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Volontaraito pdf stampare, Sintesi del corso di Diritto del Lavoro

volontariato, diritti, valori antonella occhino

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 29/07/2016

salvocchipinti
salvocchipinti 🇮🇹

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Scarica Volontaraito pdf stampare e più Sintesi del corso in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Volontariato, diritto e modelli organizzativi Introduzione (PROF. OCCHINO) Il volontariato, come fenomeno riferibile alla persona che spontaneamente tiene un comportamento in società, ha acquistato in tempi recenti diffusione e visibilità sociale molto maggiori che in passato. 
 La trasformazione più evidente si deve al fatto che il volontario si presenta sempre più spesso come colui che, anziché aiutare direttamente le persone in difficoltà, opera tramite una organizzazione, la quale a sua volta offre alla società civile o sul mercato i beni e servizi di cui vi sia bisogno.
 Parallelamente si è venuta sviluppando una legislazione sul "terzo settore", che ha posto condizioni normative di favore per i gruppi organizzati che si avvalgono dell'attività di volontari. Questo fenomeno del volontariato organizzato si è sviluppato in coerenza a precisi modelli incentivati dal legislatore nell'ambito del no profit: enti a struttura associativa ma anche enti a struttura cooperativa.
 Tra questi occorre selezionare di volta in volta quelli che operano come imprese sul mercato, perché in tal caso si tratta di enti tenuti al rispetto della disciplina che presiede alla tutela della concorrenza; mentre la partecipazione dei volontari all'attività dell'ente comporta comunque una diminuzione dei costi normativi ed economici di gestione.
 La zona intermedia del volontariato, pur interrompendo l'alternativa classica tra l'obbligo e la cortesia, si pone all'attenzione del giurista come punto di osservazione di concetti quali quelli di: pretesa, attesa, affidamento, responsabilità, protezione, bisogno, aiuto, spontaneità, libertà.
 Il fondamento valoriale deve rappresentarsi entro il disegno costituzionale, e quindi incentrarsi sulla dignità della persona.
 Si tratta infatti di una quantità di azioni non egoistiche ma altruistiche, messe in opera ogni giorno da tante persone per le motivazioni più varie. In risposta a quel richiamo all' "adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà ... sociale" che l'art. 2 Cost. rivolge a ciascuno.
 Tutto ciò fa del volontariato una persona che il diritto, in particolare il diritto del lavoro, non può ignorare. PARTE PRIMA
 Volontariato e relazioni giuridiche 1. Le forme del comportamento altruistico, tra "volontari individuali" e "volontari organizzati" Il lavoro si definisce come una attività umana utile; e in questo senso il comportamento del volontario rientra nel concetto di lavoro, che viene però messo in atto con spontaneità, e non per obbligo (di prestazione).
 La prestazione dedotta "deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore" e pertanto il comportamento di adempimento per definizione deve configurarsi come utiliter datum rispetto all'interesse del creditore.
 Il grado di spontaneità, che è essenziale al comportamento del volontario, può presentarsi tuttavia in forma attenuta per la presenza di vincoli da ricostruire in proporzione al grado di affidamento riconoscibile in capo alla persona bisognosa; il volontario risponde con il suo agire ad una attesa che prelude ad un facere della persona che altro non è se non una risposta ad una attesa rispetto alla liberazione del bisogno.
 L'interpretazione giuridica non può che seguire l'osservazione del fenomeno sociale. Ed esso si presenta, nel caso del volontariato, in modo assai diverso a seconda che l'attività del volontariato corrisponda ad uno stile di comportamento "singolo/individuale/libero" o invece "organizzato" in base ad una "relazione associativa" eventualmente riconoscibile a priori tra il volontariato ed una organizzazione che faccia da tramite tra lui stesso e la persona destinataria del suo aiuto.
 Sul piano quantitativo: il comportamento di aiuto immediato tende a manifestarsi in modo sia episodico sia costante, in base al sentimento che anima il volontariato nel tempo del suo stare vicino alla persona bisognosa; mentre il comportamento volontario mediato dalla partecipazione della persona ad una organizzazione di volontariato tende ad attuarsi in modo costante, sia rispetto alla liberazione dal bisogno del terzo destinatario della offerta di beni e servizi da parte dell'organizzazione, sia rispetto all'attività di ciascun volontario nell'ambito dell'organizzazione stessa. 2. Volontariato e vincoli giuridici: il modello della obbligazione senza prestazione L'assenza del vincolo obbligatorio riferibile alla attività del volontario non può venir meno né quando la sua attività da episodica si faccia costante né quando essa si presenti in forma mediata da una organizzazione.
 Il caso del volontario individuale risponde apparentemente meglio a questo schema assolutamente negativo della costituzione di un obbligo di prestazione: perché la sola relazione evidente è quella diretta tra lui stesso e la persona aiutata; e perché l'aiuto, episodico o costante che sia, se simulatorio di un rapporto obbligatorio avente ad oggetto le prestazioni, porterebbe l'interprete a chiudere immediatamente il capitolo "volontariato" per aprire il capitolo “lavoro". 1 La differenza consiste nella duplice circostanza che: a) il volontario organizzato intrattiene con una organizzazione-tramite una relazione nella quale esistono obblighi di prestazione, ma tipicamente associativi: come può darsi quello avente ad oggetto il pagamento di una quota annuale di iscrizione o reciprocamente l'invio dell'avviso di convocazione dell'assemblea annuale; 
 b) le relazioni da individuare sono comunque tra tre soggetti: il volontario, la persona destinataria di aiuto e l'organizzazione.
 L'appartenenza ad una organizzazione di volontariato determina allora sì l'installazione di obblighi di prestazione a contenuto associativo; ma non trasforma il facere spontaneo del volontario in un facere preteso. 
 L'attesa non si farà mai pretesa. E la spontaneità deve potersi osservare in ogni atto a maggior ragione quando essa tenda a risultare attenuta perché l'attività si protrae nel tempo, ovvero quando il comportamento sia tenuto in modo organizzato e costante.
 Non si fuoriesce dalla logica dei rapporti di cortesia. Si introduce una zona normativa intermedia dove il volontario si stacca sia dalla figura della persona cortese, sia dalla figura della persona obbligata alla prestazione; dove deve potersi realizzare un equilibrio tra la serietà dell'impegno del volontario e l'affidamento sulla sua generosa attività. 
 Come fare? Tramite la giustificazione della categoria concettuale e normativa della obbligazione senza prestazione, si è consolidato un meccanismo argomentativo che ha permesso di fondare una responsabilità contrattuale (da inadempimento, ma ribattezzata "per violazione della relazione", applicabile a tutte le "situazioni relazionali" del diritto privato), quand'anche non sussista l'obbligazione di prestazione; la sua assenza non impedisce la costituzione di reciproci vincoli protettivi. Ciò si registra in determinate ipotesi: il comportamento del medico, della pubblica amministrazione ecc; alle quali può iscriversi anche il facere del volontario. A conferma che non basta la prestazione per originare l'obbligazione, il volontario esprime compiutamente un modello dove il facere non risponde ad obbligazione alcuna, bensì determina una situazione relazionale complessiva che pure il diritto privato prende in considerazione, per riconoscere agli agenti la tutela del loro affidamento a che, secondo buona fede, i rischi insiti nella loro attività siano protetti. Quanto al contenuto del vincolo protettivo, si tratterebbe ad esempio di sanzionare il comportamento del volontario che, spontaneamente decidendo di non prestare l'aiuto atteso, non si premuri di proteggere la persona bisognosa mettendola nelle condizioni di non procurarsi altrimenti l'aiuto necessario.
 Il modello della obbligazione senza prestazione, riferito al fenomeno del volontariato, permette di giustificare l'origine di una serie di obblighi di protezione, i quali garantiscono dai rispettivi rischi: - quello della persona bisognosa di restare senza aiuto; 
 - quello del volontario di non essere tutelato ad immagine di un lavoratore, se pur in forma minore; 
 - e quello dell'organizzazione di non riuscire a coprire con continuità l'erogazione delle opere e dei servizi nel settore oggetto di interesse (in ragione della sua posizione di erogatori a o addirittura di impresa che opera nel mercato come ente a tutela di situazioni di bisogno altrui). 
 Il contenuto di questi obblighi di protezione si determina a partire dalla legge-quadro dal 1991 sul volontariato, o in applicazione della clausola della buona fede. 
 Nel caso trilaterale tra volontario e organizzazione è riconoscibile un rapporto di protezione reciproca, mentre entrambi sono obbligati a proteggere le persone bisognose. Rispetto a queste si tratta, per l'organizzazione, dell'impegno a sostituire il volontario che si assenti e a fare in modo che l'attività di più volontari impegnati nella medesima opera o servizio si attui in modo ordinato; e, per il volontario, dell'impegno a consentire realisticamente la sua sostituzione in caso di assenza e a comportarsi in modo coordinato con gli altri volontari in modo da rendere effettiva la liberazione dal bisogno altrui. 3. L'ipotesi della compatibilità tra gratuità e subordinazione Gli studi sul lavoro gratuito e sul volontariato spesso prendono spunto dal dettato dell'art. 2094 c.c., dove la relazione tra persona e lavoro risulta codificata entro i termini di un contratto che trova causa nello scambio tra la promessa di un comportamento di collaborazione versus la promessa di una retribuzione, secondo lo schema classico dei contratti a prestazioni corrispettive. Muovendo dal concetto minimo di volontariato come comportamento che realizza spontaneamente una attività umana utile, la dottrina si è mossa alla ricerca dei suoi possibili inquadramenti giuridici.
 Il quesito si è sviluppato secondo due percorsi alternativi: 
 - in termini di sussunzione del lavoro del volontario nel contratto di lavoro subordinato di cui all'art. 2094 c.c., tramite sottrazione della retribuzione ivi prevista o dalla fattispecie o dagli effetti normativi; 
 2 3)  In terzo luogo è stata considerata la possibilità di ricondurre l'attività del volontario ad una prestazione corrispondente al contenuto dell'obbligazione di un contratto di lavoro subordinato nullo o annullato (art. 2126 c.c.), almeno nei casi in cui si riconosca in concreto l'esistenza di un contratto; senza considerare però che la stessa norma, mediante un ragionamento a contrario, induce a ritenere che la retribuzione sia elemento insopprimibile tra gli effetti del contratto di lavoro subordinato, stante la dizione per la quale al prestatore di lavoro subordinato viene assicurato "in ogni caso" il "diritto alla retribuzione", a fronte della invalidità del contratto, persino se "la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa" se "il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro". 
 
 4)  Altrimenti è stato direttamente il legislatore a regolare talune tipologie di lavoro non retribuito, escludendole implicitamente dall'area del volontariato. E così si ammette l'esclusione o la riduzione del compenso in caso di tirocinio formativo (stage) e di praticantato alla luce del fatto che l'attività dello stagista si inquadra in un rapporto di reciproca utilità non con una persona bisognosa ma con un'organizzazione produttiva; argomento che può valere per i praticanti e per i lavoratori socialmente utili.
 Ma si tratta di tipologie legali predefinite alle quali non possono assimilarsi i troppi casi di "semi volontariato" che inquinano il panorama. 7. Il ricorso all'art. 1322 c.c. e gli interessi del volontariato: tra contratto contra legem e contratto atipico. Sempre nella convinzione che occorra negare la compatibilità tra gratuità e subordinazione, la dottrina ha percorso un seconda strada, nella quale si è prospettato che il lavoro del volontario sia qualificabile nell'ambito dell'art. 1322 c.c.: dove da un lato, al primo comma, si apre alla libera determinazione del contenuto del contratto "nei limiti imposti dalla legge", mentre al secondo comma, si chiude alle parti la possibilità di "concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico". - Secondo una prima prospettazione, l'art. 1322 c.c. è stato valorizzato per la previsione del suo primo comma e per questa via si è giunti a ritenere da un lato che il contratto sia da ritenersi nullo perché contra legem e d'altro lato che si possa qualificare la relazione in concreto alla stregua di un contratto di lavoro subordinato tout court (oneroso), se ve ne siano gli estremi. - In una seconda prospettazione, l'art. 1322 c.c. è stato valorizzato per la previsione del suo secondo comma; con un ritorno implicito, però, alla ipotesi della compatibilità tra gratuità e subordinazione, riformulata ponendo attenzione al dato della meritevolezza degli interessi perseguiti dai contraenti. Le soluzioni individuate sono diverse. > Per una dottrina la spontaneità sarebbe pregiudicata dalla presenza di interessi patrimoniali. > Per altra dottrina la presenza di interessi patrimoniali non impedirebbe di ricondurre l'attività del volontario ad un valido negozio gratuito atipico ex art. 1322, 2 comma, c.c., benché caratterizzato da una sorta di "incostanza causale". Secondo questa seconda ricostruzione emergerebbero due diversi insiemi causali gratuiti. Da un lato si ravvisano ipotesi di assunzione dell’obbligazione lavorativa gratuita per interesse non patrimoniale (presso istituzioni di assistenza e cura, lavoro dei religiosi al di fuori della propria comunità di appartenenza e volontariato di protezione civile). 
 D'altro lato sarebbero riconoscibili ipotesi di assunzione dell'obbligazione lavorativa gratuita per interesse patrimoniale (nella prospettiva di essere istituiti eredi dal beneficiario ovvero di essere adottati, sposati). Per mantenersi spontanea, l'attività del volontario deve risultare esente da qualunque attesa da parte di questi di ogni sorta di contro-comportamento, a restauro dell'equilibrio; poiché altrimenti verrebbe meno la gratuità stessa a vantaggio di uno schema contrattuale in qualche modo sinallagmatico, che dissimulerebbe proprio il contratto di lavoro subordinato di cui all'art. 2094 c.c. Questo fenomeno dell'attesa del contro-comportamento è osservabile diffusamente nell'ambito del contesto familiare ma anche di contesti collaborativi quali una comunità politica o sindacale. In giurisprudenza prevale l'orientamento secondo il quale si riafferma la presunzione di gratuità del lavoro reso affectionis vel benevolentiae causa, nonostante l’eventuale rivelazione di tali speranze. PARTE SECONDA
 Volontariato e modelli organizzativi 8. Il volontariato nella Costituzione. La logica organizzativa tra realizzazione della persona solidale e aiuto alla persona bisognosa. Sul piano costituzionale, la relazione di proporzione - che si instaura tra la riduzione della spontaneità del volontariato e la valorizzazione della fiducia che le persone bisognose nutrono nel suo intervento - si colloca all'incrocio dei piani della solidarietà e della sussidiarietà.
 5 Il fondamento del volontariato si radica nell'art. 2 Cost., poiché si tratta di una operazione di attuazione progressiva dei principi ivi racchiusi, con riferimento sia alla parte in cui si impegna la Repubblica a riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, in modo da assecondare la richiesta di rapporti interpersonali della persona e di permetterle il completamento del suo disegno di sviluppo in collegamento con l'idea pluralista; sia alla parte in cui la Repubblica impegna le persone all'adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà", anche "sociale". L'operazione interpretativa sulle forme giuridiche privatistiche non può prescindere dalla rilevazione dell'esistenza di un modello costituzionale di realizzazione personale e spontanea della persona solidale, entro il quale i vincoli di protezione si sviluppano e si spiegano a titolo di obbligazioni senza prestazione, di protezione, senza nulla togliere alla spontaneità della relazione che lega il volontario alla persona bisognosa destinataria della sua attività.
 In fondo sul piano costituzionale il contratto di lavoro subordinato dell'art. 2094 c.c. è un meccanismo di realizzazione personale che trova rispondenza sul piano dei valori costituzionali nella libertà di iniziativa economica altrui e che quindi si modella coerentemente sulla obbligatorietà e sulla corrispettività; mentre la giustificazione dell'attività spontanea della persona a favore degli altri presuppone che rivelino interessi diversi, in una logica pur sempre organizzativa. Quel che resta al fondo dell'agire umano è così ancora il principio di libertà della persona; fermo che la libertà può trovare espressioni tanto nella versione egoistica quanto in quella altruistica dell'equilibrio di interessi relazionali, e in modo più perfetto forse nella alternanza dei due momenti, entrambi costituzionalmente presenti alla tavola dei valori e meritevoli di essere realizzati.
 La chiave ultima di lettura di queste relazioni è racchiusa nell'incipit dell'art. 3 Cost., che apre sul principio di eguaglianza a partire dal dato che tutti "hanno pari dignità sociale": la libertà dell'agire umano include l'ipotesi che restituire la dignità alle persone bisognose elevando la propria di persone bisognose solidali è un modo costituzionalmente alto di garantire l'eguaglianza nella società. 9. Le ricostruzioni della dottrina dopo la legge-quadro sul volontariato del 1991. Il volontariato e la relazione associativa con l'organizzazione. Alla luce delle legge-quadro sul volontariato (legge n. 266/1991) la dottrina ha approfondito la differenza tra il trattamento normativo del volontario individuale e quello del volontario organizzato. Non convince il tentativo di razionalizzare l'attività del volontario organizzato entro un "tipo di convenzione che rimane distinta dal contratto". Piuttosto sono condivisibili le tesi che hanno ravvisato la fonte dei vincoli nella relazione contrattuale di tipo associativo che lega il volontario all'organizzazione, ovvero nel "rapporto sociale". 
 L'idea non è quella di applicare al comportamento del volontario il contenuto lavoristico di contratti aventi ad oggetto lo svolgimento collettivo di attività di impresa, dove il lavoro può essere dedotto in obbligazione di prestazione; bensì quella di comprendere la figura del volontario organizzato là dove lo svolgimento collettivo di attività di impresa dipenda da un contratto diverso dal contratto di società e dal contratto di associazione in partecipazione. = Si deve differenziare il caso in cui il lavoro è dedotto come obbligazione di prestazione in una realtà organizzativa da quello in cui esso si colloca in una realtà organizzata per mediare l’attività di volontariato. Risale a Menghini la considerazione che l'area associativa si presenta come un punto di osservazione privilegiato per la comprensione anche in chiave giuridica del fenomeno del volontariato. Più di recente sono state presentate almeno tre nuove ricostruzioni, nelle quali si ritrova la medesima idea: 1)  in una prima ricostruzione, che si pone in coerenza con l'ipotesi della incompatibilità tra gratuità 
 e subordinazione, il "lavoro gratuito" viene ricondotto ad una "fattispecie negoziale atipica" coerente alle organizzazioni orientate al perseguimento di finalità altruistiche, configurandosi quindi come un contratto associativo fondato sulla affectio societatis ed avente ad oggetto la promessa di un facere caratterizzato da personalità, continuità e coordinamento. 
 
 2)  Per una seconda ricostruzione l'alternativa al contratto di lavoro subordinato tout court può consistere nel contratto di associazione, costitutivo di un vincolo associativo che, legando il volontario all'organizzazione, determina un rapporto obbligatorio nel quale il lavoro trova corrispondenza non nella funzione di sostentamento ma in una diversa funzione di realizzazione della persona. 
 Coerentemente si ritiene che il lavoro gratuito dedotto in obbligazione entro il contratto associativo non implichi l'applicazione di alcuna tutela lavoristica. 
 
 3)  Per una terza ricostruzione la natura obbligatoria dell'impegno del volontario dipenderebbe da una causa negoziale incentrata sulla solidarietà entro il rapporto giuridico ideato dal legislatore nella legge n. 266/1991, in base al quale, pur in assenza di contratto, si costituirebbe un vincolo giuridico tra il volontario e l'organizzazione, a titolo di effetti, quantomeno fondati sulle clausole generali di buona fede e correttezza. 6 10. Il "privato sociale", o "terzo settore": verso un modello misto di interventi di aiuto alla persona. Le trasformazioni sociali e normative sul modo di perseguire il benessere sociale hanno determinato un'evoluzione che si riassume nel passaggio da un sistema di welfare state ad un sistema misto di convergenza degli interventi pubblici e di quelli del "privato sociale" nell'offerta di servizi alla persona: un passaggio segnato dalla interazione tra il principio di solidarietà e il principio di sussidiarietà, costituzionalizzato nella nuova formulazione dell'art. 118.4 comma. Cost. (dopo la novella operata dalla legge cost. n. 3/2001).
 È in questo modello misto che trova posizione, tra Stato e mercato, tra pubblico e privato, il terzo settore, il privato sociale, come settore attraverso il quale le formazioni sociali operano in attività - economiche e non - che si caratterizzano per la presenza di una finalità non lucrativa, ovvero in attività no profit, anzi not for profit.
 La legislazione che si è sviluppata sulle organizzazioni di volontariato a partire dalla legge n. 266/1991 ha proposto la via dell'utilizzo di modelli organizzativi differenziati, nonostante il fondamento costituzionale del fenomeno possa radicarsi nell'art. 18 Cost.
 Nell'ambito della promozione del terzo settore, il volontariato organizzato è stato interessato da una ricca legislazione speciale di segno promozionale, incentivante, dai contenuti però talvolta frammentari e contingenti, che si è sviluppata a sostegno delle diverse forme organizzative in relazione alla valutazione operata dal legislatore sulla meritevolezza delle loro finalità perseguite, facendone una sorta di "enti di privilegio" in cambio della applicazione di regole di tipo formale e procedurale sulla costituzione e sulla pubblicità e della soggezione periodica a taluni poteri di controllo.
 In queste realtà organizzative finiscono per coabitare le forme del lavoro volontario, del lavoro oneroso (subordinato ma anche autonomo), del lavoro associativo, e quelle del lavoro cooperativo. La stessa legge sulle ONLUS d.lgs. n. 460/1997 ammette che l'organizzazione si avvalga di dipendenti in regime di subordinazione alle stesse condizioni normative ed economiche degli altri soggetti che operano sul mercato, se si eccettua qualche attenuazione quando il datore no profit è "di tendenza".
 Per il perseguimento delle finalità ideali l'ente non può utilizzare forme intermedie tra onerosità e gratuità (il "semivolontariato"), pur dovendosi ammettere in via di principio che una stessa persona impieghi il suo tempo in parte adempiendo ad un obbligo di prestazione e in altra parte per cortesia.
 In relazione alle diverse tipologie di rapporti lavorativi che l'organizzazione può intessere sono almeno tre gli aspetti rilevanti: 1)  quello formale della tipologia di inquadramento; 
 2)  quello relativo alle potenzialità occupazionali che possono svilupparsi da questa legislazione 
 incentivate. In proposito la disciplina sulle ONLUS si ispirava all'intenzione di incentivare queste forme organizzative (anche) sul presupposto che ciò avrebbe favorito indirettamente l'apertura di nuovi settori produttivi e quindi un certo grado di sviluppo occupazionale. 
 3)  il risparmio di gestione degli enti "privilegiati" e la compatibilità di questa situazione con il diritto antitrust, si pone la questione del rapporto tra l'intervento dell'organizzazione e il principio della libera concorrenza, in ragione del fatto che le organizzazioni che offrono servizi anche parzialmente tramite l'attività di volontari non sopportano del tutto il relativo costo normativo ed economico. 
 Nulla quaestio solo quando tramite il volontariato si offrono beni e servizi alla società civile non sul mercato, bensì gratis o a prezzo simbolico, secondo una modalità di gestione che non può dirsi economica ma erogatoria.
 Ma se il fenomeno del volontariato implica l'offerta sul mercato di beni e servizi tramite attività anche parzialmente riconducibili a quelle di impresa, ne deriva che l'ente che gestisce l'attività opera, per questa parte, al pari delle altre imprese, e però a costi inferiori, ponendo quindi una questione di alterazione della concorrenza sul mercato. 11. Volontariato organizzato e impresa no profit alla prova del diritto antitrust. Rispetto al diritto antitrust, il punto di partenza è rappresentato dai vincoli procedurali che presiedono all'aggiudicazione degli appalti pubblici derivanti dalla direttiva CE/2004/18. La chiave del problema sta nella natura economica dell'attività svolta e quindi della qualità di impresa dell'ente.
 Proprio con riferimento all'ordinamento italiano la Corte di Giustizia ha esaminato a due riprese la questione, ammettendo in entrambi i casi la legittimità della sottrazione delle convenzioni stipulate dall'ente pubblico con organizzazioni di volontariato rispetto alla disciplina sull'aggiudicazione degli appalti pubblici. In una prima pronuncia, resa in via pregiudiziale, la Corte ha avallato il comportamento della Regione Lombardia che limitava al no profit l'erogazione delle prestazioni socio-assistenziali in convenzione. Nella seconda pronuncia, resa in via principale, la Corte ha giudicato conforme al diritto antitrust il comportamento della Regione Toscana che aveva concluso un accordo-quadro per la gestione del servizio di trasporto sanitario con le ASL e con le principali organizzazioni di volontariato territoriali, scelte direttamente senza rispetto di alcuna procedura.
 7 Si tratta di associazioni che si costituiscono con la "finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale". Vi rientrano le associazioni riconosciute e non riconosciute, ma anche "i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni, costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi", escluse quelle che perseguono un fine egoistico degli associati, quali, sospesamente, "i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria e tutte le associazioni che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici degli associati".
 14. L'area delle strutture cooperative e la figura del "socio volontario": dalle cooperative sociali alle INLUS, passando per le ONLUS. Nell'area delle strutture cooperative si collocano altre figure: le cooperative sociali e le INLUS.
 Queste sono disciplinate dal d.lgs. n. 155/2006, che ha previsti per una serie di enti la possibilità di trasformarsi in “IMPRESE SOCIALI", acquisendone così l'etichetta, senza perdere la propria struttura originaria e quindi, salva la disciplina introdotta, senza perdere quella speciale propria.
 Possono acquisire la qualifica di impresa sociale, infatti, secondo l'art. 1, "tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale", e che presentino determinati requisiti: 1- il voler realizzare l'utilità sociale secondo la doppia nozione alternativa dell'operare entro un determinato settore o dell'operare al fine dell'inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati; 2- l’operare in assenza dello scopo di lucro; 
 3- l’operare secondo le regole sulla struttura proprietaria e di disciplina dei gruppi ispirate a criteri di democraticità e trasparenza anche contabile.
 Il carattere "principale" dell'attività risulta dal dato quantitativo: è quella "per la quale i relativi ricavi sono superiori al 70% dei ricavi complessivi dell'organizzazione che esercita l'impresa sociale".
 Restano escluse le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni che limitano l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipi, poiché resta fermo che il fine dell'attività deve qualificarsi in termini altruistici. Lo scopo altruistico porta ad escludere dal relativo campo di applicazione sia le imprese individuali, sia quelle lucrative, sia infine quelle egoistiche, quali le imprese eventualmente gestite da sindacati e partiti.
 Vi possono rientrare, però, anche gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, ai quali, peraltro, la disciplina si applica solo con riguardo allo svolgimento delle attività di utilità sociale, con il solo vincolo dell'adozione di un regolamento che replica le norme sulle INLUS e che per tali attività siano tenute separatamente le scritture contabili. Dopo aver previsto che "ai lavoratori dell'impresa sociale non può essere corrisposto un trattamento economico e normativo inferiore a quello previsto dai contratti e accordi collettivi applicabili", si dispone che "salva la specifica disciplina per gli enti (ecclesiastici e/o religiosi, n.d.a.), è ammessa la prestazione di attività di volontariato, nei limiti dei 50% dei lavoratori e qualunque titolo impiegati nell'impresa sociale". Il modello che ha fatto da sfondo è quello della cooperativa sociale.
 Il volontario che opera per una cooperativa può configurarsi come un volontario individuale o, normalmente, come un "socio volontario", da distinguersi dal "volontario associativo".
 Il "socio volontario" è inquadrabile come un'altra specie del genere del "volontario organizzato" accanto al "volontario associato".
 La legislazione sulle cooperative lo interessa per due aspetti: 
 1) entro quale misura la legislazione incentivi e/o tolleri la sua attività per la cooperativa: : si prevede che "gli statuti delle cooperative sociali possono prevedere la presenza di soci volontari che prestino la loro attività gratuitamente”; che i soci volontari "sono iscritti in un'apposita sezione del libro soci" e che il loro numero non può superare la metà del numero complessivo dei soci. 
 2) quali aspetti di tutela lo interessano: si prevede che ai soci volontari non si applicano i contratti collettivi e le norme di legge in materia di lavoro subordinato ed autonomo, ad eccezione delle norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. 
 -> È a metà strada tra il modello della cooperativa sociale e quello della INLUS che si collocano le ONLUS, "enti non commerciali e organizzazioni non lucrative di utilità sociale", destinatari a loro volta di una disciplina fiscale di favore a partire dal d.lgs. n. 460/1997. 10 15. Alcune tutele del volontario nei diversi modelli legislativi. Il volontario è integrato nel funzionamento delle diverse organizzazioni, sul piano legislativo, secondo gradi progressivi, che vanno da posizioni di valorizzazione piena ad una condizione di mera tolleranza. Proporzionalmente il ruolo del volontario decresce rispetto all'aumento della parte imprenditoriale dell'attività finalizzata agli scopi dell'organizzazione. La legislazione ha disciplinato diversamente la figura del volontario a seconda che si tratti di un "volontario associato" o di un "socio volontario".
 Il VOLONTARIO ASSOCIATO ha diritto ad essere coperto da un contratto di assicurazione privata stipulato dalla organizzazione di volontariato contro i rischi per la salute (oltre che ad un contratto di assicurazione privata per la copertura della responsabilità civile verso terzi ed al rimborso delle spese); mentre il SOCIO VOLONTARIO rientra nel campo di applicazione della disciplina ordinaria in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali. La frammentarietà del campo di applicazione delle rispettive discipline hanno convinto parte della dottrina ad avanzare ipotesi di estensione interpretativa analogica in parte di discipline di tutela previste per alcuni volontari e non per altri, in parte di discipline lavoristiche tout court. Questo secondo caso è stato ipotizzato solo in corrispondenza a contenuti di attuazione di diritti fondamentali della persona, come per la tutela della maternità e per i riporsi. 
 L'ipotesi della estensione di discipline "da volontario a volontario" può spiegarsi in via interpretativa anche verso una parificazione delle tutele che metta al riparo la legislazione settoriale da profili di incostituzionalità per violazione del principio di eguaglianza.
 L'ipotesi della estensione di discipline "da lavoratore subordinato a volontario", invece, sconta l'ostacolo concettuale della natura cortese del rapporto tra il volontario e la persona bisognosa. 
 Nei riguardi delle cooperative sociali e delle organizzazioni di volontariato della protezione civile, ivi compresi i volontari della Croce Rossa Italiana e del Corpo Nazionale soccorso alpino e speleologico, e i volontari dei vigili del fuoco le disposizioni del decreto legislativo in materia di sanità e sicurezza dei luoghi di lavoro sono applicate tenendo conto delle particolari modalità di svolgimento delle rispettive attività, (individuate entro il 31 dicembre 2010 con decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Dipartimento della protezione civile e il Ministero dell'interno, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro). 
 Ove il volontario svolga la propria prestazione nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro, questi è tenuto a fornire al volontario dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti in cui è chiamato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; e egli è altresì tenuto ad adottare le misure utili ad eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi da interferenze tra la prestazione del volontariato e altre attività che svolgano nell'ambito della medesima organizzazione. = L'idea comune che fa da sfondo a queste ipotesi è quella di legittimare un processo si estensione delle tutele lavoristiche al terzo settore in misura proporzionale al riconoscimento ordinamentale della "meritevolezza del fine". Si tratta di operazioni dottrinali che possono risultare anche utili a preparare il terreno culturale per un intervento legislativo di parificazione pur parziale delle tutele tra volontari e tra volontari e lavoratori, auspicato da parte della dottrina. 11 16. Altruismo e socialità: una revisione di significato. Con l'acquisizione dell'etichetta di INLUS per una serie di enti del terzo settore, introdotta dal d.lgs. n. 155/2006, si sono determinate le condizioni per una revisione del significato della qualità sociale dell'attività, e di seguito per una revisitazione del modo di considerare il lavoro dei volontari nell'ambito delle attività dell'ente, in parte incentivato e in parte tollerato. Preso alla lettura e in senso generico, il concetto di socialità indica che una attività è svolta secondo una finalità altruistica, senz'altra precisazione. Ma di attività altruistiche ve ne sono almeno due tipi: quelle dove l'altruismo coincide con una azione a beneficio della collettività e quelle dove esso consiste nell'aiuto specifico ad una persona svantaggiata. Entrambi questi tipi di attività altruistica compaiono sia nella definizione dei fini che rendono "sociale" un'impresa. Il d.lgs. 155/2006 ha allargato la nozione di socialità rispetto al passato. Si ammette che la qualifica di INLUS possa essere assunta tanto dalle cooperative sociali, quanto da quelle non sociali. Tuttavia, solo per le prime è stata prevista una specifica modalità di acquisizione dell’etichetta (tempo 1 anno per modificare gli statuti in modo compatibile).
 Le ONLUS possono acquisire l’etichetta di INLUS alle stesse condizioni degli altri enti.
 Dubbia è invece la possibilità che tale qualifica sia acquisita anche dalle imprese di promozione sociale in quanto il divieto non è espressamente contemplato ma, esse sono una species delle organizzazioni di volontariato a cui invece è precluso espressamente l’acquisto. FINE 1
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