sergio Endrigo, Enzo Jannacci, Giorgio Gabber, Francesco Guccini. Questa prima generazione di cantautori, pur fortemente disomogenea fu attenta osservatrice del cambiamento del Paese e seppe denunciare le storture e le contraddizioni del miracolo economico. La canzone d’autore, infatti, cerava di dare voce a quella parte della società critica dei cambiamenti socio-culturali apportati dal miracolo e, dunque, politicamente contraria agli accordi di centrosinistra: quella galassia che dai dissidenti socialisti avrebbe cominciato ad essere definita sinistra extraparlamentare. Muovendosi esclusivamente attraverso il veicolo del disco, le canzoni risultavano molto meno controllabili e si rivelarono molto utili nella duplice veste di fonte del passato e di agente di storia. In un momento nel quale “la modernizzazione portava ad una maggiore prosperità materiale, a un interesse sempre più esclusivo per i prodotti di consumo e ad un più spiccato individualismo, diminuendo di conseguenza l’interesse per la politica, i testi dei primi cantautori mostravano di recepire lucidamente le contraddizioni sociali e culturali del miracolo economico. In un brano del 1964 Tenco riprendeva questi temi denunciando la società degli esclusi e quella degli integrati nell’Italia del boom (Io lo so già). Francesco Guccini compose “l’antisociale”, brano nel quale si stigmatizzavano le icone del boom economico. I rifiuti dei simboli del miracolo anche in altri testi di quegli anni come “Dio è morto” (Guccini), nella quale si invitavano apertamente i giovani a costituire un nuovo mondo ripudiando tanto gli orrori della guerra e del totalitarismo quando gli inganni della società del benessere. Un altro tema di quegli anni era l’immigrazione. Celebre è il caso di un brano di Lauzi,” la Donna del Sud”, connotata da una visione leggera ed ottimistica del fenomeno migratorio. Nel 1967 Tenco aveva dato l’ultimo commiato al suo pubblico presentando al Festival di Sanremo un brano che, dietro le sembianze di una canzone d’amore, celava un testo denso di riferimenti allo sradicamento dal mondo rurale e all’alienazione della vita cittadina, “Ciao amore ciao”. Nel filone della canzone ironica si possono annoverare Jannacci e Gaber, i quali creavano in chiave cabarettistica, un universo di matti, disgraziati, disillusi, con deliberato spirito provocatorio verso l’ottimismo veicolato dai nascenti stereotipi del boom. La critica delle contraddizioni del “miracolo” doveva, però, realizzarsi soprattutto attraverso l’accorata denuncia dell’ipocrisia della borghesia italiana. Un brano di Tenco andava a demolire ad un ad uno i tre pilastri (chiesa, scuola, famiglia) dell’edifico sociale, “Cara maestra”. Il rifiuto dell’etica borghese si sostanziava, in molti casi, nella difesa della dignità di individui non integrati nella società. un altro tema molto sfruttato dai cantautori nella loro critica alla società borghese era quello del bigottismo in materia di amore e di sessualità. Nella visione della canzone d’autore, il perbenismo borghese andava superato in quanto strumento di arcaiche consuetudini volte a mantenere immobile la società, il rifiuto della morale comune diveniva anche veicolo di ribellione estetica contro i modelli femminili consolidati. Tenco stigmatizzava la classica ragazza da marito e Endrigo demolì invece il mito maschilista della verginità femminile. De André, dal canto suo, componeva la celebre “Bocca di Rosa”, nella quale si narrava della mobilitazione della popolazione femminile di un piccolo centro ligure contro chi aveva scelto di vivere la propria sessualità senza inibizioni. Con la Democrazia Cristiana perno degli equilibri politici, era naturale che la canzone che la canzone d’autore non mancasse di evidenziare anche l’influenza della Chiesa cattolica sulla politica nazionale. Il tema del matrimonio veniva sfruttato anche da Tenco, il quale, dopo aver stigmatizzato l’ossessione perbenista per la “legalizzazione” dei legami amorosi denunciando i motivi delle unioni borghesi, l’accrescimento patrimoniale (“Vita familiare”). Dopo la legge Merlino del 1958 e chiusura delle case di tolleranza, il tema della prostituzione nella canzone d’autore esprimeva una certa malinconia. Com’è noto, le cronache di quegli anni avrebbero in due occasioni legato indissolubile i cantautori al tema del suicidio tentato da Gino Paoli e commesso da Tenco e affrontato nei testi da De André. L’avvio della contestazione ed il ritorno in auge della canzone politica dovevano costituire un serio banco di prova per la prima generazione di cantautori, la quale vide improvvisamente minacciata la propria capacità di appeal sulle masse giovanili. Nell’immaginario collettivo giovanile la categoria del pubblico stava prendendo il sopravvento su quella del privato, autori come Gino Paoli, Endrigo e Bindi divenivano improvvisamente superati. I cantautori che avevano scelto una cifra espressiva dichiaratamente “impegnata”, al contrario, riuscivano a restare “al passo con i tempi”. Nel 1970 De André pubblicò il primo concept album articolato sulla narrazione della vicenda umana di Gesù. Gesù era descritto come un rivoluzionario, un uomo libero capace di sconvolgere le convenzioni sociale ed i pregiudizi morali consolidati nel suo tempo. Con l’album “la buona novella” De André aveva voluto evocare il candore dei giovani contestatori del Sessantotto, la loro libera e fantasiosa volontà di sovvertire le consuetudini sociali contrapposta alla logica cieca dei detentori del potere. Tra anni più tardi, però la visione del cantautore genovese appariva profondamente mutata: egli accusava i giovani del sessantotto di aver smarrito l’originario candore. De André arrivò così a toccare il tema spinoso dei rivoluzionari si salotto che avevano sfruttato la buona fede dei ragazzi della contestazione per scalare posizioni nella politica e nella cultura nazionale. Nei cantautori “impegnati” sembrava serpeggiare una visione fortemente critica degli esiti della contestazione. Simili giudizi si trovano anche nei testi di alcuni cantautori “disimpegnati” e dei cantautori “impegnati” di seconda generazione. Francesco De Gregori scriveva una canzone dedicata ai figli contestatori nella quale stigmatizzava i risultati rivoluzionari, “L’uccisione di Babbo Natale”. Gaber parlava di una contestazione diventata ormai una moda in “Polli d’allevamento”. I cantautori “impegnati” leggevano le contraddizioni del boom economico attraverso i mali atavici della società capitalistica incarnati della precarietà della condizione operaia, fatta di fatica sottopagata e di emigrazione. La società capitalistica nella lettura di Bennato era perfettamente rappresentata dall’immagine di un autobus impazzito, lanciato verso il precipizio, ma sul quale un’umanità obnubilata continuata a far festa. CAPITOLO 2 Affievolitasi la prima fiammata della contestazione, al principio degli anni Settanta i cantautori impegnati vedevano crescere il loro successo, sotto la lente della canzone d’autore italiana erano in particolare, tre nodi problematici: la partecipazione ai movimenti collettivi, il concetto di autorità e il ruolo della violenza. Il primo tema vedeva il sovrapporsi del pubblico sulla sfera privata. Se la contestazione aveva posto come centrale nodo del rifiuto del concetto di autorità, insistendo sulla critica ad istituzioni che rappresentavano l’autorità per il mondo giovanile, è interessante come i cantautori articolarono il proprio discorso quasi interrottamente sulla critica del sistema scolastico ed insistendo ben poco sulla denuncia dell’autoritarismo familiare. Agli albori del nuovo decennio, avrebbero descritto in maniera analitica il difficile rapporto tra padri e figli nella società postindustriale attraverso le parole rivolte da un figlio al padre icona di un passato superato. Unico tema sul quali i cantautori “impegnati” sembravano convergere compatti nella stigmatizzazione del conservatorismo della famiglia italiana era quello relativo ai sostegni alle istanze di rivendicazione dei diritti delle donne o all’aperta difesa dell’autonomia del corpo femminile (“Sara”, Venditti). La scuola italiana nei testi dei cantautori veniva presentata come un’istituzione arcaica da riformare profondamente. Edoardo Bennato giudicava la scuola come “un allenamento alla sottomissione gerarchica” e come una “fucina” di futuri cittadini acritici e conservatori. Antonello Venditti si chiedeva che fine avessero fatto i suoi compagni; se, formatisi in quella realtà avessero reagito aderendo alla contestazione o se avessero preferito rifugiarsi in rassicuranti posizioni borghesi. A partire dal 1972 autori come Guccini, De André e Venditti ponevano al centro di alcune loro composizioni storie di violenza proletaria giocate sull’immagine dell’eroe popolare che si scaglia contro l’ingiustizia capitalistica, ma che non riesce a portare a termine il suo proposito, finendo con l’essere ucciso o arrestato. I tre cantautori esprimevano come motivo comune uno scetticismo di fondo sull’utilità dell’azione violenta individuale. Guccini in una sua canzone narrò la vicenda di un ferroviere emiliano il quale decideva di vendicare, attraverso un atto di violenza contro il simbolo del progresso borghese, la vita di miserie e di stenti del proletariato. La narrazione era rifugiata in un passato lontano, alla base del testo rimaneva un’ambiguità di
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