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volume 1 fondamenti romanistici diritto europeo, Sintesi del corso di Diritto Romano

Riassunto volume 1 fondamenti romanistici del diritto europeo

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica volume 1 fondamenti romanistici diritto europeo e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Romano solo su Docsity! 1 PARTE PRIMA CAPITOLO I IL SISTEMA CONTRATTUALE ROMANO FORMAZIONE E CONSOLIDAMENTO TRA III SECOLO a.C. e III d. C. Il settore dei contratti si sviluppa nell’esperienza giuridica romana a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. grazie all’attività dei magistrati e all’interpretazione dei giuristi. *per attività dei magistrati si intende quella esercitata dal pretore urbano, pretore peregrino (funzionario pubblico che si occupava delle controversie tra cittadini romani e stranieri), edili curuli (affari condotti nei mercati cittadini). Originariamente il contenuto dell’editto del pretore urbano differiva in modo piuttosto da quello del pretore peregrino, data la diversità delle giurisdizioni; tuttavia nell’arco di 100 anni si assiste alla loro progressiva uniformazione, che si estende poi anche a quello dei governatori delle province. Il complesso di norme giuridiche, di carattere processuale, da loro introdotte costituisce il diritto onorario contrapposto al diritto civile, derivante dagli antichi mores e da altre e diverse fonti. L’editto dei pretori svolge un ruolo fondamentale nella formazione e nello sviluppo del diritto contrattuale romano, rivelandosi uno strumento estremamente duttile, quasi un codice aperto, destinato ad essere adeguato in modo costante alle esigenze concrete della società. Dalla seconda metà dello stesso III secolo a.C. emerge prepotentemente nella creazione del diritto contrattuale anche l’attività interpretativa dei giuristi, da intendere non come una mera applicazione del diritto vigente, ma come produzione di nuovo diritto, traendolo da principi e disposizioni già esistenti nel diritto civile o in quello onorario. Già nell’ultimo secolo della Repubblica la giurisprudenza romana aveva creato una vera e propria scienza del diritto, anche dopo l’instaurazione del regime imperiale, i giuristi mantengono a lungo nelle proprie mani le leve del diritto grazie alla loro competenza ed autorevolezza. Si perde invece l’originario carattere aristocratico di questa scientia, dal momento che il giurista membro della nobiltà senatoria cede il posto al 2 giurista funzionario membro del consilium. Cambia anche lo scenario cui si rivolge l’opera della giurisprudenza, passando dal più ristretto ambito cittadino ed italico all’intero mondo romano. Sempre più stretto diviene il collegamento tra potere imperiale e giuristi, attraverso tale collegamento la giurisprudenza riesce ad orientare il peso crescente della legislazione imperiale come fonte di diritto e ad armonizzarla con l’ordinamento esistente. Il diritto giurisprudenziale ci è stato tramandato dai frammenti raccolti nel Digesto. Tra queste ricordiamo: -le opere di carattere casistica-problematico (epistulae,responsa,digesta,quaestiones,disputationes) dove l’attenzione si concentra sulla soluzione di singole fattispecie, raccolte in rassegne di casi vari o fittizi; tra i digesta il lavoro più noto fu quello fatto in 90 libri di Silvio Giuliano, in quanto in esso alla trattazione dei casi si accompagnavano analisi di approfondimento scientifico; -commentari al diritto civile, raccolto nei 18 libri di Quinto Mucio e nei tre libri di Massurio Sabino, ed al diritto onorario; -opere didascaliche ed isagogiche (institutiones,manualia,regulae,definitiones, sententiae,opiniones) rivolta all’insegnamento ed alla formazione dei giuristi, dove si forniscono nozioni elementari e basilari. Fra queste ultime la più importante che ci è giunta in modo integrale è costituita dalle Institutiones di Gaio. Passando ora ai contenuti, il tentativo più risalente di definire un contratto risale a Labeone, secondo il quale andava identificato nella creazione di obbligazioni corrispettive e collegate funzionalmente, lasciando sullo sfondo l’elemento soggettivo dell’accordo tra le parti. A questa definizione se ne contrappone un’altra, che sarà destinata a prevalere, dovuta al giurista Sesto Pedio per il quale “non ci può essere nessun contratto e nessuna obbligazione che non abbia in sé una convenzione”. Muovendo da questa nozione la giurisprudenza sul finire del I secolo d.C. era giunta a fissare i cardini del sistema contrattuale romano, mettendo al centro l’elemento dell convenzione, da cui sarebbero potuti discendere: -un contratto tipico, rientrante in una delle quattro categorie reali, verbali e letterali e consensuali; 5 contemporaneamente espunge la categoria dei contratti letterali e conserva i riferimenti alle categorie contrattuali miste. Anche il Codice si mantiene nel solco del regime sviluppatosi durante il Principato, per quanto riguarda i contratti tipici, quelli innominati ed i nudi patti, ma è nel contempo quella parte della codificazione dove si riflettono maggiormente le nuove tendenze. Oltre all’inclusione della costituzione di Leone sulla stipulazione, di quella di Giustiniano sulla sua incorporazione documentale e di quelle relative ai patta legitima, ampio spazio è dedicato ai requisiti dei documenti contenenti gli atti giuridici, spesso imposti per la loro stessa validità in aggiunta ai fini probatori. Breve quadro del diritto dei contratti nel periodo altomedievale (V-X secolo) In una prima fase corrispondente ai secolo V-VII, all’interno dei Regni romano-barbarici sono emanate raccolte di norme, denominate Codici o Leggi o Editti, destinate ad applicarsi o a tutti gli abitanti del regno su base territoriale o più spesso su base personale secondo l’origine etnica di chi ne faceva uso. Particolare è la legislazione realizzata nel regno dei Visigoti: essa comprende il Codice Euriciano, la legge Romana dei Visigoti ecc… questo tipo di raccolte ha esercitato un ruolo chiave nel mantenere in vita, a livello consuetudinario, il diritto contrattuale romano in ampie zone della penisola iberica e del sud della Francia, con effetti prolungati anche nei secoli successivi, ed allo stesso tempo ha rappresentato un modello per la redazione in latino degli usi e costumi di provenienza germanica. In Italia la situazione si presenta ancor più complessa perché all’intrecciarsi fra diritto romano e consuetudini germaniche si aggiunge anche l’estensione della codificazione giustinianea. Nei secoli successivi fino all’XI, il quadro generale appare ulteriormente intricato. Le due esperienze giuridiche di maggior spicco, la longobarda nell’Italia centro-settentrionale e la franca nel centro-nord della Francia, pur producendo corpi normativi di un certo spessore, come l’editto dei re longobardi ed i capitolari franchi, continuano ad essere dominate dalla personalità del diritto e conseguentemente dalla pluralità di ordinamenti mal coordinati tra di loro. Altro elemento di varietà è il diritto della Chiesa. L’ Alto Medioevo 6 segna l’inizio di una marcata divisione della tradizione giuridica europea tra i territori corrispondenti a quelli del vecchio Impero romano d’Occidente e delle regione confinanti del più vasto mondo germanico, ed i territori orientali soggetti alla sovranità di Costantinopoli. In questo quadro i contratti sono racchiusi in documenti. La documentazione contrattuale, che si sovrappone all’oralità ed alle altre formalità tradizionali proprie dei barbari aveva finalità sostanziali e non solo probatorie. Alcune nuove figure negoziali derivano dalle consuetudini barbariche, altri derivano dal contratto feudale, nei territori assoggettati dai bizantini la disciplina dei contratti è contenuta nella legislazione greco-romana che si sostituisce alla codificazione giustinianea, restando così in massima parte immune dalle contaminazioni barbariche, diversamente da quanto accade in Occidente. Il diritto contrattuale nella scienza giuridica bassomedievale (secoli XI-XV) Negli ultimi decenni dell’XI secolo ha inizio un ampio processo di rinnovamento e trasformazione della società europea, che determina anche una rinascita della scienza del diritto, che ruota intorno alle due grandi figure di Irnerio e di Graziano ed ha come fulcro l’università di Bologna. La loro opera pone le basi per la genesi ed il successivo sviluppo del diritto comune romano-canonico, il cui studio, insegnamento ed applicazione pratica si protrarranno fino alle codificazioni del XIX secolo. Il diritto comune è espressione dei due grandi poteri universali ed ha come base i loro rispettivi Corpi normativi: civilistico e canonistico. Il primo non segue la ripartizione giustinianea, ma ne adotta una nuova, in base alla quale si opera una suddivisione in cinque parti: digesto vecchio , digesto inforziato, digesto nuovo, codice, volume parvo (che a sua volta si compone :- dei tre libri rimanenti del codice, - delle istituzioni, -dell’autentico ,-delle costituzioni di imperatori medievali, - e dei due libri di diritto feudale, -del libro della pace di Costanza. Il corpus iuris canonici risulta invece articolato in sei parti: - decreto di Graziano diviso in tre parti dove è raccolto materiale eterogeneo di provenienza sia ecclesiastica che laica; -libro extra;- libro sextus; - 7 clementine; - extravagantes; - extravagantes comuni. I due ordinamenti, pur formando insieme un unico diritto universale, restano sempre distinti, imponendo ai giuristi, sia civilisti che canonisti, di realizzare un loro coordinamento sulla base della diversa sfera operativa. Accanto al diritto comune la nascita di istituzioni cittadine (i Comuni) ed entità territoriali autonome rispetto all’impero comporta la creazione di ordinamenti speciali e distinti. Si produce così una contrapposizione tra un diritto di carattere universalistico, lo ius commune, applicabile a tutti e tanti diritti particolari gli iura propria, vincolanti invece solo per i membri delle comunità. Nel pensiero della scienza giuridica si passa da una concezione più antica in cui il diritto comune era considerato superiore ad una concezione più matura e pragmatica secondo la quale la precedenza va riconosciuta agli iura propria che costituiscono ordinamenti autonomi dove il diritto comune può svolgere un ruolo sussidiario. Al centro della rinascita giuridica della fine del XI secolo si pongono i glossatori di Bologna. Questi attraverso il loro metodo scientifico, incentrato su annotazioni poste al margine dei testi attribuiscono una propria autonomia al diritto separandolo dalla retorica. Il diritto elaborato dai Glossatori è di carattere giurisprudenziale, nel senso che è creato da giuristi, i quali si propongono di trarre dai testi giustinianei le linee fondamentali di un sistema giuridico attraverso una cernita e classificazione degli stessi, realizzata a seguito di un’attività di esegesi e spiegazione. Il giurista funge da mediatore fra il testo romano e chi lo deve comprendere per studiarlo ed applicarlo poi in concreto. La successiva scuola dei Commentatori si pone in continuità con quella dei Glossatori ma in più realizza una trattazione sistematica di norme ed istituti in esse contenute. Suo inventore è ritenuto Cino da Pistoia. I risultati dell’opera dei Commentatori sono esposti nei loro Trattati, un genere letterario nuovo rivolto a fini scientifici, didattici e pratici: il diritto viene ricostruito secondo categorie logico-dogmatiche per facilitarne la comprensione, l’apprendimento, l’applicazione concreta. In una prospettiva ribaltata rispetto a quella dei Glossatori, la scuola del Commento assegna un ruolo prioritario ai diritti particolari, riconoscendo al diritto comune una posizione sussidiaria. La tecnica interpretativa, con cui si redigono i Trattati e si esprimono i pareri 10 obbligazioni ed una parte seconda sulle successioni, mentre il diritto pubblico forma oggetto di una trattazione separata. -Robert-Joseph Pothier il quale scrive moltissimi lavori di carattere sia generale che monografico: tra i primi spiccano, nel campo che qui interessa le Pandette raccolte in un nuovo ordine ed il Trattato delle obbligazioni, dei secondi ricordiamo quelli sui contratti di vendita, locazione, mutuo, mandato e società. Parallelamente le teorie giuridiche e gli insegnamenti più razionali investono anche il diritto consuetudinario. L’impulso verso questa iniziativa di raccolta del diritto consuetudinario è favorito dalla monarchia francese ed ha come pietra miliare l’opera di Bourjon (il diritto comune della Francia e la consuetudine di Parigi ridotti in principi). Alla volontà regia risale anche la voglia di rendere autonomo il diritto commerciale rispetto al diritto privato e di sottoporlo ad un rigido controllo statale. Dopo la Rivoluzione francese si decide di procedere alla redazione di un codice civile, affidata a Jean Jacques Regis de Cambaceres, il quale elabora tre progetti: il primo del 1793 di 719 articoli, il secondo del 1794 di 297 articoli ed il terzo del 1796 di 1104 articoli, ma nessuno di questi viene approvato. Nel 1804 si giunge alla redazione del Codice Civile francese redatto da 4 giuristi. Era formato da 2281 articoli, ordinati in un titolo preliminare (della pubblicazione, degli effetti, e dell’applicazione delle leggi in generale) e tre libri (1= delle persone, 2= dei beni e delle differenti modifiche della proprietà, 3= delle differenti maniere in cui si acquista la proprietà). Nel 2006 furono aggiunti un 4 = sulle garanzie ed un 5= sulle disposizioni dei primi quattro libri applicabili all’isola di Mayotte. Rilevanti modifiche al codice furono introdotte nel 2016. Nel 1807 fu approvato un codice commerciale in quattro libri, è ancora in vigore ma fu modificato in nove libri. Dal 1978 esiste anche un codice del consumo che raccoglie la specifica disciplina applicabile ai contratti fra consumatori e professionisti. AUSTRIA Il metodo bolognese di studiare il diritto oltre che nella Francia penetra anche in Austria manifestandosi con la letterature delle differenze o delle concordanze, diretta ad armonizzare il diritto consuetudinario e statuario vigente nei territori austriaci ed a inquadrarlo nella categoria dello ius commune. I primi progetti di codificazione del codice civile risalgono al 1766 con il Codex Theresianus iuris civilis. Le regole in esso contenute erano 11 ispirate al diritto naturale come diritto generale della ragione. Questo progetto non è approvato, ma viene ripreso dal figlio che predispone il codice Giuseppino contenenti disposizioni sui principi generali del diritto e sul diritto delle persone, che entra in vigore nel 1787. Pochi anni dopo la redazione del codice fu affidata a Martini il cui lavoro viene rielaborato e completato da Zeiller nel 1808. Nel 1811 viene approvato il Codice civile generale austriaco, la cui vigenza ha inizio nei soli territori ereditari austriaci e non nel Regno di Ungheria. Si suddivide in un titolo preliminare e tre parti. Il titolo preliminare tratta delle leggi in generale; la parte prima è relativa ai diritti delle persone; la seconda ha ad oggetto i diritti sulle cose, ripartita in una prima sezione sui diritti reali ed in una seconda sui diritti personali sulle cose, che racchiudono le obbligazioni; la terza contiene le disposizioni comuni ai diritti delle persone e delle cose come le garanzie, la trasmissione ed estinzione delle obbligazioni e la prescrizione. Durante il 1800 penetrano nell’impero austriaco gli insegnamenti della scienza tedesca e in particolare della Pandettistica. Risultato di tale penetrazione sono le tre Novelle parziali. Nel campo dei contratti commerciali all’Austria viene esteso il Codice di commercio tedesco del 1900 questo codice è rimasto vigente anche dopo il 1945 fino alla sua sostituzione dal 1° gennaio 2007 con il codice dell’impresa composto da cinque libri. Nel 1979 è stata approvata la Legge sulla protezione dei consumatori contenente la normativa speciale sui contratti conclusi con gli stessi. SPAGNA Anche nella Penisola Iberica si diffonde il metodo di studio Bolognese. Una pietra miliare verso la formazione di un primo ordinamento nazionale è rappresentata nel Regno di Castiglia dalle siete partidas fatte redigere da Alfonso X il saggio per racchiudere ed ordinare disposizione tratte dal diritto romano, canonico, consuetudinario, secondo quest’ordine espositivo in sette parti (partida prima= sulla legge in generale, partita seconda= sul governo e amministrazione pubblica, partida terza= sull’amministrazione della giustizia , partida quarta= sul matrimonio, filiazione, schiavitù, vassallaggio; partida quinta= sui contratti obbligazioni e diritto commerciale; partida sesta= su successioni e tutela; partida settima sul diritto penale. In seguito il nipote di Alfonso X emana l’ordenamiento de alcala de Henares. In tale provvedimento si stabilisce una gerarchia tra le fonti del diritto 12 applicabili, mettendo al primo posto le norme delle leggi e dei decreti del re di Castiglia contenuti nell’Ordinamento stesso. La legislazione monarchica centralizzata subisce una serie di aggiornamenti successivi, di cui i principali sono le Leyes de Toro che si pongono come modello delle successive compilazioni: la Nueva Recopilancion e la Novisima Recopilacion. In seguito a Salamanca si sviluppa la Seconda Scolastica. Con l’invasione francese al Regno di Spagna si applica il Codice civile napoleonico che viene però abrogato quando la Spagna riconquista l’indipendenza. Inizia così la redazione del codice spagnolo solo nel 1889 si arriva ad avere un codice profondamente influenzato dal modello francese distribuito in quattro libri e preceduti da un titolo preliminare. Questo codice è ancora in vigore, ma non sostituisce le compilazioni del diritto civile locale. In materia commerciale, il processo di compilazione e poi di codificazione si rivela più facile e rapido proprio per la scarsa incidenza del diritto consuetudinario locale. Una prima regolamentazione statale si ha con le Ordenanzas de Bilbao seguite da un Codice di commercio tale codice viene sostituito dal codice di commercio del 1885. Nel settore della contrattazione con i consumatori si applica la legge dei consumatori ed usurai del 2007. GERMANIA Il metodo di studio bolognese arriva anche in Germania. La persistenza dei diritti locali dovuti alla frammentazione politica dell’Impero accanto al diritto comune determina la nascita sul finire del XVI e nel corso del XVII secolo di un nuovo metodo di studio ed applicazione del diritto privato. Si tratta di un metodo fortemente orientato alla pratica e finalizzato da un lato a risolvere le questioni giuridiche lasciate lacunose dai diritti locali tedeschi, avvalendosi dei principi tratti dal diritto romano, attualizzati e raccolti secondo una sistematica migliore e dall’altro sforzandosi di inquadrare tali diritti nelle categorie del diritto comune. Nella seconda parte del XVII secolo l’usus modernus sfocia nel giusnaturalismo, propugnatore sul piano giuridico di un ordinamento ideale, ispirato alle massime perennemente valide del diritto naturale. In ambito germanico i più grandi fautori di questo pensiero sono: Pufendorf, Thomasius, Wolff. Per quanto riguarda le prime codificazioni 15 dell’incompletezza dove al giudice si impone di decidere, nei casi non previsti dalla legge, secondo la consuetudine e in mancanza di essa secondo la regola che egli adotterebbe come legislatore attenendosi alla dottrina ed alla giurisprudenza più autorevoli. L’approvazione del Codice civile impone un’armonizzazione e adattamento del precedente codice delle obbligazioni, che si realizza in pochi anni con l’elaborazione di un nuovo testo nel 1911. Il rinnovato Codice delle obbligazioni per quanto si configuri come autonomo costituisce il quinto libro del codice civile. Entrambi i codice entrano in vigore nel 1912. La disciplina contrattuale connessa alla protezione del consumatore è contenuta una serie di leggi. In generale si può notare che vengono recepite molte informazioni espresse nelle direttive dell’unione europea, pur non essendo la Svizzera obbligata a farlo visto che non fa parte dell’UE. ITALIA In Italia la vera svolta si ha con l’estensione del Codice civile francese del 1804. La sua influenza permane anche dopo la Restaurazione, rappresentando il modello per i Codici civili preunitari del Regno delle Due Sicilie, del Ducato di Parma, del Regno di Sardegna. Nel regno longobardo- veneto, in quanto parte del regno d’Austria, vigeva il codice austriaco mentre una codificazione civile era assente nel Granducato di Toscana e nello Stato Pontificio. Il primo Codice civile unitario è quello del 1865 in tre libri: un titolo preliminare relativo alle disposizioni sulle leggi in generale; il diritto delle persone, il diritto dei beni, della proprietà e delle sue modificazioni ed infine i modi di acquisto e di trasmettere la proprietà r gli altri diritti sulle cose. A partire dal 1880 la scienza giuridica italiana orientata verso quella francese si proietta verso quella tedesca. Il risultato delle sovrapposizione tra queste due culture è il Codice civile del 1942 diviso in sei libri 2969 articoli precedute dalle disposizioni generali. Le materie sono così ordinate: le persone e la famiglia, le successioni e la donazione, la proprietà i diritti reali e il possesso, le obbligazioni ed i contratti, del lavoro, della prescrizione. In esso si relaziona l’unificazione dei precedenti Codici civili e commerciali. In questo settore ai Codici di commercio preunitari ricalcati sul modello francese era succeduto prima il Codice di 16 commercio del 1865 e poi il Codice di commercio del 1882 esteso in quattro libri fino all’entrata in vigore del codice del 1942. Altra peculiarità è il Codice della navigazione del 1942 mentre il settore della contrattazione con il consumatore è disciplinato dal Codice del consumo approvato nel 2005. PORTOGALLO Secondo un’evoluzione simile a quella spagnola, anche nel Regno di Portogallo, fondato nel 1143 dopo un periodo in cui prevale il diritto consuetudinario forale si realizzano alcune raccolte normative. Le più antiche sono le Ordenacoes Manuelinas e le Ordenacoes Filipinas. In seguito viene emanata la Legge della Buona ragione che esclude dal ruolo di fonte sussidiaria il diritto canonico, la Glossa. Dopo la parentesi napoleonica, anche in Portogallo la realizzazione di una propria codificazione civile è lenta e travagliata. Alla fine Antonio Luis de Seabra, giurista e professore dell’Università di Coimbra elabora un progetto di Codice Civile che viene approvato nel 1867. La sua struttura presenta aspetti di originalità rispetto al modello francese: è diviso in quattro parti (1= trattava della capacità civile, trattando il diritto delle persone della famiglia; 2= acquisto dei diritti con una ripartizione in tre libri; 3= disciplinava la proprietà e i diritti reali, 4=atteneva alla lesione dei diritti ed alla sua riparazione e si componeva di due libri. Nel XX secolo il diritto portoghese subisce l’influenza del diritto tedesco e in misura minore anche di quello italiano. Si elabora un nuovo Codice civile nel 1966 in cinque libri: parte generale=primo libro, il diritto delle obbligazioni = secondo libro, il diritto delle cose = terzo libro, il diritto di famiglia = nel quarto, il diritto delle successioni= quinto. In materia commerciale il processo codificatori è più rapido: nel 1833 si realizza un codice di commercio poi sostituito dal codice commerciale del 1888. La materia delle società è trattata nel codice delle società commerciali. La disciplina della contrattazione dei consumatori è invece raccolta nella Legge di difesa del consumatore. OLANDA (PAESI BASSI) 17 Anche nei Paesi Bassi penetra il diritto comune grazie allo studio nelle Università. Agli inizi del XVII secolo spicca la figura di Grozio che propugna un diritto naturale basato sulla ragione non solo nelle relazioni tra individui, ma anche in quelle tra Stati. Due sono i libri più importanti:del diritto di guerra e di pace, introduzione alla scienza del diritto olandese. Durante lo stesso secolo ed agli inizio del XVII fiorisce il diritto romano-olandese, le cui basi sono formate dall’unione dell’Umanesimo giuridico di provenienza francese con l’usus modernus delle Pandette di origine germanica. Il progetto di una codificazione nazionale viene affidata a Nicolai, questo progetto viene approvato nel 1838 dando vita al codice civile disposto in quattro libri: delle persone (primo libro),proprietà, diritti reali e successoni (secondo libro), delle obbligazioni (terzo), delle prove e della pescrizione (libro quarto). Gli inizi del XX secolo fa maturare l’idea di procedere ad una nuova codificazione. Il cammino verso la realizzazione si rivela molto più lungo e faticoso e solo dopo la seconda guerra Mondiale comincia a concretizzarsi. Viene concepito un nuovo Codice Civile con un piano originale molto diverso dal precedente, diviso in 10 libri: libro primo sulle persone e sulla famiglia, libro secondo sulle persone giuridiche, libro terzo sul diritto patrimoniale in generale, libro quarto sulle successioni ereditarie, libro quinto sui diritti e sulle cose, libro sesto sulla parte generale e sul contratto, libro settimo su alcuni contratti tipici, libro ottavo sul diritto dei trasporti, libro nono sul diritto delle proprietà intellettuali, libro decimo sul diritto internazionale privato. L’approvazione dei singoli libri è cominciata dagli anni settanta del novecento. Il linguaggio è complesso e riservato solo ai giuristi. In esso è raccolta sia la materia civile che commerciale, abrogando definitivamente il Codice di commercio del 1838. Nel codice civile sono racchiuse anche la normativa in materia di contratti con il consumatore. L’ORDINAMENTO INGLESE L’ordinamento inglese è caratterizzato dal common law nato dalle sentenze pronunciate dalle Corti che formano la Curia Regis con sede a Londra ed articolate in: 20 Nel febbraio del 2003, la Commissione Europea ha dato avvio ad un piano specifico, il cui scopo era quello di realizzare una migliore coerenza nel diritto contrattuale europeo, assegnando un ruolo fondamentale ad un Quadro Comune di riferimento. Lo scopo avrebbe dovuto essere quello di promuovere l’applicazione uniforme per facilitare le transazioni trasfrontaliere e suggerire ai legislatori nazionali un complesso di regole modello. Per la realizzazione del DCFR la Commissione Europea ha deciso di finanziare una ricerca triennale affidandola ad una rete di ricercatori divisi in due gruppi. Il DCFR è diviso in tre parti: -dieci libri di regole modello, - una parte separata di Principi e - un annesso relativo alle definizioni. Nella parte dei principi si delineano quattro principi informatori consistenti nella libertà, sicurezza, giustizia ed efficienza; le regole-modello sono racchiuse in 10 libri e si configurano come regole di soft law. Le definizioni hanno la funzione di suggerimenti per favorire lo sviluppo di un linguaggio giuridico ed una terminologia uniformi a livello europeo. Questo progetto ha mosso diverse critiche: -l’eccessiva correlazione tra attività economiche e forme giuridiche,-l’esclusione dalla prospettiva di una futura integrazione di interi settori giusprivatistici,- l’assenza di una chiara formulazione dei Principi direttivi, - l’eccessivo ricorso a clausole generali come la buona fede e la ragionevolezza. LA PROPOSTA DI REGOLAMENTO EUROPEO SU UN DIRITTO COMUNE EUROPEO DELLA VENDITA DEL 2011 E LA RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO DEL 26-2-14 L’11 ottobre 2011 è stato presentato una proposta di regolamento comprendente il progetto di Diritto comune europeo della vendita. Le Autorità europee sono perfettamente consapevoli che sussistono ancora notevoli ostacoli alle attività economiche trasfrontaliere, uno dei più importanti ostacoli è rappresentato dai costi delle transazioni contrattuali, che si sono rivelati di notevoli proporzioni. Così il principale scopo della Proposta di un Diritto comune europeo della vendita è stato quello di ridurre in modo significativo gli ostacoli ed i costi attraverso un complesso di regole uniformi in materia di diritto contrattuale, che prescindesse dal luogo di residenza delle parti. Così il diritto 21 contrattuale si sarebbe armonizzato senza modificare il diritto nazionale preesistente. Questo però avrebbe trovato applicazione per i contratti trasfrontalieri solo su base volontaria, a seguito di un esplicito accordo. Il Diritto comune europeo della vendita ne prevede tre tipi: contratti di vendita, contratti di fornitura a contenuto digitale e contratti relativi ai servizi predisposti da venditore in stretta e diretta connessione agli specifici beni venduti o al contenuto digitale fornito. I contratti di vendita si riferiscono a quelli aventi ad oggetto beni mobili. I contratti di fornitura a contenuto digitale riguardano il suo trasferimento destinato ad attività di archiviazione e gestione dei documenti. I contratti relativi ai servizi sono quelli connessi strettamente e direttamente alle merci vendute o al contenuto digitale fornito, che il venditore predispone in via normale combinandoli con quelli di vendita o di fornitura. La proposta di regolamento non contemplava l’introduzione di regole relative ai contratti misti ossia non rientranti in queste tre categorie. Siccome il diritto della vendita era diretto a regolare i contratti trasfrontalieri si è previsto di valutare la natura trasfrontaliera di un contratto sulla base della residenza abituale dell’imprenditore e dell’indirizzo generale o di consegna delle merci per il consumatore. Infine il contenuto del Diritto comune sulla vendita è diviso in otto parti: due parti si occupano di contratti, le altre sei parti si occupano di materia generale attinente alla disciplina del contratto. Se compariamo il Diritto comune europeo della vendita con il progetto di quadro comune di riferimento possiamo constatare che dal primo sono escluse rilevanti materie del settore contrattuale e delle obbligazioni quali l’invalidità di un contratto per mancanza di capacità ecc… Anche il Progetto di Diritto comune europeo della vendita ha suscitato molte riserve e molte critiche: hanno in particolare sottolineato la contraddizione fra la scelta di inserire questo regime giuridico in un regolamento e la base volontaria della sua applicazione per i contraenti, l’omissione di importanti settori nel diritto contrattuale. Durante il 2013 il contenuto della Proposta è stato ampiamente discusso dalle Autorità dell’Unione Europea: da un lato, la Commissione di giustizia ed il comitato per gli affari giuridici erano fortemente intenzionati a sottoporlo al parlamento europeo così come era stato redatto senza 22 cambi; dall’altro la Commissione per il Mercato Interno e la Protezione dei Consumatori riteneva preferibile limitarlo ai soli contratti di vendita tra imprenditori e consumatori. La prima posizione ha finito con il prevalere ed il 26 febbraio 2014 il parlamento europeo, in prima lettura, ha adottato una Risoluzione in cui la Proposta di Regolamento è stata accolta in tutte le sue Parti, ma con notevoli modifiche, tra cui la più importante appare quella di limitarne l’ambito alle trasformazioni trasfrontaliere per la vendita di merci, per la fornitura di contenuto digitale e per i servizi correlati condotte a distanza e in particolare on- line. LA STRATEGIA DEL MERCATO UNICO DIGITALE E LE NUOVE PROPOSTE DI DIRETTIVE SUI CONTRATTI DI VENDITA ON- LINE E DI FORNITURA DI CONTENUTO DIGITALE. La Commissione nel dicembre 2014 decide di ritirare la Proposta, rilanciando nello stesso tempo un Programma di lavoro 2015 diretto realizzare un unico mercato digitale europeo. Si voleva fondare il mercato unico su tre principi:- miglioramento dell’accesso on-line ai beni e servizi in tutta Europa per i consumatori e per le imprese, - creazione di un contesto favorevole affinché le reti e i servizi digitali possano svilupparsi, - massimizazzione della potenziale di crescita dell’economia digitale europea. In questa strategia è previsto per il diritto contrattuale un ruolo di primo piano, che si è per ora concretizzato principalmente in due proposte direttive: la prima composta da 21 articoli, riguardanti determinati aspetti dei contratti di vendita on-line e di altri tipi di vendita a distanza di beni, la seconda è relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale. In entrambe si fa riferimento alla contrattazione fra imprenditori e consumatori. PARTE SECONDA CAPITOLO I BUONA FEDE E CORRETTEZZA DIRITTO ROMANO 25 entrambi le parti e alla stipulatio o la expensi latio, che fanno nascere l’obbligazione a carico di una sola. Scevola: in questo testo Tizio,erede di Sempronio, vende a Setticio un fondo ereditario nella stessa condizione giuridica che aveva presso il dante causa e gliene trasmette il possesso, senza però indicargli i confini. Di fronte al quesito se l’acquirente possa pretendere giudizialmente l’esibizione dei documenti ereditari per conoscere la condizione giuridica del fondo ed i suoi confini, il giurista dà il responso che bisogna dapprima considerare l’intenzione delle parti, ma, ove questa non risulti, che il venditore debba esibirli ed indicare i confini, perché ciò è consono ad un contratto di buona fede. DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO ANTERIORE ALLE CODIFICAZIONI Come nel diritto romano anche nel diritto medievale e moderno la bona fides riveste diverse funzioni: -nelle obbligazioni implicite connesse a quelle espressamente assunte dalle parti; - nella loro esecuzione in osservanza all’impegno assunto; - nel divieto di trarre vantaggio da un comportamento fraudolento o sleale. La prima risulta in evidente continuità con il diritto romano al fine di integrare il contenuto dei contratti di buona fede e si trova costantemente espressa da tutto il pensiero giuridico dei Glossatori. Accanto ad essa, la base romanistica emerge con chiarezza anche in riferimento alla funzione della buona fede quale criterio di valutazione, da parte del giudice, dell’esecuzione dei contratti fondati su di essa. Tale valutazione apre però nuovi scenari, in quanto permette di tenere conto anche di circostanze impreviste, dell’impossibilità di adempiere entro il termine e di reprimere quei comportamenti che ad essa sono contrari, quali il dolo o la violenza morale. Ad essi possiamo aggiungere anche esponenti della scuola Culta, come Donello, le cui parole si rivelano particolarmente chiare nel sottolineare le finalità della funzione della buona fede. Egli nel suo commentario al Codice di Giustiniano afferma che si aprono prospettive nuove: innanzitutto nasce e si sviluppa l’idea che la buona fede sia immanente ad ogni tipo di contratto. Su tale atteggiamento incidono, da un lato, l’aequitas canonica e dall’altro, la prassi commerciale del Basso Medioevo e la conseguente riflessione giuridica sui contratti consuetudinari del diritto commerciale e marittimo; questi ultimi, infatti, implicavano che la loro esecuzione dovesse essere conforme alla bona fides. Punto di arrivo dei contratti di buona fede è 26 rappresentato dal gisnaturalismo come discende dalle parole di Pufendorf: la stessa ragione naturale mostra che i contratti onerosi sono di buona fede, ossia ammettono un’interpretazione più larga in base all’equo e al buono. Inoltre si accentua la contrapposizione tra buona fede e dolo e sulla base di un’affermazione di Ulpiano si costruisce la categoria dell’exceptio doli generalis che nel diritto comune viene elevata a rimedio processuale di carattere generale, di cui dispone il convenuto per opporsi all’esercizio malizioso e contrario alla buona fede di un diritto che l’attore faceva valere in giudizio. GLI ORDINAMENTI EUROPEI E MODERNI Nel testo originario del Code Napoleon si riconosceva alla buona fede un ruolo abbastanza circoscritto:-come parametro per garantire l’esecuzione dell’accordo dei contraenti nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali; - come elemento integrativo dell’assetto di interessi deciso dalle parti, sia pure nell’ambito più ampio della nozione di equità. In seguito un ampliamento della buona fede lo ritroviamo oltre nel progetto preliminare di riforma, riproposto in quello redatto dal Ministero della Giustizia è stato infine consacrato dall’ordinanza del regime generale e della prova delle obbligazioni. In essa infatti il nuovo testo dell’art 1104 si configura come una clausola generale di buona fede affermando: che i contratti devono essere negoziati, formati ed eseguiti in buona fede…poi l’art 1194 afferma che i contratti non solo obbligano ciò che è espresso in essi, ma anche a tutte le conseguenze che l’equità, l’uso o la legge attribuiscono loro. Nell’ordinamento spagnolo l’art 57 del codice del commercio per i contratti in esso disciplinati aveva richiamato la buona fede per rendere effettiva l’attuazione della volontà delle parti, inoltre il nuovo testo dell’art 7 del codice civile spagnolo contempla il principio della buona fede oggettiva, estendendola all’esercizio di qualunque diritto. Il Codice civile generale austriaco, si nota l’assenza di un espresso riferimento alla buona fede, ma sulla base del disposto di alcuni suoi paragrafi la dottrina e la giurisprudenza ne hanno ricavato come immanente al Codice stesso un dovere di correttezza ed un conseguente assoggettamento alla buona fede dell’adempimento delle obbligazioni da contratto. Diversamente il codice civile tedesco contiene un’esplicita previsione del principio di buona fede e correttezza quale criterio il cui il debitore deve confermare la propria condotta nell’adempimento della 27 prestazione. Benché riferita alla sola esecuzione della prestazione da parte del debitore, grazie alla sua formulazione generale, questa norma è stata poi la chiave per temperare il rigoroso individualismo originario del Codice, permeando profondamente, per merito della dottrina e della giurisprudenza, l’intero diritto contrattuale tedesco. Da questa origine derivano anche gli istituti, recentemente codificati, del dovere di cooperazione tra debitore e creditore nell’adempimento dell’obbligazione. In una linea simile si pone il Codice civile svizzero, il quale introduce il richiamo alle regole della buona fede nel titolo preliminare, all’art 2, considerandolo una norma fondamentale, derivante da motivazioni etiche, aggiunta alle disposizioni relative ai vari rapporti giuridici per completarne la disciplina e la corretta interpretazione. La giurisprudenza elvetica ha sempre visto nella buona fede valori generali (buon costume, equità) inoltre come nel codice tedesco anche in quello svizzero i giudici sono richiamati al principio di buona fede per:- per colmare le lacune di un contratto secondo come le parti avrebbero previsto l’insieme delle circostanze, - per ristabilire l’equilibrio contrattuale gravemente alterato da circostanze imprevedibili,- per tutelare l’affidamento della controparte nei casi di venire contra factum proprium,-per imporre alle parti contrattuali un dovere di cooperazione. Nel codice civile italiano vigente, pur mancando un articolo corrispondente ad una clausola generale di buona fede oggettiva, esistono numerose disposizioni, che vi fanno esplicito riferimento. Tra di esse gli art 1374 e 1375. Il primo precetto attribuisce all’equità una funzione integratrice del contenuto del contratto. Il secondo si sostanzia in doveri di avviso, informazione, solidarietà e protezione in relazione alle concrete circostanze di attuazione del contratto, la cui violazione dà luogo a responsabilità contrattuale. L’art 1175, posto all’inizio della disciplina generale delle obbligazioni, con cui si impone alle parti un rapporto obbligatorio di comportarsi secondo le regole di correttezza. Altre importanti applicazioni della buona fede le troviamo in tema di trattative contrattuali, di comportamento dei contraenti nello stato di pendenza di una condizione, di interpretazione del contratto, di rappresentanza apparente. Quanto alle codificazioni più recenti, il Codice civile portoghese e quello olandese contengono un esplicito riferimento generale al criterio della buona fede. Per il primo la buona fede rappresenta il principio generale, cui i contraenti devono conformarsi sia nell’adempimento delle loro obbligazioni e nella reciproca cooperazione che ne possa discendere, sia nell’esercizio dei corrispondenti diritti. Nel diritto 30 contrapposte soluzioni emergenti dal ius naturale e ius gentium da un lato, che ne imporrebbero la restituzione, e dal ius civile e ordo legumi dall’altro, che ne stabiliscono invece la confisca, il giurista giunge alla conclusione di ritenere presumibile quest’ultima. Nel secondo caso di deposito un ladro mi ruba delle cose e le deposita presso Sei, che ignora siano mie. A chi vanno restituite? Al ladro secondo buona fede o a me secondo equità? Quest’ultima soluzione appare corrispondere a giustizia, ad ognuno il suo. Entrambi i casi esaminati ci consentono di rilevare che la bona fides viene utilizzata come strumento per far entrare in gioco l’aequitas, al fine di risolvere nel modo più ragionevole le due situazioni esaminate sulla base dei valori sociali correnti. Costituzione Settimio Severo e Caracalla: alcuni schiavi danno mandato di comprare alcuni fondi con il denaro del padrone, a sua insaputa, ed i mandatari li comprano, senza però trasferirli al padrone degli schiavi mandanti. Alla richiesta di quest’ultimo la cancelleria risponde che deve fare riferimento all’azione penale di furto e la condicio furtiva da un lato e all’azione di mandato dall’altro perché l’equità non consentiva che si potesse, nello stesso tempo, perseguire un illecito e chiedere gli adempimenti conseguenti alla conclusione di un contratto di buona fede. Se il dominus intenta l’azione di mandato contro i mandatari, fa suo il contenuto del negozio, ratificando l’operato degli schiavi e reclamando il trasferimento dei fondi comprati nel proprio patrimonio in esecuzione dell’incarico ricevuto; qualora invece preferisca esperire l’azione di furto e di restituzione della somma sottratta, sempre contro i mandatari, vuol dire che non intende ratificare l’operato dei servi e che rinuncia perciò all’azione contrattuale. Anche in questo caso l’aequitas orienta la soluzione più giusta. Per quanto riguarda l’humanitas nel settore contrattuale viene impiegato come valore su cui fondare esiti conformi alla ragionevolezza, nel senso di adeguati alla ragione umana e perciò idonei a bilanciare gli interessi dei contraenti. Si crea uno stretto collegamento tra i criteri dell’humanitas, dell’aequitas e della ratio nell’orientare scelte interpretative e soluzioni. Ulpiano riporta un’opinione espressa da Nerazio: si riferisce ad una vendita, che si era risolta, in quanto il compratore, dopo aver pagato un anticipo del prezzo, non aveva versato la parte rimanente entro il termine perentorio convenuto pattiziamente. In tal caso il venditore avrebbe dovuto restituire l’acconto ed il compratore i frutti. Se però i contraenti avessero convenuto che il venditore fosse esonerato dalla restituzione dell’anticipo, Nerazio era dell’avviso che anche il compratore sarebbe stato conseguentemente sollevato dall’obbligo dei frutti. E questo suo parere era seguito da Ulpiano 31 che lo definiva umano. Rescritto di Diocleziano: in questo testo sulla compravendita di fondi si dichiara humanum che il venditore si veda restituito, per decisione di un giudice, il fondo alienato ad un prezzo minore del suo lavoro oppure che egli consegua dall’acquirente la differenza, ritenendosi minore quel prezzo che non corrisponda nemmeno alla metà di quello vero. Anche l’aggettivo “rationabilis” risulta impiegato in una pluralità di contesti: ad esempio con riguardo all’opinione del giurista Celso su un problema di competenza territoriale, all’interpretazione di una disposizione testamentaria. In tema contrattuale rileva ai fini di intendere il contenuto di un contratto per dargli una giusta esecuzione. Pomponio: la questione trattata riguarda il modo più adeguato di intraprendere il contenuto di un contratto stricti iuris, nella specie una stipulatio conclusa con certe parole da uno schiavo in comunione. Se non suscitava problemi la ripartizione degli acquisti tra i condomini quando il servus si faceva promettere qualcosa indicandoli per nome o facendo riferimento ad essi come suoi padroni, in quanto si dividevano in parti uguali, nella prima ipotesi, e secondo le quote di proprietà, nella seconda poteva invece sorgere un dubbio allorché la stipulatio fosse stata fatta in favore dei padroni indicati per nome. Al giurista appare più ragionevole la prima soluzione. Un altro parametro generale, che si rinviene nelle fonti giuridiche romane, rapportabile all’odierno concetto di ragionevolezza, ma operante su un piano del tutto diverso, in quanto serve ad imputare una responsabilità per colpa, è “quello del buon padre di famiglia”. Nella scienza giuridica romana esso è circoscritto nella sola materia della responsabilità. Pero’ anche il parametro del buon padre di famiglia indica un modello che serve a giudicare in un caso concreto lo standard di comportamento. Venuleio: in questo passo il giurista muove dall’ipotesi in cui sia stata conclusa una stipulazione con la quale il debitore abbia promesso di dare qualcosa in un luogo diverso e distante da quella in cui il contratto si era posto in essere. In tal caso è da ritenersi implicito un termine per l’adempimento che va commisurato da un giudice con una valutazione equitativa, tenendo conto di quello normalmente necessario ad un diligente padre di famiglia per raggiungere il luogo dove aveva promesso di adempiere. Si doveva invece aver riguardo ad una serie di elementi (tempo,salute,età,sesso) alla stregua dei quali persone normali che ne fossero in possesso avrebbero raggiunto il luogo dell’adempimento. Venuleio indica 32 in modo esplicito le circostanze da considerare per qualificare in concreto la condotta del debitore come quella di un diligente padre di famiglia. Gaio: in questo testo di Gaio dopo la conclusione del contratto la cosa viene rubata e si pone quindi la questione di chi debba sopportare il rischio della sua sottrazione. Il primo aspetto per il giurista è se i contraenti avessero concordato qualcosa circa la sua custodia; qualora ciò non fosse avvenuto, il venditore avrebbe dovuto prestare quella richiesta ad un buon padre di famiglia nel trattare le proprie cose. Anche in questo caso il rinvio al buon padre di famiglia si basa sul comportamento più adatto da adottare. DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO ANTERIORE ALLE CODIFICAZIONI Nel periodo medievali nell’ambito contrattuale troviamo sempre gli aggettivi: humana naturalis che si intreccia con i valori delle’equitas, della iustitia, del ius naturale e ius gentium. Summa Theologica di San Tommaso d’Aquino: questo passo costituisce un eloquente esempio della concezione dei rapporti tra ragione e diritto. vi si afferma che la legge, essendo una regola e misura degli atti umani, è qualcosa che appartiene alla ragione, in quanto principio primo. Aquinate: in questo passo precisa che la ratio humana nel creare il diritto, deve necessariamente muovere dai precetti della legge naturale, ritenuti come principi comuni e indimostrabili. Infine si ribadisce che la ragione è qualcosa che compenetra l’assenza di tutte le res humanae: infatti, la giustizia si collega alla regula rationis discendente dalla legge naturale. La conseguenza pertanto è che debba essere conforme ad entrambi i parametri ogni legge posta dagli uomini, si tratti di legge pubblica oppure lex a privatis dicta vale a dire al contenuto del contratto; questa conformità deve esistere nel diritto di tutti i popoli, i cui precetti derivano dalla legge naturale, come le conclusioni dai principi, applicandosi alle compravendite ed senza quali gli uomini non possono convivere. Pontano: qui il giudice riprende un’affermazione fatta da Enrico da Susa, osserva che è rimessa alla valutazione del giudice la decisione circa il carattere razionale di un principio consuetudinario. Baldo degli Ubaldi: nei passi di Baldo degli Ubaldi la ragionevolezza si salda con la nozione di equità, passo fondamentale è quello relativo alla definizione dei concetti di “equità specifica” ed “equità generica”. Punto di partenza del ragionamento del giurista è il carattere iniquo che rivestono alcune norme troppo rigorose, quando producono una medesima efficacia in situazioni che, 35 date dal fatto che non si parla più solo di contratto, bensì di atto. Resta invece identica l’indicazione dei criteri valutativi della natura e dello scopo dell’atto, delle circostanze del caso degli usi e pratiche. LIBERTA’ CONTRATTUALE DIRITTO ROMANO Ulpiano: in questo passo di Ulpiano tratto dal commentario dell’editto De pactis si prospetta un’idea di conventio, intesa come incontro delle volontà delle parti, che costituisce l’elemento indispensabile per l’esistenza tanto dei contratti tanto dei nudi patti. Nei contratti la conventio fa sorgere obbligazioni, quando si traduce in una figura tipica già riconosciuta dall’ordinamento, come la compravendita, la locazione, oppure quando dà vita ad un tipo non corrispondente a quelli già esistenti, purché in tal caso ricorra una causa lecita. Dalle parole di Ulpiano vediamo che il riconoscimento dei contratti innominati si era andato chiaramente delineando in Aristone il quale in risposta a Celso aveva individuato un contratto e quindi una fonte di obbligazione. Il requisito dell’esistenza della causa viene comunemente ravvisato, fin dalla scienza giuridica medievale, nell’avere la controparte eseguito la propria prestazione, anche se non manca chi lo individua nella conventio. I nudi patti vengono definiti da Ulpiano l’accordo o il consenso di due o più persone su una stessa cosa. Accanto all’ammissione di figure contrattuali innominate ed al riconoscimento di una rilevanza giuridica dei nudi patti, un ulteriore e fondamentale strumento di apertura del diritto romano classico verso la libertà contrattuale è rappresentato dall’ampiezza dei possibili contenuti di una stipulatio. Un’ altra breccia nel sistema della tipicità contrattuale del diritto classico è data dall’uso della buona fede oggettiva per l’introduzione di nuove convenzioni. Nerazio Prisco: in questo passo dopo aver riportato nelle frase iniziale il principio pacifico, per cui nei contratti consensuali era consentito ai contraenti il recesso per mutuo consenso prima dell’esecuzioni delle reciproche prestazioni. Il giurista infatti prende in considerazione una compravendita in cui il venditore, che aveva già adempiuto alle sue obbligazioni, e l’acquirente, che non aveva invece ancora pagato il prezzo, convengono che, se quest’ultimo avesse ripristinato la situazione del primo restituendo la cosa ricevuta, avrebbe cessato anche di dovere il prezzo. A questo risultato, di rendere possibile un recesso concordato tra le parti anche quando una di esse avesse già eseguito la propria prestazione. Si è infatti osservato che le parti contrattuali, nel caso in esame, intendono costituire 36 nuove obbligazioni, rivolte a realizzare il recesso dal precedente contratto, non rientrando però in nessuna delle tipiche figure contrattuali basate sul consenso. È evidente come la buona fede operi da parametro per valutare l’ammissibilità di una convenzione, che implicava l’estensione della sfera di applicazione del recesso per consensus contrarius, senza bisogno di rinnovare il contratto con le modifiche concordate. Nel diritto giustinianeo da un lato si accolgono le dottrine dei giuristi classici, attraverso l’inclusione dei loro testi nel Digesto, e dall’altro si riconoscono sul piano normativo le spinte della prassi verso una maggiore libertà contrattuale. Costituzione d’Oriente di Leone: in questo passo vengono abbattuti i formalismi ai fini della validità di una stipulatio. Il suo unico requisito diventa il consenso espresso di entrambi le parti, a prescindere dalle parole con cui fosse manifestato. Institutiones di Giustiniano: tale provvedimento citato sopra rimane confermato anche in Giustiniano. DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO PRECEDENTE ALLE CODIFICAZIONI In un primo momento all’epoca dei Glossatori e dei Commentatori, la distinzione della dottrina romana classica tra contratti e nudi patti resiste ancora nello ius civile, per cui ogni accordo si configura come contratto, bensì solo quelli che assumono una “veste contrattuale”. Azone: in questo passo il giurista parla di sei categorie di vestimenta, che conferiscono all’accordo la forza giuridica di contratto. Per il Glossatore siamo in presenza di un contratto quando si adotta un tipo già riconosciuto all’interno dei contratti reali, verbali, consensuali, letterali conclusi rispettivamente con la consegna di una cosa, l’uso di certe parole, il semplice consenso e l’impiego di certe forme scritte (di derivazione romana), o quando la convenzione costituisce una clausola aggiunta ad un contratto producendo quindi obbligazioni, oppure quando si sceglie un contratto innominato ed una delle parti abbia seguito la propria prestazione. A queste sei categorie se ne aggiunge una settima comprensiva di alcune singole figure di patti che, benché nudi, hanno effetti obbligatori, come il prestito marittimo, la donazione o la promessa di pagare un debito antro il termine perentorio. La settima categoria di vestimenta viene qualificata dalla Glossa accursiana come “convenzioni o pattuizioni vestite per ausilio della legge o del pretore”. La persistenza del binomio contratto/nudo patto si manifesta nei commentari di Bartolo da Sassoferrato al ius civile, nella specie al Digestum vetus, dove 37 un’azione può nascere solo dalle conventiones iuris gentium corrispondenti a figure contrattuali tipiche o anche innominate, quest’ultima solo se rivestite da iusta casta, mentre un tale effetto non è riconosciuto ai nuda pacta, dai quali può derivare una semplice eccezione. Invece a partire dal secolo XIII la distinzione contratti/nudi patti risulta abbandonata nei due importanti settori del ius canonicum e del ius mercatorium. La scomparsa di tale distinzione ha come conseguenza di eliminare la diversità degli effetti tra contratto e nudo patto e di spianare la strada alla libertà delle parti di porre essere nuove figure contrattuali con cui regolare i propri interessi. l’equiparazione tra i due concetti implica che da qualunque conventio possano discendere obbligazioni azionabili in giudizio, a prescindere dalla conformità con i tipi contrattuali che l’ordinamento prevede e disciplina. Nel diritto canonico questo avviene con Giovanni Teutonico in una sua glossa afferma che da un nudo patto nasce un’azione. Baldo: secondo questo giurista un patto benché invalido per diritto civile è valido per diritto canonico, benché sia nudo nel diritto canonico agisce in base ad un nudo patto per ufficio del giudice infatti, il diritto canonico non si preoccupa delle sottigliezze del diritto, ma della sostanza della fede promessa. In questi due testi si riflette l’applicazione del medesimo principio anche nell’ambito del diritto mercantile: pure in esso è la necessità di tutelare la buona fede dei contraenti e l’aequitas mercatoria a rendere effettiva l’equiparazione del nudo patto al contratto. Il Tartagni afferma che è richiesta in sommo grado la buona fede e quindi Ion sede giudiziale dovendo il giudice pronunciare ex bono et aequo risulta del tutto irrilevante ogni distinzione tra nudo patto e contratto di stipulazione. Un’ identica conclusione si incontra nel Toschi che sottolinea come nella curia mercatorum si debbano osservare l’equitas e la bona fides. Nel XIV secolo una legge del re Alfonso XI abroga ogni differenza tra contratti, patti, semplici promesse o qualunque altro mezzo con cui un uomo si obbliga verso un altro, proclamandosi in ogni caso la validità dell’obbligazione assunta e l’impossibilità di opporre all’azione per farla valere l’eccezione della mancanza di una stipulazione, intesa come veste contrattuale tipica. Si tratta di una scelta chiaramente influenzata dal diritto canonico. Fra XIV e XV secolo si rivelano anche tra i civilisti significative aperture nella direzione delle libertà contrattuale, da un lato, ampliando in modo costante l’elenco delle eccezioni al principio dell’inefficacia obbligatoria dei nudi patti, dall’altro, abbracciando nuove teorie come quella del patto geminato per cui 40 RIFERIMENTI NORMATIVI SOVRANAZIONALI E PROGETTI EUROPEI DI CODIFICAZIONE DEL DIRITTO CONTRATTUALE Il principio della libertà contrattuale è posto anche in apertura ai principi Unidroit sui contratti commerciali internazionali. Una libertà che incontra alcuni limiti previsti dai principi stessi quali l’inderogabilità di alcune disposizioni e l’esistenza di normative nazionali restrittive, pubblicistiche e privatistiche, aventi carattere imperativo destinate a prevalere sul contenuto dei Principi. Le norme del DCFR: fin dall’edizione provvisoria del 2008 il Progetto del Quadro comune di riferimento ha operato la scelta di collocare gli articoli relativi all’autonomia contrattuale nelle disposizioni generali del capitolo primo del libro II sui contratti e su gli atti giuridici. Come già nei PECL la formulazione racchiusa nell’art II occupa il secondo posto nell’elenco delle norme preliminari comuni ai contratti, per rimarcarne il ruolo chiave, ma contrariamente ai Principles, dove è collocata subito dopo la norma relativa all’ambito di applicazione degli stessi. Un’ulteriore similitudine con quest’ultimo e differenza con i PECL si può ravvisare nella rubrica dell’art II del DCFR dove non si parla più di libertà contrattuale, ma di autonomia delle parti. Un ampio spazio alla libertà contrattuale è riservato anche nella parte del DCFR riservata ai Principi, dove se ne spiegano il contenuto e le implicazioni. Nel n.3 al Principio direttivo della Libertà si fa coincidere la libertà contrattuale con quella di decidere se concludere o no un contratto con chi concluderlo e quali clausole inserire. CAPITOLO II NOZIONE E FORMAZIONE DEL CONTRATTO DEFINIZIONI DI CONTRATTO LE FONTI ROMANE Labeone: la sua definizione è la più antica, egli contrappone il contractum all’actum, individuando come caratteristica del primo la bilateralità delle obbligazioni che nascevano reciprocamente a carico delle parti denominata con termine greco sinallagma. Perché si potesse configurare un contratto, doveva sorgere tra le parti un reciproco vincolo, ritenendosi perciò essenziale non tanto l’elemento soggettivo dell’accordo, quanto l’esistenza dell’elemento oggettivo del rapporto obbligatorio corrispettivo. Sesto Pedio: per Sesto Pedio requisito fondamentale ed indispensabile per l’esistenza del contratto diviene l’accordo tra le parti, la conventio. 41 Gaio: rivela come la concezione di sesto pedio fosse quella prevalente. Egli afferma infatti che le obbligazioni nascono da un contratto o da delitto individuando poi le quattro categorie di contratti tipici: reali, verbali, letterali e consensuali, di cui soltanto l’ultima forma presenta il semplice accordo di volontà come requisito necessario e sufficiente per il perfezionamento del contratto. Parafrasi istituzioni di Teofilo: si afferma che il contratto è la convenzione ed il consenso di due o più persone, al fine di costruire fra loro un vincolo obbligatorio, da cui sorgerà una responsabilità, se inadempiuto. Questa definizione esprime la precisa coincidenza tra contratto e semplice accordo, riflettendo così la concezione giustinianeo-bizantina del contratto. Appare però discussa la portata di questa definizione: la dottrina prevalente vi vede una teorizzazione del contratto come mera conventio, con il superamento dell’opinione di Pedio secondo cui l’accordo delle parti era l’elemento che doveva necessariamente sussistere in un contratto, ma che doveva, ad eccezione dei contratti consensuali, accompagnarsi ad altri perché si perfezionasse. Altri studiosi ritengono che anche Teofilo continuasse a muoversi nello stesso ordine di idee dei due giuristi classici, ripetendo, in diversa veste, le loro posizioni e la distinzione tra contratto e nudo patto. LA TRADIZIONE GIURIDICA MEDIEVALE E MODERNA PRIMA DELLE CODIFICAZIONI Il nome e l’idea di contratto riemergono nella scienza giuridica europea a cominciare dal XII secolo grazie all’opera dei Glossatori, la cui attenzione, si incentra non tanto sulla definizione di contratto, elaborato da Pedio/Ulpiano con al centro l’elemento della conventio, quanto su quella di patto. Da qui la conseguente distinzione tra patti vestiti e nudi e la diversità dei loro effetti. I nudi patti non facevano sorgere rapporti obbligatori e potevano farsi valere in giudizio solo in via di eccezione; essi venivano così a contrapporsi, nell’ambito del diritto civile, ai patti vestiti, i quali rivestivano a carattere contrattuale, generando obbligazioni azionabili in giudizio. Dunque ad un accordo era riconosciuta la natura di contratto solo in presenza di un rivestimento (vestimentum) che permettesse di qualificarlo come tale. Il sistema dei vestimenta medievali domina il sistema contrattuale del diritto civile fino a tutto il XVI secolo. Per essere sicuri che si fosse perfezionato un contratto, era perciò normale adottare la forma scritta con l’aggiunta di una clausola stipulatoria oppure una forma solenne, come nel caso della donazione. Malgrado alcune attenuazioni della rigidità di questa teoria 42 dovute all’influsso del diritto canonico e del ius mercatorum, nei quali era caduta ogni distinzione tra contratto e nudo patto, quanto agli effetti è solo grazie all’influenza giusnaturalista la scienza giuridica europea accoglie ed applica concretamente il principio il solo consenso obbliga per ogni tipo di contratto. Da quel momento le nozioni che di esso si sviluppano ruotano tutte intorno all’elemento essenziale del consenso. Un primo eco si incontra nelle Practicae conclusiones del Toschi, quando nel sintetizzare un consilium di Giminiano Inghirami sembra generalizzare il concetto romano di contratto consensuale, affermando che si può parlare propriamente di contratto quando interviene un’obbligazione in base al consenso delle parti e che il loro dissenso vizia la stipulazione ed il contratto. Una svolta più decisiva si coglie nell’introduzione alla giurisprudenza olandese di Grozio, almeno nella lettura che gli ha voluto attribuire un ampio filone della scienza giuridica successiva, allorché il grande giurista fa consistere un contratto nel consenso di volontà di due o più persone per utilità reciproca o di un solo. In ambito francese la piena operatività del principio è proclamata da Jean Domat, il quale dopo aver individuato nella convenzione l’elemento accomunante i contratti, i trattati ed i patti, la definisce come consenso di due o più persone per costituire, modifiche o risolvere un impegno fra loro, facendolo perciò assurgere a requisito soggettivo necessario e sufficiente a fondare il valore giuridico di qualunque contratto. Sulla stessa linea di pensiero si pone la definizione formulata da Pothier, che sarà poi accolta con lievi modifiche nel codice napoleonico. Premesso che, per sapere che cosa sia un contratto, bisogna preventivamente intendere che cosa sia una convenzione, si giunge ad identificare quest’ultima con il consenso di due o più persone o per creare tra di loro un’obbligazione, o per estinguerne una precedente o per modificarla eliminando così ogni distinzione fra contratti e semplici patti. Di conseguenza il contratto si qualifica come una convenzione per mezzo della quale le due parti reciprocamente, o solo una delle due, promettono e si obbligano verso l’altra a darle qualche cosa, a fare o non fare qualcosa. Nel mondo germanico, un ruolo fondamentale viene svolto da Pufendorf e Wolff, i quali partendo proprio degli spunti di Grozio giungono ad identificare il contratto con un accordo di volontà. Per Pufendorf la formazione di un contratto richiede un atto di volizione di entrambe le parti interessate ed una sua manifestazione esterna, Wolff conia il termine vertrag “contratto” e focalizza nel consenso la base e la ragione di ogni obbligazione contrattuale. Dalla fusione delle loro teorie deriva la concezione del contratto in termini di 45 parti. Il codice olandese permane fedele alla tradizione inaugurata dal codice napoleonico, offrendo una nozione di contratto, qualificato come atto giuridico multilaterale, che ha implicito il consenso delle parti e dal quale sorgono obbligazioni a carico di una o più di esse. Nel common law inglese manca ancora oggi una definizione di contratto accettata da tutti, data l’assenza di una formazione codicistica statuaria. Tra le concezioni più diffuse ricordiamo il contratto visto come accordo, oppure come una promessa o un complesso di promesse, oppure bargain negoziazione o più in generale l’operazione economica alla quale si intende dare veste giuridica. Tre sono i requisiti fondamentali che devono ricorrere per la sussistenza del contratto: - il consenso, - gli effetti obbligatori, - consideration (tutela onerosa). RIFERIMENTI NORMATIVI SOVRANAZIONALI E PROGETTI EUROPEI DI UNIFICAZIONE DEL DIRITTO CONTRATTUALE Nel DCFR c’è una definizione di contratto. Risultano mentali due elementi: l’accordo, nel quale si identifica il contratto stesso, e l’effetto di dar vita ad un rapporto giuridico obbligatorio o a un qualche altro effetto giuridico con il quale si intende far sorgere una relazione giuridica vincolante o relizzare qualche altro effetto giuridico. Il contratto viene q+così qualificato come fonte dell’obbligazione, ma la sua funzione non si esaurisce solo in questo, potendo produrre anche altri effetti: modificare, estinguere un rapporto giuridico. RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE: TRATTATIVE E DOVERI DI RISERVATEZZA DIRITTO ROMANO E TRADIZIONE GIURIDICA ANTERIORE ALLE CODIFICAZIONI MODERNE Le fonti romane non riflettono la formazione di una categoria generale ed unitaria corrispondente tuttavia ci offrono diversi esempi di regolamentazione di come dovesse essere condotta la fase delle trattative e delle conseguenze che avrebbe subito la parte che si fosse comportata scorrettamente. Un primo esplicito riferimento a un dovere precontrattuale di informazione è quello imposto ai venditori dall’editto degli edili curuli, per i vizi occulti di schiavi o animali compravenduti nei mercati, o per mancanza in esse delle qualità promesse. Queste prescrizioni edittali erano particolarmente rigorose, in quanto dalla violazione dei doveri di informazione discendeva una 46 responsabilità di tipo oggettivo a carico del venditore. Al di fuori delle disposizioni introdotte dagli edili curuli, i giuristi romani, in riferimento alla fase delle trattative contrattuali, hanno preso in considerazione solo i comportamenti volontari, tesi ad affermazioni menzognere. Siffatte condotte erano sanzionate con rimedi generali dell’astio doli e della connaturata exceptio, mentre per i contratti assistiti da iudicia bonae fidei e quindi basata sul reciproco affidamento dei contraenti; alla parte ingannata era attribuita l’azione contrattuale. Ulpiano e Modestino: caso compravendita di un fondo in cui era stato sepolto un morto. La situazione analizzata è la stessa: un venditore ha ingannato il compratore prima della conclusione del contratto, facendogli credere che un fondo era in commercio quando in realtà non era in commercio perché era stato consacrato. Malgrado l’invalidità del contratto, secondo Ulpiano, l’acquirente disponeva per il risarcimento dei danni di un’azione concessa dal pretore e modellata sulla fattispecie concreta, con effetti identici all’azione contrattuale ed esperibile anche contro l’erede del venditore; più puntuale è il parere di Modestino, secondo il quale il contratto pur se nullo, produceva come effetto quello di attribuire al compratore l’azione contrattuale, al fine di ottenere un risarcimento equivalente al suo interesse a non essere tratto in inganno. Ulpiano: in questo testo viene realizzato l’inganno durante le trattative dell’acquirente il quale dopo aver sottratto da un’eredità cospicua quantità di beni, convince l’erede a vendergliela facendogli credere che la stessa valesse poco. In questo testo il fratello erede di Terenzio Vittore è raggirato da Bellico, un potenziale compratore dell’eredità, il quale riesce a togliere dalla stessa cose persuadendolo alla vendita ad un prezzo molto basso; accortosi del raggiro Terenzio Vittore chiede al giurista Giuliano se possa agire contro Bellico con l’azione da vendita e quest’ultimo nel dargli risposta affermativa, gli dice che in tal modo avrebbe potuto ottenere come risarcimento una somma pari alla differenza di valore dell’eredità. Qui non entra in gioco la validità del contratto, ma le condizioni a cui si sarebbe potuto concludere, se si fosse effettivamente conosciuta la realtà, ed ugualmente il ristoro del venditore si realizza con l’azione contrattuale per conseguire il maggior prezzo corrispondente vero valore dell’eredità venduta. Istituzioni di Giustiniano: anche in questo caso l’acquirente viene raggirato nella fase delle trattative, l’azione contrattuale per ottenere un risarcimento commisurato all’interesse a non essere tratto in inganno. Nei giuristi medievali si seguono per lo più gli spunti presenti nelle fonti 47 romane, che vengono però talvolta interpretati in senso estensivo. L’actio in factum di cui si parla nel testo di Ulpiano, sarebbe concessa al proprietario venditore del sepolcro contro l’estraneo che vi abbia introdotto il cadavere, per farglielo togliere o ottenere il risarcimento. L’azione dei Glossatori si focalizza anche sulla natura dell’azione concessa in tali casi: in particolare, si discute se debba essere quella contrattuale oppure in factum su di essa modellata. La glossa quasi ex empto spiega la non corrispondenza delle fonti romane sul punto affermando che l’actio in factum spetterebbe al venditore, mentre l’actio empti al compratore. Il merito per aver posto le basi per la costruzione della moderna categoria della responsabilità precontrattuale è da ascrivere ad Ugo Grozio, il quale procede ad un’applicazione generalizzata di regole originariamente coniate dai giuristi romani con esclusivo riguardo alla compravendita. Nella sua opera principale Grozio afferma che, se il promittente sia stato negligente nell’esame dell’affare o nella formulazione della propria dichiarazione di volontà, deve risarcire il danno subito dalla controparte in ragione di ciò e che una siffatta responsabilità avrebbe un fondamento extracontrattuale o aquiliano e non contrattuale. La creazione della c.d. culpa in contrahendo ed il riconoscimento di una generalizzata tutela risarcitoria di tipo contrattuale per chi venga coinvolto in contratti nulli o non giunti a perfezione per colpa della controparte sono conquiste recenti. E’ stato il giurista tedesco Rudolf von Jhering a creare questa categoria dogmatica in un famoso saggio del 1860, prendendo le mosse proprio da quelle fonti in tema di vendita di res extra commercium, in cui i giuristi romani riconoscevano l’esperibilità dell’azione contrattuale, nonostante l’invalidità del contratto, al solo fine di ottenere a non esser tratti in inganno circa l’effettiva conclusione del negozio. La sua tesi circa la spettanza di una azione contrattuale per il risarcimento dei danni in ipotesi in cui il contratto non poteva dirsi concluso in modo valido per un fatto attribuibile ad una delle parti, ancorché apertamente osteggiata da illustri Autori aprì le porte alle moderne teoriche sulla responsabilità precontrattuale nei paesi del mondo germanico. I FONDAMENTI CODICISTICI,DOTTRINARI E GIURISPRUDENZIALI IN ALCUNI ORDINAMENTI EUROPEI La teoria elaborata da Rudolf von Jhering ha trovato accoglimento nella giurisprudenza di Germania ad Austria, che hanno stabilito un vero e proprio obbligo di risarcimento dei danni in casi di invalidità negoziale dovuta ad errore o mancanza di serietà nella dichiarazione, impossibilità originaria della 50 colpa di una delle parti durante questa fase, il secondo si riferisce al dovere di informazione, mentre il terzo si occupa del dovere di confidenzialità. Per quel che concerne l’esperienza di common law, il diritto inglese manifesta una forte riluttanza verso la categoria generale della responsabilità precontrattuale, non imponendo alle parti un generale obbligo di condurre le trattative secondo buona fede; si ammette però una responsabilità per comportamenti disonesti precedenti alla conclusione del contratto in precise e delimitate ipotesi particolari. RIFERIMENTI NORMATIVI SOVRANAZIONALI E PROGETTI EUROPEI DI UNIFICAZIONE DEL DIRITTO CONTRATTUALE I principi UNIDROIT e DCFR presentano una disciplina molto simile, ma con alcune differenze. Nei primi essa si concentra nei diversi due articoli, che trattano rispettivamente delle trattative da condurre in buona fede e dell’osservanza dell’obbligo di riservatezza. Diversamente nel DCFR esiste un intero capitolo dedicato alla complessa tematica della responsabilità contrattuale. Sono state aggiunte delle parti che concernono i doveri di informazione chiare e precise per quanto riguarda consumatori ed imprenditori e professionisti. Infatti appare alquanto ridotto lo spazio riservato all’applicazione tradizionale della responsabilità precontrattuale, risultando invece particolarmente dilatato quello connesso alla tutela dei consumatori, tanto da far parlare di una distinzione fra l’area della “contrattazione individuale” e l’area della contrattazione standardizzata. Per poter raggiungere un accordo vi deve essere buona fede e correttezza. Si vogliono sanzionare quelle condotte tese a sabotare la conclusione del contratto. Inoltre i redattori del DCFR hanno ampliato il tradizionale ambito della tutela risarcitoria derivante da responsabilità precontrattuale, non limitandola più al solo interesse negativo, ma valutando caso per caso il quantum del risarcimento, con un spiccato favor verso quello di un ristoro integrale. REQUISITI GENERALI PER LA FORMAZIONE DEL CONTRATTO DIRITTO ROMANO Con la fine del I secolo era prevalsa l’idea che l’esistenza di un contratto fosse subordinata alla presenza dell’accordo di volontà tra le parti (conventio) e che lo stesso si configurasse pertanto come un negozio giuridico voluto dalle parti. Si è anche rilevato che il sistema contrattuale era 51 prevalentemente caratterizzato dalla tipicità (nominati o innominati) e che il consenso era elemento necessario e sufficiente ai fini del perfezionamento solo nei contratti consensuali. Istituzioni di Gaio: per i contratti consensuali l’accordo di volontà poteva manifestarsi espressamente o tacitamente attraverso comportamenti concludenti ed anche perfezionarsi tra assenti mediante lettera o messaggero. Per le altre categorie contrattuali tipiche il consenso restava sempre un requisito imprescindibile, ma occorreva anche la contestuale dazione di una certa cosa, nei contratti reali, la pronuncia di certe parole o l’adozione di determinate forme di scrittura. Con riguardo al principale contratto verbale, la stipulatio, i giuristi elaborano alcune regole destinate a caratterizzare tutti i contratti. Ad esempio nelle Istituzioni di Gaio si affronta la questione dell’impossibilità dell’oggetto sia fisica che giuridica: la prima avveniva nei casi in cui si dovesse consegnare uno schiavo che era morto, credendolo invece ancora vivo; la seconda, pur esistendo, non era suscettibile di rapporti giuridici patrimoniali, come l’uomo libero che si riteneva schiavo oppure il luogo sacro o religioso che si reputava profano. In entrambe le ipotesi la stipulatio risultava invalida. Ancora in tema di stipulatio, si esclude l’intenzione di vincolarsi delle parti che abbiano pronunciato la propria promessa per gioco o per una dimostrazione intellettuale. Ed infine sempre con riguardo a questo contratto, viene ad assumere rilievo l’elemento della causa. Istituzioni di Gaio: in questo testo il giurista riconosce al debitore di una stipulatio credendi causa, cui non abbia fatto seguito, la corresponsione del denaro prestato, la difesa dell’exceptio doli contro eventuali pretese del creditore ex stipulatu per assenza di causa. Inoltre la promessa fondata su una causa illecita ha come conseguenza anch’essa l’invalidità del contratto. Venendo ai contratti innominati, per il perfezionamento non era sufficiente il solo l’accordo delle parti, ma secondo quanto afferma Ulpiano occorreva anche una causa. La necessità della presenza di alcuni elementi viene individuata dalla giurisprudenza romana in ordine ai nudi patti, consistenti, in convenzioni privi di forme, non produttive di obbligazioni, ma di semplici impegni di comportamento, tutelati unicamente in via d’eccezione. Editto Paolo: in questo editto Paolo afferma che darà protezione ai patti convenuti, che saranno conclusi senza dolo o in modo non contrario a leggi, plebisciti, senatoconsulti. Inoltre viene precisato che la convenzione possa manifestarsi in modo espresso o tacito, eventualmente per fatti concludenti, anche tra assenti, per lettera o mediante messaggero. Nel diritto romano, 52 quindi, si sono configurati dei requisiti di validità dei contratti e dei patti in aggiunta a quello dell’accordo delle parti; la seconda, che tali requisiti vengono enunciati con riferimento alle varie tipologie, senza la formazione di una teoria generale, valevole per tutte; la terza, che quello della causa è trattato con particolare attenzione alla stipulatio ed ai contratti innominati. DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO ANTERIORE ALLE CODIFICAZIONI Nell’età altomedievale alcuni tipi contrattuali di matrice romana risultano ancora utilizzati, ma nell’applicazione concreta il consenso viene sempre accompagnato da certe forme o dalla dazione di qualcosa a conferma della loro validità. Con la rinascita della scienza giuridica europea la recezione del sistema contrattuale del diritto romano giustinianeo porta all’accoglimento dei vari requisiti necessari al perfezionamento dei contratti in esso previsti in rapporto tanto a quelli tipici( reali, letterali, verbali e consensuali) quanto a quelli innominati (convenzione e causa). Contemporaneamente di fronte all’importanza assunta dalla differenza tra contratti e nudi patti, l’attenzione si focalizza sul requisito del “vestimento” che ne rappresenta l’elemento di differenza. Questo requisito viene identificato nella causa. Due sono le cause che maggiormente ci interessano: la causa efficiente consistente nella causa che ha determinato la conclusione dell’atto, e la causa finale che rappresenta lo scopo dell’atto stesso e ne giustifica l’effetto giuridico. Con l’espressione causa finale si indicava quindi, con riferimento al contratto, la giustificazione espressa dal soggetto nel concluderlo e conseguentemente il vantaggio che si riproponeva di ottenere suo tramite. La sua mancanza avrebbe determinato l’invalidità dell’atto secondo il principio: cessando la causa cessa l’effetto. Secondo i Glossatori sia Azone che Accursio ravvisano la causa di una convenzione innominata nella prestazione già eseguita di dare o di fare che fornendo di un rivestimento la convenzione stessa, la rendeva vincolante ed efficace per entrambe le parti. Oltre al campo dei contratti innominati, il discorso della causa viene affrontato con riguardo alche alla stipulatio. Opera anonima attribuibile ad Irnerio o Piacentino: in questo testo si mette in evidenza come la ricerca della stipulatio non occorre per vestire la convenzione, ma per prevenire l’applicazione dell’exceptio doli in caso di assenza, mentre per le pattuizioni non corrispondenti a figure contrattuali conosciute la causa andava ad identificarsi con la materiale esecuzione di una delle prestazioni. Tra i Commentatori fondamentale è il pensiero di Baldo 55 originaria il Code Civil individuava quattro elementi fondamentali per la validità del contratto: il consenso di chi si obbliga, la sua capacità contrattuale, l’oggetto dell’obbligazione e la presenza in essa di una causa lecita, indicando subito dopo le disposizioni alla disciplina di ciascuno. La stessa scelta è stata poi confermata nel Progetto di revisione del diritto dei contratti del 2008, ma con l’importante sostituzione della causa dell’obbligazione con l’interesse al contratto disciplinato all’interno dell’oggetto. La decisione di sopprimere il riferimento al requisito della causa è stata infine consacrata nel nuovo art 1128, dovuto alla riforma del 2016. Uno schema espositivo pressoché identico al vecchio testo del Codice napoleonico era seguito negli articoli del Codice civile Italiano nel 1865 e si ritrova con alcune modifiche anche nel codice civile spagnolo e nel vigente codice civile italiano. Ricalca nella sostanza questo modello il codice austriaco, il quale pur essendo privo di un paragrafo che preveda in via preliminare i requisiti di validità di un contratto, li tratta in tre gruppi di paragrafi posti in un ordine successivo e preceduti da una rubrica a sé incorporata nel testo normativo. Il secondo gruppo di ordinamenti segue invece il modello del codice germanico, che disciplina i requisiti essenziali del contratto all’interno di quelli sulla dichiarazione di volontà in un negozio giuridico, inserendoli di conseguenza nella parte generale. Importante è l’accordo delle parti. Notevole fedeltà al modello tedesco presenta il codice portoghese che nella parte generale racchiusa nel primo libro tratta: la dichiarazione negoziale, che può essere espressa o tacita attraverso fonti concludenti, il valore del silenzio come dichiarazione negoziale, quando ciò sia prescritto dalla legge, dagli usi o da una convenzione; la libertà da forme salvo disposizioni in contrario; l’efficacia che la dichiarazione negoziale ha nel momento in cui giunge nella disponibilità del destinatario o è da lui conosciuta; ed infine la nullità per difetto di serietà, quando ciò sia conosciuto dalla controparte. Si accosta a questo gruppo anche il codice olandese, che regola i requisiti del contratto nel libro terzo, tra quelli degli atti giuridici in generale, mentre le disposizioni sul contratto sono racchiuse nel sesto. Accanto alla capacità ed alla non contrarietà al buon costume o all’ordine pubblico. Le dichiarazioni di volontà possono essere fatte in qualsiasi forma ed anche dedursi da uno o più comportamenti. Innovativi appaiono invece gli articoli volti a tutelare l’affidamento del destinatario di una dichiarazione o di un comportamento oppure di qualunque terzo, nelle ipotesi in cui tale dichiarazione o comportamento risulta difforme dalla volontà dell’autore. Una strada 56 intermedia ha invece preso il codice svizzero delle obbligazioni. Da un lato risulta approssimato al codice tedesco per la mancanza di una disposizione contenente i vari elementi richiesti ai fini dell’esistenza di un contratto; dall’altro lato però è inserita in esso una norma specifica dove si allude alla causa dell’obbligazione. Il nucleo degli elementi essenziali di un contratto ancor oggi nel common law inglese sono nella sostanza quelli già individuati da Blackstone: si tratta dell’accordo reciproco, della consideration e di un oggetto possibile e lecito, cui va aggiunta l’efficacia vincolante solo tra i contraenti. Come si può evincere da questa rassegna in tutti gli ordinamenti considerati l’accordo delle volontà, espresso o tacito, è un requisito essenziale del contratto. La sua esistenza si presume quando questo riguarda un interesse di natura patrimoniale, mentre le dichiarazioni o promesse fatte per gioco non sono considerate efficaci. Comuni sono le disposizioni sulla capacità dei contraenti e sull’oggetto del contratto. Il requisito dove si nota una maggiore divergenza negli ordinamenti di civil law è la causa. Viene richiesta esplicitamente per la validità del contratto dal codice civile spagnolo e da quello italiano. In Francia dal 2016 è scomparsa la menzione di causa, ma non è scomparsa la sua funzione. Negli altri ordinamenti la presenza di una causa si manifesta sotto altri profili: in primo luogo è alla base della distinzione fra negozi causali e astratti, che troviamo in Germania, Austria, Svizzera e Olanda e con la giustificazione di un’attribuzione patrimoniale rappresentando così il fondamento intorno al quale ruota la disciplina dell’istituto dell’arricchimento ingiustificato o senza causa. In un certo senso la causa è presente in tutti gli ordinamenti nella natura delle cose, ma il Problem apiù grande è su come questa dovrebbe intendersi. Un fenomeno analogo investe la consideration del common law inglese. Concettualmente esiste quando la promessa è basata su una controprestazione, ma in concreto i giudici le attribuiscono diversi significati. Un’ altra differenza in tema di requisiti del contratto si ricollega alla presenza di diversi ordinamenti ( Francia, Austria, Spagna, Italia, Portogallo) della categoria di contratti reali in cui si aggiunge come ulteriore elemento per il perfezionamento del contratto anche la consegna della cosa. CONVENZIONI INTERNAZIONALI, PRINCIPI UNIDROIT E PROGETTI EUROPEI DI UNIFICAZIONE DEL DIRITTO CONTRATTUALE 57 I principi Unidroit affermano la libertà di forma per la validità del contratto. Passando ora ai PECL e al DCFR si può evidenziare un evidente continuità di contenuti. La disciplina dei requisiti è contenuta in tre articoli. L’obiettivo del primo è quello di semplificarli al massimo: escludendosi la capacità dei contraenti, al di fuori del campo di applicazione del Progetto, essi si riducono a tre: -l’intenzione delle parti di costituire fra di esse un vincolo obbligatorio o di produrre qualche altro effetto giuridico;- la manifestazione di tale intenzione;- il raggiungimento tra loro di un accordo sufficiente. Traspare così la volontà degli autori del Progetti di prescindere da ogni ulteriore elemento, occorrente invece nei vari ordinamenti nazionali, secondo il modello rappresentato dai Principi Unidroit sui contratti commerciale internazionali. Poiché l’intenzione di dar vita ad un rapporto obbligatorio mediante un contratto è un fatto meramente interno ad un soggetto, bisogna renderla conoscibile al destinatario attraverso parole o comportamenti. Il criterio attraverso il quale si deve cogliere siffatta intenzione è quello oggettivo del ragionevole significato che possa attribuirsi a tali parole o comportamenti. Circa l’accordo sufficiente si considera raggiunto in due ipotesi alternative:-quando le clausole del contratto sono state sufficientemente definite dalle parti per renderlo efficace;- quando le clausole del contratto oppure i diritti e le obbligazioni che ne discendono per le parti possono essere altrimenti determinati in modo sufficiente per la sua efficacia. La presunzione di sufficienza dell’accordo opera non solo allorché i contraenti abbiano determinato o reso determinabili le clausole essenziali per dare esecuzione al contratto, ma anche allorché tali clausole o i reciproci diritti ed obblighi risultino determinabili altrimenti. CAPITOLO III LA RAPPRESENTANZA E L’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO POTERE DI RAPPRESENTANZA. RAPPRESENTANTE SENZA POTERE. RATIFICA DIRITTO ROMANO È opinione pacifica che il diritto romano non abbia mai costruito una categoria generale di rappresentanza, ma grazie all’opera congiunta dei pretori e dei giuristi del Principato, ne ha certamente sviluppato molti aspetti. Gaio: in questo testo non si può acquistare a noi attraverso una persona estranea. Esso riflette un ambiente familiare arcaico, dove il pater familias 60 trasmettere il possesso, con effetti in capo all’interessato, della cosa comprata a nome dello stesso, pure nel caso in cui questi ignorasse l’avvenuta tradito. Settimio Severo e Caracalla: in queste costituzioni si è recepito da tempo nell’ordinamento in ragione tanto dell’utilità quanto del diritto che, mediante una persona libera, si acquista il possesso anche per colui che l’ignora e che, dopochè sia intervenuta la conoscenza, possano avere inizio le condizioni dell’usucapione. È probabile che nella sua portata generale questo testo si riferisse solo al procuratore e l’applicazione del principio in termini così generali non riguardasse che l’acquisto del possesso richiedendosi invece, per quello della proprietà, la scientia del rappresentato. Si tratta in ogni caso di una generale ammissione della rappresentanza diretta in materia possessoria, che riveste fin dall’inizio importanti implicazioni anche per l’acquisto della proprietà delle res nec mancipi da parte del rappresentato in quanto la trasmissione del loro possesso mediante traditio comportava pure, di regola, quella della proprietà. Una tale implicazione diviene fondamentale quando decade la differenza tra cose nec mancipi e res mancipi, la tradizio resta il solo negozio a produrre effetti traslativi della proprietà per qualsiasi cosa. Anche nel settore commerciale si delianeano chiaramente profili di rappresentanza diretta in relazione all’atto di preposizione. Infatti, un orientamento giurisprudenziale, facente capo a Marcello, ma noto anche a Gaio e poi ad Ulpiano, riconosce anche al preponente la facoltà di esercitare l’azione institoria direttamente contro i contraenti con l’institore, nell’ipotesi di un loro inadempimento; mentre per l’azione exercitoria all’identico risultato si perviene ad opera dei governatori provinciali e dei prefetti dell’annona. Quindi queste azioni possono essere esercitate oltre che dal contraente anche dal proponente. Sempre in questa direzione Papiniano escogita un nuovo rimedio riconnesso alla prassi di ricorrere alla figura del procuratore preposto ad una determinata attività. Si attribuiva così al terzo contraente la possibilità di far valere, in caso di adempimento, anche una responsabilità diretta e per l’intero del dominus, che si affiancava a quella del procurator, il solo sul quale, fino a quel momento, avrebbe soddisfatto le sue pretese. Si giungeva dunque ad imputare direttamente al rappresentato, almeno dal lato passivo, gli effetti di un’attività negoziale posta in essere dal rappresentante libero e non soggetto a potestà al di fuori di una preposizione in senso tecnico come institore o magister navis. Paolo: in questo frammento precisa che una libera amministrazione generale 61 di un patrimonio altrui comprende un insieme di attività strumentali, come l’esazione dei crediti, il pagamento dei debiti, la conclusione di novazioni e permute mentre in un altro frammento esclude che vi possa essere stato specificamente indicato nel mandato generale, con la conseguenza che al mandante, il quale non abbia ratificato la transazione, non è impedito l’esercizio delle azioni per far valere le sue pretese. Modestino: sottolinea che ad un procuratore generale era precluso, in assenza di mandato speciale del rappresentato, di alienare le cose mobili, immobili e gli schiavi di quest’ultimo, con la sola accezione dei frutti e delle altre cose facilmente deperibili e la necessità di un esplicito mandato è richiesta anche in rapporto alle cose del dominus che il procurator voglia dare in pegno. Allo stesso tempo si distingue dal procuratore con mandato il procuratore che si offre per svolgere affari altrui senza aver ricevuto un mandato (falsus procurator). Per gli atti compiuti dal falsus procurator, la preoccupazione maggiore dei giuristi appare quella della ratifica da parte dell’interessato e dei suoi effetti, non dovendo evidentemente sussistere dubbi circa l’imputazione all’agente ed alla sua responsabilità. Ulpiano: secondo Ulpiano la ratifica è il riconoscimento ed approvazione dell’attività del falso rappresentante ad opera del dominus negotii, il quale accetta quindi che le conseguenze vengano ad incidere sulla sua sfera giuridica. In un altro passo equipara la ratifica ad un mandato, facendone discendere la liberazione di un debitore che abbia pagato a un procurator non verus del creditore. Paolo: egli afferma i doveri del mandatario di osservare con diligenza i limiti dell’incarico ricevuto, profilandosi, in caso contrario, un aliud pro alio come oggetto della sua prestazione e conseguentemente una responsabilità per inadempimento. Da questi esempi si deduce che l’agire del falso procuratore non si riflette sul dominus, in assenza di una sua ratifica, e che un rapporto si costituisce solo tra rappresentante senza poteri e terzo contraente, al fine di consentire a quest’ultimo l’esercizio dell’azione contrattuale per farne valere la responsabilità. La pluralità di figure di rappresentati permane anche nel diritto giustinianeo, dove però sono evidenti gli sforzi di semplificazione e di razionalizzazione sistematica operata dai compilatori. Emerge inoltre una nuova realtà in movimento, nella quale la possibilità di negoziare per alios tende a divenire la linea direttiva, rilevando la netta divaricazione rispetto al modello normativo arcaico. 62 DIRITTO MEDIEVALE E MODERNO ANTERIORE ALLE CODIFICAZIONI Come apprendiamo da Accursio la dottrina dominante presso i Glossatori era quella di intendere in senso rigoroso il principio delle Istituzioni di Giustiniano, così da farne discendere un divieto generale di rappresentanza (e del contratto a favore di terzi), ammettendo però numerose eccezioni tra cui gli atti compiuti da tutori, curatori, procuratori, per conciliare tale regola con le discordanti risultanze di vari testi della Compilazione. Accursio: criticando il pensiero innovatore di Martino Gosia che segna un’aperta rottura di questa interpretazione. Egli infatti distingue tra un’acquisizione iure directo, per la quale era operante la regola del divieto, ed una in via utile che poteva avvenire per extraneam personam. Quindi mediante la contrapposizione concettuale e terminologica propria del diritto pretorio romano, il grande dottore giunge ad ammettere che da un patto concluso da un altro, benché non potesse sorgere l’azione diretta per far valere un diritto, sarebbe sempre e comunque nata l’azione in via utile, sottolineando come la regola più antica fosse stata del tutto sovvertita dal ius honorarium. Malgrado la critica accursiana, la dottrina di Martino ha esercitato una certa influenza sulla legislazione statuaria, tuttavia un contributo determinante al superamento di una rigida interpretazione della regola giustinianea ed allo sviluppo e diffusione dell’istituto della rappresentanza diretta proviene dal diritto canonico. Se ne afferma la necessità per ogni ecclesiastico, il quale, dovendosi dedicare interamente alla pie opere, aveva l’obbligo di nominarsi un procurator che lo rappresentasse in tutte le altre attività. Conseguentemente, ai canonisti era familiare il concetto che taluno potesse interporre la propria volontà in un negozio giuridico, facendone ricadere direttamente gli effetti su un’altra persona; operando con i mezzi del dominus il procurator compie direttamente un acquisto in suo favore. Le posizioni emergenti nella normativa canonistica si trasfondono nel diritto comune, i cui doctores comprendono l’importanza che aveva, in teoria e nella pratica, il poter concludere contratti anche in nome o per conto altrui, superando il dogma negativo delle istituzioni di Giustiniano ed elaborando una prima nozione unitaria di rappresentanza. Bartolo da Sassoferrato: nel suo commentario opera il collegamento della rappresentanza alla persona e giunge al risultato di riconoscere efficacia diretta degli atti del rappresentante nella sfera giuridica del rappresentato, identificando il procurator con il dominus. Con riferimento, infatti, ad un caso 65 come categoria unitaria, in cui rilevano una relazione interna tra rappresentato e rappresentante ed una esterna tra quest’ultimo ed i terzi con i quali entra in rapporti. Si susseguono una pluralità di teorie: le principali sono quelle della cessione: secondo la quale il rappresentante è parte del negozio concluso con riguardo anche ai presupposti della sua validità e gli effetti che ne derivano incidono unicamente nella sua sfera giuridica, con successiva trasmissione in capo al rappresentato; quella della titolarità del negozio per cui la parte negoziale è il solo rappresentato, al quale vanno riferiti i presupposti di validità del negozio e la produzione immediata dei suoi effetti, fungendo il rappresentante da mero trasmettitore di volontà; e quella della rappresentanza che finirà per prevalere, in base alla quale va tenuto distinto in modo netto il rapporto interno tra rappresentato e rappresentante, fondato su un mandato, e rapporto esterno tra rappresentante e terzi, regolato dalla procura, ritenuta autonoma ed astratta rispetto al rapporto interno ed idonea a riflettere al di fuori l’identità tra rappresentante e rappresentato. Nell’ordinamento inglese la rigida applicazione del principio dell’esclusiva efficacia del vincolo contrattuale tra le parti non ha impedito l’elaborazione di un concetto di Agency per indicare il rapporto che si instaura tra un rappresentato ed un rappresentante, a seguito di un accordo fra loro, in forza del quale il primo conferisce al secondo il potere di compiere più atti per suo conto. Non si è però radicata la distinzione tra rappresentante “diretto” e “indiretto” cui si è preferita la “rappresentanza rivelata” e “rappresentanza non rivelata”. GLI ORDINAMENTI EUROPEI MODERNI Nel codice napoleonico procura e mandato erano identificati solo dopo con la revisione della disciplina del contratto avvenuta agli inizi dell’attuale millennio si è auspicata la loro separazione. Non sono state toccate invece le disposizioni sul mandato, che continuano ad essere vigenti. La procura viene definita come l’atto con il quale il mandante attribuisce al mandatario il potere di compiere qualcosa in nome o per conto suo; la forma può essere predeterminata oppure libera, orale o scritta, e l’accettazione espressa o tacita mediante esecuzione dell’incarico ricevuto. Rientrano gli atti amministrativi, mentre quelli di disposizione e della proprietà solo se espressamente previsti. Il mandatario non è autorizzato a compiere alcun atto al di fuori di quelli necessari all’esecuzione del suo incarico ed il conferimento del potere di transigere non comprende automaticamente quello di ricorrere ad arbitrati. L’attività del mandatario, che opera nei limiti 66 del mandato (o procura), produce effetti immediati e diretti nella sfera giuridica del mandante, gli stessi effetti si verificano anche nel caso in cui il mandatario abbia esulato da tali limiti, ma intervenga la ratifica del mandante. Questa ratifica, secondo dottrina e giurisprudenza, opera ex tunc, dal momento, cioè, della conclusione dell’atto extra mandatum. Sotto il profilo della responsabilità, il mandatario, che abbia sufficientemente informato la controparte circa i propri poteri, non è tenuto a prestare alcuna garanzia per gli atti eccedenti agli stessi, salvo che non si sia obbligato personalmente. In assenza di tale informazione sorgerà a suo carico una piena responsabilità per danni. Dopo aver previsto che il rappresentante volontario (come quello legale o giudiziale) debba agire nei limiti dei poteri conferiti, si configurano le due forme di rappresentanza: quella in nome e per conto del rappresentato con trasmissione immediata a suo carico del vincolo giuridico, e quella dove il rappresentante agisce in nome proprio e per conto del rappresentato e gli effetti dei suoi atti ricadono pertanto su lui stesso. La novella del 2016 ha anche introdotto la previsione espressa di una “deviazione di poteri” messa in atto dal rappresentante a detrimento del rappresentato, che in tal caso può invocare la nullità dell’atto compiuto, ove il terzo contraente avesse avuto conoscenza o non avesse potuto ignorarlo. In ordine al contenuto della rappresentanza, si conferma la distinzione tra atti di amministrazione e conservazione ed atti che ne esulano: i primi sono sempre impliciti nei poteri conferiti in termini generali, i secondi vi sono inclusi solo se specificamente indicati. Nel codice spagnolo (uguale quello italiano) non si distingue tra rappresentanza e mandato, e conseguentemente fra procura e rapporto di base, regolando la prima nell’ambito del secondo. Troviamo perciò disposizioni analoghe alle francesi in tema di: forme del mandato e carattere esplicito o tacito dello stesso, distinzioni tra atti di amministrazione ed atti di rigoroso dominio ecc… anche nell’ordinamento spagnolo prevale l’orientamento di considerare la responsabilità del falsus procurator come extracontrattuale, sulla base di motivazioni simili a quelle adottate in Francia. In più il codice iberico introduce due ulteriori disposizioni: l’art 1717 il quale afferma che quando il mandatario opera in nome proprio, il mandante non ha azione contro le persone con cui il mandatario ha contrattato, né queste l’hanno contro il mandante. In questo caso il mandatario è obbligato direttamente a favore della persona con cui ha contrattato, come se l’affare fosse suo personale. E poi l’art 1259 afferma che nessuno può concludere un contratto in un nome di un altro senza che ne abbia la rappresentanza 67 legale. Il contratto concluso in nome altrui senza averne l’autorizzazione sarà nullo a meno che la persona nome della quale il contratto è stato concluso, non lo ratifichi prima che sia revocato dall’altra parte contraente. L’identificazione della procura con un sottostante rapporto di mandato caratterizza anche il codice civile generale austriaco, che se ne occupa in diversi articoli. Già nella definizione il mandato si fa coincidere con il conferimento della procura, con la quale si dà incarico a qualcuno di concludere un negozio in nome di un altro. Mentre negli articoli successivi si confondono i termini impiegati per indicare il mandato a fondamento della rappresentanza, il mandatario e il mandante con quelli che si utilizzano per la procura, per il titolare dei poteri derivanti dalla stessa e per chi la conferisce. Anche la normativa austriaca detta disposizioni specifiche sulla forma del conferimento del mandato, sulla possibilità di conferire mandati generali per l’amministrazione di tutti gli affari o mandati speciali per uno o più affari. Quindi nel disciplinare l’attività del mandatario ed i suoi effetti il quadro emergente del codice austriaco è simile a quello del Codice napoleonico. Nell’esecuzione del mandato il mandatario deve agire diligentemente e lealmente, in conformità dell’impegno assunto; è autorizzato ad usare ogni mezzo necessario per l’adempimento del suo compito, richiesto dalla natura dell’affare e dall’intenzione del mandante; ma soprattutto è importante la previsione secondo la quale, quando il mandatario agisce nei limiti della procura, rappresenta direttamente il mandante ed acquista immediatamente in capo a lui diritti ed obblighi, creando un rapporto solo tra lo stesso mandante ed il terzo. Se invece il mandatario eccede dai limiti della procura, risponde personalmente delle conseguenze, a meno che il mandante non ne ratifichi l’attività o non approfitti dei vantaggi di essa, esprimendo così una ratifica implicita. Una volta data la ratifica opera ex tunc mentre in sua assenza il mandatario dovrà risarcire al terzo i danni che gli siano derivanti dall’aver fatto affidamento sull’esistenza dei poteri di rappresentanza, ma in misura non superiore al suo interesse all’efficacia del contratto. Nel codice tedesco rappresentanza e procura sono contemplate nella parte generale relativa al rapporto giuridico, mentre il mandato e le figure affini sono regolati nel libro secondo sulle obbligazioni. Secondo il codice tedesco il potere di rappresentanza può essere conferito mediante dichiarazione rivolta al rappresentante oppure al terzo verso il quale opera la rappresentanza stessa in una forma non necessariamente identica a quella del negozio a cui si riferisce. La conclusione di un contratto da parte di un rappresentante senza potere vincola il rappresentato, a meno che questi non 70 gliene abbia comunicato integralmente il contenuto. Tale garanzia è intesa in senso assoluto in modo da considerare responsabile il rappresentante senza poteri anche se ignori di aver agito in mancanza degli stessi: si profila così una responsabilità di tipo oggettivo estesa a tutti i danni sopportati dal terzo, compresi quelli corrispondenti all’interesse per l’efficacia del contratto. In materia di mandato si limita a prevedere che il mandatario possa agire in nome proprio o in nome altrui. Nel common law inglese non si è per molto tempo distinto, proprio come in molti ordinamenti continentali, un profilo esterno delle relazioni tra rappresentante e terzi ed uno interno di quelle tra rappresentante e rappresentato. Alla figura di agent si riconducono inoltre non solo il rappresentante ed il procuratore degli ordinamenti continentali, ma anche i vari tipi di mandatari commerciali. Si è configurata una nozione di procura (l’authority) che ha ad oggetto i poteri conferiti al rappresentante di compiere uno o più atti per conto del rappresentato. Non essendosi affermata la distinzione tra rappresentanza diretta e indiretta affinché l’agent produca effetti immediati nella sfera giuridica del principal, è sufficiente che la sua attività si svolga nell’interesse di costui, senza bisogno della svendita del nome e della conoscenza da parte del terzo del conferimento dei poteri di rappresentanza. Nel caso in cui non avvenga si parla di rappresentanza rivelata e gli effetti sono quelli della rappresentanza diretta. Ove invece l’agent manca di questi poteri o ne acceda, dai suoi atti non si crea un vincolo fra principal ed il terzo, salvo ratifica del primo, che si fa per lo più operare retroattivamente. Nel caso in cui non intervenga, sorge una responsabilità a carico dell’agent senza i necessari poteri per non aver garantito la sussistenza dell’authority, che lo obbliga ad eseguire egli stesso la prestazione nei confronti del terzo oppure a risarcirlo dei danni derivanti dall’inadempimento, a meno che questi non avesse conosciuto o potuto riconoscere il difetti di legittimazione. La ratifica non è ammessa in caso di rappresentanza non rilevata che ricorre quando l’agent non rivela alla controparte di agire per conto di un principal ed essa ha creduto che lo facesse in nome proprio. In presenza di questa forma di rappresentanza qualora il rappresentante abbia agito nell’ambito della propria authority, il rappresentato ha comunque diritto di pretendere direttamente dal terzo l’esecuzione del contratto concluso con il rappresentante, ma il terzo può, a sua volta, quando sia venuto a conoscenza dell’esistenza del rappresentato, avanzare direttamente contro di lui le proprie pretese o opporgli le eccezioni nascenti dal contratto. 71 CONVENZIONI INTERNAZIONALI, PRINCIPI UNIDROIT E PROGETTI DI UNIFICAZIONE DEL DIRITTO CONTRATTUALE EUROPEO Il capitolo sesto del Libro secondo del DCFR dedica un complesso di norme sul tema, introducendo talune innovazioni rispetto ai PECL, ma accogliendone la scelta di non occuparsi dei rapporti interni tra rappresentante e rappresentato. Sul piano sistematico generale, mentre i PECL, nel capitolo terzo, dedicano una sezione distinta per ciascuna diversa forma di rappresentanza, regolando quella diretta nella sezione seconda e l’indiretta nella terza, i redattori del DCFR le trattano insieme seguendo l’esempio dei principi UNIDROIT. Il DCFR pone alla base dell’istituto della rappresentanza la procura, che ne costituisce il fondamento ed il contenuto, in quanto espressione della volontà del rappresentato di conferire i poteri di rappresentarlo nei confronti dei terzi ad un altro soggetto, fissandone i limiti. La procura può essere espressa o implicita e comprende anche tutti gli atti accessori alla realizzazione dello scopo per cui viene attribuita la rappresentanza. L’art II-6:105 regola la rappresentanza diretta, affermando che gli atti compiuti dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato e nei limiti della procura, producono effetti diretti sulla posizione giuridica del rappresentato stesso e lo vincolano nei confronti della controparte, come se fosse stato l’autore dell’atto, senza però creare rapporti giuridici fra rappresentante e terzo. La rappresentanza indiretta viene contemplata nel successivo articolo, in cui si imputano al rappresentante che agisce in proprio nome gli effetti dell’atto giuridico compiuto. Anche qui si considera equivalente la svendita del proprio nome da parte del rappresentante qualunque altro modo che riveli l’intenzione di non produrre effetti diretti sulla posizione giuridica del rappresentato. Conseguentemente questo tipo di rappresentanza impedisce il sorgere di relazioni giuridiche dirette tra rappresentato e terzi, salvo sia altrimenti disposto dalla legge. Inoltre vengono affrontati i problemi connessi all’attività di chi agisce come rappresentante, ma non ne abbia i poteri, senza distinguere se ciò dipenda da un superamento dei limiti della procura o da una sua totale assenza. Il 1° comma tratta degli effetti della mancanza di poteri in chi agisce in nome di un rappresentante o comunque in modo da indicare ad un terzo l’intenzione di produrre effetti sulla posizione giuridica del rappresentato, disponendo l’inefficacia dell’atto compiuto rispetto alla sfera giuridica del preteso rappresentato e, nello stesso tempo, l’inesistenza 72 di un rapporto giuridico tra il falsus procurator ed il terzo, salvo, in questo secondo caso, l’obbligo del risarcimento dei danni. Nel 2° comma si pone a carico del falsus procurator, la cui attività non sia stata ratificata dall’interessato, l’obbligo di risarcimento dei danni subiti dal terzo, calcolati nella misura del suo interesse positivo, onde restaurare “la stessa posizione che avrebbe avuto, se colui che ha agito lo avesse fatto con i relativi poteri”. Inoltre si tratta della ratifica degli atti del falsus procurator da parte del preteso rappresentato e dei suoi effetti: nel 1° comma si attribuisce al rappresentato, quando abbia interesse a beneficiare degli effetti degli atti compiuti dal falsus procurator, il potere di ratificarne l’operato. RAPPRESENTANZA APPARENTE DIRITTO ROMANO,MEDIEVALE E MODERNO ANTERIORE ALLE CODIFICAZIONI Paolo: questo testo di Paolo fa riferimento alla rappresentanza apparente. Il caso è il seguente: Tiziano Primo aveva preposto uno schiavo come institore con il compito di concedere prestiti garantiti da pegni. Oltre a ciò, tale institore era solito svolgere anche l’attività di fornire credito agli acquirenti dai commercianti di orzo, fungendo da delegato dei primi verso i secondi. Ad un certo momento egli si dà alla fuga ed un commerciante di orzo conviene in giudizio l’imprenditore preponente con l’azione institoria. Costui eccepisce la mancanza di legittimazione passiva, allegando che l’attività creditizia svolta dallo schiavo esulava dalla preposizione institoria. Essendo stato provato nel procedimento che lo schiavo institore svolgeva altre attività economiche, il prefetto dell’annona aveva emesso un’ azione di condanna contro il padrone. Osserva il giurista che l’intermediazione dell’imprenditore dell’institore nel pagamento delle partite di orzo andava configurata come se fosse una fideiussione, in quanto egli non si assumeva soltanto il debito dei clienti, ma lo pagava anche; obiettando quindi che in tali circostanze si dovesse concedere l’azione contro il preponente, in quanto questo non aveva dato incarico di far ciò. Tuttavia nel giudizio d’appello l’imperatore dà conferma alla decisone dell’annona, sul presupposto che il padrone aveva sostituito a sé lo schiavo in tutte le attività anche al di fuori della preposizione institoria. Nella trattazione di questo caso sembrano emergere due diverse prospettive. La prima, conforme ai principi dello ius honorarium, è quella illustrata chiaramente da Paolo: - quando espone l’argomentazione avanzata dal preponente a sua difesa: non essendo le attività di intermediazione 75 oltre al disposto generale dell’art 33, riportato in precedenza, gli arti 459 e 462 del codice delle obbligazioni sul mandato. Ma l’atteggiamento della giurisprudenza in sede della loro applicazione appare alquanto prudente. Se infatti il rappresentante è privo del potere di rappresentanza o ne abusa eccedendone i limiti, la buona fede del terzo contraente e la sua eventuale tutela nei confronti del rappresentato sono subordinati alla diligenza del terzo stesso circa l’accertamento dell’esistenza e dell’estensione dei poteri di rappresentanza. L’ordinamento italiano conosce anch’esso la distinzione fra “rappresentanza tollerata” e “rappresentanza apparente” ambedue comunque finalizzate a tutelare l’affidamento dei terzi contraenti. Ma esistono delle differenze di vedute tra giurisprudenza e dottrina. La Suprema Corte di Cassazione li fa per lo più derivare da un principio generale, che, a livello normativo, si traduce negli artt 534,2 c. E 1415 del codice, relativi rispettivamente agli acquisti onerosi dall’erede apparente, al pagamento al creditore apparente ed all’inopponibilità della simulazione ai terzi in buona fede, che abbiano acquistato diritti dal titolare apparente. In dottrina, alcuni accettano quest’orientamento giurisprudenziale, altri, invece, escludendo l’esistenza di un principio generale dell’apparenza, ne ammettono però l’applicazione alla rappresentanza in via di analogia leggii. Inoltre, a volte il fenomeno si spiega in chiave di responsabilità extracontrattuale, attribuendo ad un comportamento negligente o malizioso del rappresentato la creazione della situazione di apparenza lesiva dell’altrui affidamento. In Spagna la giurisprudenza della Suprema Corte ha riconosciuto l’esistenza nell’ordinamento della rappresentanza apparente fondandosi su due articoli relativi all’inefficacia della revoca di un mandato a contrattare con certe persone, allorché questa sia pregiudizievole e le stesse non siano state avvertite, e alla validità ed efficacia degli atti compiuti dal mandatario, che ignori la morte del mandante o un’altra causa di cessazione del mandato, nei confronti dei terzi, i quali abbiano contrattato con lui in buona fede. Sulla base di questi articoli si è detto che il rappresentante resta vincolato dall’attività del rappresentante senza poteri, quando attraverso sue condotte o omissioni, abbia ingenerato nei terzi contraenti in buona fede l’affidamento che la rappresentanza fosse stata effettivamente attribuita. Nell’ordinamento portoghese l’istituto è penetrato a livello normativo sul contratto d’agenzia, il cui art 23 lo regola espressamente. Ai sensi di tale articolo il negozio concluso da un agente senza poteri produce ugualmente effetti nei confronti dell’interessato:- allorché sussistano valide ragioni 76 oggettive, da valutarsi caso per caso, che giustificano l’affidamento del terzo di buona fede nella legittimità dell’agente; - allorché il rappresentato abbia contribuito con la propria condotta a fondare tale affidamento. Il codice civile olandese contiene una disciplina per la rappresentanza specifica apparente; ne ravvede la sussistenza quando ne ricorrono tre circostanze: - una dichiarazione o la condotta del rappresentato apparente; - la credenza, in capo al terzo contraente con il rappresentante apparente, che esista una procura; - la ragionevolezza di tale credenza. Dove queste situazioni siano presenti, allorché l’atto giuridico è compiuto in nome di un’altra persona, il terzo non può vedersi opporre la mancanza o l’accesso della procura. Questa categoria è nota anche al common law ed i suoi elementi essenziali consistono in una dichiarazione o in una condotta del rappresentato apparente che induce i terzi contraenti a ritenere ragionevolmente conferiti i poteri di rappresentanza al rappresentante apparente (agent). Il terzo può paralizzare l’azione del pseudo principal, che intende far valere l’inefficacia del contratto concluso dallo pseudo rappresentante con un’eccezione, fondata sul principio di apparenza cui ha dato luogo lo stesso rappresentato apparente attraverso la sua condotta. CONVENZIONI INTERNAZIONALI. PRINCIPI UNIDROIT, PROGETTI DI UNIFICAZIONE DEL DIRITTO CONTRATTUALE EUROPEO Sia nei PECL che nei principi UNIDROIT e poi nel DCFR vi è una previsione esplicita dell’istituto della rappresentanza apparente. La formulazione del DCFR risulta ancor più generale di quella dei PECL, non richiedendo più quest’ultima dichiarazioni e condotte del rappresentato, ma semplicemente un “suo fare in modo che il terzo creda”. Comunque si rimarca sempre la necessità della presenza di precise circostanze, affinché si possa parlare di rappresentanza apparente: un comportamento del rappresentato apparente, che possa aver suscitato nei terzi ragionevolmente e in buona fede la convinzione che chi agisce come rappresentante sia effettivamente tale, ed il compimento di uno o più atti da parte di quest’ultimo, come se avesse ricevuto i relativi poteri di porli in essere. Dalla sussistenza di dette circostanze discende che il rappresentante apparente possa vincolare il rappresentato nella stessa misura che gli fossero stati davvero conferiti tali poteri. 77 INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO: CRITERIO LETTERALE E CRITERIO DELLA VOLONTA’ DEI CONTRAENTI LE FONTI ROMANE Nel mondo romano i criteri generali per l’interpretazione del contratto erano la buona fede, l’aequitas e l’humanitas. Ma dai numerosi passi è possibile cogliere una spiccata preferenza per l’elaborazione di regole di interpretazione soggettiva. Quindi si propone in primo luogo l’applicazione di criteri linguistici e logici, ma quando la lettera del contratto resta ancora oscura e ambigua si cerca di ricostruire la loro volontà effettiva sulla base della verosimiglianza. Celso: in questo passo si prende in esame un problema interpretativo della volontà in materia di legati, e ci mostra il percorso concettuale seguito al riguardo dai due giuristi repubblicani Servio e Tuberone. Il primo, affrontando la questione di quali cose si dovessero far rientrare nelle suppellettili oggetto di un legato, riteneva che andasse risolta sulla base della volontà del testatore, ma se costui fosse stato solito ricomprendere nella nozione di suppellettili cose per le quali non sussisteva dubbio che non vi appartenessero, la sua volontà non poteva osservarsi, in quanto le parole dovevano intendersi secondo secondo il senso comune e non l’opinione dei singoli. Tuberone, invece, dissentiva da Servio proprio in relazione a tale distinguo, attribuendo un ruolo in ogni caso esclusivo alla volontà del testatore, dal momento che lo scopo dei nomi era solo quello di manifestarla. Celso da parte sua riconosce la sua razionalità e l’autorità del parere di Tuberone, ma preferisce schierarsi sulle posizioni di Servio. Si introducono due componenti: quello di non sovvertire il significato comunemente attribuito ai termini usati e quello dell’impossibilità che valga una volontà non dichiarata. Lo stesso criterio vale quando viene trasportato in campo contrattuale, dove risulta fondamentale accertare ciò che i contraenti hanno in concreto voluto. Pomponio: in questo testo si tratta dell’interpretazione del contratto di compravendita, in cui fondo era stato venduto con un determinato termine di pagamento e con la pattuizione esplicita che, ove il termine non fosse stato rispettato, il fondo sarebbe stato considerato non venduto. Decorsa inutilmente la scadenza, il giurista, sulla scorta dell’opinione prevalente, diretta a ricercare la comune intenzione delle parti più che il significato letterale delle parole, intende la clausola contrattuale nel senso far estinguere 80 si vuole porre in luce la reale intenzione delle parti. Ai sensi dell’art 1362, la comune intenzione delle parti va ricercata non solo attraverso il significato letterale delle parole, ma anche in base ai comportamenti precedenti e successivi alla conclusione del contratto. Nell’ordinamento tedesco il criterio dell’interpretazione soggettiva: per tutte le dichiarazioni di volontà, nelle quali si deve cogliere la reale volontà dei dichiaranti, senza restare ancorati al significato letterale delle espressioni. In un contratto quando queste ultime risultano chiare e sensate, non c’è bisogno di un’ulteriore interpretazione. In caso contrario, ai fini di individuare l’intenzione delle parti, è ammesso il ricorso, come parametri suppletivi, ad altre circostanze, prima fra tutte il comportamento delle stesse nelle trattative e dopo la conclusione. Il codice austriaco afferma che non si deve seguire il significato letterale delle espressioni, ma ricercare l’intenzione delle parti ed intenderla in modo che sia conforme all’esercizio di rapporti di correttezza, con evidente collegamento alla buona fede oggettiva. Il codice svizzero stabilisce anch’egli come canone fondamentale dei contratti quello soggettivo della ricerca della reale e comune intenzione delle parti. A tal fine è prevista la possibilità per l’interprete di procedere oltre le espressioni o denominazioni inesatte, che le parti hanno utilizzato per errore o per simulazione, nascondendo in questo ultimo caso la vera natura del contratto. Il codice civile portoghese non allude alla regola della comune intenzione tra le parti, combinando invece il criterio soggettivo dell’individuazione della volontà del dichiarante con quello oggettivo della comprensione ragionevole da parte del destinatario della dichiarazione sulla base del comportamento del dichiarante stesso. Nella volontà effettiva delle parti deve sussistere un minimo di corrispondenza tra le dichiarazioni delle parti ed il testo del documento, anche se imperfettamente espresso, ma il senso di tali dichiarazioni deve esprimere la volontà reale delle parti stesse a meno che le ragioni determinanti della forma del negozio non si oppongono. Il codice olandese opera analogamente. Viene riconosciuta in modo implicito, la regola soggettiva della volontà del dichiarante, ma allo stesso tempo stabilisce che non si può opporre al destinatario la non rispondenza ad una tale volontà di una dichiarazione o di un comportamento, quando il destinatario stesso li abbia intesi secondo il tenore che si poteva attribuire loro ragionevolmente ed in base alle circostanze concrete del caso. Inoltre viene estesa la stessa regola a qualunque terzo, il quale, fondandosi sul 81 significato che ad una dichiarazione o ad un comportamento poteva darsi ragionevolmente ed in base alle circostanze concrete del caso, abbia creduto alla costituzione, esistenza o estinzione di un rapporto giuridico ed abbia agito confidando nell’esattezza di questa credenza. Nel common law si distingue in materia contrattuale l’interpretation, la construction, che è l’interpretazione delle singole clausole contrattuali alla luce dei criteri oggettivi, come l’individuazione del nucleo centrale delle obbligazioni dedotte nel contratto, il cui inadempimento comporta la rottura del contratto stesso, la classificazione delle condizioni contrattuali implicite ed espresse, la determinazione del significato esatto delle espressioni usate, l’osservanza di quanto esplicitato nel contratto. Questi criteri acquisiscono un ruolo differente a seconda della forma scritta o orale del contratto. CONVENZIONI INTERNAZIONALI, PRINCIPI UNIDROIT E PROGETTI EUROPEI DI UNIFICAZIONE DEL DIRITTO CONTRATTUALE CONVENZIONE DI VIENNA L’art 8 della Convenzione di Vienna del 1980 sulle vendite internazionali di beni mobili riveste un ruolo fondamentale. Criterio fondamentale per interpretare le indicazioni e i comportamenti di un contraente è quello soggettivo della sua intenzione che deve però essere correlata alla conoscenza o conoscibilità della stessa parte dell’altro. In caso di impossibilità di applicazione di tale regola, si prevede che subentri il criterio oggettivo della ragionevolezza, per cui le indicazioni ed i comportamenti di una parte vanno interpretati secondo il senso datogli da una persona ragionevole, della medesima qualità e posta nella medesima situazione. Il terzo comma dell’art 8 elenca una serie di parametri complementari per individuare la volontà del contraente o il senso da attribuire ragionevolmente a quanto dice o fa: le circostanze concrete del caso, le consuetudini instauratesi fra di esse, gli usi ed ogni loro comportamento successivo alla conclusione del contratto. PRINCIPI UNIDROIT I principi unidroit dedicano l’intero capitolo quarto al tema dell’interpretazione dei contratti commerciali internazionali. La loro formulazione rappresenta uno sforzo di sintesi tra regole interpretative delle varie tradizioni giuridiche. Nell’art 4.1 si indicano due parametri fondamentali: quello soggettivo della comune intenzione dei contraenti, quello oggettivo 82 della ragionevolezza, per cui, non potendosi individuare una tale intenzione, il contratto va interpretato secondo il significato che una persona ragionevole della stessa qualità dei contraenti gli attribuirebbe nelle medesime circostanze. Nell’art 4.2 si ricalca l’art 8 della convenzione di Vienna. Si dà preferenza all’intenzione di chi li compie, sempre che l’altra parte conoscesse o non potesse ignorare tale intenzione, mentre un altro comma prevede che subentri la regola della ragionevolezza in caso di inapplicabilità. L’ultimo comma elenca varie circostanze cui, nel caso concreto, si deve avere riguardo ai fini di cogliere ed interpretare la volontà delle parti, distinguendone alcune di tipo soggettivo da altre di tipo oggettivo. Nelle prime sono comprese le trattative tra le parti, le pratiche instauratesi tra di esse ed il loro comportamento successivo alla conclusione del contratto. Le circostanze oggettive sono rilevanti soprattutto per l’applicazione del parametro della ragionevolezza sono: la natura e lo scopo del contratto, il significato comune dei termini e delle espressioni utilizzate nel settore commerciale considerato e gli usi. Queste due ultime circostanze non vanno intese in senso alternativo, ma complementare onde ampliarne il più possibile l’ambito di utilizzazione. PECL e DCFR Sia nei PECL che nel DCFR si nota un’impostazione sistematica, per cui nelle Disposizioni generali si detta un criterio guida per l’interpretazione di tutte le altre regole, al quale fa seguito, in un apposito capitolo, una serie di norme specifiche per l’interpretazione dei contratti. Rispetto al primo, le direttive di fondo indicate dal secondo Progetto risultano molto più estese e dettagliate. Paragonandoli, si osserva come in entrambi i testi si fissi il criterio generale di un’interpretazione delle norme conforme agli scopi complessivi dei due Progetti, ma mentre nel DCFR essa deve svilupparsi in modo autonomo ed in armonia con i principi sottostanti, i PECL si limitano a sottolineare più genericamente che essa deve avvenire in via evolutiva, puntando all’obiettivo di promuovere la buona fede e la correttezza, la certezza delle relazioni contrattuali e l’uniformità di applicazione. Il DCFR aggiunge quelli della tutela dei diritti umani, delle libertà fondamentali. Tutti e due i progetti hanno previsto una specifica disciplina per l’interpretazione contrattuale in base ad un’identica ragione: l’interpretazione del contratto svolge una funzione insostituibile per determinarne il contenuto non solo quando sussistono clausole ambigue, delle quali non sia possibile intenderne immediatamente il significato, ma anche quando clausole di per sé chiare siano in contraddizione tra loro o con l’intero assetto di interessi 85 Bassiano: secondo Bassiano i criteri interpretativi andavano applicati rispettando tale priorità: quod actum, ut magis valeat quam pereat, quod verisimilius, contra proferentem. Baldo: il ruolo della consuetudine interpretativa sia delle parole di uno statuto che dal contenuto di un negozio giuridico, soprattutto quando la stessa risponda all’equità non scritta. Mantica: egli insiste sulla necessità di intendere le clausole contrattuali in un senso che non sia assurdo. Toschi ripropone la regola della conservazione dell’atto. In seguito in un altro testo vengono affermati altri due canoni: il canone dell’interpretazione contro colui in favore del quale sono state scritte o pattuite le clausole di un documento o una scrittura; ed il canone per cui il significato dubbio delle parole nelle obbligazioni unilaterali deve intendersi nel modo meno gravoso per l’obbligato. Grozio e Pufendorf ritengono validi ancora i canoni precedenti ritenendoli buoni sia per le leggi che per gli atti di autonomia privata. Domat e Pothier continuano nella tradizione di sistematizzare e classificare anche le regole interpretative diverse da quelle soggettive. GLI ORDINAMENTI EUROPEI ATTUALI Molti ordinamenti richiamano la buona fede come criterio oggettivo. La buona fede come parametro cui orientare l’interpretazione viene utilizzato per la prima volta dal codice tedesco che la pone in collegamento con il concetto di usi. Quindi i contratti vanno interpretati con buona fede e correttezza, la stessa norma viene ripresa dal codice italiano (1366) dove è presente il riferimento anche agli usi comuni. In esso si enuncia una regola ermeneutica che esprime l’esigenza di tutelare l’affidamento di ciascuna parte sul significato dell’accordo. Anche il codice austriaco si rifà su questa linea. In Spagna il codice sottolinea che la dichiarazione di una parte deve essere interpretata non solo in base alla sua volontà, ma anche all’affidamento che suscita nell’altra che vi abbia confidato ragionevolmente secondo i normali traffici giuridici. In Svizzera si ammette l’interpretazione del contratto secondo buona fede: il significato che il destinatario di una dichiarazione può e deve attribuirle in base alle regole della buona fede oggettiva, conformemente al testo delle clausole, al loro contesto così come a tutte le circostanze concrete inerenti alla conclusione del contratto. Nell’ordinamento portoghese si allude all’interpretazione del contratto secondo buona fede, il codice olandese riconduce l’interpretazione di buona 86 fede ad un’ampia formulazione. In Francia la mancanza di una norma generale sulla buona fede ha indotto parte della dottrina e della giurisprudenza ad estendere anche all’interpretazione del contratto il riferimento alla sua esecuzione de Bonne foi. Dopo la riforma prevede che siano informate alla buona fede le fasi della negoziazione, formazione ed esecuzione del contratto, ma tace sulla sua interpretazione. Il codice civile napoleonico prevedeva sette articoli che aggiunti ai due relativi all’intenzione delle parti si dedicavano alla stipulazione del contratto. Con la riforme del 2016 la materia è stata razionalizzata, riducendoli i sette articoli a quattro. Common law attraverso I canali europei la buona fede dell’interpretazione delle clausole contrattuali è penetrata anche nel common law inglese, ma non se mai affermata una concezione generale: esse infatti nell’interpretare i termini espliciti del contratto e nel ricostruire quelli impliciti, continuano ad applicare le varie regole ermeneutiche secondo quanto farebbero un reasonable man in quel contesto e in quelle circostanze. Contra proferent, favor negotii…………… CONVENZIONI INTERNAZIONALI, PRINCIPI UNIDROIT, PROGETTI DI UNIFICAZIONE CONVENZIONE DI VIENNA Interpretazione e buona fede sono elementi fondamentali per l’interpretazione del contratto. PRINCIPI UNIDROIT Accanto ai parametri legati alla ricostruzione della volontà dei contraenti, scelgono di elencarne altri di tipo oggettivo, in funzione suppletiva: i primi tre articoli alludono a criteri noti, l’art 4 allude all’interpretazione complessiva del contratto, l’art 4 afferma di interpretare le clausole ambigue contro il suo autore e l’art 4 si occupa della risoluzione dei problemi interpretativi linguistici dando la preferenza a quella originale. L’art 4.8 è diretto a disciplinare un aspetto solo in parte riconducibile a problemi interpretativi, prendendo in esame l’inserimento di clausole mancanti nell’accordo contrattuale. PECL E DFCR I due progetti si presentano identici. Racchiudono la regola dell’interpretatio contra proferent. Sono previste due ipotesi: la prima identica a quella dei PECL che stabilisce che i dubbi interpretativi in ordine alle clausole non oggetto di trattative individuali vadano risolti in senso sfavorevole a chi le 87 abbia predisposte; la seconda si riferisce invece a quelle clausole introdotte nel contratto per influenza dominante di una parte. Vi è poi il canone dell’interpretazione complessiva del contratto e quello del favor negotii. Il primo enuncia la necessità di interpretare le clausole contrattuali nel loro insieme, senza isolare le une dalle altre. Inoltre vi è la prevalenza delle clausole di trattativa personale rispetto a quelle standard. Infine vi è il caso in cui un contratto redatto in più lingue può portare alla pluralità di versioni. In tal caso prevale quella originale. CESL E RISOLUZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO DEL 26 FEBBRAIO 2014 I criteri del PECL e del DCFR è stata ripresa anche nella proposta di regolamento del CESL, ma il passaggio parlamentare ha comportato alcune modifiche. Gli art 60 61 e 61 bis regolano i criteri dell’interpretazione complessiva delle clausole, delle divergenze linguistiche e del favor negotii. Gli art 61 e 62 si occupano dell’interpretazione contra proferentem, ampliandone la portata. Infatti dove una clausola oscura sia inserita in un contratto tra professionista e consumatore, prevale l’interpretazione favorevole a quest’ultimo a meno che non sia stata fatta inserire da lui; negli altri casi l’oscurità delle clausole non negoziate individualmente determina un’interpretazione favorevole del suo autore.
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