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Warburg e la sopravvivenza dell'antico (parte 1 e 2), Dispense di Storia dell'arte antica

Warburg e la sopravvivenza dell'antico (parte 1 e 2) creati dalla professoressa,quindi sono perfetti per poi discuterne all'esame

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 10/02/2023

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Scarica Warburg e la sopravvivenza dell'antico (parte 1 e 2) e più Dispense in PDF di Storia dell'arte antica solo su Docsity! Tutto il materiale utile sulla figura di Aby Warburg e sull'Atlante Mnemosyne si può trovare su questo sito: http://www.engramma.it/eOS/core/frontend/eos_atlas_index.php?id_articolo=1177 http://www.engramma.it/eOS/core/frontend/eos_atlas_index.php?id_articolo=3465 Per comprendere il pensiero di Warburg è necessario considerare le tre forme in cui si è articolato il suo percorso conoscitivo: a) la Biblioteca (la Kulturwissenschaftliche Bibliothek), in cui la disposizione dei libri rispecchiava la struttura del suo pensiero e suggeriva percorsi di ricerca*; b) l'Atlante (il Mnemosyne Atlas) destinato alla pubblicazione; c) i suoi scritti, purtroppo incompleti (dove le idee generali erano sottoposte a verifica filologica) *La struttura originaria della Biblioteca era organizzata in: 1) Orientamento (Orientierung) 2) Parola (Wort) 3) Immagine (Bild) 4) Interpretazione (Dromenon, da una parola greca utilizzata nel linguaggio dei misteri) Non dobbiamo intimare all’antichità che essa risponda al quesito se sia classicamente serena o affetta da una frenesia demoniaca, puntandole al petto la pistola dell’aut-aut. Sapere se l’antichità ci spinge all’azione appassionata o ci induce alla serenità di una tranquilla saggezza, dipende in realtà dal carattere soggettivo dei posteri piuttosto che dalla consistenza oggettiva dell’eredità classica. Ogni epoca ha la rinascita dell’antichità che si merita. Aby Warburg in una conferenza tenuta ad Amburgo nel 1908 Veduta della mostra Aby Warburg. Mnemosyne – Bilderatlas, ZKM, Karlsruhe, 2016 Fotografia storica del Pannello 37 del Mnemosyne Atlas di Warburg Ricostruzione del pannello 48 del Mnemosyne Atlas di Warburg con le foto originali della collezione del Warburg Institute di Londra (Primavera/Autunno 1929) “La scultura antica ha avuto l’effetto accademico di un manuale illustrato della espressione intensificata dell’uomo patetico”. Agli artisti interessava soprattutto la carica espressiva delle figure classiche, capaci di veicolare con i loro movimenti intensificati “esperienze dell’emotività umana nell’intera gamma della sua tragica polarità dall’atteggiamento passivo della sofferenza fino a quello attivo della vittoria”. Aby Warburg, Mnemosyne (Introduzione), 1929 Il Giudizio di Paride, Sarcofago romano, II-III sec., Roma, Villa Medici M. Raimondi (da Raffaello), Giudizio di Paride, 1513-1520, Londra, British Museum A partire dal XIV secolo gli artisti cominciarono a utilizzare nelle proprie opere immagini tratte dalle vestigia dell’antichità: sarcofagi, frammenti di statue, monete, strutture architettoniche e iscrizioni; reimpiegati nell'arte rinascimentale, questi elementi avevano in primo luogo la funzione di citazioni. Il riuso dei ‘prototipi’ antichi nel Rinascimento si basava dunque certamente sul fatto che essi erano considerati come modelli insigniti dell’auctoritas derivante dalla classicità, ma non solo. D’altro canto non è neppure possibile affermare che gli artisti riutilizzassero le immagini di origine classica conservando sempre la consapevolezza del loro originario significato iconografico. Pittori e scultori intendevano piuttosto isolare, astraendoli dal loro contesto, figure particolarmente espressive e gesti caratteristici. Warburg chiarisce infatti come alcune Pathosformeln tratte dalla classicità siano sottoposte nella loro trasmissione a un processo di polarizzazione del senso. Tale polarizzazione può variare l’originaria portata semantica del modello figurativo fino a giungere a esiti espressivi opposti, di totale “inversione energetica”, pur mantenendone sostanzialmente inalterata l’identità formale. Pedagogo, dal gruppo dei Niobidi, copia romana da originale greco del IV-I sec. a. C, Firenze, Uffizi Andrea del Castagno, Davide con la testa di Golia, 1450-55, Washington, National Gallery Traiano nella guerra contro i Daci, part. del Fregio della Colonna Traiana Cerchia di A. Mantegna, La Giustizia di Traiano, part. del Cassone nuziale di Paola Gonzaga, 1477, Klagenfurt, Museum Rudolfinum Anonimo fiorentino, Giustizia di Traiano, XV. Sec., cassone nuziale L'interesse di Warburg per la figura della Ninfa è in realtà un tema ampiamente dibattuto e condiviso in quegli anni. Secondo Gombrich, non è da escludere che la ricerca gli fosse stata ispirata da un brano del Voyage en Italie di Hippolyte Taine (1866). Il carteggio fittizio (1901) con il suo amico André Jolles, filologo e storico olandese (volevano scrivere un romanzo epistolare a quattro mani), è fondamentale per capire i nuclei problematici che si dipartono dalla figura centrale della Ninfa e si concentrano sul problema del Nachleben des Antike. Entrambi intuiscono (e poi Warburg lo metterà a fuoco nella tav. 46 dell'Atlante) la fondamentale duplicità della Ninfa, che può trasformarsi o "incarnarsi" tanto in figura positiva quanto in personificazione crudele del femminile. Tuttavia, il progetto sulla Ninfa di Warburg non si è mai concluso, probabilmente per una difficoltà metodologica: la figura della ninfa mostra infatti una straordinaria forza disseminativa e si rivela resistente a ogni tentativo di attribuirle un significato. La figura della Ninfa è, inoltre, una costante nella letteratura europea dell'800 che fa dell'amore antiquario del passato e della riproposizione del tema archeologico, come disseppellimento della memoria dell'antichità e del paganesimo, un tema persistente. In questa chiave va ricordato anche il pensiero di Heinrich Heine, secondo il quale, con la vittoria del cristianesimo, gli dei pagani non sono stati cancellati, ma continuano a vivere sotto altre forme. Nel 1852, Gautier pubblicherà Arria Marcella. Ricordo di Pompei dove si mescolano fantasia archeologica, vitalismo pagano, allucinazione e desideri erotici inconsci suscitati da una "ninfa". Infine, nel 1903, a seguito della pubblicazione del racconto di Wilhelm Jensen, Gradiva. Una fantasia pompeiana, anche Freud, che pubblicherà una analisi del racconto, si interesserà alla figura della Ninfa e la cosa non è casuale, essendo legata all'idea della persistenza (inconscia) e del rimosso. “La Gradiva” (colei che avanza) (Horai – Stagioni - o Aglauridi), forze fecondatrici della natura), rilievo romano I sec. d. C., probabile replica di un originale greco della fine del IV sec., Città del Vaticano, Musei Vaticani (così chiamata dal racconto di W. Jensen, Gradiva. Una fantasia pompeiana, tema ripreso nel saggio di Freud del 1907) Rilievo con Menade danzante, età augustea, I sec. d. C., (riconducibile a un modello della fine del V sec. a. C. attribuito a Callimaco) Roma, Musei Capitolini Giuliano da Sangallo, Figura muliebre, Firenze, Galleria delle Stampe e dei Disegni degli Uffizi Anonimo, Codex Escurialensis, Ninfa, 1491-1508 circa, Madrid, El Escorial Agostino di Duccio , Angelo musicante (calco) dal Tempio Malatestiano di Rimini, 1449-1457, Rimini, Museo Civico Agostino di Duccio, Calliope (serie delle Muse), 1449-1457, Rimini, Tempio Malatestiano Sarcofago con Storie di Medea, II sec. d. C., Roma, Museo Nazionale romano Madre distruttiva (Donna furiosa, offesa) Tav.5 Rilievo con Bacco bambino vegliato da Baccanti, I sec. d. C., Londra, British Museum Gruppo di Baccanti, seconda metà I sec a. C., Roma, Museo Nazionale romano Sarcofago bacchico, seconda metà del II sec. d. C., part., Amsterdam, Allard Pierson Museum Gentile da Fabriano o Bottega di Pisanello, Due Menadi dall’antico (dal Sarcofago bacchico ora a Amsterdam), primo quarto XV sec., Oxford, Ashmolean Museum Anonimo Veneziano, Tiaso bacchico, XV secolo, Parigi, Musée du Louvre Rilievo, detto Le Danzatrici Borghese, II sec. d. C., Parigi, Musée du Louvre Andrea Mantegna, Ninfe danzanti, incisione Andrea Mantegna, Il Parnaso, 1497 circa, Parigi, Musée du Louvre Edward Burne-Jones, Il giardino delle Esperidi, 1870 circa, Amburgo, Kunsthalle “Dilettano nei capelli, nei crini, ne’ rami, frondi et veste, vedere qualche movimento. Et quinci verrà ad quella gratia, che i corpi da questa parte percossi dal vento, sotto i panni in buona parte mostreranno il nudo, dall'altra parte i panni gettati dal vento dolce voleranno per aria” Leon Battista Alberti, Della pittura, 1436 L'espediente dell'intensificazione del movimento era ritenuto necessario per esprimere la vitalità della figura, che per l'artista diventava una priorità compositiva, già nella trattatistica del '400. Aby Warburg, Tavola 46 di Mnemosyne (La Ninfa-Ancella) Sandro Botticelli, Mosè e le figlie di Ietro (particolare), 1481-82, Città del Vaticano, Cappella Sistina Sandro Botticelli, Le tentazioni di Cristo (particolare), 1481-82, Città del Vaticano, Cappella Sistina Sandro Botticelli, La Primavera (o Il Regno di Venere), 1482 circa, Firenze, Uffizi “Farai scoprire la quasi vera grossezza delle membra a una ninfa o a uno angello (sic), li quali si figurino vestiti di sottili vestimenti, sospinti o inpressi dal soffiare de’ venti; a questi tali et simili si potra benissimo far scoprire la forma delle membra loro” Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura L'analogia formale tra la Ninfa e l'angelo è già puntualizzata da Leonardo come rileva Warburg nel suo saggio sulla Nascita di Venere e la Primavera di Botticelli (1893) “E così si mostravano le Vittorie alate sugli archi trionfali romani o quelle menadi danzanti che, coscienziosamente imitate, appariscono per la prima volta nelle opere di Donatello o di Fra Filippo e ridestarono l’antico stile più nobile ed esprimente una vita più movimentata: quella vita che anima Giuditta o Raffaele che accompagna Tobiolo o la Salomè danzante, figure alate che volarono via dalle botteghe del Verrocchio, del Botticelli e del Ghirlandajo, prodotti di un felice innesto del ramo sempreverde dell’antichità pagana sull’albero inaridito della pittura borghese fiandreggiante”. Aby Warburg, Delle 'Imprese amorose' nelle più antiche incisioni su rame fiorentine, [1905], trad. it. in La rinascita del paganesimo antico, a cura di Gertrud Bing, Firenze 1966 Il multiforme aspetto della Ninfa che viene usata per incarnare figure di segno opposto viene riportato da Warburg all'aspetto rivitalizzante dell'arte classica nei confronti dell'arte fiorentina di matrice borghese nutritasi fino a quel momento soprattutto di modelli fiamminghi. Ninfa, I sec. d. C., Città del Vaticano, Musei Vaticani Donatello, Il Banchetto di Erode, 1439, Lille, Musée des Beaux-Arts Filippino Lippi, Storie della vita del Battista, Il banchetto di Erode (particolare della Danza di Salomè), 1452-1464, Prato, Duomo Benozzo Gozzoli, La danza di Salomè, 1461-62, Washington, National Gallery of Art Schema legato al “Passo della Ninfa” dalla Tavola 47 di Mnemosyne Appunto introduttivo di Warburg alla Tavola: “Ninfa come angelo custode e come cacciatrice di teste. Trasporto della testa” (“Ninfa” in italiano) Sandro Botticelli, Giuditta e Oloferne (Il ritorno di Giuditta a Betulia), 1472 circa, Firenze, Uffizi Sandro Botticelli, Giuditta con la testa di Oloferne, 1497-1500 ca., Amsterdam, Rijksmuseum Sarcofago bacchico, seconda metà del II sec. d. C., part., Amsterdam, Allard Pierson Museum Donatello, Crocifissione e Compianto di Cristo, part. del Pulpito della Passione, post 1460, Firenze, Basilica di San Lorenzo, Bertoldo di Giovanni, Crocifissione, 1480 circa, Firenze, Museo del Bargello Sarcofago con la morte di Alcesti, II sec. d. C., Genova, S. Maria delle Vigne Niccolò dell’Arca, Compianto sul Cristo morto, particolare, 1485 circa, Bologna, Chiesa di S. Maria della Vita "La Danza di nudi di Villa la Gallina ad Arcetri (Firenze), dipinta da Antonio del Pollaiolo tra il 1460 e il 1475, rappresenta una danza estatica ‘all’antica’ e costituisce un esempio iconografico unico nella Firenze di metà Quattrocento. Il rapporto con l’arte antica è evidente, sia per il carattere della danza che per la nudità delle figure, per la loro disposizione a fregio e per il contrasto, creato dal loro chiarore contro lo sfondo scuro, tipico delle pitture vascolari antiche. Recentemente, è stata approfondita la possibilità che le fonti iconografiche a disposizione di Antonio del Pollaiolo potessero essere le rappresentazioni dionisiache scolpite sui sarcofagi ellenistico-romani, il repertorio classico a cui gli artisti fiorentini del Quattrocento guardavano sempre con assiduità e dal quale traevano le forme che segnarono l’irruzione del movimento e dell’espressività ‘all’antica’ nella pittura ‘moderna’ rinascimentale. Sono stati identificati da Eve Borsok i ‘tipi’ dai quali derivano le posture delle figure dipinte alla Gallina. Ogni danzatore deriva da una tipologia precisa di baccante così come veniva rappresentato nell’antichità ma, diversamente da come appare sui sarcofagi, viene ritratto completamente nudo e deprivato degli attributi tipici del corteo dionisiaco. I ‘tipi’ ripresi da Antonio del Pollaiolo ricorrono sistematicamente all’interno delle decorazioni dei sarcofagi dionisiaci, la cui composizione avveniva come una sorta di collage di figure ‘standard’ tratte da un repertorio fisso ‘di bottega’ e riprodotte serialmente. Solo per uno dei danzatori – il terzo del fregio – si deve far riferimento a un originale unico: si tratta del sarcofago proveniente da Orvieto e conservato alla Arbury Hall, perché noto e copiato da altri artisti fiorentini coevi ad Antonio del Pollaiolo e di cui rimane testimonianza anche in un disegno di Cassiano Dal Pozzo oggi alla Royal Library di Windsor. Per ognuna delle figure dipinte possono essere invece indicati più modelli tratti da diversi esemplari antichi noti. È proprio il carattere tipologico dei danzatori, la presenza di una ‘serie’, oltre che la specularità evidente rispetto ai modelli presentati, a legittimare questa ipotesi di derivazione e a rendere in un certo modo secondaria l’identificazione del modello preciso studiato da Antonio, poiché egli prese ispirazione solo da alcuni degli esemplari della serie tra loro perfettamente equivalenti, all’epoca noti". (da M. Gelussi, in Engramma 21, 2002) Sarcofago con thiasos bacchico proveniente da Orvieto (e noto nel Rinascimento), II sec. d. C., Nuneaton, Arbury Hall A. Pollaiolo Sarcofago bacchico (part.), 140-150 d.C., Vaticano, Cortile Ottagonale A. Pollaiolo Cammeo, I sec. a.C., Napoli, Museo Archeologico Nazionale (originariamente parte delle collezioni medicee) La pathosformel della "donna disperata" (la donna che accorre gettando violentemente le braccia all'indietro/o in avanti per esprimendo con il corpo il suo sentimento "intensificato" di un dolore inconsolabile, il rifiuto di un evento inaccettabile), utilizzata già nel Medioevo, deriva dalla ripresa dei sarcofagi classici rappresentanti il tema della Morte di Meleagro. Nella tav. 42, Warburg si concentra sul tema della morte opponendo le posture rigide e statiche proprie del defunto (la morte mette fine al movimento che è vita) a quelle dinamiche del dolore, nei suoi diversi gradi. I sarcofagi con la Morte di Meleagro (e più specificatamente quelli che insistono sul tema del trasporto del corpo dell'eroe, piuttosto che sul momento del compianto), ritenuti già da Leon Battista Alberti un modello fondamentale da imitare per la resa della morte, sono all'origine anche di un'altra importante pathosformel, quella del "braccio della morte". Sarcofago con la Morte di Meleagro, 180 d.C. circa, Milano, Collezione Torno (prototipo conosciuto nel Rinascimento e presente a Firenze almeno prima del 1485 e già indicato da Warburg come la fonte antica usata come modello per il bassorilievo della tomba Sassetti) Nicola Pisano, Strage degli Innocenti, formella del Pulpito di Siena, 1265-1269, Siena, Duomo Sin: particolare del sarcofago romano con Scene della Vita di Meleagro, 170-180 d.C., Milano, collezione Torno, già a Firenze, Palazzo Montaldo, conosciuto da prima del 1485 Ds: particolare del pulpito di Nicola Pisano con la Strage degli Innocenti, 1265-68, Siena, Duomo Giotto e bottega, Crocifissione, 1310 circa, Assisi, Basilica Inferiore Giotto e bottega, Strage degli Innocenti, 1310 circa, Basilica Inferiore Masaccio, Crocifissione, Cuspide del Polittico di Pisa, 1426, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte Giuliano da Sangallo, Tomba di Francesco Sassetti (part.), ante 1485, Firenze, Santa Trinita (derivata dal Sarcofago già in Collezione Torno a Milano) Picasso, Guernica, 1937, Madrid, Museo Reina Sofia Sarcofago con la Morte di Meleagro, 180-190 d.C., Williamstown, Clark Art Institute (già Wilton House) (prototipo conosciuto nel Rinascimento e presente a Roma dove viene reimpiegato nella Chiesa di S. Angelo in Pescheria)
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