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Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, Francesco Petrarca, Appunti di Italiano

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, Francesco Petrarca. Contestualizzazione e analisi della poesia petrarchesca

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 05/02/2023

alunna04
alunna04 🇮🇹

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Scarica Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, Francesco Petrarca e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, Francesco Petrarca Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond'io nudriva 'l core in sul mio primo giovenile errore quand'era in parte altr'uom da quel ch'ì sono, del vario stile in ch'io piango et ragiono fra le vane speranze e 'l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, nonché perdono. Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; et del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto, e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno. Irene Merotta 2^B Contestualizzazione “Voi ch'ascoltaste in rime sparse il suono” è un sonetto appartenente alla raccolta poetica de Il Canzoniere dell'intellettuale toscano Francesco Petrarca. Il tema portante del componimento poetico è quello dell'amor cortese, tipico dello stilnovismo. Questo sonetto costituisce il proemio del Canzoniere: spiega quali argomenti verranno trattati, indica i personaggi presenti e le scelte linguistiche dell'autore. Probabilmente fu composto intorno al 1347, durante il secondo ordinamento delle opere della raccolta. L’amore raccontato nasce e cresce attraverso sguardi e poesie che l'autore dedica alla donna incontrata durante una messa tenutasi in periodo di Pasqua (probabilmente il 6 aprile del 1326): Laura. Per tale motivo possiamo definire l'amore tra i due esclusivamente platonico. Riguardo a questa donna non conosciamo nulla, se non l'aspetto fisico: è alta, bionda, occhi azzurri, tutti elementi che suggeriscono l'idea di una donna fortemente stereotipata, evidenziando probabilmente quali caratteristiche dovesse avere la donna ideale a quei tempi. Analizzando il suo nome, si può però attribuire a questa figura femminile un significato differente: la si può infatti associare alla laurea tanto desiderata da Petrarca (poi conferitagli “ad honoris” a Roma nel 1341). Inoltre si può notare che, come ha fatto Dante Alighieri con Beatrice, Petrarca identifica Laura come l'oggetto a cui tanto aspira per tutta la vita e continua a descriverla nel corso degli anni senza però evidenziare alterazioni fisiche e mantenendo alto il suo valore. Inoltre l’anno in cui incontra Laura è un periodo non solo caratterizzato dall’amore ma anche da una profonda riflessione spirituale: Petrarca prende i voti e vive come un chierico laico – erano in molti a non condurre una vita monastica, pur essendo uomini di chiesa, in questo periodo – approfondisce gli studi leggendo vite e opere di Santi ed inizia anche lui a riflettere sulle sorti dell’anima e sul valore della religione.     Il titolo originale de Il Canzoniere è in latino: Rerum Vulgarium Fragmenta, che tradotto significa “frammenti di cose volgari”. Petrarca vuole sottolineare con questa espressione il fatto che ha scelto di scrivere in volgare. Una scelta che poi si è dimostrata essere giusta: nell'epoca in cui Petrarca scrive, la lingua volgare ha raggiunto un certo prestigio ed egli, grazie alla conoscenza profonda del latino, ha saputo renderla (in particolare il volgare fiorentino trecentesco) una lingua aulica, dignitosa e in grado di essere usata per fare poesia. Francesco Petrarca (Arezzo, 1304 – Arqua, 1374) è stato uno scrittore, poeta, filosofo e filologo italiano, considerato il precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, Il Canzoniere. Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei Nella prima terzina invece si rende conto che il suo sentimento lo ha portato ad essere schernito dal popolo. Per questo prova vergogna di sé stesso. È un sentimento che poi lo porta al pentimento (seconda terzina) e alla consapevolezza della vanità delle esperienze terrene. La struttura sintattica delle quartine è molto elaborata. È presente il vocativo d’apertura (voi) seguito da una serie di subordinate, il cui soggetto è spesso l’io. Ci sono infatti molti verbi in prima persona proprio a partire dal verso 2, perché l’autore concentra la sua attenzione sul suo processo interiore, non nominando mai Laura esplicitamente. Le terzine sono introdotte dalla avversativa “ma”, che segna il passaggio ad un momento diverso della vita. Il bilancio tratto nel sonetto è un confronto tra la vita del passato (il tempo dell’errore) e quella del presente (il tempo del pentimento), per cui è essenziale e significativa nella poesia l’oscillazione dei tempi verbali, fra il passato e il presente (“nudriva”, “era”, “fui” – “sono”, “veggio”, “mi vergogno”, “è”). Fin dal sonetto iniziale del libro, Petrarca mette in primo piano quella dimensione del tempo che è centrale nella sua poesia. Petrarca sente angosciosamente il fluire del tempo, che trascina con sé tutte le cose; da qui il senso della precarietà dell’esistere e della vanità delle realtà terrene, che è la nota che chiude il sonetto. Analisi metrica Il testo in questione è un sonetto, composto da due quartine e due terzine di versi endecasillabi: Voi / ch'as/col/ta/te - in / ri/me / spar/se - il / suò/no di / quei / so/spi/ri - ond'- io / nu/dri/va / 'l / cò/re in / sul / mio / pri/mo / gio/ve/ni/le - er/rò/re quan/d' - era - in / par/te - al/tr' - uo/m / da / quel / ch'- ì / sò/no, del / va/rio / sti/le - in / ch' - io / pian/go - et / ra/giò/no fra / le / va/ne / spe/ran/ze - e - 'l / van / do/lò/re, o/ve / sia / chi / per / pro/va - in/ten/da - a/mò/re, spe/ro / tro/var / pie/tà,/ non/ché / per/dò/no. Ma / ben / veg/gio - or / sì / co/me - al / po/pol / tùt/to fa/vo/la / fui / gran / tem/po,- on/de / so/vén/te di / me / me/de/smo / me/co / mi / ver/gò/gno; et / del / mio / va/neg/giar / ver/go/gna - è - 'l / frùt/to, e - 'l / pen/ter/si,- e - 'l / co/no/scer / chia/ra/mén/te che / quan/to / pia/ce - al / mon/do - è / bre/ve / sò/gno. Nella divisione in sillabe sono presenti numerose sinalefi (indicate con -), la vocale A B B A A B B A C D E C D E rima incrociata rima ripetuta finale di una parola si fonde con la vocale iniziale della parola successiva formando un’unica sillaba. Analisi retorica Troviamo allitterazioni come:  la ripetizione della lettera F ["favola fui..."]  la ripetizione della lettera M ["...me medesmo meco mi..."]  la ripetizione della lettera V ["...vaneggiar vergogna..."] Nella prima quartina i pensieri sono scritti seguendo il rigoroso ordine degli elementi (soggetto, verbo, ...); mentre nei versi 5-6 (quindi nella seconda quartina) possiamo individuare un chiasmo tra le parole piango-ragiono e speranza-dolore. Sono fortemente contrapposte, ma la loro posizione nel testo permette di ricostruire il verso collegando ogni parola con quella sottostante: piango va abbinata a dolore, mentre ragiono va abbinata a speranza. Nonostante questa struttura sia intricata, la sensazione trasmessa non è irrequieta perché tutto è stato studiato e predisposto secondo criteri ben definiti. Le terzine hanno un andamento più duro e secco rispetto alle quartine: questo cambiamento indica forse gli avvenimenti della vita e il tono più rigido rende l'idea delle difficoltà. La terzina finale è caratterizzata da una struttura a brevi membri, legati dal polisindeto: “e del mio vaneggiar […] e ‘l pentersi, e ‘l conoscer”. L’uso continuo di coordinate (polisindeto) rispecchia il percorso dell’esame interiore. Analisi tematica Le parole chiave sono sicuramente quelle appartenenti al campo semantico del vano, che domina la seconda quartina (“vane speranze”, “van dolore”). Un altro campo semantico è quello della vergogna e del pentimento, che dominano invece le ultime due terzine (“mi vergogno” – “vergogna”, “pentersi”, “conoscer chiaramente”). Analisi del contesto Un altro sonetto contenuto nel Canzoniere è “Erano i capei d’oro a l’aura sparsa”, composto tra il 1339 e il 1347. Erano i capei d’oro a l’aura sparsi che ’n mille dolci nodi gli avolgea, e ’l vago lume oltra misura ardea di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi; e ’l viso di pietosi color’ farsi, non so se vero o falso, mi parea: i’ che l’esca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di subito arsi? Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma; e le parole sonavan altro che, pur voce umana; uno spirto celeste, un vivo sole fu quel ch’i’ vidi: e se non fosse or tale, piaga per allentar d’arco non sana Anche questo sonetto, proprio come il proemio della raccolta di opere a cui appartiene, è formato da due quartine e due terzine. Petrarca continua a rappresentare due diversi momenti della sua vita alternando passato e presente. Infatti, usando i tempi verbali al passato, il poeta descrive come era il suo amore per Laura, ma anche come si presentava e come appariva la stessa in un periodo lontano al momento in cui l’autore compone il sonetto. Usa l’imperfetto e il passato remoto, per descrivere il primo incontro con Laura. Utilizza invece il presente quando descrive il cambiamento dell’amata, sia nell’aspetto fisico che nell’atteggiamento nei suoi confronti. Nelle due quartine emerge la collocazione di Laura nella natura. Inoltre la bellezza della donna non è irreversibile, è invece terrestre, quindi destinata a scomparire con la vecchiaia. Nelle altre due terzine la donna viene infatti descritta come un angelo e come qualcosa di soprannaturale paragonabile ad un dea. Laura assume gli aspetti di un’apparizione sovrumana, con alcuni elementi tipici della “donna angelo”, di tradizione stilnovista. Tuttavia, nelle ultime due terzine il sentimento passa dall’allegria alla tristezza e al dolore per via dell’invecchiamento della donna amata e dello sfiorire del suo bell’aspetto; in particolare l’attenzione del poeta si sofferma sul colore e l’aspetto dei capelli della sua donna. Ciò accade anche in “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”: infatti, gli ultimi versi della poesia hanno un andamento più secco. A B B A A B B A C D E D C E rima incrociata rima sciolta
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