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Voci treccani: affresco, Duccio di Buoninsegna, scultura federiciana, Dispense di Storia dell'arte medievale

Voci treccani di arte medievale: affresco, Duccio, scultura in età federiciana.

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 14/11/2023

KatiaGarofalo2003
KatiaGarofalo2003 🇮🇹

4.4

(32)

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Scarica Voci treccani: affresco, Duccio di Buoninsegna, scultura federiciana e più Dispense in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! Voci treccani Affresco CHE COS’È UN AFFRESCO ca L'affresco è una tecnica di pittura murale in cui i pigmenti, diluiti con acqua, vengono applicati sull’intonaco fresco a cui si incorporano sfruttando il processo chimico della carbonatazione della calce contenuta nell’intonaco. L’affresco è composto da strati di intonaco sovrapposti. L’arriccio è lo strato di intonaco più grossolano a diretto contatto col muro, graffiato per far aderire il successivo, su cui si può abbozzare a pennello il disegno detto sinopia. Il tonachino o intonachino è lo strato fine e liscio sovrapposto all’arriccio su cui si riporta il disegno. ‘TECNICHE DI RIPORTO DEL DISEGNO Lo spolvero: tecnica di riporto mediante la foratura dei contorni del disegno preparatorio in cui il soggetto è realizzato a grandezza naturale. L’impronta della composizione si ottiene appoggiando il cartone forato all’intonaco e tamponando con un sacchetto di tela contenente di'polvere di carbone. Il cartone: il disegno a grandezza naturale viene riprodotto su di un grande foglio. Poggiato il cartone sull’intonaco umido si esercita con una punta una lieve pressione sui contorni del disegno in modo da lasciare una traccia sulla parete sottostante. La tecnica del cartone consentiva di riprodurre più volte lo stesso soggetto che poteva essere ribaltato e utilizzato per diversi cicli pittorici. Una straordinaria raccolta di cartoni degli artisti piemontesi del Rinascimento, che sono stati impiegati per molti dipinti anche Mel Museo Borgogna, è custodita ed esposta all'Accademia Albertina di Torino. Pittura I pigmenti utilizzati devono essere compatibili con la calce dell’intonaco la cui azione caustica può essere in parte limitata con l’aggiunta di leganti come albume, colla, gomma e cera. Alcuni pigmenti non compatibili con la calce possono col tempo virare, ovvero si possono sensibilmente alterare, come è avvenuto alla Crocifissione di Cimabue ad Assisi in cui il bianco di piombo è virato in nero facendo apparire l’immagine in “negativo”. Cimabue (1245-1302) Crocifissione (particolare) Assisi, Basilica superiore di San Francesco La pittura a fresco fu ben praticata nell'Antichità; per quello che riguarda l'area culturale romana, la tecnica di esecuzione è nota nei particolari più precisi attraverso le testimonianze di Vitruvio (De Arch., VII) e di Plinio (Nat. Hist., 31, 49; 33, 40; 35, 49) e ha peraltro trovato conferma puntuale nell'analisi delle pitture murali superstiti di Roma e di Pompei. Nelle decorazioni pittoriche catacombali si assiste a un procedimento semplificato della tecnica dell'a., con un numero inferiore di strati di intonaco preparatori, ridotti a due rispetto ai sei previsti da Vitruvio, e con la scomparsa della pratica della levigatura dell'intonaco superficiale, che sulle pareti dipinte delle catacombe appare scabro e irregolare. Tale semplificazione perdurò - in linea di massima e per quanto è a tutt'oggi noto - per i primi secoli del Medioevo, almeno fino al 10° secolo. Dai più importanti esempi pervenuti, quali le pitture di S. Maria Antiqua a Roma e di S. Maria foris portas a Castelseprio o i cicli decorativi di S. Giovanni a Müstair e della cripta di Saint-Germain ad Auxerre, si desume la persistenza della tradizione della tecnica dell'a., con riferimenti esecutivi alla maniera tardoantica: numero ridotto di strati preparatori, stesura degli intonaci a pontate, tracce di sinopia sull'arriccio con funzione preminente di spartizione degli spazi della decorazione, rari esempi di linee incise sull'intonaco fresco, riguardanti gli schemi geometrici della decorazione o particolari ornamentali, quali per es. le aureole. Ma non è da escludere che nello stesso periodo fosse diffusa anche la pratica di rifinire più o meno estesamente a secco le pitture murali. In questo caso è probabile che sull'intonaco fresco fossero stesi i colori dei toni di fondo e del disegno preparatorio, utilizzando poi per la campitura vera e propria e per la definizione del disegno e della decorazione colori stemperati in leganti organici oppure mescolati con idrossido di calcio più o meno diluito, applicati quando l'intonaco era già asciutto. Il 15 aprile 1285 a Firenze la Compagnia dei Laudesi commissionò a "Duccio quondam Boninsengne pictori de Senis" la tavola magna per S. Maria Novella. Tornato a Siena, D. fece parte, nel 1295, insieme con Giovanni Pisano e altri personaggi ormai non identificabili, di una commissione incaricata di studiare il sito in cui costruire la Fonte d'Ovile e, nel 1302, venne incaricato di dipingere una Maestà, con predella, per l'altare della cappella dei Nove nel Palazzo Pubblico, andata perduta. Al 9 ottobre 1308 risale il più antico documento relativo alla tavola per l'altare maggiore del duomo di Siena, commissionatagli dall'Opera dello stesso duomo; nel giugno 1311 essa venne trasportata dalla bottega del pittore alla cattedrale con una festa di cui resta ampia documentazione. Il 3 agosto 1319 il pittore era certamente già morto, perché i figli rinunciarono all'eredità. Da altri documenti si può stabilire che D. morì nel corso del 1318. Se confrontate con quelle relative ad altri artisti contemporanei, le notizie documentarie che si hanno su D. non sono poche: Stubblebine (1979, pp. 191-208) propone cinquanta documenti. Se l'attività matura, che fa capo alla Maestà, da sempre riconosciuta a D., è nel complesso assai ben assestata, sulla ricostruzione dell'attività giovanile hanno pesato negativamente le difficoltà a riconoscergli la Madonna Rucellai. La sua secolare attribuzione a Cimabue, sulla fede di Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 40), che riprendeva un'opinione più antica e la considerava addirittura il capolavoro del grande pittore fiorentino, aveva fatto passare inosservata la pubblicazione, già nel 1790, del documento in cui la Compagnia dei Laudesi commissionava a D., nel 1285, una grande tavola con la Madonna (Fineschi, 1790). Questa carta, pur nota anche a Milanesi (1854), venne presa in considerazione, nell'ambito storico-artistico, soltanto un secolo dopo da Wickhoff (1889); ma anche successivamente molti studiosi continuarono ad avere difficoltà a considerare la Madonna Rucellai come opera di D. e crearono un anonimo Maestro della Madonna Rucellai (Suida, 1905; Cecchi, 1928). Stubblebine (1979, pp. 198-199) ha ipotizzato un soggiorno a Parigi nel 1296-1297, sostenuto dalla traccia documentaria della presenza di un Duch de Siene e di un Duche le lombart nella parrocchia di Saint-Eustache, e la sua ipotesi è stata ripresa con calda convinzione da Deuchler (1984, p. 176). La piccola Madonna dei Francescani, nonostante numerose abrasioni e l'impoverimento della superficie dipinta, ha il fascino di una complessa figurazione in miniatura, che sembra particolarmente congeniale al grande pittore senese. Più strettamente cimabuesca, e quindi più antica, è la grande Madonna in trono della Coll. Gualino nella Gall. Sabauda di Torino. La pala è molto deteriorata, ma certi aspetti si leggono ancora bene, come la cromia particolarissima (per es. il rosso della veste della Madonna è di una rara tonalità amaranto). Questo gusto per il colore raro e prezioso era inconfondibilmente senese e venne portato a livelli insuperabili nella successiva pittura di Simone Martini e dei Lorenzetti; ma già in Guido da Siena e in altri pittori preducceschi si colgono alcuni accenti cromatici carichi, soprattutto dei rossi vinati, che D. riprese. Considerazioni simili si possono fare di fronte al color porpora del panno che copre parzialmente il Bambino della Madonna di Buonconvento (Mus. d'Arte Sacra della Val d'Arbia), purtroppo terribilmente guasta, ma certamente opera giovanile di D., come si capisce meglio dopo il restauro del 1979. Il Bambino è una variante di quello della Madonna Rucellai e nella sua dignità e compostezza maestosa, da piccolo dio antico, fa pensare al classicismo di Arnolfo di Cambio. In rapporto con l'attività del giovane D. vanno visti anche due dipinti di piccolo formato, il cui stato di conservazione terribilmente impoverito non permette che di intuire la loro originaria qualità, senza rendere sicuri della loro autografia: si tratta di una piccola crocifissione (Siena, Pinacoteca Naz., inv. nr. 321) e di un tabernacolo (Cambridge, MA, Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.), anch'esso di formato ridotto, con la Flagellazione e la Crocifissione (sportello sinistro), la Madonna in trono (al centro), S. Francesco stimmatizzato e S. Francesco che predica agli uccelli (sportello destro). Con la grande vetrata circolare dell'abside del duomo di Siena, raffigurante tre episodi relativi alla Vergine (dal basso, Sepoltura, Assunzione, Incoronazione), fra gli evangelisti e i ss. Bartolomeo, Ansano, Crescenzio e Savino, intervengono dei fatti nuovi. La sua attribuzione a D., difficilmente contestabile (anche se è stata contestata), si deve a Carli (1946) e trova riscontro nelle strette affinità, anche di stilemi figurativi, con la Madonna Rucellai e la Madonna di Crevole. I documenti, che non rivelano l'autore, dicono che si tratta di un'opera di poco successiva, a cui si lavorava nel 1287-1288. Naturalmente la si può capire come opera duccesca soltanto tenendo conto della traduzione in una tecnica che non permetteva l'uso di colori così raffinati come quelli della cromia caratteristica del pittore senese e nemmeno di un chiaroscuro così dolcemente modulato, anche se quel poco che resta del modellato a grisaille lascia intravedere un'esecuzione raffinatissima. Il tabernacoletto di Oxford è assai rovinato e non permette di essere inserito con sicurezza tra le opere di Duccio. Invece il trittichetto di Siena (coll. privata), con la Crocifissione al centro, la Flagellazione a sinistra e la Deposizione nel sepolcro a destra, ha rivelato, dopo un recente restauro, le qualità di un'opera autografa, probabilmente di un momento anche più antico della Madonna di Perugia e della piccola Madonna Stoclet, a giudicare dal chiaroscuro ancora allusivo alla pittura compendiaria tardoantica.
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