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Walter Benjamin, Piccola storia della fotografia, Schemi e mappe concettuali di Storia Dell'arte

Riassunto del saggio di Benjamin integrato con alcuni pezzi di lezione

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

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Scarica Walter Benjamin, Piccola storia della fotografia e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Walter Benjamin: “Piccola storia della fotografia” Fu scritto nel 1931 e divenne un testo fondamentale per capire i diversi temi che ritorneranno successivamente nel corso delle riflessioni teoriche sulla fotografia. La scrittura di Benjamin appare poetica (affida alla parola e alla purezza del linguaggio la capacità di evocare, divenendo in parte una scrittura simbolica (“…Le brume che avvolgono i primordi della fotografia”) e frammentaria, si basa su illuminazioni momentanee che vengono trascritte e poi dimenticate, poiché il discorso prosegue su altri piani. Il processo di scrittura per frammenti è l’elemento fondativo della sua poetica letteraria (Teoria espressa nel Romanticismo tedesco). Un’altra caratteristica del pensiero di Benjamin è —> analizzare le manifestazioni laterali della cultura umana, quindi: il fumetto, la letteratura per l’infanzia, i giocattoli. Rispetto a questi temi ha una grande apertura verso il mondo mediatico e la cultura di consumo nei suoi aspetti più diversi. Nasce nel 1982 a Berlino (Germania), e durante la sua vita si imbatterà in una serie di importanti incontri che ne determineranno il pensiero. Vi è anche un impianto politico, di derivazione marxista —> importante perché lui studia la fotografia all’interno dello sviluppo delle condizioni sociali e di potere, ma anche alla luce di una possibile emancipazione del proletariato. Sulla fotografia e sull’opera d’arte Benjamin ha dato importanti contributi. Dal ’33 lascia la Germania, gira un po’ per l’Europa e poi si stabilisce a Parigi. Ma nel ’40, a causa del suo credo religioso (era ebreo) è costretto a fuggire con un gruppo di esuli, attraversando i Pireni, giunge in Spagna per imbarcarsi ma vengono fermati dalla polizia spagnola. A quel punto, convinto di essere preso prigioniero e deportato, decide di suicidarsi. La fine del saggio apre ad una prospettiva “rivoluzionaria” —> un nuovo modo di intendere la fotografia in relazione a i rapporti di potere. Quindi contro le mistificazioni. La fotografia nasce a partire da un fine comune: fissare le immagini nella camera oscura. All’incirca dopo cinque anni, i primi a riuscire, contemporaneamente, nell’impresa furono: Nièpce e Daguerre. Ma lo Stato rese in poco tempo l’invenzione pubblica, delineando le condizioni per uno sviluppo rapido e costante dell’industrializzazione fotografica. La letteratura più recente rileva che il periodo di fioritura della fotografia (per intenderci l’attività di Hill, Cameron, Hugo e Nadar) coincide con il suo primo decennio —> il decennio che precede la sua industrializzazione. L’industria si impadronì del settore con le fotografia formato tessera, il cui primo produttore , diventò milionario —> questo aspetto spiega perché per decenni nessuno abbia preso in considerazione i problemi storici e filosofici dell’ascesa, e poi decadenza, della fotografia. I dibattiti del secolo scorso sull’argomento furono diversi: la critica che veniva mossa a i primi fotografi consisteva nel non riconoscergli il ruolo di artisti. Il vero artista (il pittore) era come un Dio esaltato da un’aspirazione celeste, che poteva azzardarsi a riprodurre i tratti umani - divini per ordine superiore del suo genio e senza l’ausilio di alcuna macchina. Mentre il voler fissare effimere immagini riflesse era considerata una follia —> l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, e nessuna macchina umana può fissare l’immagine divina. Daguerre ottenne il brevetto per la sua invenzione dallo Stato francese il 3 luglio del 1938. In seguito a un lungo discorso tenuto dal fisico Arago che difese l’invenzione dinanzi alla Camera dei deputati : “lo strumento viene usato per indagare la natura e cogliere quegli aspetti, quei dettagli invisibili all’occhio umano” — > Il discorso abbraccia ad ampio raggio il campo di applicazione della nuova tecnica. Le fotografie di Daguerre erano lastre d’argento allo Jodio impresse nella camera oscura, bisognava girarle e rigirarle più volte e con la giusta illuminazione, e a seconda dei tempi di posa, assumevano delle sfumature differenti sui toni del grigio, permettendo di distinguere un’immagine di un grigio più delicato. Erano dei pezzi unici. La vera “vittima” della fotografia fu la pittura di ritratto: difatti i pittori ritrattisti si ritrovarono a dover usare il nuovo mezzo fotografico, divenendo fotografi professionisti particolarmente esperti, in quanto già possessori di una certa esperienza (dovuta alla pittura). —> L’apprezzato ritrattista inglese David Octavius Hill basò il suo affresco del primo sinodo generale della chiesa scozzese (1843) su un’ampia serie di ritratti fotografici, eseguiti però personalmente. • Nel caso della pittura questi dipinti rimanevano immagini di volti anonimi, non veri e propri ritratti. Visi di questo genere esistevano nella pittura già da diverso tempo, restavano tra i beni di alcune famigli per poi essere dimenticati dopo un paio di generazioni. • Nel caso della fotografia avviene invece qualcosa di nuovo e singolare: per quanto il fotografo sia abile e la posa del suo modello accuratamente calcolata, l’osservatore sente l’impulso irrefrenabile di cercare nell’immagine la scintilla della casualità —> l’hic et nunc (quello che Benjamin definisce “luogo invisibile”) con cui la realtà ha, per così dire, folgorato il carattere dell’immagine. Si avverte il bisogno di individuare il punto appena visibile in cui si annida ancor oggi il futuro —> Anche se noi non abbiamo conosciuto le persone ritratte, ci interroghiamo sulla loro esistenza: su chi fossero. Studiamo l’espressione che hanno, avviando un processo di conoscenza per avvicinarci a Presto un’ottica avanzata poté disporre di strumenti che dominavano completamente l’oscurità e registravano come specchi i vari fenomeni. I fotografi ritennero fosse loro compito simulare l’aura, che con l’eliminazione dell’oscurità e grazie ad obbiettivi più luminosi, veniva di per sé rimossa dall’immagine e simulata con tutti gli artifici del ritocco —> in particolare con la cosiddetta “spugnatura”. Che cos’è in fondo l’aura? Il bisogno di entrare in possesso dell’oggetto da una distanza minima, nell’immagine o meglio nella riproduzione (giornali illustrati e cinegiornali). Resta decisivo il rapporto tra il fotografo e la sua tecnica: la fotografia di Atget (aveva provato a fare l’attore ma non ci era riuscito e non avendo avuto successo, era diventato un fotografo di documentazione) è quella intorno a cui si definisce l’aura. Attraverso le sue foto di Parigi: senza uomini ma che si concentrano solo su elementi dismessi e secondari, Man Ray vide delle rivelazioni surreali. Difatti Aget divenne il padre della fotografia surrealista. Ma cosa c’è di surrealista nelle sue fotografie? C’è l’assenza dell’uomo, un senso di stracciamento, di non riconoscimento di un luogo abituale. Nel saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, Benjamin dirà che sono come dei luoghi di un delitto, piene di indizi ma di cui non ci si spiega la ragione. C’è qualcosa di misterioso e perturbante. La rinuncia alla presenza dell’uomo è, per la fotografia, la più irrealizzabile in assoluto. È stata la cinematografia russa, per la prima volta, a dare l’opportunità di apparire davanti alla cinepresa a soggetti che non avevano alcun interesse per la propria fotografia —> e immediatamente il viso umano è ricomparso sulla lastra con un nuovo significato. Ma non era più un ritratto, che cos’era? Il fotografo tedesco August Sander risponde a questo interrogativo. Accumuna una serie di volti dal punto di vista scientifico. Svolge la sua analisi partendo dalle classi sociali più abbiette fino alla borghesia, conduce l’osservatore attraverso oggi tipo di ceto e professione, con un’osservazione diretta —> si è trattato di un lavoro del tutto scevro da pregiudizi, persino audace, ma al tempo stesso delicato. Sander produce una fotografia comparativa, secondo una prospettiva scientifica ben superiore a quella di ogni fotografo analiticamente teso al dettaglio. Con l’avvento del ‘900 assistiamo quindi alla perdita del ruolo puramente estetico della fotografia —> in virtù della sua funzione sociale essa è testimonianza e memoria. Infine, la fotografia diventa “creativa”, quando cessa di essere puramente fisiognomica, politica o scientifica —>in breve quando lo spirito (del fotografo) è in grado di superare la meccanica. È significativo che il dibattito si sia irrigidito soprattutto intorno all’estetica della “fotografia come arte”, mentre, ad esempio, non si è quasi per nulla considerato il fenomeno sociale di gran lunga più indubbio dell’“arte come fotografia”. Eppure, l’effetto della riproduzione fotografica di opere d’arte è, per la funzione dell’arte stessa, molto più importante della maggiore o minore artisticità della fotografia, per la quale l’esperienza diventa un “bottino dell’apparecchio fotografico”. l
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