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La Pianificazione Patrimoniale: Ruolo del Commercialista e Importanza dei Beni di Lusso, Appunti di Diritto

Sulla rilevanza crescente della pianificazione patrimoniale in italia, con un focus sul ruolo dei commercialisti e sulla composizione del patrimonio familiare, inclusi beni mobili e beni di lusso. Le implicazioni fiscali e la necessità di collaborazione tra referenti fiduciari per preservare e far crescere il patrimonio.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 18/10/2019

Lucianor
Lucianor 🇮🇹

3.7

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Scarica La Pianificazione Patrimoniale: Ruolo del Commercialista e Importanza dei Beni di Lusso e più Appunti in PDF di Diritto solo su Docsity! Documento “Il Wealth Planning. Strumenti a tutela del patrimonio” Luglio 2018 2 A CURA DI CONSIGLIERI DELEGATI AREA FINANZA AZIENDALE MAURIZIO GIUSEPPE GROSSO LORENZO SIRCH COMPONENTI AREA FINANZA AZIENDALE ALESSIA BASTIANI ROBERTO IANNI GIOVANNI PINNA PARPAGLIA COMPONENTI AREA FISCALITÀ LUIGI GUALERZI VALERIA GUIDO SERGIO SPINELLI ESPERTI VALERIA FERRERO PRESIDENTE GRUPPO DI LAVORO AIPB SIMONA MAGGI DIRETTORE SCIENTIFICO AIPB RICERCATORI FNC VIVIANA CAPOZZI ROBERTO DE LUCA NICOLA LUCIDO 5 patrimonio, segue un processo che, partendo da una fotografia del patrimonio globale, si snoda attraverso l’individuazione, insieme al cliente, degli obiettivi di medio-lungo periodo, e attraverso l’identificazione, con il supporto di un team di professionisti (notai, avvocati, consulenti finanziari, ecc.), degli strumenti più idonei di gestione e l’esecuzione di un piano di protezione/passaggio generazionale del patrimonio stesso. Maurizio Giuseppe Grosso e Lorenzo Sirch Consiglieri Nazionali con delega alla Finanza aziendale 6 1. Comprendere l’attuale scenario per favorire crescita e sviluppo nel medio lungo termine 1.1. Le condizioni economiche delle famiglie e le loro scelte di investimento Il contesto macroeconomico migliora in tutti i Paesi europei e trasversalmente nei diversi settori industriali, riportando il tasso di occupazione sopra al livello pre-crisi del 20081. Anche l’Italia cresce a un buon ritmo nel 2017, ma il PIL reale non recupera ancora i livelli precrisi e vede aumentare il divario rispetto alla Francia, Germania e Spagna. Il trend di crescita si conferma comunque solido e favorisce il mercato del lavoro portando un aumento del tasso di occupazione ed una riduzione della disoccupazione. Per quanto riguarda le condizioni economiche delle famiglie italiane, la formazione di risparmio, inteso come reddito non consumato, è più bassa rispetto al passato, ma la ricchezza, intesa come patrimonio accumulato nel tempo, è aumentata dell’1,8 per cento ed è rimasta stabile a 9,3 volte il reddito disponibile (8,5 volte se calcolata al netto delle passività).2 La bassa redditività delle obbligazioni, l’andamento positivo dei mercati azionari dal 2013 ad oggi e la crescente attenzione delle famiglie italiane verso la diversificazione e la gestione del rischio, hanno reso i fondi comuni, le gestioni patrimoniali e le polizze le scelte privilegiate di investimento degli ultimi anni. Inoltre, il successo inaspettato dei PIR3 ha dimostrato l’apprezzamento da parte delle famiglie italiane dell’utilizzo della leva fiscale da parte del Governo a favore di chi investe nel futuro dell’economia italiana. Tale successo, che ha generato una raccolta di 11 miliardi di euro nel 2017 ed una previsione di ulteriori 60 nei prossimi 4, ha favorito un salutare aumento delle operazioni di quotazione delle PMI italiane nel 2017, trend positivo mai registrato prima, che sta proseguendo nel 2018 con un numero crescente di aziende in lista per la quotazione all’AIM4 e una significativa attenzione verso il provvedimento sul credito d’imposta per i costi relativi alla quotazione. Minore è invece la fiducia delle famiglie italiane sulla tenuta nel medio periodo del welfare nazionale, da cui consegue un aumento della quota di Fondi comuni, fondi pensione e riserve tecniche nei portafogli, valori che, se rapportati al PIL, allineano progressivamente le scelte delle famiglie italiane alla media europea. 1.2. Le preoccupazioni per il futuro e il valore attribuito alla consulenza Negli ultimi anni, nell’ambito della gestione dei patrimoni e degli investimenti, al fine di offrire un servizio di gestione personalizzata del portafoglio o di consulenza finanziaria evoluta, secondo le esigenze o le richieste del cliente, il Private Banking ha sostenuto rilevanti investimenti per potere offrire una gamma di servizi quali l’asset protection, l'asset segregation, l’assistenza nella gestione del passaggio generazionale, la pianificazione finanziaria, assicurativa e previdenziale. Proprio la natura 1 Fonte “Economia, mercati finanziari, banche e risparmio” febbraio 2018, report Prometeia. 2 Banca d’Italia, Relazione annuale anno 2017. 3 I Piani Individuali di Risparmio, introdotti con Legge di Stabilità 2017, sono investimenti indirizzati al sostegno delle piccole e medie imprese che offrono il vantaggio fiscale di vedere azzerate le tasse sugli utili a chi mantiene l’investimento per 5 anni. 4 AIM Italia è il mercato di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese italiane ad alto potenziale di crescita 7 articolata di questo servizio ha spinto l’AIPB a misurare con costanza il valore dei patrimoni delle famiglie “private”5, a monitorare il loro rapporto con il denaro, le loro preoccupazioni per il futuro e l’importanza attribuita alla consulenza professionale. Le famiglie private italiane hanno caratteristiche peculiari se confrontate con i principali mercati internazionali. Dal punto di vista geografico, si distribuiscono in tutto il territorio italiano mostrando una concentrazione particolare solo in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. In termini oggettivi, la ricchezza finanziaria complessiva pari a 1.0296 miliardi di euro ed è concentrata nelle famiglie con un patrimonio compreso tra 500.000 e 5 mln di euro. Prendendo come riferimento la persona che all’interno della famiglia assume le decisioni di natura finanziaria, dal punto di vista socio-demografico, le famiglie private sono rappresentate nel 76% dei casi da un uomo con un livello di scolarizzazione mediamente elevato e un’età di 58 anni. Analizzando l’atteggiamento personale verso la gestione della propria ricchezza e le aspettative nei confronti di un servizio di consulenza, i decisori finanziari mostrano interessanti differenze di approccio che finiscono con l’influenzare la loro percezione di valore e, quindi, la loro disponibilità a remunerarlo. In particolare, uno studio recente di AIPB ha individuato quattro profili distinti che mettono in evidenza attitudini e attese della clientela private italiana7. Fonte: “XII Osservatorio sulla clientela Private in Italia” di GFK per AIPB - febbraio 2018. Base: 600 rispondenti Un primo segmento di clientela, che rappresenta il 28% dei clienti intervistati, in riferimento al rapporto con il denaro, mostra un atteggiamento oculato, si sente un buon amministratore del proprio denaro attraverso un controllo di entrate e uscite, amando valutare le alternative pur ritenendo di avere una cultura finanziaria nella media. La principale preoccupazione per il futuro è la riduzione delle rendite finanziarie. Gli investimenti non possono essere un azzardo, ma devono essere profittevoli e non necessariamente conservativi. Sono propensi a delegare un consulente, sebbene con riserva, perché sanno di non poter tenere tutto sotto controllo. Per quanto riguarda la consulenza, attribuiscono valore soprattutto alla gestione degli investimenti, ma il 30% mostra interesse anche per 5 Il servizio è considerato di Private Banking se è erogato su un patrimonio personale, familiare o collegato all’attività professionale o imprenditoriale ed in cui rientrano beni di natura bancaria, finanziaria, immobiliare e di lusso come quadri e gioielli. Il patrimonio disponibile del cliente oggetto del servizio di Private Banking non può, per motivi di economicità e di sostenibilità, essere inferiore all’importo convenzionalmente fissato in un controvalore totale di almeno euro due milioni. 6 Fonte: “Stima del mercato potenziale private al 2016” di Prometeia per AIPB. 7 XII Osservatorio sulla clientela Private in Italia” di GFK per AIPB - febbraio 2018 10 Nota: Percentuale di risposte al quesito: “Quale fra questi la preoccupa maggiormente?” Nota: Percentuale di risposte al quesito: “Per quello che lei sa o può immaginare, quali sono le principali caratteristiche che distinguono maggiormente un servizio di Private Banking rispetto ad un servizio bancario di base?” Fonte: “XII Osservatorio sulla clientela provate in Italia” di GFK per AIPB – febbraio 2018 Una quota finale del 20% della clientela si sente ottimista, soddisfatta del benessere economico della sua famiglia che migliorerà ulteriormente in futuro grazie ad un’economia italiana che non peggiorerà ulteriormente. Le preoccupazioni, che spiegano un interesse verso servizi di gestione fiduciaria del patrimonio, riguardano la salute e l’impedimento a continuare a lavorare con conseguenze negative sulla capacità di provvedere a figli e nipoti. Per questi clienti diventa rilevante integrare il servizio con attività di insurance planning per gestire il piano previdenziale (come mostra il grafico al paragrafo 3), implementare efficienti soluzioni per la tutela della persona, della salute e della famiglia. Le attese sulla qualità della consulenza sono elevate, ma si tratta di un gruppo di persone in grado di valutare e riconoscere il valore del servizio di cui usufruisce, in effetti l’ingaggiato risulta colui che maggiormente riconosce la consulenza e i servizi alle imprese e la consulenza sul patrimonio nel suo complesso come caratteristiche distintive del Private Banking, a dimostrazione che una relazione sana, fondata su elementi solidi quali la fiducia e il reciproco rispetto, abilita la banca e il banker a costruire insieme al cliente un servizio di consulenza a vero valore aggiunto che vale la pena scegliere fra altri servizi. Nota: Percentuale di rispondenti “molto” al quesito: “Le leggo ora una serie di frasi: per ciascuna dovrebbe dirmi quanto è simile a quello che lei fa o pensa”. Scala: MOLTO; ABBASTANZA; POCO; PER NIENTE. 25 23 19 22 23 Mantenere il tenore di vita in… Criminalità Provvedere al benessere dei figli Riduzione delle rendite finanziarie Stabilità del Paese Le preoccupazioni per il futuro del cliente Distratto 17 18 34 49 73 Consulenza sul patrimonio nel suo complesso Consulenza e servizi alle imprese Soluzioni finanziarie personalizzate Consulenza sulla gestione degli investimenti finanziari Un referente dedicato Aspetti distintivi della consulenza per il cliente Distratto 12 20 9 16 18 i soldi preferisco godermeli piuttosto che accantonarli mi piace spendere controllo attentamente entrate e uscite del denaro familare mi ritengo un buon amministratore del mio denaro valuto attentamente le varie alternative L'approccio del cliente Ingaggiato con il denaro 11 Nota: Percentuale di risposte al quesito: “Quale fra questi la preoccupa maggiormente?” Nota: Percentuale di risposte al quesito: “Per quello che lei sa o può immaginare, quali sono le principali caratteristiche che distinguono maggiormente un servizio di Private Banking rispetto ad un servizio bancario di base?” Fonte: “XII Osservatorio sulla clientela provate in Italia” di GFK per AIPB – febbraio 2018 Analizzate le caratteristiche della clientela, appare evidente come sia sempre più necessario fornire un adeguato servizio di consulenza, i cui requisiti sono ormai codificati e condivisi dalle famiglie private: poter contare su di un referente dedicato con il quale instaurare una relazione di medio/lungo periodo, avere la possibilità di ricevere proposte realizzate sulla base dei propri bisogni, poter disporre di un’ampia gamma di prodotti o servizi e sapere di poter avere accesso ad un team di tecnici esperti, quando necessario. La capacità del referente dedicato di soddisfare pienamente le attese della clientela deriva prioritariamente dal suo livello di propositività, dalla disponibilità a dedicare tempo e a supportare le famiglie nelle decisioni, dallo spiegare le implicazioni delle scelte effettuate valutando assieme, anche a posteriori, la coerenza con le esigenze di partenza. Infine, per quanto riguarda la tendenza delle famiglie private a diversificare le relazioni fiduciarie, va detto che il lungo periodo di crisi economica le ha rese più consapevoli dei propri fabbisogni di investimento e di pianificazione patrimoniale e le ha abituate a confrontare e a scegliere tra alternative differenti. Le frequenti evoluzioni regolamentari (Mifid I e Mifid II) hanno contribuito ad alzare il livello di attenzione degli operatori del Private Banking verso l’importanza della gestione del rischio complessivo degli investimenti, superando quindi le valutazioni legate alla performance di ogni singolo strumento tipiche di un approccio ormai tramontato. In un contesto finanziario che sta cambiando in modo molto veloce, la nuova frontiera del wealth planning si basa sulla costruzione di rapporti di fiducia che durino nel tempo per soddisfare le aspettative dei clienti. Le tradizionali competenze tecniche (caratteristiche e rischi delle soluzioni di investimento, oneri complessivi e loro impatto sul portafoglio, efficienza fiscale, requisiti di adeguatezza, principi di valutazione applicabili ai prodotti, implicazioni della diversificazione sulle singola alternative di investimento, ecc.) richiedono livelli di accuratezza sempre crescenti e devono essere affiancati dalla conoscenza e dalla comprensione delle soluzioni finalizzate alla pianificazione ed alla detenzione del patrimonio familiare che assumono oggi la medesima rilevanza attribuita tradizionalmente alla gestione ed allo sviluppo dei patrimoni finanziari. Di conseguenza, se da una parte il quadro economico traccia uno scenario migliore rispetto a quello degli ultimi anni, la rilevanza 27 14 34 19 18 Mantenere il tenore di vita in… Criminalità Provvedere al benessere dei figli Riduzione delle rendite finanziarie Stabilità del Paese Le preoccupazioni per il futuro del cliente Ingaggiato 33 27 60 64 74 Consulenza sul patrimonio nel suo complesso Consulenza e servizi alle imprese Soluzioni finanziarie personalizzate Consulenza sulla gestione degli investimenti finanziari Un referente dedicato Aspetti distintivi della consulenza per il cliente Ingaggiato 12 per la stabilità e lo sviluppo del Paese che continua ad avere la ricchezza privata sembra suggerire l’importanza della massima collaborazione tra i diversi referenti fiduciari delle famiglie per aiutarle a preservare e fare crescere il loro patrimonio e per supportarle nelle decisioni più complesse sulla continuità aziendale, sulla crescita o sulla gestione della discontinuità. In questo scenario, peraltro caratterizzato dalla crescente mobilità internazionale di persone e capitali in un contesto globale, diventa quindi essenziale il dialogo aperto tra tutti gli attori, intermediari e professionisti, che possono mettere a disposizione competenze specifiche e che possono collaborare nella definizione delle giuste linee guida per una pianificazione patrimoniale efficace. 2. Le condizioni di partenza: analisi preliminare del patrimonio globale 2.1. Le molteplici forme del patrimonio famigliare I beni che concorrono a formare il patrimonio di una famiglia possono essere classificati in modo differente a seconda, per esempio, del loro valore o a seconda del tipo di detenzione, che potrà essere diretta o meno. Importante è provvedere, in via preventiva, ad una definizione quali/quantitativa di tutto il patrimonio, tenendo presente ed evidenziandone il grado di liquidabilità, la redditività, la tassazione diretta e indiretta, il trattamento fiscale in caso di trasferimento inter vivos o mortis causa. Per una organica disamina, in questa sede si distingueranno i beni secondo uno schema noto ai commercialisti. Pertanto, una famiglia potrà detenere, in sintesi: - beni immateriali; - immobili, fabbricati e/o terreni; - beni mobili tra i quali i beni di lusso; - partecipazioni societarie o aziende; - polizze assicurative; - liquidità. Beni immateriali In un paese creativo come l'Italia, la presenza di beni consistenti in marchi (brand) non è affatto infrequente così come la genialità porta spesso a detenere brevetti. Nella generalità dei casi i beni immateriali giuridicamente tutelati in quanto registrati, trovano allocazione in società mentre è raro che gli stessi siano detenuti direttamente dall'ideatore in quanto persona fisica. Anche nel caso di diritti di autore, il comportamento prudente impone che questi siano conferiti in contenitori giuridici, società, fondazioni o trust, meglio tutelanti la loro trasmissione ereditaria e la ripartizione dei conseguenti proventi. A questi si aggiungano anche i beni intangibili in senso letterale costituiti da know-how o altri diritti non protetti che spesso non trovano evidenza e adeguata valorizzazione nei bilanci familiari e, ancora prima, nei bilanci delle società di famiglia che quel know-how dovrebbero custodire e, meglio ancora, far fruttare. Immobili La casa è il tipico bene presente nel patrimonio della maggior parte delle famiglie italiane. Molte di queste possiedono più di un immobile ed altre ancora sono proprietarie di case utilizzate per villeggiature alternative alla seconda casa o produttive di reddito se date in locazione. Non sono rari anche opifici e cascine costruiti nel tempo dall'imprenditore, così come terreni agricoli, boschivi, incolti 15 alla "materializzazione" di valori latenti, considerati valori da assoggettare a tassazione (che cos'è la deduzione in diciotto anni dell'avviamento se non una tassazione anticipata dello stesso?). E quando il legislatore fiscale ammette le rivalutazioni, queste sono quasi sempre a pagamento. La mancata esposizione in bilancio porta con sé una serie di conseguenze negative sulla capacità patrimoniale famigliare, ancorché veicolata in forma societaria. Dal lato societario, si pensi alla sottocapitalizzazione, alla sottovalutazione delle capacità di accesso a fonti di finanziamento di società non quotate in Borsa, ma dotate di elevate potenzialità di crescita, alla difficoltà di accesso al credito mancando l'esposizione in bilancio dei detti beni. Sotto l'aspetto della gestione dei rapporti di famiglia, la mancata evidenza di tali valori può portare taluni familiari a considerare di irrilevante valore partecipazioni in società di famiglia mentre altri, consci del valore latente, potrebbero approfittare di tale inadeguata valorizzazione per accaparrarsi dette partecipazioni a "prezzo di sconto". Ne conseguono spesso scontri familiari che manifestano tutta la loro forza distruttrice specialmente nel momento dell'apertura della successione. Gli immobili Fino a un decennio fa, il "mattone" era considerato il tipico bene rifugio, una garanzia per l'accrescimento del valore del patrimonio di famiglia. Da dieci anni a questa parte, in molti casi, non è più così. I costi di gestione elevati, l'imposizione fiscale accresciuta e, più in generale, le difficoltà connesse al loro mantenimento o alla loro messa a reddito, condizionano fortemente l'investimento in tali beni. Tanto più se l'immobile è detenuto all'estero. Sovente gli immobili risultano cointestati ai coniugi, in particolare se si tratta della prima casa. È una scelta corretta? La risposta, forse, va trovata non tanto nelle leggi, ma nelle statistiche: quasi la metà dei matrimoni termina con il divorzio. Si vengono a generare, pertanto, situazioni quasi irrisolvibili, se non in maniera classica, che prevedono malessere e penalizzazioni da una parte, e istanze di risarcimento dall'altra. Se l'assegnazione della prima casa agli eredi spesso è rimandata al decesso di entrambi i coniugi (il coniuge superstite, si ricorda, mantiene il diritto di abitazione sull'abitazione coniugale), l'utilizzo e l'occupazione delle seconde case, quelle utilizzate per anni dalla famiglia per trascorre le proprie vacanze, diventano di non semplice attribuzione in occasione della scomparsa del primo genitore contrapponendosi aspettative e desideri non solo degli eredi, ma anche dei familiari "acquisiti" alla famiglia quali compagni, compagne, nuore e generi. Altre volte l'abitazione si trova a ridosso, se non addirittura adiacente, al capannone dell'azienda di famiglia. Oggi queste situazioni scontano le difficoltà legate alla loro vendita, rendendo in alcuni casi vano l'investimento iniziale. Abitazioni di famiglia si trovano anche in società dalle stesse detenute con costi impositivi e amministrativi oramai proibitivi per singole o poche unità. Per tale ragioni, da tempo si susseguono periodicamente norme che ne consentono l'assegnazione o l'estromissione. Dopo la recente crisi finanziaria, si è sempre più accorti nel detenere immobili commerciali all'interno dello stesso veicolo societario in cui si trova l'attività "industriale", preservando i primi da eventuali azioni da parte di creditori pignoratizi riconducibili alla seconda. Il principio per cui rischi differenti devono rimanere separati è più che mai evidente in queste circostanze. Qualora l'immobile fosse detenuto per il tramite di un veicolo societario anziché essere intestato direttamente a persone fisiche, potrebbe essere complesso per la persona fisica fare ricorso al credito non potendo garantire il finanziamento direttamente con un bene di primo grado. Ancor più arduo sarebbe l'accesso al credito qualora il bene fosse pervenuto alla persona fisica a seguito di una donazione, o se sull'immobile i diritti (per esempio quelli di usufrutto, di superficie) fossero ripartiti tra più familiari. A ciò si aggiunga che, la complessità giuridica, fiscale e relazionale sarebbe, senza ombra di dubbio, maggiore qualora gli impegni facenti capo all'azienda fossero garantiti dagli immobili di 16 famiglia. In talune situazioni, l'opificio è affittato all'azienda di famiglia: in questo caso accade che ciò avvenga a canoni non di mercato o, in alcuni rari casi, anche a canone nullo. Queste situazioni rappresentano sicuramente un errore non solo sotto il profilo economico e tributario, ma anche imprenditoriale, non consentendo all'imprenditore di cogliere correttamente la marginalità che la propria azienda produce. Se, poi, l'azienda fosse assegnata ad un famigliare e l'immobile ad un altro, le valutazioni effettuate originariamente attribuiti ai due assets privi del corretto canone di locazione sarebbero errati con buona pace per una composizione fraterna tra gli stessi due familiari. Le criticità connesse alla detenzione dei terreni non sono da meno rispetto a quelle relative ai fabbricati. Si consideri il caso in cui un terreno, magari ereditato, sia divenuto edificabile. A fronte di un'immediata valutazione della nuova situazione, considerata la non immediata possibilità di monetizzare il bene in tempi ragionevoli, ci si potrebbe trovare ad affrontare una più elevata imposizione conseguente alla accresciuta, più che esponenzialmente, rendita figurativa attribuita dal Comune. I beni mobili e i beni di lusso Spesso si ritiene che la valorizzazione dei beni mobili e di lusso detenuti da una famiglia sia meramente di natura economica e, quindi, risolvibile in occasione della loro attribuzione tra i familiari, qualunque ne siano le ragioni, successorie o matrimoniali, facendo ricorso a periti del settore in grado di dare un valore monetario agli stessi. Accade, quindi, che la loro assegnazione sia rimandata al momento dell'apertura della successione o della separazione senza che gli aventi diritto abbiano in precedenza deciso amichevolmente la loro attribuzione sotto l'egida dei patriarchi di famiglia o di un professionista terzo ed indipendente. Emergono così criticità che "rompono" l'auspicata tranquillità. Aspetti affettivi legati ai beni, l'attesa sopportata da parte del singolo famigliare per entrarne in possesso, le fatiche ed i tempi sostenuti per la loro acquisizione (si consideri il tempo impiegato per formare una collezione o all'attesa per l'acquisizione di un auto sportiva), il ruolo sociale che l'attribuzione di un bene può assegnare ad una persona piuttosto che ad un'altra, il differente livello culturale dei familiari stessi, sono solo alcuni degli elementi che rendono vana la pretesa oggettività di una valorizzazione meramente economica e costituiscono una grave minaccia alla ripartizione del patrimonio tra i familiari. La custodia, la protezione e la semplice detenzione di questi beni costituiscono, inoltre, una serie di difficoltà che devono essere adeguatamente affrontate con le relative conseguenze di carattere economico. Stessa cosa dicasi per la manutenzione dei beni di lusso che non può essere trascurata. Un'ulteriore criticità legata a questi beni riguarda la modalità della loro trasmissione o, più in generale, la loro circolazione. Criticità non solo di natura fisica (il trasporto di un’opera d'arte o di un mobile antico richiede particolari accorgimenti e competenze) ma anche di carattere tributario. Non è infatti agevole determinarne la tassazione in sede di trasferimento della titolarità, e spesso, complessa risulta la determinazione della loro capacità di generare reddito, eventualmente figurativo, sotto il profilo tributario. Non è da escludersi, infatti, che un bene di lusso che non generi un reddito monetario, sotto il profilo fiscale risulti invece produttivo di un reddito figurativo in particolare qualora sia detenuto all’estero. Ulteriori difficoltà possono emergere nell'individuazione del proprietario (detentore) di beni non iscritti in pubblici registri. La detenzione in cassette di sicurezza, magari all'estero, generano non poche criticità in occasione, per esempio, dell'apertura di una successione. Le partecipazioni societarie e l'azienda Per l'imprenditore medio italiano i concetti di azienda, impresa e società, sono sinonimi e, purtroppo, in molti casi lo è anche la "famiglia". Nella propria abitazione i familiari trattano dell'azienda di famiglia e in azienda discorrono dei problemi di famiglia. In azienda i rapporti interpersonali tra i familiari si 17 confondono con le relazioni lavorative e viceversa: il genitore in azienda colloquia con il figlio con il tipico lessico famigliare dimenticando che mai utilizzerebbe lo stesso linguaggio, e trattamento, se il suo interlocutore fosse un dipendente terzo. Il tutto diventa foriero di recriminazioni che, pur dovendo rimanere confinate nel contesto famigliare o aziendale, vengono immancabilmente trasferite nell'altro ambiente. La mancata separazione tra famiglia e azienda, poi, si traduce in conflitti che risultano insanabili se taluni familiari, per molteplici e varie ragioni, più o meno giuste, sono esclusi dall'azienda a fronte di altri che lavorano nell’azienda. Al momento della successione, accade che l'erede avulso dall'azienda pretenda di entravi a far parte o, altro esempio, richieda il ristorno di quanto economicamente percepito dal fratello per l'attività da questi svolta nell'azienda, come se lo stipendio non fosse frutto del lavoro, ma un regalo del genitore deceduto. Innumerevoli sono le situazioni, deleterie per le finanze aziendali, in cui tutti gli eredi pretendono (ed ottengono), di essere consiglieri di amministrazione della società di famiglia e di percepire, nulla operando, un compenso per la carica ricoperta, confondendo, ancora una volta, la società con il portafoglio di famiglia. Più delicata ancora è la situazione, anche in questo caso purtroppo non infrequente, in cui il genitore imprenditore non è in grado di valutare le capacità dei propri familiari attribuendo a questi ruoli all'interno dell'azienda non coincidenti con le loro abilità e competenze. Se, poi, l'intera famiglia partecipa all'attività dell'unica azienda, accade che tutti quanti condividano un'unica fonte di reddito, legando in maniera potenzialmente pericolosa, il destino della famiglia a quello dell'azienda. La commistione tra famiglia e azienda si evidenzia anche quando, in una impresa individuale in senso giuridico, l'imprenditore vi lavori svolgendo l'attività propria dell'azienda e ritraendo la remunerazione per tale attività dagli utili della stessa, mentre il coniuge vi svolge attività amministrativa senza percepire uno stipendio nell'illusione che ciò costituisca un risparmio, falsando invece il risultato economico dell'attività. La costituzione di una struttura societaria, in questo senso, aiuta a separare la famiglia dall'azienda. Tuttavia, risulta delicato definire le regole societarie e attribuire i poteri di rappresentare ed amministrare il patrimonio sociale. La loro definizione per iscritto, inoltre, spesso non è sufficiente poiché, per ragioni familiari, le regole giuridiche risultano, nella quotidianità, sovrastate dalle prassi familiari che hanno spesso il sopravvento. La complessità, in questa situazione, è data anche dalla difficoltà di attribuire il corretto profilo di rischio alla compagine sociale - famigliare che deve tradursi in un’aderente amministrazione della società. Non indifferente, infine, nella detenzione di patrimoni in forma societaria è trovare la corretta soluzione ai trasferimenti delle partecipazioni tra i familiari, non necessariamente in linea discendente, o a terzi e la possibilità per taluni della famiglia di uscire dalla compagine societaria. Le polizze assicurative La polizza assicurativa viene spesso impiegata per veicolare ricchezza ad uno specifico famigliare, sempre che ciò avvenga nel rispetto delle norme sulla quota di legittima. Altre volte accade che il beneficiario risulti essere un convivente. Questa eventualità è foriera di effetti negativi qualora ciò avvenga all'insaputa degli eredi legittimi. Ma anche qualora la legittima fosse rispettata, nulla impedirebbe al contraente di modificare, in qualunque momento e con una semplice comunicazione scritta alla compagnia di assicurazione, i beneficiari integrandoli o cancellandoli. 20 limitazioni di responsabilità laddove ha rintracciato il perseguimento di interessi maggiormente meritevoli di tutela rispetto alle pretese creditorie. Una disamina dei principali strumenti di wealth planning verrà presentata nel prossimo capitolo, qui ci preme sottolineare come per fornire delle soluzioni efficaci non è possibile prescindere dalla conoscenza delle esigenze del titolare del patrimonio personale, della loro prioritizzazione e tempistica declinate partendo dalle più generali finalità di investimento, godimento, protezione, e trasferimento del medesimo. In altre parole, non è possibile prescindere dalla conoscenza delle esigenze del titolare del patrimonio personale, della loro prioritizzazione e tempistica declinate in base alla necessità di investimento, protezione, godimento e trasferimento del medesimo. Le istanze di Investimento e godimento devono essere intese, la prima nell’accezione dell’impiego del capitale in beni durevoli o attività economiche fruttifere al fine di ricavarne profitto o accrescimento di valore, la seconda nel senso dell’utilizzo o impiego personale. Se ci muoviamo lungo la direttrice della protezione del patrimonio personale possiamo facilmente constatare che essa si realizza, sotto l’aspetto giuridico, attraverso l’istituzione di un patrimonio separato o di un vincolo di destinazione che limitano la capacità del titolare di goderne liberamente. I rischi e le responsabilità connessi all’esercizio di un’impresa o di una professione, al giorno d’oggi, sono molteplici e la richiesta di mettere al riparo i frutti di una vita di lavoro e di sacrificio non è una domanda infrequente negli studi del commercialista. I titolari di un’attività professionale o coloro che esercitano attività di impresa nutrono la legittima aspettativa di vedere il proprio patrimonio protetto da possibili incidenti durante il percorso lavorativo. Tale esigenza può essere realizzata attraverso diversi strumenti, che saranno più approfonditamente analizzati nel prosieguo. Si pensi al fondo patrimoniale o al trust come strumenti di protezione e segregazione patrimoniale. L’aspettativa di protezione potrebbe essere espressa anche con riferimento alla volontà del titolare del patrimonio di non disperdere le proprietà personali o lasciarle in balia di un cattivo impiego, ma finalizzarle allo scopo desiderato. È il caso, ad esempio, degli atti di destinazione, disciplinati dall'art. 2645 ter C.C., e dell’utilizzo che se ne può fare quando si individui nel cliente l’aspettativa di difesa di un interesse meritevole di tutela, quale ad esempio la cura di un soggetto disabile o di un ente morale quale una fondazione. Sotto l’aspetto della protezione del patrimonio, è opportuno fare un accenno anche alla sottoscrizione di polizze assicurative e fondi pensione, che combinano anche l’esigenza di investimento esplorata nell’accezione prima indicata o la necessità di trasferimento. Tra gli strumenti utili alla tutela del patrimonio si è recentemente aggiunto il contratto di affidamento fiduciario che ha visto la luce con l’entrata in vigore della Legge sul “Dopo di noi”. L’Art. 1, comma 1, Legge n. 112/2016 si propone di «favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l'autonomia delle persone con disabilità e a tale scopo si individuano quattro strumenti giuridici idonei a proteggere gli interessi dei soggetti con disabilità grave tra i quali rientrano i fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario. La nuova disciplina si propone di «favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l'autonomia delle persone con disabilità» (art. 1, comma 1, Legge n. 112/20168). Con il contratto di affidamento fiduciario anche il legislatore italiano, come per il trust di diritto anglosassone, ha riconosciuto uno strumento giuridico che consente la costituzione di un patrimonio separato in capo al fiduciario, opponibile ai terzi per vincolo di destinazione, composto dai beni (i “fondi speciali”) destinati all'attuazione del programma fiduciario. 8 Legge 22 giugno 2016, n. 112, “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”. 21 A tal fine, la legge individua quattro diversi strumenti giuridici astrattamente idonei a proteggere gli interessi dei soggetti con disabilità grave tra i quali rientrano i fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario. In particolare, la norma in questione prevede una serie di “condizioni” che il “contratto di affidamento fiduciario” (al pari del trust e dei vincoli di destinazione di cui all'art. 2645-ter C.C.) deve necessariamente rispettare al fine dell'ottenimento delle agevolazioni fiscali ivi previste. Accanto a tali condizioni meramente facoltative (strumentali all'ottenimento dei vantaggi fiscali), la nuova disciplina prevede, quale elemento essenziale della fattispecie, che i “fondi speciali” (costituiti e regolati da un “contratto di affidamento fiduciario”) siano «composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione» (art. 1, comma 3). Alla stregua di un trust, attraverso le L. 112/2016, l'ordinamento italiano ha riconosciuto uno strumento di diritto interno che raggiunge due effetti fondamentali che sono la costituzione di un patrimonio separato in capo al fiduciario, composto dai beni (i “fondi speciali”) destinati all'attuazione del programma fiduciario, e l'opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione. Gli strumenti di protezione patrimoniale possono avere non solo lo scopo di preservare il capitale realizzandone un più o meno elevato grado di godimento attuale ma anche perseguire obbiettivi di trasferimento delle ricchezze personali. Se pensiamo ad esempio all’esigenza di evitare controversie in ordine alla spartizione dell’eredità la risposta che ne segue sarà quella di programmarne in anticipo la trasmissione od organizzare per tempo il passaggio generazionale secondo la propria volontà. La scelta degli strumenti giuridici con i quali realizzare il trasferimento, ad esempio il trust, la holding con scopo non propriamente commerciale, il patto di famiglia, ecc., dipenderà dalle specifiche esigenze del cliente ma anche dalla consistenza e dalla tipologia dei beni che compongono il patrimonio. In conclusione, ogni strumento giuridico utilizzato per la gestione del patrimonio presenta caratteristiche precipue che portano con sé vantaggi e svantaggi. Nessuno strumento può definirsi a priori il migliore. E’ necessaria una valutazione professionale che tenga conto non solo delle caratteristiche del patrimonio, ma soprattutto delle esigenze specifiche del cliente che abbiamo in sintesi individuato in istanze di investimento, godimento, protezione e trasferimento delle proprietà personali. 4. Principali strumenti di Wealth Planning 4.1. Premessa Con la locuzione Wealth Planning, si intende indicare un sistema integrato che, ampliando la gamma dei servizi di private banking, offre servizi di pianificazione e protezione dei patrimoni. In relazione a tale tematica, come già evidenziato, il presente lavoro si basa su una prospettiva multidisciplinare che, tenendo conto dei mutamenti socio – economici degli ultimi anni, porti ad individuare una serie di strumenti che consentano la pianificazione e la programmazione nella gestione dei patrimoni (aziendali e personali) in ottica conservativa, produttiva e di trasmissione alle generazioni future, contrastando (quanto più possibile) i rischi connessi ad eventi incogniti ed incontrollabili. Nel presente paragrafo ci si propone di fornire una disamina dei principali strumenti di wealth planning che, senza alcuna pretesa di esaustività, fornisca ai Colleghi un quadro generale della materia, aiutandoli nel ruolo sempre più pregnante di soggetto che affianca il Cliente a 360 gradi nelle scelte fondamentali di contenuto economico e patrimoniale della sua vita imprenditoriale e familiare. Di seguito, quindi, si presentano delle schede tecniche che – dopo aver delineato un quadro giuridico di ogni strumento – 22 ne mettono in evidenza l’obiettivo principale, le possibili motivazioni sottese alla scelta ed i connessi profili fiscali. Gli strumenti esaminati sono: 1. L’intestazione fiduciaria. 2. Prodotti assicurativi. 3. Il patto di famiglia. 4. Il fondo patrimoniale della famiglia. 5. Gli atti di destinazione ex art. 2645-ter C.C. 6. La soluzione societaria. 7. Il trust. 4.2. Intestazione fiduciaria Inquadramento giuridico Con tale contratto il fiduciante trasferisce un diritto al fiduciario perché quest’ultimo lo eserciti nell’interesse del primo e seguendo le direttive dallo stesso impartite. È regolato dalle norme sul mandato senza rappresentanza ed è un contratto a titolo oneroso. La forma è libera, pur reputandosi necessaria la pattuizione per iscritto, se non altro ad probationem, poiché il contratto deve contenere: a) l’elencazione dei beni e dei diritti trasferiti; b) i poteri attribuiti al fiduciario; c) la facoltà del fiduciante di modificare i poteri attribuiti al fiduciario e di revocare l’incarico; d) il diritto del fiduciante a chiedere, in qualunque momento, la restituzione dei beni conferiti; e) il compenso spettante al fiduciario o i criteri per la determinazione dello stesso; f) il divieto di cedere l’incarico; g) l’indicazione dell’istituto di credito presso il quale sono depositate le somme e/o i titoli oggetto del contratto; h) le norme in tema di responsabilità applicabili (in particolare gli artt. 1218 e 1710 C.C.). Il contratto fiduciario può avere ad oggetto beni mobili, immobili, patrimoni mobiliari, nonché partecipazioni societarie. Può rivestire una connotazione dinamica laddove comporti l’obbligo del fiduciario di investire e reinvestire i beni conferiti dal fiduciante. Scopo e motivazioni Il ricorso alla fiduciaria è stato adottato in passato prevalentemente in relazione alle esigenze di riservatezza. L’evoluzione normativa sull’antiriciclaggio ha sensibilmente limitato questa finalità portando le società fiduciarie a proporsi nell’erogazione di servizi sempre più diversificati e personalizzati per il soddisfacimento di esigenze articolate. Si pensi ai ruoli di garante nelle operazioni straordinarie di impresa, all’amministrazione di partecipazioni sociali, alla rappresentanza nelle assemblee ed esercizio dei diritti sociali, al ruolo di amministratore super partes nel monitoraggio dei patrimoni, di arbitro e di trustee professionale, all’esperienza nell’attività di pianificazione patrimoniale, finalizzata alla protezione del patrimonio personale e imprenditoriale dagli innumerevoli rischi ai quali è esposto, al fine di preservarne l’integrità in vista della trasmissione alle generazioni future. Tutti ambiti nei quali le fiduciarie si trovano ad operare in stretta collaborazione con i professionisti. Alla più tradizionale attività di amministrazione con intestazione fiduciaria dei beni per conto di terzi si è più recentemente affiancata l’operatività per il tramite del mandato ad amministrare senza intestazione, nell’ambito della quale il cliente resta proprietario, sia in senso formale che sostanziale, 25 limitatamente al 30% o per l’intero capitale se la rendita è inferiore al 50% dell’assegno sociale. La tassazione della rendita sarà differenziata (esente se limitata alla copertura del rischio demografico, soggetta tassazione se contenente forme di accumulo finanziario). 4.3.2. Assicurazione caso vita Inquadramento giuridico Lo schema assicurativo prevede, sostanzialmente, che a fronte del pagamento del premio, l’assicuratore esegua la sua prestazione se l’assicurato sia ancora in vita a una certa data. Di conseguenza, dal punto di vista operativo, si tratta di uno strumento con un funzionamento opposto alle polizze caso morte. In questo senso, le polizze caso vita non sono classificabili come assicurazioni in senso stretto perché non c’è un vero e proprio rischio contro cui ci si assicura. Come nel caso analizzato nel paragrafo precedente, anche il prodotto in esame può prevedere diverse modalità di liquidazione, sotto forma di capitale o di rendita (immediata o differita). Va sottolineato come l’importo della somma che sarà erogata alla data prestabilita non possa essere definito con certezza, in quanto dipenderà dal rendimento degli investimenti gestiti dalla compagnia, che a loro volta saranno una conseguenza dell’ammontare dei premi versati, della durata del contratto e della politica di investimento seguita. In linea di massima, viene in ogni caso stabilito un minimo, che generalmente corrisponde almeno a quanto è stato versato dal contraente. La compagnia si impegna a pagare l’ammontare fino a quando l’assicurato è in vita (rendita vitalizia) o per un periodo di tempo concordato. Nel caso in cui l’assicurato dovesse decedere nel periodo di validità del contratto, i premi versati sono rivalutati e trasferiti ai beneficiari indicati in polizza o agli eredi legittimi. Un importante aspetto da sottolineare riguarda l’impignorabilità e l’insequestrabilità delle assicurazioni vita: al di fuori dai casi di responsabilità penale, le somme destinate al contraente a ai beneficiari, infatti, non possono essere oggetto di azioni esecutive o cautelari (art. 1923, C.C.). L’impignorabilità persiste anche nell’ipotesi di fallimento, tranne nel caso di revocatoria fallimentare per gli atti eseguiti dal fallito l'anno precedente la sua bancarotta. In tale evenienza, il capitale sottoscritto e versato all'assicurazione rientra a far parte dei beni appartenenti al fallimento e sarà quindi ricompreso tra quelli attivi da suddividere tra i creditori. Scopo e motivazioni Come appena menzionato, lo strumento in questione è utilizzato fondamentalmente per fini protettivi e previdenziali (come forma pensionistica complementare) o come forma di risparmio/investimento, garantendo, in tal modo, serenità economica e il mantenimento di uno stile di vita invariato al raggiungimento di una determinata soglia di età. Profili fiscali La detrazione Non sono previste detrazioni per contratti del tipo indicato. Solo per le polizze stipulate prima del 2001 è prevista una detrazione del 19% del premio pagato, entro l’ammontare massimo di € 530, a condizione che il contratto avesse una durata minima di 5 anni e che in tale periodo non consentisse il riscatto o la concessione di prestiti. L’imposizione diretta delle somme percepite Le somme percepite nell’ipotesi in esame costituiscono rendimento finanziario e quindi reddito di capitale da assoggettare a imposta sostitutiva del 26%. La base imponibile sarà data dalla differenza tra capitale corrisposto dall’assicurazione e premio pagato. 26 Si considera corrisposto, e quindi tassato, anche il capitale convertito in rendita13. 4.3.3. Assicurazione con funzione previdenziale Inquadramento giuridico Si tratta di strumenti di previdenza complementare, disciplinata dal D.Lgs. 5 dicembre 2005 n. 252, il cui obiettivo è concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base. Le tipologie gestite dalle compagnie di assicurazione sono: • i fondi aperti (art. 12 D.Lgs. 252/2005), rivolti ai destinatari della norma (art. 2), i quali vi possono destinare anche la contribuzione a carico del datore di lavoro a cui abbiano diritto, nonché le quote del TFR; • i piani pensionistici individuali (Pip) (art. 13 D.Lgs. 252/2005), che rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale. Le regole che li disciplinano non dipendono solo dalla polizza assicurativa, ma anche dalle direttive della COVIP. Lo scopo è garantire all'utente diritti e prerogative analoghi alle forme pensionistiche complementari. In base all’art. 11 della norma, Il diritto alla prestazione pensionistica si acquisisce al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabiliti nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno cinque anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari. Le fonti costitutive possono prevedere la facoltà da parte dell'assicurato di chiedere la liquidazione della prestazione pensionistica in capitale entro il limite del 50% del montante finale accumulato. Agli iscritti al fondo è data la possibilità di chiedere, nei limiti previsti dalle fonti costitutive, una anticipazione delle prestazioni per eventuali spese sanitarie, per l'acquisto della prima casa per sé o per i figli e per la realizzazione degli interventi di cui all'art 31 della L. 457/1978, documentati secondo le disposizioni della L. 449/1997. L'anticipazione può, inoltre, essere richiesta per altre cause nel limite del 30% della posizione maturata. Dopo due anni di adesione ad un fondo è possibile chiedere il trasferimento della posizione maturata presso altro fondo pensionistico complementare. Scopo e motivazioni Volontà di creare forme pensionistiche integrative e complementari rispetto a quella derivante dalla gestione previdenziale in essere, per rispondere ai bisogni di protezione e sicurezza avvertiti dai clienti. Profili fiscali La deduzione L’articolo 10 TUIR, rinviando al D.Lgs. 252/2005, consente la deduzione dal reddito complessivo delle persone fisiche delle somme versate alle forme previdenziali entro l’ammontare massimo di € 5.164,57. L’assicurazione in forma previdenziale deve prevedere l’erogazione della rendita al maturare del diritto alla pensione obbligatoria e avere una durata minima di 5 anni. La tassazione dei rendimenti Le forme assicurative previdenziali usufruiscono di una particolare tassazione dei rendimenti calcolate direttamente all’interno della gestione pensionistica. In particolare, si applicherà l’imposta sostitutiva del 20%, in luogo di quella ordinariamente prevista al 26% per i redditi di capitali. L’aliquota scende ulteriormente al 12,50% per i redditi derivanti da titoli di stato o assimilati. 13 Art. 45, comma 4, DPR 917/1986. 27 All’atto dell’erogazione della prestazione (in forma di capitale o di rendita) il beneficiario, sia esso il contraente o suoi eredi, subirà un’ulteriore tassazione del 15%, riducibile fino al 9% in relazione alla durata di appartenenza alla forma previdenziale. La base imponibile su cui calcolare quest’ultima imposta corrisponde al capitale o alla rendita liquidati al netto dei contributi previdenziali che non sono stati dedotti (si tratta infatti di una restituzione del capitale) e dei rendimenti già tassati all’interno del fondo. Sulle parti di rendita maturate fino al 2006 si applicherà la tassazione secondo le aliquote IRPEF ordinarie. La tassazione agevolata permane in caso di anticipazione o riscatto correlati a invalidità permanente, morte, spese sanitarie, inoccupazione. 4.3.4. Assicurazioni miste Inquadramento giuridico Si tratta di prodotti che abbinano una copertura del rischio demografico (morte) e una funzione di accumulo del risparmio. Scopo e motivazioni Come sottolineato, le motivazioni sottese alla scelta di simili prodotti sono sia di tipo conservativo che di tipo proattivo, avendo riguardo sia alla copertura dai rischi che alla ricerca di rendimento sul risparmio accumulato. Profili fiscali La detrazione Il premio pagato deve essere diviso nelle sue componenti. Sulle quietanze di pagamento devono essere separatamente indicate le varie componenti e, ciascuna, sarà detraibile secondo le regole proprie. Generalmente, in dette formule non sono presenti le funzioni di previdenza integrativa e, quindi, per la componente vita, nessuna detrazione sarà usufruibile. L’imposizione diretta delle somme percepite Trattandosi di polizze miste troveranno applicazione diverse modalità di tassazione previste in caso morte o in caso vita secondo l’evento (sinistro) concretamente verificatosi. In caso di morte saranno esenti da IRPEF i capitali percepiti limitatamente alla copertura del rischio demografico. La parte diversa percepita sarà soggetta a tassazione come reddito di capitale ex artt. 44 e seguenti TUIR. Nel caso in cui l’assicurato sia in vita si applicherà la tassazione sui redditi di capitale secondo quanto previsto per le polizze vita. L’Agenzia delle Entrate ha illustrato le modalità di individuazione della frazione imponibile facendo dapprima riferimento al valore di riscatto, ovvero a quanto la compagnia avrebbe dovuto versare al contraente: in buona sostanza si tratta del capitale accumulato (teoricamente non utilizzato per la copertura del rischio morte) e dei successivi rendimenti. Tale valore viene ridotto dei premi pagati (al netto della frazione di copertura del rischio morte). Sulla differenza si applicherà l’imposta sostitutiva del 26%14. In caso di decesso, se il valore di riscatto è superiore al capitale erogato, si assumerà come primo elemento della differenza il valore erogato. Qualora il valore di riscatto non sia contrattualmente previsto, si assumerà, in suo luogo, la riserva matematica. Se il contratto prevede il pagamento di cedole in acconto nel corso della sua durata e alla fine la liquidazione definitiva, la tassazione è sospesa fino a che la prestazione a carico dell’impresa di assicurazione sia definitiva e, quindi, sia possibile determinare l’effettivo rendimento. Ovviamente, in 14 Sono previste aliquote inferiori per la parte di rendimento maturata fino al 31 dicembre 2011 (12,50%) e fino al 30 giugno 2014 (20%) 30 prevede che in tutti i casi in cui non sia possibile l’intervento di un intermediario (sostituto di imposta) i redditi siano sottoposti a tassazione direttamente dal contribuente. La cessione dei contratti L’eventuale plusvalenza derivante dalla cessione di contratti di assicurazione costituisce base imponibile nella categoria dei redditi diversi. Infatti, la lettera c-quinquies dell’art. 67 TUIR attrae a tassazione “le plusvalenze ed altri proventi, diversi da quelli precedentemente indicati, realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale”. L’Agenzia delle Entrate23 ha espressamente confermato che le plusvalenze da trasferimento di polizze assicurative configura la fattispecie di reddito diverso soggetto a imposta sostitutiva del 26%24. Peraltro, il successivo art. 68, al comma 5 non prevede la somma algebrica con eventuali minusvalenze25 che quindi sono da ritenere non deducibili. Il comma 9, infine, determina la base imponibile come differenza tra corrispettivi percepiti e somme pagate, ulteriormente ridotta delle somme già tassate come redditi di capitale. La tassazione in capo ai beneficiari mortis causa Vale la normativa generale per cui non sono soggette a imposizione le somme percepite in caso di morte in dipendenza da contratti di assicurazione a copertura del rischio demografico. Da ciò si deduce che la componente finanziaria è tassata quale reddito di capitale con imposta sostitutiva del 26% e con le modalità di determinazione sopra previste. La rendita Se il contratto prevede l’erogazione in forma di capitale, l’imposta sostitutiva del 26% sarà trattenuta al momento della corresponsione o della conversione in rendita. Qualora il contratto preveda direttamente l’erogazione di una rendita avente natura previdenziale, il rendimento finanziario è tassato nell’anno di formazione direttamente in capo al soggetto gestore. L’aliquota dell’imposta sostitutiva è del 26%; ovviamente non sarà più applicata l’imposta sostitutiva prevista dall’articolo 44, comma 1, lett. g-quater. La rimanente parte di rendita non sarà tassata in quanto considerata restituzione del capitale versato. L’imposta di bollo, l’IVAFE e il monitoraggio fiscale Sono soggetti a imposta di bollo del 2‰ le polizze assicurative del ramo III26 e V27. L’Agenzia delle entrate28 ha espressamente ricompreso tra le polizze soggette a imposta di bollo le unit linked e le index linked; risultano quindi escluse le polizze assicurative pure legate al rischio demografico e le polizze aventi finalità previdenziale. Se gli stessi prodotti sono detenuti all’estero, in luogo dell’imposta di bollo darà dovuta l’IVAFE con liquidazione, però, a cura del contribuente utilizzando il quadro RW del modello di dichiarazione personale. L’IVAFE non sarà dovuta tutte le volte in cui la compagnia estera abbia optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva in Italia e per l’applicazione dell’imposta di bollo in modo virtuale oppure abbia affidato tali incarichi a un intermediario residente. La polizza stipulata o detenuta all’estero sarà altresì soggetta a monitoraggio 23 Risoluzione n. 144/E. del 13 maggio 2002. 24 All’epoca della risoluzione pari al 12,5%. 25 Cfr. Relazione ministeriale al D.Lgs. 461/1997. 26 Le assicurazioni, di cui ai rami I e II, le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento (art. 2, D.Lgs. 209/2005). 27 Le operazioni di capitalizzazione (art. 2, D.Lgs. 209/2005). 28 Circolare. 48/E del 21 dicembre 2012. 31 fiscale (quadro RW) salvo che vi sia l’intervento di un intermediario residente, il quale assume tutti gli obblighi di segnalazione. L’anagrafe tributaria Le compagnie di assicurazione hanno l’obbligo di segnalare all’Anagrafe tributaria le operazioni di natura finanziaria da esse intrattenute. Specificatamente per il ramo di vita, le compagnie devono segnalare premi di assicurazione sulla vita, causa morte e contro gli infortuni29. Inoltre, ai sensi dell’art. 7 del DPR 605/1973, le compagnie segnalano tutti i contratti di assicurazione, a esclusione di quelli relativi alla responsabilità civile, nonché le somme erogate a qualsiasi titolo a favore dei danneggiati. Secondo l’ANIA, la locuzione danneggiati escluderebbe la segnalazione delle erogazioni dei contatti vita. Infine, le compagnie devono segnalare all’Archivio dei rapporti finanziari le polizze di natura finanziaria e le movimentazioni effettuate30. 4.3.6. La polizza stipulata dall’impresa (assicurazione key man) Si è visto sopra come la polizza di tipo finanziario non generi direttamente componenti di reddito ma sia iscrivibile come credito verso l’impresa di assicurazione. Ovviamente costituiranno materia imponibile le variazioni del credito (rendimenti, rivalutazioni, ecc.). Profili fiscali La deduzione del costo La deduzione dei premi pagati per le assicurazioni diverse da quelle a contenuto finanziario è correlata al principio di inerenza, ovvero all’ambito di attività da cui derivano ricavi o altri proventi imponibili. In generale, si potrebbe affermare che l’inerenza sussista tutte le volte in cui il contratto di assicurazione abbia la funzione di eliminare o mitigare oneri potenziali che potrebbero essere imputabili all’impresa sia a titolo di risarcimento danni sia a titolo di mancato guadagno. Innanzitutto, l’inerenza dovrà quindi essere riconosciuta tutte le volte in cui l’impresa si assicuri per un rischio cui potrebbe essere chiamata a rispondere in forza del rapporto intercorrente con i dipendenti/amministratori (morte o infortunio derivante dall’attività svolta all’interno dell’impresa). L’imposizione diretta delle somme percepite A prescindere dalla deducibilità del costo, la corresponsione del capitale in capo al beneficiario diverso dall’impresa seguirebbe lo schema generale e, quindi, esenzione dall’imposizione per i capitali corrisposti in caso di morte (a copertura del rischio demografico) e di invalidità permanente, imposizione Irpef negli altri casi. La corresponsione invece all’impresa genera un provento positivo da contabilizzare nella voce A5 del conto economico. I risarcimenti sono considerati sopravvenienza attiva e, come tali, soggetti a imposizione secondo le regole generali del reddito di impresa. Le imposte di successione Le somme corrisposte al beneficiario in caso di morte dell’assicurato non sono soggette a tassazione in quanto corrisposte iure proprio. Si tratta, sostanzialmente, di un diritto che nasce autonomamente in capo al beneficiario e che, quindi, non facendo parte del patrimonio del de cuius, non rientra nell’asse ereditario. In tal senso, anche l’art. 12, comma 1, lettera c, del D.Lgs. 346/1990 esclude dall’attivo ereditario “le indennità di cui agli articoli 1751, ultimo comma, e 2122 del codice civile e le 29 Art. 78, comma 25, L. 413/1991. 30 Art. 7, comma 6, DPR 605/1973. 32 indennità spettanti per diritto proprio agli eredi in forza di assicurazioni previdenziali obbligatorie o stipulate dal defunto”. Esistono, peraltro, alcune posizioni giurisprudenziali e dell’Amministrazione finanziaria che tentano di escludere i benefici tutte le volte in cui l’assicuratore non assume alcun rischio demografico o finanziario (o lo assume in misura minima). In tal caso il prodotto viene riqualificato come mero strumento di investimento e soggetto alle ordinarie imposte di successione. Occorre segnalare, in tale ambito, la sentenza della Corte di Cassazione n. 3263 del 19 febbraio 2016. Con tale pronuncia, pur se emessa a fini civilistici e non fiscali, la Suprema Corte ha stabilito che nel caso di polizze aventi natura finanziaria con beneficiario un soggetto non legato al contraente da vincolo di mantenimento possa configurarsi, fino a prova contraria, una donazione indiretta. La sentenza potrebbe aprire la strada alla tassazione della donazione stessa31, quanto meno in relazione al premio pagato. Si aggiunga che la succitata ordinanza della Corte di Cassazione n. 10333 del 30 aprile 2018, legittimando l’interpretazione fornita dal Giudice di merito32, ha qualificato come prodotti finanziari le polizze di assicurazione laddove le stesse siano sfornite della garanzia di conservazione del capitale, sottolineando come tale fattispecie implichi la mancanza della natura assicurativa. Numerose associazioni di categoria (tra cui ANIA e AIPB) e diversi studi legali hanno confermato che “resta impregiudicata la natura assicurativa delle polizze unit linked” e che la sentenza della Cassazione non è intervenuta in tal senso. Altri aspetti che il Giudice terrà in considerazione nel qualificare il contratto potranno essere ricercati nel contenuto degli asset e nella loro provenienza, nelle caratteristiche demografiche dell’assicurato (particolarmente anziano e/o malato); nella possibilità per il sottoscrittore di interferire sulle scelte di investimento, nella durata della polizza e nella possibilità di riscatto anticipato33. A parte gli aspetti civilistici e contrattuali, e i relativi adempimenti in merito di tutela del risparmio, la riqualificazione come strumento finanziario porterebbe a escludere i benefici in tema di imposte di successione con conseguente tassazione dei capitali percepiti dai beneficiari. 4.4. Patto di famiglia Inquadramento giuridico Con la riforma sul patto di famiglia (L. 55/200634) è stata introdotta la possibilità per l’imprenditore di trasferire la propria azienda (anche sotto forma di partecipazione societaria) al coniuge e/o ad uno o più discendenti, nei limiti e nel rispetto delle norme societarie e di quelle sull’impresa familiare. È un contratto inter vivos che comporta un trasferimento immediato della proprietà. Il contratto deve essere stipulato nella forma dell’atto pubblico a pena di nullità. All’atto devono prendere parte il coniuge e tutti coloro che sarebbero chiamati all’eredità, se la successione dell’imprenditore si aprisse al momento dell’atto. L’attribuzione dell’azienda fa sorgere in capo al beneficiario l’obbligo di liquidare agli altri legittimari il corrispondente del valore della legittima in denaro o in natura. Tale obbligo viene meno se la quota di legittima dei non assegnatari è coperta dall’attribuzione di altri beni del disponente o in caso di rinuncia espressa da parte degli aventi diritto. Il contratto può essere: - impugnato solo per vizi del consenso e la relativa azione si prescrive in un anno; - sciolto per mutuo consenso o revocato con la stessa forma del primo contratto e con la partecipazione delle medesime parti. 31 A. Busani, Le polizze vita sono donazioni indirette, Il Sole 24 ore, 15 marzo 2016, p. 41. 32 Corte di appello Milano, sentenza 220/2016 del 21/01/2016. 33 G. Andreani, IPSOA Quotidiano, 8 maggio 2018. 34 Legge 14 febbraio 2006, n. 55 - "Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia". 35 consentano di conseguire o integrare il controllo della società conferitaria, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1), C.C.. Inoltre, se il legittimario assegnatario, prima che siano decorsi cinque anni dal trasferimento dell’azienda, decide di cederne un ramo, la decadenza dal beneficio si verifica limitatamente al ramo d’azienda ceduto, sempreché, relativamente alla parte d’azienda non trasferita, venga proseguito l’esercizio dell’attività d’impresa38. Qualora nel quinquennio si verifichino delle operazioni straordinarie che coinvolgono l’azienda trasferita, il requisito della prosecuzione quinquennale dell’attività d’impresa può intendersi assolto nelle seguenti ipotesi: • operazioni che diano origine a società di persone, ovvero incidano sulle stesse, a prescindere dal valore della quota assegnata al socio; • operazioni che diano origine, ovvero incidano su, società di capitali, purché il socio mantenga o integri una partecipazione di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1), del C.C.. Con riferimento al requisito del controllo, va osservato che, in base ad una analisi testuale della norma di riferimento, non appare irrilevante che il requisito del controllo fosse integrato già in capo al disponente. Può darsi, infatti, che il disponente trasferisca all’assegnatario delle quote partecipative che, insieme con altre già detenute dall’assegnatario, consentono a quest’ultimo di detenere una partecipazione di controllo nella società di capitali (controllo che non veniva integrato in capo al disponente, in base alle sole quote partecipative in suo possesso). Sotto il profilo soggettivo va osservato che l’ambito di applicazione dell’esenzione di cui all’art. 3, co. 4-ter del D.Lgs. 346/1990 è stato ampliato dall’art. 1, co. 31 della L. 244/2007, (finanziaria per il 2008), che ne ha esteso gli effetti anche al trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni effettuato a favore del coniuge dell’imprenditore o del possessore delle partecipazioni. Tuttavia, in tal caso, sarà necessario che il passaggio generazionale dell’azienda avvenga mediante istituto diverso dal patto di famiglia (quale per esempio il trust). L’art. 768-bis, C.C., infatti, riserva l’utilizzo del patto di famiglia ai soli discendenti dell’imprenditore (o del possessore di partecipazioni). Se i presupposti fissati per l’applicazione della norma di esenzione non vengono rispettati, si applica l’imposta di donazione e successione in misura ordinaria, oltre a sanzioni (art. 13 del D.Lgs. 471/1997) e interessi. Come anticipato, secondo l’Amministrazione finanziaria, il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni integra una liberalità diretta, distinta e autonoma dalla liberalità realizzata dal discendente assegnatario nei confronti dei legittimari non assegnatari all’atto della liquidazione delle loro quote di legittima. Pertanto, ai fini dell’individuazione delle aliquote e delle franchigie di imposta si farà riferimento al rapporto di parentela esistente fra disponente ed assegnatario e la base imponibile sarà data dal valore dell’azienda o delle partecipazioni trasferite. Anche i modelli impositivi applicabili alla liquidazione da parte del discendente assegnatario della quota di legittima spettante agli altri legittimari non assegnatari variano a seconda della natura che si vuole attribuire a detta liquidazione. Se si tiene conto che la medesima rappresenta un obbligo di legge in capo al discendente assegnatario, dovrebbe escludersi la possibilità di qualificarla come una liberalità diretta effettuata dall’assegnatario nei confronti dei legittimari non assegnatari e la si dovrebbe (più correttamente) considerare una liberalità indiretta da parte del disponente nei confronti dei legittimari non assegnatari. In tal caso, la liquidazione della quota di legittima andrebbe assoggettata all’imposta sulle donazioni tenuto conto del legame di parentela esistente tra il disponente e i legittimari non assegnatari. Tale orientamento, tuttavia, sembrerebbe non essere condiviso dall’Amministrazione finanziaria, la quale considera detta liquidazione un’autonoma liberalità effettuata dall’assegnatario a favore degli altri legittimari. In linea con tale posizione, pertanto, la liquidazione dei legittimari non assegnatari 38 Cfr. Circolare n. 3/E del 2008 e, in senso analogo, Circolare n. 18/E del 2013. 36 sconterà l’imposta di successione e donazione tenuto conto dei rapporti di parentela o coniugio esistenti fra il legittimario assegnatario e gli atri legittimari. Se la liquidazione avviene mediante il trasferimento di beni immobili sono dovute anche le imposte ipo-catastali (salvo che si verifichi la descritta ipotesi di esenzione ai fini dell’imposta sulle donazioni). Ovviamente, se il trasferimento è a favore di un soggetto in possesso dei requisiti e delle condizioni previste per l’acquisto della prima abitazione, le ipo-catastali si applicano nella misura fissa. Infine, va osservato che il co. 1 dell’art. 768-sexies C.C., prevede che, all’apertura della successione del disponente, il coniuge e gli altri legittimari «che non hanno partecipato al contratto» possono chiedere ai beneficiari del medesimo il pagamento della somma (oltre gli interessi legali) prevista dal secondo comma dell’art. 768-quater C.C.. L’obbligazione di liquidare i legittimari sopravvenuti ricade non solo sull’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni ma, come coobbligati solidali, anche su tutti gli altri legittimari che hanno “beneficiato” del patto di famiglia, ottenendo dall’assegnatario la liquidazione della propria quota di legittima. Con riferimento ai modelli impositivi operanti, si sottolinea che detta liquidazione, qualora avvenga mediante stipula di apposito accordo, è riconducibile alla disciplina di cui all’art. 43 del D.Lgs. 346/1990 (accordi per la reintegra dei diritti dei legittimari). Tale accordo, infatti, interviene dopo l’apertura della successione del disponente e l’applicazione della norma appena richiamata risulta funzionale a evitare una duplicazione d’imposta, rispetto a quella assolta dai coobbligati solidali, con riferimento ai trasferimenti effettuati al momento della conclusione del patto. 4.5. Fondo Patrimoniale della famiglia Inquadramento giuridico Tale istituto, presente nel nostro Codice Civile sin dal 1975, consente di destinare un patrimonio al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, soprattutto in termini di tutela contro eventuali disavventure patrimoniali del coniuge. In base al disposto dell’art. 167 C.C., i beni che possono far parte del fondo patrimoniale sono di diversa natura: - beni mobili registrati; - beni immobili; - titoli di credito nominativi; La costituzione può essere fatta dai coniugi (congiuntamente o singolarmente) o anche da un terzo e, pur non realizzando alcuno spostamento patrimoniale in quanto la proprietà dei beni rimane in capo ai coniugi, impedisce agli stessi di utilizzare detti beni per scopi estranei al soddisfacimento dei bisogni della famiglia. La costituzione, che avviene nella forma dell’atto pubblico (anche per testamento nel caso di costituzione da parte di un terzo), può essere contestuale al matrimonio o successiva. Qualora la costituzione avvenga per atto pubblico, deve essere oggetto di: - trascrizione nei pubblici registri; - annotazione a margine dell’atto di matrimonio; - indicazione sul titolo di credito nominativo; Gli effetti cessano in caso di: - decesso di uno dei coniugi; - separazione o divorzio; - annullamento del matrimonio. In presenza di figli minori, il fondo avrà vita fino al raggiungimento della maggiore età dell’ultimo figlio. La recente riforma sulle unioni civili e le convivenze di fatto ha attribuito la possibilità di costituire un fondo anche alle coppie dello stesso sesso che abbiano registrato un’unione civile. 37 In deroga all’art. 2740 C.C., la costituzione del fondo patrimoniale comporta alcuni limiti allo svolgimento dell’azione esecutiva dei terzi creditori dei coniugi, tranne che per le obbligazioni contratte in adempimento degli obblighi dallo stesso scaturenti (soddisfazione dei bisogni della famiglia) ed a condizione che il creditore fosse consapevole che il debito veniva contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Occorre avere riguardo al fatto che si considerano contratte per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia anche le obbligazioni scaturenti dalla propria attività lavorativa, con possibilità – pertanto – per i creditori di agire forzosamente sui beni. L’onere della prova incombe sul titolare. Qualora, infine, si possa dimostrare che il fondo è stato costituito con l’intento fraudolento di sottrarre i beni all’azione dei creditori è possibile esperire un’azione revocatoria. Se il debito è preesistente alla creazione del fondo, è applicabile quanto previsto dall’articolo 2929-bis C.C.39. La tematica in questione assume connotazioni peculiari nel caso in cui il creditore sia l’Amministrazione Finanziaria. In proposito, una risalente nota ministeriale aveva specificato che detti limiti allo svolgimento dell'azione esecutiva non erano ad essa opponibili (nota 17 dicembre 1983, n. 15/10423). Sul punto, la giurisprudenza ha sostenuto che: • il fondo osta all'esecuzione del Fisco, poiché i debiti fiscali non sono strumentali al soddisfacimento dei bisogni familiari40; • i carichi fiscali contratti nello svolgimento della professione devono intendersi contratti per soddisfare i bisogni familiari, salvo prova contraria del contribuente41; • un debito fiscale non può dirsi contratto per esigenze familiari per il solo fatto che deriva dall’attività professionale, dovendosi prima escludere le esigenze di natura voluttuaria o speculativa42. Con riferimento alla possibilità di iscrivere ipoteca su un bene conferito al fondo, in giurisprudenza si è affermato che: • l’iscrizione ipotecaria è un atto di natura cautelare non qualificabile come azione esecutiva e pertanto, è possibile procedere a detta iscrizione ipotecaria anche su un immobile conferito al fondo43; • è possibile iscrivere ipoteca sull’azienda destinata al fondo patrimoniale, unicamente se si dimostra che il credito, per quanto professionale, è stato contratto per soddisfare esigenze familiari44; • l’ipoteca sui beni facenti parte di un fondo è iscrivibile a condizione che l’obbligazione tributaria sia stata contratta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (non essendo all’uopo sufficiente 39 La norma testualmente recita: “Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l'atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole, interviene nell'esecuzione da altri promossa. Quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore promuove l'azione esecutiva nelle forme dell'espropriazione contro il terzo proprietario. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all'esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, nonché la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore.” 40 CTR Piemonte 11.2.2010, n. 18; CTR Grosseto 30.11.2009, n. 280; CTP Torino, 18.11.2009, n. 56; CTP Mantova, 10.6.2008, n. 71. 41 CTP Firenze 21.1.2014, n. 88; analogamente Cass. 5.3.2013, n. 5385. 42 Cass. 21.10.2015, n. 21396. 43 CTP Brescia, 10.03.2014. 44 Cass. 24.2.2015, n. 3738. 40 A differenza di quanto previsto per il Fondo Patrimoniale, non possono essere oggetto di atti di destinazione i titoli di credito. Il soggetto conferente con questo atto, che costituisce una segregazione del patrimonio attuata mediante apposizione di un vincolo di destinazione ad alcuni beni, deve realizzare un interesse effettivamente meritevole di tutela, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, C.C., interesse che riguarda un beneficiario specifico o una determinata categoria di beneficiari, in favore del quale/dei quali devono essere utilizzati i beni ed i relativi frutti. Il punto debole dell’Istituto deriva dal fatto che non vi è un’elencazione specifica di quelli che sono o possono essere gli interessi meritevoli di tutela e, anzi, l’argomento è dibattuto. In via generale e non esaustiva, si considerano meritevoli di tutela gli interessi diretti a: - salvaguardare i bisogni della famiglia; - sostenere l’avviamento professionale; - sostenere l’educazione, l’istruzione e l’avviamento al lavoro di un figlio, anche portatore di disabilità; - garantire l’autonomia di persone anziane non autosufficienti; - tutelare la famiglia di fatto. Scopo e motivazioni Separazione di una parte dei beni costituenti il patrimonio del conferente, destinandoli al perseguimento di un fine specifico. La conseguenza è che i beni conferiti sono sottratti alla garanzia patrimoniale del debitore (ex art. 2740 C.C.). Profili fiscali Nella fattispecie destinativa ‘pura’ ex art. 2645-ter C.C.: a. in mancanza di un trasferimento, è dovuta l’imposta di registro in misura fissa, nonché l’imposta ipotecaria in misura fissa, dovendosi comunque procedere alla pubblicità nei registri immobiliari del vincolo costituito sul bene. Non è, invece, dovuta l’imposta catastale; b. in presenza di un trasferimento a favore dell’attuatore, si ritengono dovute l’imposta sulle successioni e donazioni (in riferimento al rapporto di parentela o di coniugio eventualmente esistente tra il disponente e il soggetto destinatario del trasferimento/ attuatore), e le imposte catastali, secondo i criteri impositivi ordinari; c. in previsione di un trasferimento ulteriore a favore dei beneficiari ‘finali’, l’Agenzia reputa che tale successiva attribuzione del bene o diritto vincolati sia soggetta “ad autonoma imposizione, a seconda degli effetti giuridici, indipendentemente da ogni precedente disposizione”. 4.7. Soluzione societaria Inquadramento giuridico Sotto il profilo giuridico, il conferimento in una società di capitali, assume efficacia dalla data di iscrizione al Registro Imprese e deve essere: • deliberato dall’assemblea (straordinaria) della Società; • effettuato per atto pubblico; • corredato da una perizia di stima dell’azienda conferita, volta a garantire l’integrità del capitale sociale della conferitaria, in cui il perito viene nominato: - dalla Società stessa se questa è una srl, - dal Presidente del Tribunale se è una spa. Nel caso di spa gli amministratori (ex art. 2343 C.C.), entro 180 giorni, devono controllare le valutazioni contenute nella perizia e, se del caso, revisionarle, con riduzione del capitale sociale se il valore risulta 41 inferiore di oltre un quinto (salva la possibilità del conferente di integrare quanto conferito). La perizia spesso, oltre all’azienda conferita, viene estesa anche alla Società conferitaria per poter costituire supporto alle determinazioni relative alla percentuale di capitale sociale attribuita al conferente rispetto a quella residuante agli originari soci della Società. Nel caso di società di persone, invece, l’atto viene effettuato per scrittura privata autenticata e assume efficacia dalla data di stipula. La perizia non è indispensabile anche se, spesso, viene comunque redatta (da perito scelto dalle parti) al fine di stabilire le percentuali di capitale sociale attribuite al conferente rispetto ai soci originari. In ogni caso, qualsiasi sia la forma societaria della conferitaria: • tutti i contratti, compresi quelli di lavoro, di carattere non personale, sono trasferiti alla Società; • salvo patto contrario, i crediti dell’azienda conferita sono ceduti alla Società (anche in assenza di notifica al debitore ceduto); • mentre per i debiti, se non esclusi dal conferimento, sono trasferiti alla Società ma senza effetto liberatorio per il conferente, salvo il suo esplicito consenso. In conseguenza dell’ultimo punto che precede, in assenza di consenso, sotto il profilo della tutela del proprio patrimonio, il conferente sarà al riparo dai creditori ceduti solo dopo che la Società avrà onorato i debiti trasferitile. E naturalmente, sia per questi che per eventuali altri creditori, la partecipazione ottenuta dal conferimento potrà costituire oggetto di aggressione, con i limiti e le specificazioni, tuttavia, di cui abbiamo parlato al punto relativo alle motivazioni della cosiddetta “soluzione societaria”. Scopo e motivazioni Flessibilità Una prima motivazione favorevole alla soluzione societaria va individuata nella miglior gestibilità dei beni “de quo”. Specialmente in presenza di una pluralità di beni (pensiamo, ad esempio, al possesso di svariati immobili locati), la gestione societaria consente un’amministrazione organica e unitaria, con l’impostazione di una opportuna contabilità e, di conseguenza, una miglior pianificazione dei flussi finanziari e degli eventuali investimenti manutentivi. Come conseguenza, sarà anche più facile l’accesso al credito bancario, poiché qualsiasi banca sarà sicuramente più propensa a concedere credito alla Società che, a parità di garanzie reali e/o personali concesse, attraverso bilanci e business plan, può dimostrare la sostenibilità degli investimenti che chiede vengano finanziati. Inoltre, una volta che i beni siano trasferiti (usiamo volutamente un termine generico che riassume tutte le possibili operazioni: cessione, conferimento, donazione…) all’interno della Società, la successiva cessione, totale o parziale, della partecipazione in essa ci potrà consentire di perseguire ulteriori obiettivi. Più agevole accesso al mercato In primo luogo, attraverso la cessione della partecipazione si potrà attuare, di fatto, la cessione dei beni trasferiti alla Società. Questo, ad esempio, potrà permettere di trovare dei soggetti con cui condividere gli assets (sarà addirittura una strada sostanzialmente obbligata quando i beni “de quo” costituiscano un’azienda) o a cui, addirittura, cederli. Maggiore facilità nel raggiungimento degli obiettivi successori Allo stesso modo, la gestione in ambito successorio delle quote della Società, consentirà di raggiungere obiettivi quali una più semplice differenziazione delle quote di proprietà attribuite a ciascun erede/donatario (ovviamente nel rispetto della cosiddetta “legittima”) ovvero, attraverso la blindatura della governance della stessa Società, una stabilizzazione nella gestione dei beni in essa trasferiti. 42 Ad esempio: X, che possiede 10 immobili e ha 2 figli (Y, capace e responsabile e Z, soggetto debole o, addirittura, dissoluto), vuole salvaguardare il proprio patrimonio anche dopo la propria morte. Anziché destinare per testamento parte degli immobili a ciascuno (sapendo che Z li dilapiderà velocemente) o lasciarli in comproprietà (con prevedibili litigi sulla gestione), X potrà conferirli in una srl e, per testamento, lasciare il 51% a Y e il 49% a Z. In questo modo l'amministrazione della srl e, di conseguenza, dell'intero patrimonio sarà affidata a Y che amministrerà prudentemente e saggiamente, presumibilmente anche nell'interesse di Z. Tutela nei confronti dei creditori Ancora, il trasferimento in una Società del proprio patrimonio o di parte di esso, specie se effettuato in momenti ampiamente antecedenti rispetto al verificarsi di ipotetiche situazioni di default personale (così da scongiurare o quantomeno limitare il rischio di azioni revocatorie), potrà agevolare la tutela di esso anche dai creditori dell'individuo. Sotto questo profilo la situazione è diversa a seconda del tipo di società. Relativamente alle quote di società di persone, infatti, la giurisprudenza consolidata ritiene che, salvo il caso rarissimo ove lo statuto ne preveda la libera circolazione, esse siano insequestrabili e impignorabili, posto che, dato il principio base dell’intuitus personae che le connota, l’inserimento nella compagine sociale di un soggetto terzo senza che vi sia il consenso degli altri soci è da ritenersi incompatibile con i caratteri di tale società50. Per le società a responsabilità limitata, invece, l’art. 2471 C.C. dispone specificamente in merito all’espropriazione della quota da parte del creditore personale del socio. Quindi, contrariamente al caso della società di persone, il creditore può agire ma, anche in questo caso, se lo statuto prevede clausole di prelazione da parte degli altri soci (ciò che rappresenta la regola) e questi ultimi sono “vicini” al debitore, potranno godere del vantaggio di poter agire di rimessa rispetto ad offerte provenienti dall’esterno. Si consideri che, nel caso di quote di minoranza, non sarà facile trovare dei terzi interessati al loro acquisto, perlomeno a un prezzo congruo in rapporto al valore ipotetico della società. Quindi, in assenza dell’accordo ipotizzato dal comma 3 del citato art. 2471 C.C. e a fronte di successivi incanti andati deserti, al creditore non resterà che chiedere l’assegnazione della quota ex art. 535, c.2, c.p.c. (presumibilmente possibile, nonostante la recente modifica dell’art. 538 c.p.c. possa farne dubitare). Ma anche riuscendo nell’intento, il creditore, per soddisfarsi, non potrà che cercare di recedere dalla società e, per questa via, farsi liquidare. Ma sappiamo che il recesso non è per nulla agevole. Analoghe considerazioni possono valere anche per le spa, salvo che in queste società le clausole di prelazione sono meno frequenti e, se esistenti, normalmente più blande nel contenuto. Infine, sempre sotto il profilo della tutela dai creditori personali, pur escludendo operazioni in frode ad essi e pur considerando l’operatività dell’azione revocatoria (anche fallimentare se del caso), è evidente che il più veloce e agevole trasferimento di partecipazioni sociali rispetto al trasferimento di beni, offra migliori opportunità di difesa. Aspetti fiscali Andando oltre i costi di trasferimento (analizzati di seguito per ogni singola operazione), la scelta di una soluzione societaria potrebbe garantire anche dei risparmi fiscali. In particolare, a fronte di un patrimonio che garantisca dei flussi reddituali importanti, una tassazione “flat” al (24 + 3,9 =) 27,9% (ovviamente nel caso di opzione per una società di capitali) potrebbe dare, almeno temporaneamente, cospicui risparmi rispetto a una tassazione progressiva in capo alla persona fisica. 50 Sul punto, Cass. 15605 del 07.11.2002; Corte d’Appello di Milano 23.03.1999, da ultimo Rovigo, ordinanza del Giudice dell’Esecuzione del 21.10.2016. 45 consente di creare diverse posizioni giuridiche legate da rapporti fiduciari. Le posizioni giuridiche ricorrenti nella costituzione di un trust sono tre, più una eventuale: - il disponente: colui che promuove e/o istituisce il trust; - il gestore/affidatario (trustee) che gestisce/amministra i beni conferiti in trust dal disponente secondo le regole da questi fissate nell’interesse di uno o più beneficiari o per il raggiungimento dello scopo indicato; - il beneficiario; - il guardiano (protector) è la quarta figura, come detto, facoltativa alla quale, possono essere attribuite quattro funzioni: i) l’esercizio di poteri dispositivi o gestionali (comunemente la revoca e nomina trustee); ii) esprimere il proprio placet sulle decisioni assunte dal trustee; iii) Impartire direttive o istruzioni al trustee per compimento specifici atti; iv) controllo sull’operato del trustee. L’effettivo proprietario dei beni diventa il Trustee, che li amministra, gestisce e ne dispone per il tempo previsto nell’atto istitutivo e secondo le istruzioni ricevute, per il raggiungimento dello scopo, sotto la vigilanza di un supervisore (guardiano), se previsto. Il Trust è diverso dal rapporto fiduciario in quanto la Società fiduciaria è semplice intestataria, in forma anonima, dei beni interessati, che restano però di proprietà del cliente, mentre nel Trust i beni costituiscono una massa patrimoniale separata e distinta da quella del disponente e del Trustee. Al momento dell’istituzione il disponente, sottoscrive un atto istitutivo di Trust ed un atto di conferimento di beni o dei diritti (il conferimento può anche essere effettuato in un momento successivo). È ammissibile disporre un Trust nel proprio testamento. Le ragioni che più di sovente stanno alla base della costituzione di un trust sono: - tutela del patrimonio per finalità successorie; - tutela di minori o di soggetti affetti da disabilità; - beneficienza; - forme di investimento e pensionistiche; - vantaggi di natura fiscale. Il patrimonio oggetto del Trust può comprendere qualsiasi bene. Si tratta comunque di uno strumento da maneggiare con cura per evitare violazioni della normativa italiana, anche se permette di ottenere una notevole personalizzazione e di fornire una risposta alle più varie esigenze, tra cui, ad esempio quelle connesse al passaggio generazionale. Anche il Trust, al pari del fondo patrimoniale, per consolidarsi rispetto alle azioni revocatorie necessita di un termine di 5 anni. Scopo e motivazioni Separazione della parte di patrimonio conferita in trust da quella che resta nella sfera patrimoniale del disponente (effetto segregativo). Tale elemento rende il Trust più idoneo a proteggere un patrimonio e a realizzare la destinazione secondo gli obiettivi fissati dal disponente. Profili fiscali Il regime di tassazione dei redditi del trust varia a seconda che l’atto istitutivo individui o meno i beneficiari di reddito. Pertanto, come meglio specificato di seguito, ai fini impositivi occorre distinguere tra due principali tipologie: • trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari (trust trasparenti); • trust senza beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust (trust opachi). Nel primo caso, il trust non è considerato un autonomo soggetto passivo d’imposta, con la conseguenza che il reddito da esso prodotto è assoggettato a tassazione in capo ai beneficiari in 46 proporzione alla quota di partecipazione detenuta, come individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali. Nell’ipotesi di trust opaco, il trust è autonomo soggetto passivo d’imposta e, dunque, il reddito prodotto viene tassato direttamente in capo allo stesso, con applicazione dell’aliquota ordinaria Ires. Il reddito del trust deve essere determinato facendo applicazione delle norme previste per: • gli enti commerciali residenti, se il trust è residente e svolge in via esclusiva o principale attività commerciale (artt. 81-142 del TUIR); • gli enti non commerciali residenti, se il trust è residente e non svolge in maniera prevalente attività commerciale (artt. 143-150 del TUIR); • gli enti commerciali non residenti (artt. 151 e 152 del TUIR); • gli enti non commerciali non residenti (articoli 153 e 154 del TUIR). Imposte indirette In relazione alle imposte indirette, i momenti “potenzialmente rilevanti” nella vita di un trust sono: • la stipula dell’atto istitutivo (con o senza dotazione patrimoniale); • l’atto di dotazione patrimoniale del trust da parte del disponente (settlor); • il trasferimento dei beni in trust ai beneficiari finali dello stesso, da parte del trustee. Quando l'atto costitutivo non contiene anche la dotazione patrimoniale del trust, non realizza alcun trasferimento di tipo patrimoniale, né costituisce vincoli di destinazione. La Circolare 48/E del 2007 sul punto ha evidenziato che l'atto costitutivo del trust, che non contenga al suo interno anche la dotazione patrimoniale dello stesso, va assoggetto ad imposta di registro in misura fissa e non ad imposta di successione e donazione (non implica la costituzione di alcun vincolo di destinazione). L’imposta di registro deve essere applicata in misura fissa ex art. 11 della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. 131/1986 (altri atti non aventi contenuto patrimoniale). L'atto con il quale viene costituito il patrimonio del trust, viceversa (il trust fund), è quell’atto con il quale il disponente (settlor) destina i beni al fondo del trust e li affida all'amministrazione del trustee. Con la Circolare 48/E del 2007, l'Agenzia delle Entrate ha espressamente affermato la riconducibilità dell'atto di dotazione patrimoniale del trust al concetto di atti da cui deriva l'effetto della “costituzione di vincoli di destinazione”, assoggettati ad imposta sulle successioni e donazioni. In merito alle modalità di applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni agli atti in esame, si registrano diversi orientamenti interpretativi dei quali è opportuno fare dare atto. Secondo l’Amministrazione finanziaria, il conferimento di beni nel trust (o il costituito vincolo di destinazione che ne è l'effetto) va assoggettato all'imposta di successione e donazione in misura proporzionale al momento della dotazione patrimoniale del trust e questo anche nel caso in cui il trust sia formalmente privo di effetti traslativi, in quanto non prevede dei beneficiari finali del patrimonio (trust di scopo)51. Inoltre, nell’individuazione dell’aliquota d’imposta, non si deve fare riferimento al rapporto esistente fra disponente e trustee, bensì a quello tra disponente e beneficiario. Infatti, il trust si sostanzia in un rapporto giuridico complesso che ha un'unica causa fiduciaria. Tutte le vicende del trust sono collegate dalla medesima causa. La costituzione del vincolo di destinazione avviene quindi sin dall'origine a favore del beneficiario finale. Tuttavia, secondo l’Amministrazione finanziaria, ai fini dell’applicazione sia delle aliquote ridotte sia delle franchigie, il beneficiario deve poter essere identificato, in relazione al grado di parentela con il disponente, al momento della costituzione del 51 Circolare n. 48/E del 2007. 47 vincolo52. Le indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate hanno suscitato diversi dubbi di legittimità costituzionale, ponendosi in contrasto con il principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Cost.). Infatti, la capacità contributiva assoggettata a tassazione con l’imposta sulle donazioni e successioni, è stata sempre rinvenuta nell’incremento patrimoniale che si verifica in capo al beneficiario di un trasferimento. Nei trust di scopo (in cui si crea un vincolo di destinazione su dei beni che non saranno devoluti a dei beneficiari finali), è difficile ipotizzare una qualunque manifestazione di capacità contributiva, nonché impossibile determinare il rapporto di parentela esistente tra il disponente e il beneficiario finale del trasferimento, che è inesistente, ai fini dell’individuazione delle franchigie e aliquote di imposta. La giurisprudenza di merito da tempo ha smentito la legittimità dell’interpretazione operata dall’Amministrazione finanziaria ed ha individuato un diverso criterio di tassazione degli atti in esame. Secondo i Giudici di merito la dotazione patrimoniale del trust integra un atto sottoposto a condizione sospensiva (fattispecie disciplinata dall'art. 58, c. 2, del D.Lgs. 346/1990) e che, pertanto, dovrebbe scontare l’imposta di registro in misura fissa al momento della segregazione dei beni in trust e l’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale al momento dell’eventuale trasferimento del patrimonio del trust a dei beneficiari finali53. La giurisprudenza di legittimità sul tema risulta caratterizzata da pronunce fra loro divergenti. Da principio la Corte, con le ordinanze nn. 3735 e 3737 del 2015 (sostanzialmente analoghe), aveva ritenuto legittima l’applicazione dell’imposta di successione e donazione al momento della costituzione del vincolo, in base al presupposto che il contenuto patrimoniale dell’atto era rinvenibile nell’utilità economica derivante al disponente dalla segregazione patrimoniale e questo anche in presenza di fattispecie che non avevano prodotto alcun effetto traslativo. Successivamente, la medesima Cassazione è tornata sull’argomento con la sentenza 26 ottobre 2016, n. 21614 e ha espressamente smentito la validità dei precedenti orientamenti interpretativi. In tale ultima occasione, è stato affermato che non può ritenersi valida né l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate né i precedenti giurisprudenziali della medesima Corte. In base al dato letterale della normativa di riferimento, infatti, “l’unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i ‘vincoli di destinazione’, con la scontata conseguenza che il presupposto d’imposta rimane quello stabilito dall’art. 1 del d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari.”. Secondo la Corte, quindi, l’unica interpretazione possibile (poiché l’unica costituzionalmente orientata) della disciplina di riferimento è che va applicata l’imposta di registro in misura fissa al momento della dotazione patrimoniale del trust e in misura proporzionale al momento della attribuzione dei beni ai beneficiari finali. La Corte, tuttavia, è recentemente tornata sul tema e, seppure ha dichiarato di volersi rifare all’orientamento manifestato con la sentenza n. 21614 del 2016, è poi giunta a conclusioni in parte divergenti. Infatti, con la recente sentenza 30 maggio 2018, n. 13626, ha affermato il principio secondo il quale L'istituzione di un trust liquidatorio (con conferimento di quote di società a responsabilità limitata con lo scopo di alienare dette quote e provvedere al pagamento dell’esposizione debitoria del disponente) deve scontare l'imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale e non l’imposta di registro in misura fissa; infatti, dalla segregazione patrimoniale realizzata deriva, secondo la Corte, un trasferimento di beni a favore del trustee, sia pure al mero fine della liquidazione e, quindi, 52 Ad esempio: per poter applicare l'aliquota del 4% prevista tra parenti in linea retta, è sufficiente sapere che il beneficiario di un trust familiare sarà il primo nipote al conseguimento della maggiore età. Nel trust di scopo (privi di beneficiari finali), l’imposta sarà dovuta con l’aliquota dell’8%, prevista per i vincoli di destinazione a favore di “altri soggetti”. 53 In tal senso si è collocata la giurisprudenza di merito maggioritaria: CTP Firenze 12.02.2009, n. 30 e CTP Milano 5.02.2014, n. 1208; CTP Bologna 30.10.2009, n. 120; Contra: CTR Firenze 22.09.2014, n. 1702. 50 In proposito, è opportuno sottolineare che i redditi tassati in capo ai beneficiari sono unicamente quelli imputati per trasparenza. I redditi tassati in capo ad un trust opaco, qualora dopo aver scontato l'IRES vengano trasferiti al beneficiario finale del trust (insieme al resto del patrimonio), non subiscono alcuna ulteriore tassazione in quanto integrano una forma di reddito “patrimonializzato”60. L'imputazione del reddito “di capitale” ai beneficiari deve avvenire anche nei confronti del beneficiario non residente (sul punto la Circolare n. 48/E ha chiarito che il trust residente imputa, per trasparenza, i propri redditi sia ai beneficiari residenti che a quelli non residenti). Il reddito attribuito al beneficiario non residente viene tassato in Italia, in quanto reddito di capitale corrisposto da soggetto residente (art. 23, co. 1, lett. b), del TUIR). Viceversa, il trust non residente imputa per trasparenza i propri redditi ai soli beneficiari residenti, tassandoli come redditi di capitale. In proposito, va osservato che la Circolare n. 48/E del 2007 precisa che la residenza del trust è individuata utilizzando i criteri generali di collegamento al territorio, dettati per i soggetti IRES. Pertanto, si considerano residenti in Italia i trust che, per la maggior parte del periodo d’imposta, hanno nel territorio dello Stato: la sede legale, o la sede amministrativa, ovvero l’oggetto principale. Considerando le peculiari caratteristiche del trust, i criteri maggiormente utilizzati sono quelli della sede dell’amministrazione e dell’oggetto principale. La sede dell’amministrazione del trust coinciderà con: la sede della struttura organizzativa (dipendenti, locali, etc.) della quale eventualmente si avvalga, ovvero, in mancanza, tenderà a coincidere con il domicilio del trustee. Ai criteri generali di collegamento con il territorio, se ne aggiungono altri dettati con funzione antielusiva (art. 73, co. 3, del TUIR). In particolare, si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, i trust istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni, quando almeno uno dei disponenti «ed» almeno uno dei beneficiari siano qui fiscalmente residenti. La residenza del disponente rileva all'atto della dotazione patrimoniale del trust, mentre la residenza del beneficiario attrae in Italia la residenza del trust, anche se si verifica in un momento successivo, a nulla rilevando l’avvenuta erogazione del reddito a favore del beneficiario nello specifico periodo d’imposta61. Inoltre, si considerano residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato che non consente lo scambio di informazioni quando, successivamente alla costituzione, un soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà o altro diritto reale su di un bene immobile, ovvero costituisca, a favore del trust, dei vincoli di destinazione sugli stessi beni e diritti. Quale soggetto passivo d'imposta, il trust, sia esso trasparente o "opaco", è tenuto ad adempiere gli specifici obblighi previsti per i soggetti IRES. Pertanto, il trust deve presentare annualmente la dichiarazione dei redditi, dotarsi di un proprio codice fiscale e, qualora eserciti attività commerciale, di partita IVA, oltre ad adempiere agli obblighi di tenuta delle scritture contabili (sempre se esercita attività commerciale). Tutti gli adempimenti tributari gravanti sul trust sono assolti dal trustee. La Circolare 38/E del 28 dicembre 2013 dell’Agenzia delle Entrate (a seguito delle modifiche apportate alla disciplina sul monitoraggio fiscale, di cui al D.Lgs. 167/1990, dall’art. 9 della legge 6 agosto 2013, n. 97, nonché a seguito del provvedimento attuativo dell’Agenzia delle Entrate del 18 dicembre 2013), ha specificato gli adempimenti che devono essere tenuti dal trust o dal suo “titolare effettivo” (beneficial owner) qualora nel fondo del trust vi siano attività estere. In particolare, per i trust (non commerciali) residenti: • non ci sono obblighi per i trust con attività estere, se i beneficiari residenti sono tutti “titolari effettivi” (in tal caso, i beneficiari devono indicare nel quadro RW il valore delle attività estere del trust, secondo l’approccio del look through, e la percentuale della loro partecipazione al trust); 60 Cfr. Circolare n. 48/E del 2007, paragrafo 4. 61 Cfr. Circolare n. 48/E del 2007. 51 • se i beneficiari residenti non sono tutti titolari effettivi per il trust sussiste l’obbligo di compilare il quadro RW, ove indicherà il valore delle attività estere e la quota del patrimonio non attribuibile ai titolari effettivi. Viceversa, il beneficiario residente di un trust estero sarà sempre tenuto alla compilazione del quadro RW, variando esclusivamente le modalità di compilazione. Infatti, come chiarito dal medesimo documento di prassi, se è “titolare effettivo” applicherà l’approccio del look through; mentre, se non è “titolare effettivo”, deve indicare unicamente il valore della quota di patrimonio del trust a lui riferibile. La nozione di “titolare effettivo” è stata ripresa dalla normativa antiriciclaggio e la sua applicazione in ipotesi di trust era stata inizialmente “chiarita” nell’ambito della medesima Circolare n. 38/E del 2013 specificando che, si considerano titolari effettivi del trust: • la persona fisica o le persone fisiche che “beneficiano” del 25% o più del patrimonio del trust, se «i futuri beneficiari» sono stati già «individuati»; • la persona fisica o le persone fisiche che «esercitano il controllo sul 25% o più del patrimonio del trust»; • la categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l’entità giuridica (sebbene, seppur con passaggi poco chiari, la Circolare in esame sembra escludere l’applicabilità al trust di questa ultima categoria di soggetti). Tali indicazioni, tuttavia, vanno “rilette” alla luce del recente ampliamento della nozione di “titolare effettivo” del trust fornita dalla disciplina antiriciclaggio. L’art. 22, co. 5, del nuovo D.Lgs. n. 231 del 2007 (come modificato dall’art. 2, c. 1, del D.Lgs. 90/2017) fornisce infatti il seguente elenco (decisamente ampio rispetto al precedente) di soggetti che possono essere “titolari effettivi” di un trust: • i fondatori (ovvero i disponenti) dei trust); • i fiduciari (ovvero il trustee); • il guardiano (o protector) del trust; • i beneficiari (senza riproporre la previgente soglia del 25% del patrimonio riferibile al beneficiario); • qualunque altra persona fisica che esercita, in ultima istanza, il controllo sui beni conferiti nel trust attraverso la proprietà diretta o indiretta o attraverso altri mezzi. Con riferimento all’eliminazione della previgente soglia quantitativa (del 25%) del patrimonio minimo riferibile al “titolare effettivo” del trust, va tuttavia osservato che il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 18 dicembre 2013 (che contiene detta soglia) non è stato modificato. Tale dato, suscita il legittimo dubbio interpretativo che il mancato aggiornamento del provvedimento possa essere espressione della volontà dell’Agenzia delle Entrate di non tradurre negli obblighi di monitoraggio fiscale la più ampia definizione di titolare effettivo prevista dalle intervenute modifiche alla normativa antiriciclaggio. Tuttavia, tenuto conto delle sanzioni previste in caso di incompleta redazione del quadro RW, nell’adempiere agli obblighi sul monitoraggio fiscale, è senz’altro prudenziale attenersi alla più ambia definizione di titolare effettivo del trust, recentemente introdotta. Infine, si osserva che l’art. 15, comma 2, lett. d) della legge di delegazione europea 2015 (L. n. 170 del 2016, adottata in recepimento della direttiva 2015/849/UE) ha previsto l’istituzione di un registro centrale dei trust per raccogliere le informazioni inerenti alla titolarità effettiva del trust. I dati vanno forniti dal trustee e devono essere accessibili alle autorità competenti in materia di prevenzione del riciclaggio, ai destinatari degli obblighi di adeguata verifica e all'Amministrazione finanziaria. A tal fine, i trust rilevanti ai fini fiscali vengono registrati in apposita sezione del registro delle imprese, a cura del trustee. 52 5. Il ruolo del commercialista nella pianificazione gestione dei patrimoni familiari In aggiunta a quanto trattato sinora, si aggiunga che il ruolo della consulenza in tema di pianificazione e protezione dei patrimoni nel loro complesso appare imprescindibile, in Italia, non solo per la cospicua presenza di piccoli patrimoni e PMI, ma anche in relazione al livello di competenze finanziarie” detenute dalle famiglie, vale a dire la combinazione di conoscenze, motivazioni e comportamenti che permettono di compiere scelte appropriate nella gestione del bilancio familiare e nell’allocazione del patrimonio. Una recente indagine richiamata dalla Banca d’Italia62, infatti, ha evidenziato come rispetto ai paesi dell’OCSE per cui sono disponibili dati confrontabili, il livello di conoscenza dei concetti economici e la diffusione di comportamenti adeguati sono in Italia molto contenuti, mentre l’orientamento verso il lungo periodo appare invece più in linea con le altre economie sviluppate: l’indicatore che sintetizza i tre aspetti delle competenze finanziarie, ad ogni modo, colloca l’Italia a un livello inferiore rispetto agli altri paesi63. Fonte: elaborazione sulla base di OCSE, OECD/INFE “International Survey of Adult Financial Literacy Competencies”. Con riferimento alla ricerca di AIPB sulla clientela private in Italia la maggioranza degli intervistati interrogati ha dichiarato di possedere competenze elevate su temi di gestione del denaro ed investimenti in tutti i cluster esaminati tranne che per i clienti “distratti”. In un focus sull’imprenditore, lo studio di AIPB mostra che una quota maggiore di clienti imprenditori possiede una competenza finanziaria elevata, rispetto al totale del campione. 62 Cfr. Relazione Annuale, 31 maggio 2017. 63 Fonte: per l’Italia, “Indagine sull’alfabetizzazione e le competenze finanziarie degli italiani”, Banca d’Italia. 3,5 4,4 4,7 4,6 4,4 4,2 5,1 5,3 4,9 4,9 4,8 4,9 4,9 5,4 5 4,9 5,2 5,2 4,9 4,4 4,4 4,3 4,8 5 5,6 5,3 4,9 5,2 5,4 5,9 6 6,2 5,7 5,7 6,2 5,8 6,3 6,7 3,2 2,8 3,5 3,1 3,1 3,3 3 3,2 3,3 3,4 3,4 3,3 3,2 3,2 3,7 3,5 3,6 3,3 3,2 Italia Polonia Ungheria Turchia Rep. Ceca Regno Unito Lettonia Estonia Paesi Bassi Media OCSE Portogallo Austria Belgio Corea del Sud Nuova Zelanda Canada Norvegia Finlandia Francia Competenze finanziarie degli adulti Conoscenze Comportamenti Orientamento Lungo Periodo
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