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WITTKOWER, ALLEGORIA E MIGRAZIONE DEI SIMBOLI , Appunti di Storia Dell'arte

RIASSUNTO DEL LIBRO PER ESAME ICONOLOGIA ICONOGRAFIA

Tipologia: Appunti

2017/2018
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Caricato il 11/04/2018

eugeniape
eugeniape 🇭🇷

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37 documenti

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Scarica WITTKOWER, ALLEGORIA E MIGRAZIONE DEI SIMBOLI e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! RUDOLF WITTKOWER - ALLEGORIA E MIGRAZIONE DEI SIMBOLI 1) ORIENTE E OCCIDENTE, PROBLEMA DEGLI SCAMBI CULTURALI Abbiamo a che fare con scambi culturali attraverso spazi immensamente ampi (problema: come le distanze vengono percorse in tempi antichissimi). Per un secolo gli etnologi lavorano con 2 teorie divergenti: A) DIFFUSIONISMO B) GENERAZIONE SPONTANEA\CONVERGENZA INDIPENDENTE Al centro di dispute da quando, nella seconda metà del XIX sec. A. Bastian propone la sa tesi evolutiva: caratteristiche culturali affini sorgono in società diverse in fasi parallele di sviluppo. Diffusionismo e generazione spontanea ancora in lotta per quanto riguarda le civiltà preletterarie. Per quanto riguarda le civiltà evolute è accettato il diffusionismo. Lo storico dell’arte può estendere questo metodo alle culture primitive. Certe forme artistiche indicate come arcaiche, classiche, barocche compaiono in civiltà lontane nello spazio\tempo, segno della penuria di espressioni artistiche fondamentali a disposizione della nostra specie. La diffusione esiste, le vie migratorie sono tracciabili già per i tempi preistorici (storia della via della seta). Durante la dominazione mongola, oriente e occidente si accostano quanto mai prima. Nel 1245 Innocenzo VI invia Giovanni dal Pian del Carpine dal gran Khan, nel 1253 Guglielmo di Rubruquis lo segue come inviato di Luigi IX di Francia. 1271 viaggio di Marco Polo. Giovanni da Montecorvino è fondatore della chiesa latina in Cina (1293-1328), Balducci Pegolotti nel 1349 compone manuale per mercanti in oriente. Nel 1368 ha fine il periodo di pace in cui le vie commerciali sono sicure (frati francescani fondano conventi in Cina e i genovesi possiedono colonia a Zaiton). La dinastia tartara è spazzata via e viene reintegrata la dinastia Ming (per 200 anni la Cina è isolata dall’Europa). Contatti Cina\Europa (XIII-XIV sec.) accendono l’immaginazione degli studiosi (viene addirittura riconosciuta influenza cinese sui paesaggi della pittura senese). IN REALTA’ le affinità tra pittura occidentale e orientale sono risultato di una convergenza, più che di un’assimilazione. Diffusione = ha luogo una migrazione di prodotti culturali da una civiltà all’altra, grazie a migrazioni di popolazioni, conquiste, artigiani nomadi, viaggiatori, missionari, commerci. L’impero achemenide di Ciro si estende dall’India all’Egitto. 200 anni dopo l’occidente prende il sopravvento, Alessandro apre quella stessa parte di Asia alla colonizzazione greca. Metà III a.C: il processo di rovescia, i Parti sono dominatori dell’Iran per 1500 anni e si misurano con Roma. I sassanidi, dopo i Parti, sconfiggono le legioni romane e ricacciano l’occidente fino all’Asia minore, l’impero romano è aperto alla penetrazione orientale. Nel VII sec. La geografia del Medio Oriente cambia. Con la morte di Maometto (632) le tribù arabe si espandono fino alla Spagna. Il mondo islamico adotta la cultura persiana. Il volto dell’Asia coinvolto dalla conquista mongola cambia anch’esso. Gli imperatori Mughal controllano India e Asia centrale dagli inizi del XVI secolo per 300 anni, tribù turche controllano Asia Minore, Nord Africa e parte dei Balcani. Le opere indiane di matematica e medicina arrivano in Spagna e poi nell’Europa cristiana, così l’astrologia babilonese radicata già nella Roma imperiale e nel mondo ellenistico, passando per l’India, la Cina e il Giappone, incontrando la cultura araba e giungendo in Italia tramite la Spagna. Prima della conquista di Alessandro, Erodoto e Ctesia forniscono fantasiose descrizioni dell’India. 1 Nel I secolo d.C viene aperta la via marina dall’India attraverso Mar Rosso e Mar Arabico. Da sempre il Mediterraneo unisce popoli. Marsiglia, Amalfi, Napoli e Salerno sono legati al commercio con l’oriente. Venezia ha ruolo predominante nel X secolo, Genova nell’XI. Numerose vie mercantili nel medioevo collegano Scandinavia e Cina tramite la Russia (scoperte monete arabe di Bagdad in Svezia). Nel 1497 da Gama apre la via marina all’India attraverso il Capo di Buona Speranza, 17 anni dopo i portoghesi arrivano in Cina. Da qui supremazia europea che dura 400 anni. Inizia la vera e propria circolazione di opere d’arte. Esempi di commercio, migrazione, assimilazione\adattamento di materiali fino a trasformazione: tipologie formali dell’antico medio Oriente che riemergono trasfigurato nell’arte romanica, scultura greco-romana che raggiunge l’India e viene mediata dalla tradizione buddistica del Gandhara, fino ai fenomeni dell’esotismo e dell’orientalismo. La cinomania propria dell’Europa del XVIII sec: molti illuministi abbracciano la filosofia morale di Confucio (vita sociale ispirata all’armonia); una gran massa i materiale culturale individuabile con il ricorso a simboli e immagini archetipiche (croce uncinata, svastica, albero della vita, globo alato, aquila e serpente, drago, eroe mitico domatore di fiere, fauna totemica…) Tutte le civiltà sviluppate dell’età antica (Cina, India, Persia, Babilonia, Egitto, Grecia e Roma) si trovano nella fascia meridionale del continente Eurasia. Tutte sviluppano letterature classiche, codici morali e vantano legislatori e fondatori di religioni, producono edifici monumentali, pittura e scultura su divinità, uomo, animale. Ma abbiamo VARIETÀ’. I caratteri peculiari di ogni civiltà si conservano nel tempo. Per contrasto le steppe della fascia settentrionale danno vita a civiltà nomadi e seminomadi, informe e prive di caratteri propri. La vera antitesi è: ARTE MONUMENTALE MERIDIONALE vs. ARTE NOMADE (oggetti portatili, utensili, ornamenti personali, è un’arte astratta che mira alla decorazione). La pressione dei popoli semibarbari esercitata ai confini della Cina fino al Danubio e al cuore dell’Europa supera ogni tanto i limiti naturali e assorbe le civiltà evolute. Al barbaro sono sempre attribuiti caratteri grotteschi. Uomini e animali deformi, ibridi, metamorfosi hanno un ruolo centrale nel pensiero di ogni popolo. La credenza nei mostri conduce al sostrato delle concezioni magiche e dei rituali. Nascita della civiltà greca = vittoria degli dei olimpici sui mostri ctoni. I greci creano immenso repertorio di mostruosità, riconsegnate all’oriente che le aveva entrate, fino ad alimentare l’idea europea dei mostri. Oriente e occidenti sono sensibili al medesimo universo mostruoso. Occidente, Cina e Giappone condividono interesse per l’arte l fine di edificare, meditare, godere esteticamente, rappresentare il corpo e il volto, episodi naturali e storici, muti oggetti quotidiani, abbandono all’esperienza emotiva del singolo artistica. Ma le differenze sono ovviamente enormi. 2 sovrani sono accompagnati da un’aquila. Stessa cosa avviene in molte leggende asiatiche (Achemene cresciuto da un’aquila). Tema di Ganimede compare pressoché ovunque. L’aquila in Perù è evidente simbolo solare. Civiltà incaica conosce anche il conflitto con il rettile (spesso totem). In Costa Rica Colombo trova monili d’oro con aquile, trovati molti amuleti anche rappresentanti la lotta (serpenti in forma di folgori). Questi simboli arrivano in America: 1) dall’Asia alla Polinesia attraverso l’India 2) fino alla Siberia attraverso la Scizia. Aquila: uccello della sovranità e della profezia, mantica e magia, sole e resurrezione presso ogni popolo. Vittoria col serpente: vittoria umana o cosmica. c) Grecia e Roma Per la mitologia greca aquila = unico uccello puramente divino. v. Il sole come uccello di Zeus: Cook dimostra identità sole\uccello già in leggende arcaiche. In tempi pre-ellenici Zeus impersona il cielo medesimo vivente. Dalla creazione dell’Olimpo aquila accanto a Zeus. Non semplice attributo ma spesso è lui stesso. Assimilabile a questo il culto dell’Asia minore: di fronte all’altare di Zeus sul monte Liceo 2 colonne con figure di aquile rivolte ad oriente. Aquila\luci: Supplici di Eschilo, aquila come uccello della divinazione. Duplice funzione: uccello di luce e di divinazione. Motivo del combattimento compare nell’Iliade: significato mantico, aquile con uccelli appaiono sopra le teste dei troiani prima dell’assalto. Aristofane usa il simbolo come oracolo politico con travestimento parodico: Apollonio di Tiana (II sec. d.C) tenta di sconfiggere il flagello (serpenti) ponendo l’aquila con la serpe su una colonna. Importante nell’ambito dell’interpretazione dei sogni: il gruppo aquila\serpente vive nei libri dei sogni medievali. Confronto di Dione Cassio\Omero: l’uccello della vittoria porta il simbolo della disfatta. Equivalenze serpente\fulmine: forma a zigzag ha nella folgore equivalente naturale. Aristotele: aquila e serpente sono ostili, l’aquila si eleva più di altri ed è quindi divina. Grecia antica\età minoica: significato apotropaico. Areo, re di Sparta possiede anello a sigillo con questo simbolo come amuleto. Aquila in relazione alle anime dei morti. Scontro aquila\serpente: Vasi corinzi, VI sec.: elemento associato al significato mantico. L’aquila è corredo del guerriero, o sul capo dell’indovino. Quando il guerriero greco ha sullo scudo lo scontro vuole attrarre la vittoria (magia simpatica). Monete VI-III sec: vittoria politica o risultato atletico. Sul rovescio una Nike o quadriga con aquila\serpente sull’altro lato. Sofocle, Antigone: combattimento come corrispettivo scontro tra eserciti (anche Orazio, IV Ode). Impero romano: aquila delle legioni è emblema della sovranità. v. Simbolo sulla base del toro Farnese di Napoli: aquila diventa emblema. Nella sfera religiosa: uccello dell’apoteosi e della resurrezione. Giove vola su un’aquila, l’anima dell’imperatore divinizzato è trasportata in cielo dall’aquila. Ricorre su steli sepolcrali. Conflitto col serpente: vittoria sui ctoni. Rappresentazioni bacchiche (v. Sarcofago di S. Lorenzo fuori le mura, scolpito ad Atene nel III sec. d.C su modelli siriani) = entusiasmo dionisiaco come eterna felicità celeste. Vittoriosa liberazione dell’anima. Aquila = uccello di Helios. Anche lo Geova ebraico è camuffato da Zeus solare. Teos ipsistos è raffigurato con un’aquila. Uccello di Helios ha compito di trasportare l’anima del defunto. Vediamo pietre tombali con 5 aquila nel levante mediterraneo). v. Descrizione della pira di Alessandro Magno per Efestione con aquile e serpenti. Significato soprannaturale: fondo rituale\magico, fede nell’efficacia pratica dei simboli. Vittoria materiale e salvezza spirituale sono per gli antichi la medesima cosa. Lo stesso simbolo può significare vittoria in battaglia se su uno scudo, salvezza dell’anima se su una pietra sepolcrale ecc. Re spesso sono discendenti degli stregoni delle civiltà primitive (aquila adatta a stregoni e sovrani). d) Interpretazione cristiana Ripreso simbolismo dell’aquila. Identificazione cristo\sole e quindi anche con aquila. v. Calice di Antiochia (IV-V sec.) Cristo come nuovo Giove sull’aquila. Geroglifico di Cristo su molti capitelli, pietre tombali copte (salmo 103.5) antica idea di resurrezione\salvazione. 4 temi fondamentali: IMMERSIONE NELLA FONTANA DELLA VITA, AFFILARE IL BECCO (= RINGIOVANIMENTO\BATTESIMO\PENITENZA), VOLO VERSO IL SOLE (= CORAGGIO\FEDE), SCONTRO CON IL RETTILE (=VITTORIA). Phisiologus: aquila scende alla sorgente rinnovandosi, tornando giovane (similitudine con l’uomo: quando la sua anima si offusca prende il volo verso il sole\Gesù e attingere alla fonte dello spirito santo - giovinezza rinnovato). Commento agostiniano al salmo: idea della nuova giovinezza. Roccia contro cui l’aquila sbatte il becco è Cristo. 3 motivi fondamentali: VOLO AL SOLE, CADUTA E RINASCITA E FONTE DI ACQUA PURA. Ricorda albero indiano (Peridexion) con colombe sui rami. Il drago le divora quando lasciano l’albero. Colomba = uomo, Peridexion = trinità, drago = satana, impotente finché l’uomo vive ai ripari della fede. Prima letteratura cristiana (Hexaemeron di Ambrogio, 389 ca.): l’aquila alleva uno solo dei figli, uccidendo il secondo (prova: avvicinarsi al sole). Nei Sermones dello pseudo Ambrogio aquila\serpente come Cristo vittorioso su Satana. Acqua della vita = mito universale. Mito di Etana = idea è filiazione della designazione pagana dell’aquila come resurrezione. Questione del becco che si deforma compare nella Storia degli animali di Aristotele (l’uccello dovrebbe morire di fame, leggenda di origine egiziana, si trova in Orapollo = aquila con becco ricurvo usata per raffigurare uomini in fin di vita). Brano del salmo: dal mito egiziano della fenice. Questione della vera prole: volo solare e prova di riconoscimento (anche qui origine egiziana, ripresa da Plinio). Viaggio verso il sole e atto di fissarlo = natura solare; Lotta con il serpente = vittoria sulla notte. Dai bestiari medievali alle enciclopedie (Isidoro, Rabano Mauro, Vincenzo di Beauvais, Brunetto Latini), storici delle scienze naturali raccolgono tradizione di Aristotele e Plinio con racconti popolari. Filone letterario si interrompe con Gessner e Aldrovandi e Bochart (programma enciclopedici mettono insieme materiale scientifico e letterario, da fonti cristiane, classiche e arabe). Il simbolo non conosce diffusione prima del VI-VII secolo, prima lo troviamo solo a est del Mediterraneo. Nel X secolo massima diffusione. In Europa: i primi artisti cristiani si confrontano con il simbolo orientale e greco-romano. Il modello orientale penetra attraverso Bisanzio e con gli Arabi in Spagna. L’uccello è di profilo nell’atto di beccare la testa del rettile eretto. Tipo orientale analogo con aquila di fronte rimanda alle raffigurazioni babilonesi. 6 Spesso entrambi i motivi combinati: aquile di profilo posate su lepri simmetricamente ai lati, serpente nel centro frontale con corpo attorto. Aquila su lepre = simbolo diffusissimo nel mondo antico. Serpente = male, lepre = veloce evolversi del tempo umano. Cristo sconfigge il demonio e la salvazione sovrasta il simbolo dell’uomo. Lotta con serpente: se appare sul portale di una chiesa è pratica apotropaica, se appare accanto ad altri scontri da animali il significato magico è andato perduto ed è solo decorativa. 1200: Puglia e Campania (S. Nicola a Bari, Cattedrale di Benevento…), Italia centrale (Mosaico absidale del Torriti in S. Maria Maggiore), pavimentazione di S. Miniato al monte (ritorna l’albero con le colombe, cristo in forma di aquila annienta il serpente). Ovvia la presenza di un’intenzione simbolica. Motivo della ruota a raggi accompagna Cristo\aquila = motivo solare. Compare in capitelli francesi dall’XI secolo. Lotta con serpente approda poi in Inghilterra e Germania (Canterbury, Aston, Remagen…); Dipendenza dei capitelli dai manoscritti del Beatus (illustrazioni associate al testo per cui la salvezza dell’uomo è legata all’eliminazione dello sterminatore di anime da parte del Verbo di Cristo). Nel Beatus l’uccello non è un’aquila ma una fantastica creatura d’Oriente = uccello misterioso si sporca per passare inosservato e attaccare la serpe. Cristo assume su di se la debolezza umana (Sporcarsi = Incarnazione, lotta in forma di uomo per ingannare Satana). v. Beatus, copia di Manchester (evidente la macchia di sporcizia). La storia contiene questi motivi: 1) LOTTA UCCELLO\SERPENTE 2) INZACCHERAMENTO PER INGANNARE IL NEMICO 3) DIFESA DEL CAPO PER MEZZO DELLA CODA 4) ORNAMENTO DI PERLE Nel Phisiologus storia corrispondente, ma con protagonista un felino (Icneumone, tipicamente egizio). Il Beatus riprende quindi il Phisiologus. Aristotele, Strabone, Plinio raccontano della lotta tra Icneumone e il serpente parlando della questione dello sporcarsi prima della lotta. Plutarco dice che l’animale è ritenuto sacro dagli egizi perché uccisore di rettile. Il Phisiologus trasforma una storia egiziana in un’allegoria propriamente cristiana. Il motivo 2 e 3 appaiono nel Phisiologus anche in unione con altri animali. Nel Beatus abbiamo testi esemplati su questi. Crediamo quindi che il motivo dell’ORNAMENTO sia desunto dal capitolo corrispondente del Phisiologus (si descrive la perla identificata con Cristo). Uccello orientale del Beatus: la fonte più probabile è il mito indiano dell’uccello celeste Garuda (Anche Garuda fa della sporcizia un’arma contro i rettili). Cigno che domina serpente (= uccello Caladrio) secondo il Phisiologus guarisce le malattie, è frequente nei bestiari medievali come un cigno dal collo lunghissimo. Vincenzo de Beauvais assume su di sé la malattia per poi volare verso il sole per liberarsene. Aquila\serpente anche collegato a Giovanni (monogramma o fregio conclusivo in molti vangeli). Cristo col piede sul serpente è ancora diffuso nel 1600 e 1700. Parallelismo Cristo\sole\aquila si conserva valido (tradizione teologica su Salmo 91.13, sconfitta del dragone). 7 d) La tradizione pittorica Esistono rappresentazioni di queste razze, ricordate anche da S. Agostino (spianata di Cartagine). Forse esiste una versione illustrata di Solino e Cappella. Le miniature italiane di un Solino del XIII sec. rimandano ad un archetipo del VI-VII sec.: molti dei motivi delle miniature sono desunti da topoi egizi. Es: gruppo satiro eretto\scimmia seduta. Codici esclusivamente dedicati alle meraviglie d’Oriente: testo del IV secolo in forma di lettera (Fermes a Imperatore Adriano, simulazione di un viaggio in oriente). Illustrazioni migliori nel Tiberius (1000 d.C) del British Museum. Illustrazioni del codice Vitellius del British mostra l’uomo con le orecchie lunghe (3 campioni di questa razza, donna uomo e bambino). Diverse traduzioni di greci dal sanscrito. Diverso modello iconografico di questa razza si ha nel Rabano Mauro di Montecassino (orecchie fino a terra). La più importante raccolta di opere sulle meraviglie è formata dalle Mappe del Mondo: v. Carta di Hereford, con esempi di razze a animali favolosi sparsi su tutto il globo, dove ritornano tutte le figure fantastiche. Nella Scizia uomini con zoccoli, antropofagi, iperborei, arimaspi, in Etiopia satiri e fauni, persone dalle lunghe braccia, basilischi, formiche cercatrici d’oro ecc… illustrazioni fondate su Solino e Rabano Mauro. Un numero consistente di carte medievali deriva dalla Mappa mundi di Agrippa, dipinta sul muro del portico di Vipsania. Le stesse figure si trovano in trattati arabi (ricorrono i cinocefali). Un gruppo simile nel timpano di Vezelay, stessa fonte di ispirazione. Conclusione = dev’essere esistito un repertorio di illustrazioni classiche di meraviglie. e) Le razze favolose moralizzate, il ruolo nell’arte e nella letteratura medievali XII sec, meraviglie dell’oriente penetrano nell’arte religiosa, razze favolose = volontà di Dio, sono passibili di redenzione (v. Timpano di Vezelay. Studi di Male: le rappresentazioni degli apostoli risultano da un concetto bizantino esistente già ai tempi di Giustiniano, Cristo seduto deriva da un modello siriano. I cinocefali compaiono in manoscritto di Qazawini). Soggetto privilegiato nelle chiese cluniacensi (es. Abbazia di Souvigny, portale cattedrale di Sens…) In Inghilterra appare mostruosità incise su Misericordie, in Italia rappresentate su pavimenti musivi (Casale Monferrato, cattedrale, in associazione al drago dell’Apocalisse e raffigurazione di Giona). XIII sec, inserite nei bestiari, uniti ramo enciclopedico e morale. Adattate al carattere del Phisiologus. v. Bestiario di Westminster (pigmei = umiltà, gigante = orgoglio, cinocefali = iraconti, gente con le grosse labbra = persone moleste). v. Nel De Mirabilis Mundi: grosse labbra = giustizia, grosse orecchie = ascoltano parola divina, cinocefali = predicatori, mostri senza testa = umiltà. Meraviglie necessarie per satireggiare difetti dell’epoca. v. Liber de monstruosis hominibus: razze favolose nei panni di borghesi fiamminghi. L’antropofago come Saturno che mangia i suoi figli. v. Buch der Natur di Megenberg: diversi tipi, sciapoda dal piede palmato, donna barbuta e mostro con 6 braccia corrispondenti a quelli del Liber de monstruosis hominibus di Bruges. Le figure sono nude. Romanzo di Alessandro è una delle fonti d’ispirazione maggiore (traduzioni in tutte le lingue, rimaneggiato dall’arciprete Leone di Napoli - Historia de proeliis fondamentale per la futura diffusione del romanzo, poi tradotto in volgare). Manoscritti con storie di Alessandro sono miniati con ogni sorta di creature fantastiche. v. Lotta di Alessandro coi monocoli (manoscritto di Bruxelles) particolarmente grottesco. 10 v. Arazzi di Filippo di Borgogna (volo, viaggio in fondo al mare, lotta coi mostri senza testa). Romanzo di Alessandro è attribuito anche a Callistene, ed è largamente accettato come ampia fonte sull’India e sull’oriente in generale. Lo storico Fruttolfo di Michelsberg nella sua Cronaca Universale (1100) inserisce parti del romanzo di Alessandro e la lettera di Alessandro ad Aristotele. Fulcherio di Chartres attinge a Plinio e Solino per la sua storia delle Crociate e cita le avventure indiane di Alessandro, Giacomo di Vitry nella sua Storia della Terrasanta (1219-26) elabora raccolta di meraviglie desunte anche dal romanzo di Alessandro. * Mistificazione storica del XII e XIII secolo che trova echi fino al XVI secolo: regno del prete Gianni nel remoto oriente, diventa pretesto per poeti e impulso per viaggi in Asia. La lettera del prete Gianni dipinge il suo regno come paradiso terrestre (da sempre India associata all’Eden). Discussione intorno all’esistenza degli antipodi: S. Agostino respinge l’idea, poi eretica. Incoerenza in Isidoro: rifiuta di credere agli antipodi, ma li cita nel capitolo sulle mostruosità come viventi in Libia. Il termine greco antipodo viene riferito alle genti con i piedi retrocessi che i greci hanno descritto tra i mostri indiani. f) I mostri come presagi e la storiografia umanistica XIV sec: inizia atteggiamento di opposizione alle scienze occulte e ai mostri. XV e XVI secolo: continuano ad avere successo molte delle opere sopra citate, ma anche nuovi autori che aderiscono alle antiche superstizioni: Schedel nel 1493 (Liber Chronicarum) segue Isidoro, Plinio, Solino, Agostino per catalogo di razze favolose, 21 incisioni. I cosmografi Thevet e Munster dimostrano quanto sia difficile sbarazzarsi della tradizione classica. Thevet (1502-90): Cosmographie Universelle sotto Caterina de’ Medici, modello Solino (criticato per incredulità). Munster (1489-1552): uno dei più letti del rinascimento. La sua Cosmografia contiene descrizione di tutti i popoli. Enciclopedia essenziale per i laici del XVII e XVIII secolo. Accoglie leggenda dei grifoni a guardia dell’oro e altre storie, esita sulle razze favolose. Le illustrazioni si diffondono moltissimo. Riprese da Herold, anche lui di Basilea. Nel 1557 scrive i Prodigium ad hostentorum chronicom, si occupa di tutti i fenomeni straordinari in ordine cronologico. Ricompare timore pagano del mostro come presagio maligno. Paradosso: il medioevo superstizioso grazie ad Agostino giustifica i mostri, l’umanesimo retrocede al contra naturam di Varrone (mostri come prodotti della collera divina). Warburg interpreta questo timore, tipico della cerchia di Massimiliano, come risulta dalle raccolte di pronostici inaugurati da Sebastian Brandt (v. Scrofa di Durer). Questione delle nascite mostruose (v. Lutero), superstizioni che permangono nella cultura protestante. Raccolta enciclopedica di Mirabilia di Wolf esprime questo orientamento superstizioso. XVI sec: numero crescente di trattati profetici basati sulle mostruosità. Aldo Manuzio si incarica di diffondere la miglior sapienza classica, pubblica il Liber prodigiorum poi ristampato da Licostene. Relazioni tra nascite mostruose ed eventi politici. 1512 mostro di Ravenna considerato presagio della devastazione di Luigi XII. 11 I mostri sono inviati da Dio per ammonire. Legame genetico tra singoli mostri e razze mostruose (conseguenza della caduta della torre di Babele); Licostene indica tutte le razze mostruose come generatosi in seguito alla dispersione del genere umano, poi tenta di disporli cronologicamente. g) L’alba delle scienze e le razze favolose Rueff, Gemma, Parè: le loro opere si configurano come storie\annali di TERATOLOGIA (= materiali da fonti classiche combinati e interpretati alla luce della ricerca anatomo-biologica). Cause patologiche affrontate assiduamente, ma nessuna conoscenza embriologica. Alcuni scienziati raggruppano mostruosità in base alle parti del corpo interessate. Capolavoro del genere è la Monstorum Historia di Aldrovandi, 1642, descritti uno per uno con xilografe (ripresi Schedel e Licostene), v. Storia del mostro di Villafranca con occhi e naso sulla schiena. Indagine sulle cause biologiche (niente è contro Natura, da Aristotele), ma non ci si libera dall’idea del presagio. Bauhin indica tutte le cause delle nascite mostruose, con influenza di astri e venti in aggiunta alla collera divina. Liceti recupera prospettive aristoteliche: nega qualità di pronostici, ma si serve comunque del vecchio bagaglio di illustrazioni. Altri tentativi di sistematizzazione: Wotton (classificazione di zoologia moderna su basi aristoteliche), Von Gesner (Historia Animalium - per la descrizione della Marticola si continua ad usare Ctesia). Il Dottor Tulp pubblica nei suoi Observationum Medicae libri tres alcune mostruosità da lui analizzate, immagini di rara precisione: conclusione che i satiri non esistono, o sono scimmie antropomorfe. Già Ctesia paragonava i satiri ad una razza indiana caudata, Plinio come scimmie, anche Solino li colloca in Etiopia come scimmie. Quella del satiro è complessa tradizione. Nel 1500 nuove classificazioni: per Bauhin ci sono i satiri reali e quelli immaginari, i reali sono uomini o scimmie, gli immaginari hanno origine poetica o demoniaca. Alla fine del 1600 cambia il metodo: atteggiamento nuovo nel trattato di Spencer, basta superstizione. h) I mostri nell’immaginario popolare Le idee di questi eruditi raggiungono il grande pubblico nonostante la scarsa diffusione delle opere in sé. Le mostruosità si usano per speculazione, propaganda, pronostici che sperano nell’attrazione per l’orrido in libelli che si stampano su larga scala. v. Caso dell’uomo gru di cui parlano Schedel, Licostene e Aldrovandi, ne parla anche un opuscolo che lo rende famoso come mostro singolo. i) Le meraviglie dell’oriente nelle relazioni di viaggio XV-XVI sec: massima curiosità per l’India. Le relazioni dei viaggiatori non favoriscono la scienza, ma sono mescolanza di tradizioni fantastiche e osservazione (notizie sul prete Gianni, sul Paradiso terrestre, sulle razze favolose, v. Fra Giordano, Cristoforo Colombo, Giovanni di Hese, Marco Polo parlano di cinocefali, unicorni, pigmei…) Mandeville: descrizione di viaggio in realtà non effettuato, lunga descrizione di meraviglie. Per gli enciclopedisti questi testimoni oculari sono fondamentali per integrare la traduzione classica. Con la reale conoscenza le meraviglie si spostano negli angoli di mondo non ancora esplorati. 12 5) UNA MERAVIGLIA DELL’ORIENTE IN UN’INCISIONE OLANDESE: IL ROC Le esplorazioni favoriscono anche perfezionamento della resa figurativa degli stili di vita di questi lontani paesi. L’origine di questo tipo di soggetti risale a Giovanni Bellini (rappresentazione fedele di personaggi orientali). XVI sec: illustrazioni di interesse etnografico del vecchio mondo, il nuovo mondo inizia ad essere rappresentato fedelmente solo nel XVII. Tra le opere del pittore olandese Stradano (1523-1605) troviamo delle incisioni dedicate agli scopritori dell’America: Colombo, Vespucci, Magellano, interessante per l’accumulo di particolari simbolici. L’immagine idealizzata dell’eroe sta su una nave circondata da animali e figure umane mitologici e non. v. Magellano: figura del Sole-Apollo vicina al vascello (= Magellano è il primo a circumnavigare la terra come l’astro). Eolo ha trono aereo da cui invia vento favorevole, sirena e pesce evocano mari lontani, selvaggi nudi sullo sfondo. Se si legge Pigafetta (compagno di Magellano) si capisce che c’è un significato ulteriore a proposito del raggiungimento del passaggio oriente\occidente a sud del continente americano: lo Stradano viene a conoscenza del testo di Pigafetta grazie all’opera del Ramusio (Delle navigationi et viaggi). Fuochi sulla sinistra = terra del fuoco, gigante sulla destra = indigeno della Patagonia (Pigafetta racconta di una razza gigantesca in Patagonia che si infila un dardo in gola per curarsi). Stradano vuole rappresentar il momento clou del viaggio, l’ingresso nel Pacifico. Corrispondenza macrocosmo\microcosmo nel parallelismo periplo celeste\terraqueo (sole che guida l’imbarcazione). A sinistra un uccello enorme trasporta in cielo un elefante = Roc. Da Garuda (Naga indica sia serpente che elefante), questa figura appare in due grandi epopee sanscrite. Il vocabolo ababo-persiano roc si genera dalla sezione terminale di simurgh (uccello fantastico di molte opere scientifiche arabe). Gli europei che viaggiano si aspettano quindi di incontrarlo. Stradano si basa su raffigurazioni persiane e sul resoconto di Pigafetta. Troviamo la stessa immagine nel 1631 (Historia Antipodum oder newe Welt di Gottfried) e nell’Ornithologia di Aldrovandi. La capacità del Roc di oscurare il sole rimanda al tema dell’ombra radicato nella simbologia cristiana. 6) OCCASIO, TEMPUS, VIRTUS Occasio pars temporis: Per i greci dell’età aurea tempo = serie di momenti propizi, assimilato alla figura del dio Kairos. 2 parole per indicarlo: Chronos (Saturno) e Kairos. La prima si riferisce al tempo cronologico-sequenziale, la seconda significa “un tempo nel mezzo”, segmento di tempo propizio all’interno del tempo vero e proprio. La prima distinzione tra chronos (tempus) e kairos (occasio) risale a Cicerone che dice l’occasione è una componente del tempo. Introduce una differenziazione tra 2 modi di intendere il tempo così da evidenziarne la correlazione positiva\negativa. Prima del XVI secolo non vi sono formule figurative adeguate a questa distinzione ciceroniana. Un’applicazione si trova nelle incisioni di un’opera gesuita del 1605: il teologo citala definizione ciceroniana di tempo e occasione, per lui tempus è eternità e occasio è l’opportunità di scegliere la vita cristiana. Nel primo capitolo si presentano i concetti di tempo e momento propizio, funzione e simbolismo. Angelo e demonio convocano gruppo di giovani invitandoli alla scelta: tempo e occasione accanto all’angelo, i malvagi seguono il demonio mentre i virtuosi afferrano per la chioma l’occasio e il tempo vola verso il cielo. I malvagi si rendono poi conto che il tempo è trascorso e che l’occasio ha la nuca calva ed è quindi inafferrabile. Sulla scorta di quest’opera la distinzione diviene nota ai fiamminghi. Rubens la enfatizza nella composizione per il ciclo di Enrico IV, 1629. Qui la prudenza\pace tiene l’occasione per i capelli presentandola al sovrano che la accoglie. Il padre tempo alle spalle dell’occasione mostra di voler guidare la propria creatura. La prudenza invita Enrico a cogliere l’opportunità 15 concessa dal tempo al fine di poter decidere la pace. Rubens organizza il gruppo con una variante della tradizionale associazione tempo\verità: riproduce in accezione positiva il rapporto tempo\occasione, la prospettiva opposta corrisponde all’interpretazione tradizionale del momento propizio. Questo schema è scelto da un altro artista per una piccola incisione, dove un uomo ha la bocca serrata da una fascia tenuta dal tempo che lo allontana dall’occasione che tiene in mano il nastro (richiamo alle parche). Ancahe il tempo è raffigurato in mono inconsueto: interagiscono due simboli del tempo stesso: Giano bifronte e l’antico dio Aion con le chiavi in mano avvolto da un serpente. La stessa idea dell’occasione perduta per volontà del tempo compare su un avorio di fine 1600 dove il tempo rapisce l’occasione che sfumata si uccide. Ai piedi del tempo una donna con un leone. Anche in questo gruppo è espresso un significato morale: l’occasione perduta si trascina dietro il Pentimento (attributo: leone). Un gruppo marmoreo identico è eseguito nel 1678 per Versailles: rappresenta il ratto di Cibele per mano di Saturno. Saturno è il suo sposo e il leone è attributo della dea. 20 anni dopo il significato di questo gruppo si è già oscurato, nel 1699 se ne espone una copia con il titolo la Verità svelata dal Tempo. La fase successiva rappresenta un nuovo errore di prospettiva. La stessa figura viene identificata come Cibele,Verità e Occasione. Il modello di questa composizione è sicuramente il ratto di Proserpina del Bernini, 1621. Poussin e Rubens si servono di questa formula per rappresentare Tempo che rapisce Verità. Abbastanza semplice individuare l’affinità Verità\Occasione. Entrambe hanno rapporti col tempo, è nel suo evolversi che si rivale la verità e che l’occasione diventa oggetto o meno di scelta. Ma i 2 concetti possono anche essere in opposizione: la verità è rimedio all’ambivalenza della sorte e intesa nel suo senso di autocoscienza diviene forma elevata di Virtù. Fortuna comes virtutis: Petrarca trasmette agli umanisti l’invito alla virtù come antidoto ai capricci del caso. Gli umanisti non vedono fortuna e caso in modo uniforme, non sempre le due allegorie sono antitetiche. Erasmo inserisce nella sua raccolta di proverbi Adagia una citazione da Cicerone: sotto la guida della virtù e in compagnia di Fortuna. Ritroviamo il motto su un medaglione del XV secolo con una differenza: la virtù è guidata dalla provvidenza divina e favorita dalla Fortuna. Questa tendenza religiosa = interpretazione ficiniana = l’uomo prudente ha potere contro la fortuna, ma solo grazie a Dio. Un medaglione di Giuliano II de’ Medici del 1513 rece indico il motto ciceroniano, e due figure: quella velata è Virtù, che porge la destra alla Fortuna-Occasio. Questo medaglione viene coniato per il ritorno dei Medici alla guida di Firenze (Giuliano è capo dello stato) = qui insieme fortuna e virtù individuale, necessarie entrambe per raggiungere certe posizioni. Giuseppe Porta si serve del motivo per uno dei dipinti del soffitto della Biblioteca del Sansovino a Venezia. Qui la fortuna è in primo piano su una sfera, bendata, più lontana la Fortezza, in mezzo Atena con la Prudenza ai piedi. La Fortezza viene ricompensata dalla Fortuna che le porge la corona. Escludendo la mediatrice Atena siamo davanti alla rappresentazione letterale della massima la fortuna aiuta i forti\gli audaci l’intersezione di Atena potrebbe essere stata suggestione bocchiana (in una delle sue incisioni fortuna afferrata dall’impegno). La fortuna di questa iconografia ricorda un’analogia con il tema della verità figlia del tempo: Atena (impegno) copre il ruolo del tempo salvando dalle acque la fortuna, nuda come la verità. 16 Virtus dormito fortunae: Il pensiero rinascimentale concepisce il rapporto virtù\fortuna come antitesi. Va citato un affresco monocromo della scuola del Mantegna del 1490: l’occasione supera un giovane che tenta di afferrarla, ma il suo impeto è frenato da una matrona su basamento rettangolare (opposto al vorticare del fato). In un’edizione dei Rimedi contro la Fortuna del Petrarca, 1523, un’incisione ribadisce che la sede della fortuna è rotonda, quella della virtù quadrata. L’affresco del Mantegna ornava un camino della dimora di un marchese e doveva ricordare l’opposizione stabilità d’animo\capricci del caso. Lo stesso concetto si trova in un’incisione di Marcantonio Raimondi con un simbolismo più complesso: un uomo nudo trattiene il caso per i capelli battendolo con una specie di sfera. La lotta uomo\fortuna è un antichissimo topos letterario. Lo troviamo già nel medioevo in numerosi paragoni, è diffuso da Boccaccio e Ariosto. Il termine di confronto più prossimo a Raimondi si trova in un passo del Principe Macchiavelliano (meglio essere impetuoso che respettivo, perché la fortuna è donna, e quindi bisogna batterla). Anche in questo caso la figura maschile è un impetuoso, e implica l’idea della virtù che si erge a puntirice della fortuna malvagia. Mentre l’affresco di Mantova enfatizza la tradizione di Occasio con l’aggiunta di Constantia, l’incisione di Raimondi si rifà all’amico tema della lotta virtù\vizio tipico delle psicomachie. Troviamo questo soggetto in molti medaglioni, Eroe che prende per i capelli il Vizio, Ercole che soggioga l’Avarizia… un confronto tra Ercole e l’uomo di Raimondi fa pensare che quest’ultimo volesse associare la figura dell’eroe al concetto di domatore della Fortuna. Possiamo parlare di virtù erculea. Il Vasari introduce nel conflitto virtù\fortuna l’Invidia. Nel soffitto della sua dimora la virtù usa la clava di Ercole mentre la fortuna ha la chioma dell’Occasione. Sotto di esse calpestata dalla Virtù vi è l’invidia. Il virtuoso capace di afferrare la fortuna risulta esposto all’invidia. Se l’osservatore assume una posizione diversa vede l’invidia sovrastare la virtù. Si riconosce la volubilità del caso ma si suggerisce l’idea di una vittoria finale della Virtù sull’Invidia. 7) LA OCASION E LA PAZIENTIA, STORIA DI UN EMBLEMA POLITICO a) Michelangelo e il vescovo Minerbetti Minerbetti, vescovo di Arezzo, impaziente di ottenere un disegno di Michelangelo scrive a Vasari per chiedergli di ottenere dall’artista almeno un’invenzione e di domandargli un parere sul miglior modo dia radure in termini figurativi l’allegria della Pazienza, soggetto del suo stemma. Il Vasari risponde che dopo aver discusso con l’artista questo abbandona l’idea. Probabilmente non si raggiunge un accordo. Michelangelo alla fine sembra scegliere tra uno dei disegni del Vasari, che soddisfa il Minerbetti. Intorno al 1554 viene riprodotto inuma dipinto oggi a Palazzo Pitti. Vasari sente l’esigenza di accludere al disegno una descrizione al fine di rendere comprensibile il significato: la figura femminile (Paxienza) deve essere mezza vestita e mezza nuda (equilibrio ricchezza\povertà), un piede deve essere incatenato per non tormentare altre parti nobili del corpo, le braccia conserte a mostrare che non intende liberarsi ma preferisce attendere che le gocce consumino la catena. Questo mosaico intellettuale tipico dei dibattiti accademici del XVI secolo risulta sicuramente estraneo al pensiero di Michelangelo. E’ chiaro quindi l’abisso tra le due generazioni. 17 Raramente troviamo un recupero di moduli stilistici egizi, la pressione dei modelli egiziani si fa sentire più che altro livello concettuale, più che visivo. Anche Alberti si interessa ai geroglifici affermando che il procedimento di scrittura viene usato e rielaborato anche da altri popoli. I nostri antenati latini preferiscono rappresentare le imprese dei loro uomini con storie scolpite. Diversi ritrovamenti confermano ciò: il frego di un tempio romano oggi al Capitolini è ritenuto depositario di un ben preciso messaggio geroglifico. Idem Filarete. Mantegna e altri ne studiano e sfruttano i motivi. Se ne serve specialmente Colonna per l’Hypnerotomachia, romanzo allegorico dedicato al recupero di documentazioni antiquarie. Colonna descrive i geroglifici sul basamento di un mausoleo concludendo con una loro interpretazione (il lavoro sacrifica al dio della natura, conduci la tua anima sotto la sua guida. Egli costruirà la tua vita.. il bucranio significa lavoro, l’occhio dio, l’avvoltoio la natura, l’altare il sacrificio); l’idea di una conoscenza intuitiva legata ai geroglifici non è in frutto di un sogno d’irrazionalità poiché i simboli espressi non risultano omologabili secondo la concezione dei pensatori rinascimentali, ai significati più reconditi della mitologia classica o ai temi della rivelazione ebraico cristiana. La funzione espletata dalle medaglie in periodo rinascimentale può essere così chiarita: sono veicolo di trasmissione per ideogrammi di origine esoterica. Alle medaglie si riconosce la funzione di celebrare virtù e imprese. Destinate ad una cerchia ristretta, devono essere indecifrabili ai più. Sorta di moneta elisaria. In un medaglione che si ritiene portatore di un ritratto di Alberti, databile 1438, compare sotto il mento un occhio alato. Identico emblema sul rovescio di un’altra medaglia dedicata al Alberti di 10 anni più tarda. In questa medaglia l’occhio è circondato dall’alloro. Una descrizione dell’occhio alato e un’interpretazione compaiono in un dialogo albertiano in cui la ghirlanda d’alloro diviene simbolo di gioia e di gloria e l’occhio dell’onniscienza divina e dell’attenta vigilanza dell’intelletto. Il rovescio di una medaglia del re di Sicilia e d’Aragona del 1449 di Pisanello presenta aquila appollaiata con ai piedi un daino, altri uccelli e la scritta Liberalitas Augusta. Si vuole simboleggiare la generosità regale. La fonte di questa scena non è Orapollo ma Plinio. Diversi autori medievali si impossessano della storia pliniana che può confluire in altri testi come il Fiore di Virtù, nota raccolta di leggende moralizzate a soggetto zoologico. Il testo forse tra le fonti di Pisanello. Anche un’altra medaglia del 1447, per Cumano, di Pisanello, con un ermellino si basa su Plinio. Sulla scorta del testo di Plinio l’ermellino è sempre più usato come simbolo di purezza. Così se ne parla anche in Amore di Virtù. Riaffiora poi in Leonardo nel ritratto di Cecilia Gallerani, 1483, amante di Ludovico il Moro (che ha come emblema l’ermellino). Ma c’è di più: la parola greca per ermellino richiama il cognome della donna. Salamandra: estesissima vitalità simbolica. Secondo Aristotele è in grado di estinguere il fuoco, favola diffusa dal Physiologus e da tutti i bestiari. Nel pensiero allegorico simbolizza la figura del giusto che non si fa consumare dalle fiamme della lussuria. Troviamo quest’immagine in moltissime medaglie (v. Medaglia di Francesco di Giorgio per Antonio Spannocchi - “il fuoco lei ristora e me tormenta”, riferimento alle pene d’amore). Una medaglia attribuita a Battista Elia da Genova con l’effige del doge Battista II presenta il trochilo (reattino), uccello egiziano che salta tra le fauci del coccodrillo, con la scritta “audacia e vitto singolari”. Erodoto, Plinio e altri avevano già parlato del comportamento del trochilo, la storia poi passa dal Physiologus. Lo scopo è sempre quello di comunicare un concetto universalmente noto per mezzo di un ideogramma. 20 Consulente del doge è Nanni da Viterbo, imitatore di testi egiziani caldei greci e latini editi nel 1498 col titolo Antiquitatum variarum volumina XVIII. E’ lui ad instaurare legame genealogico tra bue Api e famiglia Borgia, e anche a programmare la struttura per la decorazione del Pinturicchio dell’Appartamento Borgia in Vaticani, dove si traduce in immagini la leggera di Iside e Osiride, l’uccisione di Osiride, la reincarnazione come bue Api, Api che adora la croce, la Vergine e il vicario di Cristo. La fantasia di Nanni genera altri frutti del genere: sostiene la comparsa di Osiride in Italia in compagnia del figlio Ercole Egizio. L’imperatore di Germania Massimiliano riconosce in quest’invenzione la possibilità di attuare un collegamento con la propria genealogia e incarica umanisti di farlo discendere attraverso Osiride e Ercole egizio, a Noè. v. Arco trionfale di Massimiliano di Durer: più grande xilografia al mondo. Nel particolare dell’Incoronazione l’imperatore è circondato da animali simbolici contenuti tutti i Orapollo. (Lettura di Panofsky: vediamo il cane con la stola, il leone del coraggio, l’aquila = imperatore romano, la virtù guerresca = toro, serpente con lo scettro = padrone del globo…); così i geroglifici si diffondono in Germania. Mantegna adotta per il suo Trionfo di Cesare alcuni geroglifici di S. Lorenzo fuori le mura (sfera con cornucopia e timone = prosperità). Diretta discendenza da Orapollo. Esiste movimento culturale con lo scopo di assimilare concezioni mitologiche allegoriche e geroglifiche al pensiero cristiano. v. Grottesche ispirate alle decorazioni della domus aurea. v. Ciclo di Grottesche nel chiostro di S. Giustina a Padova, Bernardo Parentino, 1540, commissionate dall’abate Gasparo che sceglie personaggi e leggende della storia romana, pietre incise, miti poetici, fregi di tombe ecc. un testo del tardo 1500 dedicato a queste grottesche si intitola Elucidario o sia copiosa spiegazione delle figure storiche e geroglifici del chiostro dipinto. I geroglifici dell’Hypnerotomachia svolgono funzione primaria (v. Donna con ali nella mano e testuggine = la fretta si vince con la calma e l’inerzia con l’energia, 2 genietti nel cerchio = scelta propizia del giusto mezzo, Formiche che divorano elefanti ai lati di una verga con serpenti…). I geroglifici orapolliani trovano riscontro anche nella CAMERA DEL CORREGGIO IN S. PAOLO, ambiente affrescato nel 1514 per la badessa Giovanna da Piacenza. v. Serpente che si morde al coda e piedi posati sull’acqua, più scene bibliche e esempi mitologici. La stanza attigua decorata tra 1518 e 1519 studiata da Panofsky dimostra come Correggio attinge da monete antiche, si serve di immagini tradizionali per idee criptiche, misteri da iniziati. Linguaggio implicitamente geroglifico. Significativo che molte di queste imagini riaffiorino poi negli Hieroglyphica di Pierio Valeriano, 1556. Esiste dunque convergenza tra geroglifici e ampia corrente simbolista\allegorica rinascimentale. Il discepolo di Poliziano Pietro Crinito è autore di un’opera perduta sui geroglifici egiziani e nel suo trattato Commentari de honesta disciplina, 1504, scrive che i geroglifici non sono diversi dal simboli. Come Pico della Mirandola crede che l’antico testamento sia stato redatto in una lingua allegorica, ed è convinto anche che le epopee omeriche contenessero misteri geroglifici. Ficino si impegna a colmare la lacuna simboli egiziani\cristiani: per gli egiziani croce = vita dopo la morte, appare sul petto del dio Serapis. Fasanini, traduttore latino di Orapollo che porta l’interesse per i geroglifici all’università di Bologna, chiarisce che il suo intento è di fare capire al lettore la reale natura di animali, alberi… Alciati è allievo del Fasanini e forse grazie a lui matura l’idea di trasferire in poesia i motivi geroglifici. La sua raccolta di emblemi Emblemata libellus è pronta per la stampa nel 1521. Sulla scorta di Plutarco Alciati identifica il simbolismo classico coi geroglifici. Ma il luogo di confluenza definitivo di 21 concezioni e materiali geroglifici è riconosciuto negli Hyerogliphica di Pierio Valeriano, nipote dell’erudito Fra Urbano Valeriano Bolzanio, amico di Colonna, che lo avvia allo studio dei geroglifici. Nel 1509 è Roma dove viene eletto segretario di Giulio de’ Medici e precettore di Ippolito de’ Medici. La su raccolta è una compilazione che sfrutta Orapollo, il Physiologus, testi greci e latini, la cabala e la bibbia. Il linguaggio geroglifico è il mezzo adatto a svelare la vera natura delle cose, umane e divine. Pierio è punto di passaggio obbligato per la trasformazione della filosofia geroglifica in disciplina filologica. 9) METAMORFOSI DI MINERVA NEL CODICE FIGURATIVO RINASCIMENTALE Minerva pacifica: Nel 1454 Renato d’Angiò sposa Jeanne de Laval e canta di persona la sua favola d’amore in un idillio pastorale (Regnault et Jehanneton ou les amours du bergère et de la bergeronne); nell’explicit del manoscritto fa spicco il blasone reale con quello della consorte, con due emblemi personali. Nello scudo muliebre ramoscello d’uva spina con colombe, in quello di Renato ramo verde che nasce da un tronco secco. Gli emblemi compaiono anche in medaglie commissionate al Laurana; in quella del 1463 l’iscrizione pax augusti, al centro una divinità con ramo d’oliva mentre porge elmo con la sinistra, sul terreno una corazza. Sul diritto ritratti dei coniugi. Concezione agostiniana della pace eterna che si conserva per tutto il medioevo. La ricerca della pace è il fine della sua tensione. Dopo il matrimonio vuole ritirarsi in Provenza, ma è costretto ad andare in guerra in Aragona. Sul rovescio ci aspetteremmo la dea Pax, ma il Laurana non sceglie l’antico modello con ramo d’olivo, caduceo e cornucopia, ma si serve della Minerva pacifica (presenza dell’elmo è un motivo raro, l’originale è forse un’Atena del V secolo di Fidia). Il Laurana vuole combinare pax augusti con una Minerva pacifica, ma la corazza a terra non è consueta per la dea. In genere, quando armata ha l’egida (scudo o lastra pettorale con testa di Medusa). Elmo e corazza risultano insieme solo in un medaglione della collezione ducale di Firenze (sul diritto busto di Achille come Alessandro magno, sul rovescio Teti con l’armatura del figlio), tema dell’apoteosi di Alessandro si ricollega a raro gruppo di monete del III secolo. L’interpretazione allegorica dei classici non sollecita nel rinascimento un mero recupero di simboli, ma moltiplica l’impiego di questi grazie a competenza sempre più ampia nei riguardi dei modi di vita antichi. Rispetto al medioevo nuovi valori morali di cui diventa depositaria e atteggiamento più scientifico. Il motivo della corazza: simbolo di virtù perché protegge il petto. Simbolo di Minerva pacifica con geroglifico della virtù (la corazza) è immagine necessaria ad esprimere idea di pacificazione regale sotto gli auspici di un nuovo amore (l’albero) che trae la sua forza da una prospettiva di eternità (iscrizione sul diritto). Alma Minerva: il modello di Minerva pacifica del Laurana si diffonde nell’ambito degli scambi nord\sud. Disegno di Botticelli coincide con la medaglia, dettaglio della mano aperta che regge l’elmo. Stadio più evoluto rispetto allo stile monumentale di Laurana, maniere elegante e calligrafica. Il disegno è studio preparatorio per arazzo voluto dal conte Guy de Baudreuil nominato abate di S. Martin aux Bois nel 1491. Nell’arazzo tratti decisamente botticelliani, distico latino (ex capite etherei sata sum Iovis alma Minerva mortale cunctis partibus erudiens) con errori nella metrica, probabilmente scritto dallo stesso abate. In alcuni manoscritti del Pelegrinage de l’alme troviamo personificazione della Giustizia posta in mezzo due alberi (lussureggiante albero della Vita e appassito albero della Pazienza); lo schema generale ha relazioni con l’arazzo (anche lì i due alberi significano la stessa cosa). Forse gli elementi fiorentini vengono fusi da 22 forze sono raffigurate in accordo: per merito della Pace divina la chiesa elegge Doria a baluardo contro il nemico. 10) UN’ALLEGORIA TIZIANESCA: LA SPAGNA CHE SOCCORRE LA RELIGIONE Terminato il Convito degli dei del Bellini per il duca Alfonso I d’Este (1516) Tiziano non interrompe la collaborazione, ma porta a termine una serie di dipinti mitologici (Sacrificio a Venere, Baccanale, Bacco e Arianna), una tela religiosa (Il tributo) e i ritratti del duca e dell’amante Laura Dianti. Il Gronau studia il mecenatismo di Alfonso: non parla per dell’ultimo quadro, rimasto incompiuto per la morte del duca nel 1534. Questo dipinto, oggi noto come La Spagna che soccorre la Religione, è rielaborato da Tiziano 40 dopo la prima stesura per Filippo II. Il Vasari ci dà conferma, dopo averlo visto nel 1566 (ci parla di un quadro con una giovane ignuda che si inchina a Minerva con un’altra figura accanto, e un mare, con Nettuno sul carro. Per la morte di quel signore l’opera resta a Tiziano..) Ma è improbabile che dopo 40 anni non abbia cambiato il progetto originario. Gli studi di MacLaren ci aiutano a distinguere le parti spinte prima del 1534 da quelle terminate nel corso degli anni ’70. Tutti gli elementi religiosi non figuravano nella prima stesura (lo stendardo in cima alla lancia, la croce e il calice)! La figura di Minerva rivela che Tiziano voleva un’allegoria mitologica. Chi è la figura di fronte a Minerva? 
 La nudità fa pensare a Venere. Minerva è nelle vesti pacifiche di una vergine, con l’armatura ai piedi. Ci troviamo di fronte al consueto confronto Vizio-Virtù, Castitas-Voluptas, ma qui il tema non è espresso nei termini di una psicomachia, ma di una pacifica composizione del conflitto tra le due contendenti (Venere si inchina umilmente al passaggio di Minerva). Fin qui il quadro si inserirebbe in quel filone simbolico (v. Pallade e il Centauro di Botticelli) dell’allegoria della capitolazione del vizio di fronte alla superiorità della virtù. La donna che accompagna Minerva ha la spada alzata, ma non è un gesto minaccioso, bensì simbolo di Giustizia. Minerva è disarmata, è una Minerva pacifica. Troviamo spesso rappresentazioni dell’accordo Pax- Justitia dal salmo 85 “Justitia et pax osculatae sunt”. Nella prima stesura però: La testa del guerriero che occhieggiai da dietro le spalle della Giustizia doveva essere un ritratto di Alfonso I posto vicino a Pace e Giustizia. Così l’opera esalta il governo del duca così come Pallade e il Centauro esaltava Lorenzo de’ Medici. Tiziano rinnova del tutto il significato: lo stendardo in cima alla lancia di Minerva ne fa un’allegoria della Chiesa. L’equazione Minerva-Maria Vergine risulta diffusa a più livelli. La figura che l’accompagna può conservarsi come tale (porta la spada della Chiesa). I due simboli (spada e stendardo = chiesa militante e trionfante) non hanno funzioni equivalenti: la chiesa militante è in subordine rispetto alla figura della chiesa trionfante che impugna uno scudo con l’emblema della Spagna (trionfo della chiesa spagnola). La presenza di questo scudo e identità del nuovo committente ci portano ad individuare di conseguenza la trasformazione del ritratto di Alfonso in quello di Filippo II. Interessante anche la trasformazione di Venere: (vediamo dipinti di Tiziano raffiguranti la Maddalena, secondo la tradizione iconografica inginocchiata su una pietra con vicino la croce, attributo specifico. Elemento fondamentale il contrasto fra la sensualità del corpo e l’atteggiamento penitente). Il calice vicino alla croce non è attributo della Maddalena. L’associazione di croce e calice è però simbolo della Fides. Se dunque Minerva = chiesa trionfante, Maddalena = peccato redento. 25 Dietro alla Maddalena due alberi, probabilmente diversi nella prima stesura: il più grande coperto di foglie, l’altro è un tronco secco avvolto da 7 serpenti (= 7 demoni, 7 peccati mortali scacciati dall’anima della Maddalena secondo Luca 8.2). Tronco senza vita = albero della Sapienza, Pianta lussureggiante = albero della Grazia; Dettaglio: il tronco dell’albero spunta da un masso spezzato posto dietro alla solida roccia su cui poggia la croce (= roccia della Fede). Entrambi gli alberi sono vicini alla Maddalena (= nella donna il peccato si unisce alla redenzione, per questo la vediamo inginocchiata ai piedi dell’albero della Grazia). Non solo confronto bene\male, ma idea della pacifica sottomissione del penitente alla giustizia militante. Il calice è rovesciato e l’ostia è rotolata via (= la figura della Maddalena serve ad incarnare un peccato preciso: la proibizione eretica della messa). L’eresia si sottomette alla vigile chiesa spagnola recuperando la salvezza con la penitenza, la chiesa intende evitare l’eliminazione del peccatore: si reintegra la pace del mondo cattolico. La versione dipinta per Filippo II si inserisce dunque nel periodo controriformistico. E’ possibile collegare il soggetto a un atto di riconciliazione tra eretici protestanti e Filippo stesso. Nettuno, nella seconda versione è trasformato o sostituito con l’immagine di un saraceno inseguito da una flotta con le vele bianche = riferimento esplicito alla vittoria di Filippo contro gli infedeli a Lepanto. In questi anni Filippo ha anche ottenuto un’altra vittoria al Nord nella lotta contro l’eresia protestante. Nel 1570 il sovrano pone fine alla persecuzione del calvinismo olandese con un’indulgenza garantita dall’assoluzione che Pio V avrebbe accordato a coloro che avrebbero fatto ritorno alla vera fede. Nelle Fiandre migliaia di protestanti accettano il perdono. Per celebrare la Battaglia di Lepanto Tiziano dipinge per Filippo il quadro in cui il re attorniato dai simboli del successo militare raffigurato nell’atto di consacrare a Dio l’infante di Spagna. La Spagna che soccorre la Religione si trasforma in un documento complementare a questo dipinto nel momento stesso in cui ricorda (con accenno alla guerra contro i saraceni) il riavvicinamento di Filippo ai protestanti. Tiziano riesce a trasformare un dipinto mitologico in un’allegoria religiosa (invenzione cortese e umanistica di forte accento controriformistico). Adotta il principio della trasmigrazione dei modelli iconografici, antico quanto la stessa pittura europea. 11) IL LINGUAGGIO DEI GESTI IN EL GRECO Definito “grande filosofo” da Francisco Pacheco, che visita il suo studio nel 1611. El Greco compone un trattato d’arte, ha per amici i migliori intellettuali di Toledo, possiede una biblioteca da erudito. Ma la pittura sua pittura rivela davvero la presenza latente di una mentalità filosofica? Non è versato nell’INVENZIONE. Ripete le stesse composizioni (v. I suoi busti di santi), si serve di una formula sempre identica. Pigrizia intellettuale? O si interessa a fondo solo della tecnica pittorica? Povertà di immaginazione che gli studiosi tralasciano. Definito da Rutter “l’Henry Ford di Toledo”. Ci sono motivi filosofici per la sua prassi iterativa? Il gesto è per lui un simbolo dotato di significato invariabile. 26 Si possono distinguere 3-4 tipi di gestualità pittorica: 1) descrittivo 2) simbolico 3) retorico 4) automatico > nei quadri spesso si perde la distinzione tra retorico e automatico. Una gestualità descrittiva (atto di indicare, ad es.) illustra una trama narrativa ed è necessaria nel caso che il dipinto si riferisca ad un tema letterario. La gestualità retorica (e anche quella automatica) riflette e specifica condizioni emotive. Espansione nell’antropocentrico rinascimento. Fin da Alberti il codice gestuale si tramuta in vero e proprio canone (Ultima cena di Leonardo come effettiva attuazione); mentre l’arte pre-rinascimentale era interessata ad una gestualità simbolica ridotta a pochi esempi specifici (ad es. benedizione = gesto simbolico e non retorico perché è un codice di cui bisogna avere la chiave per giungere al livello interpretativo). Gestualità descrittiva e retorica possono rivestirsi di significato simbolico: ad es. il motivo delle braccia protese, tipico della Maddalena nelle Sepolture di Cristo, è accettato come formula convenzionale del dolore. Ma in un evento reale questi gesti quasi-simbolici sono “segni” veri e propri, l’osservatore li interpreta come reazioni fisiche a condizioni mentali. Mentre il gesto simbolico si fonda su una sostanza più emblematica che psicologica: ad es. la posizione delle dita nell’atto della benedizione proprio dell’arte bizantina rimanda alle prime e e ultime lettere di IESUS CHRISTOS. Un gesto può accogliere in sé la natura di SEGNO e di SIMBOLO, nel caso in cui un significato extra- contestuale vada ad aggiungersi al gesto descrittivo o retorico. Solo allora siamo sicuri di avere a che fare con un codice la cui decifrazione passa attraverso un registro diretto e uno psicofisico, indiretto e simbolico. Questo è un aspetto interessante in El Greco. Dai maestri italiani impara l’alfabeto retorico più corrente. Gli esempi di gestualità nella sua pittura devono interpretarsi come risposte emozionali. Solo nell’ultimo periodo cerca di chiarire l’intenzione ad attribuire valore simbolico al codice dei gesti retorici. El Greco si allontana progressivamente dall’iconografia tradizionale. L’opera che ci interessa è il Battesimo di Cristo del Prado (1590), e il gesto è quello dell’angelo posto tra Cristo e il Battista, evidente anomalia iconografica: si perde nella contemplazione ammirata dell’acqua santa e alza un braccio (con la palma in mano) piegata ad angolo acuto, verso l’alto. 15 anni più tardi in un’altra versione del Battesimo (1616) sposta l’angelo a sinistra, conservando la stessa posa e aumentandone le dimensioni. L’angelo non guarda più al mistero del battesimo ma leva gli occhi al Padreterno che siede di lato. Dio non indirizza a Cristo le parole “tu sei il mio figlio prediletto; in te mi compiaccio”, com’è consuetudine e come avviene nel primo dipinto. Strano il fatto che il gesto benedicente di Dio sia identico a quello in uso presso la chiesa greca: pollice si incrocia col dito medio (allusione al nome di Cristo). Questo è l’unico momento in cui El Greco utilizza la tipologia bizantina di benedizione (= esaltazione della gestualità simbolica). La mano sinistra dell’angelo evoca l’evento del battesimo; la mano e il braccio destro, interpretati retoricamente, rendono l’idea di un gesto interiettivo, emozionale. Il significato della combinazione dei due gesti = l’angelo annuncia al padre l’adempimento della sua volontà. Il gesto indicativo della mano è quello che serve ad esprimere supplica e raccomandazione. El Greco sfrutta questo gesto per il S. Giovanni nel Seppellimento del conte d’Orgaz, 1586 > qui la Vergine intercede per l’anima del defunto insieme a S. Giovanni il Precursore. Raro esempio di duplice intercessione, prodromi in opere come la pala d’altare fiorentina del 1402 (?) ora ai Cloisters di NY, dove Cristo presenta un analogo comportamento gestuale nei confronti di Dio. El Greco inserisce il gesto dell’intercessione nel contesto del Battesimo. 27 Il putto col teschio è un memento mori ricorrente, manifestatosi la prima volta nella medaglia di Giovanni Boldù del 1458. Da questo momento l’accostamento infanzia\morte diventa efficace e immediatamente riconoscibile. L’infanzia determina una serie di considerazioni sul modo in cui dovrebbe essere affrontata la morte. Altri simboli, come la clessidra, vengono associati a questa figurazione, e questa forma di giovinezza- tempo-morte, associata a motti tradizionali quali “l’Hora passa”, “Heite mit morgen Dir”, è accolta a nord e sud delle Alpi. Soprattutto al nord il putto col teschio viene rappresentato per la prima volta morto, in sostituzione a quello della tradizione italiana rappresentato usualmente in pensosa meditazione. Questo nuovo modello nasce forse dalle versioni eseguite da Barthel Beham, e vi è un rapporto tra la posa del putto morto col teschio sottobraccio e un medaglione tedesco del XVI secolo debitore dell’incisione Madre con figlio morto del Beham. In molte figurazioni rinascimentali il bimbo in grembo alla Vergine appare in preda ad un sonno quasi di morte, preludendo alla Pietà. In altre Gesù bambino è addormentato sulla croce, con teschio, clessidra e strumenti della Passione. Se il fanciullo con il teschio è un memento mori, il putto che gioca con le bolle di sapone rappresenta il carattere transitorio e la vanità della vita. L’antica massima “Homo bulla” (da Varrone e Luciano) è recuperata e inserita nel simbolismo rinascimentale grazie agli Adagia erasmiani. Intorno al 1620 la iscrizione homo bulla appare in alcune copie fiamminghe del S. Girolamo in meditazione del Durer (1521). Ma vi è differenza tra l’esprimere con un motto idee inquietanti di un modello per il dipinto e trovarne l’esatto equivalente pittorico! Il putto che gonfia la bolla è una resa figurativa della massima, secondo una concezione tipicamente cinquecentesca (mania per gli emblemi). W. Stechow riconosce in Cornelis Ketel l’inventore di questo nuovo dato iconografico. Verso la fine del XVI secolo l’idea si trasforma in un luogo comune notissimo. Nel nostro quadro il putto con la bolla è circondato da vasi (fiori appassiti). In un’incisione del 1594 Goltzius inserisce il prototipo del putto col teschio. I concetti affini relativi al memento mori compendiati dalla didascalia dell’incisione (“Quis evadet?”) trovano nel nostro dipinto due portavoce distinti. Il teschio è poggiato su spighe di grano che spuntano dalla sua base. La chiave è in Giovanni 12.24: “In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano caduto nella terra non è morto, esso rimane solo; se invece è morto, porta molto frutto”. E Paolo, prima lettera ai Corinzi: “Ma qualcuno domanderà: come resuscitano i morti? Con qual corpo ritorneranno? Stolto! Quello che semini non viene vivificato, se prima non muore! (15.35-36) e poi “Così sarà pure della resurrezione dei morti: si semina nella corruzione, risorgerà nella incorruzione - seminatur corpus in corruptione, ut surget in incorruptione” (15.42). L’esegesi dei primi padri della chiesa risulta estesa a questo tema. S. Giovanni Crisostomo compone un’omelia sulla prima lettera ai Corinzi, e S. Ambrogio nei suoi Commentari all’epistola paolina si chiedere quale motivo si dovrebbe dubitare della capacità divina di far resuscitaretare i morti se il grano cresce per suo volere. Il tertium comparationis tra uomo e grano = entrambi devono esser seppelliti per poter rinascere. Nell’ Apologeticum di Tertulliano ritorna la questione, più sfumata > Lux cotidie intercetta resplendet et tenebre pari vice decedendo succedunt, sidecar defuncta vivescunt, tempora ubi finiuntur incipiunt, fructus consummantur et redeunt, certe semina non misi corrupta et dissoluta fecundius surgunt, omnia de interitu reformantur. Nel XI sec il grano si trasforma in simbolo di resurrezione. 30 Rabano Mauro, in riferimento a Giovanni 12.24: “Spiritaliter autem frumentum aut ipsum Redemptorem nostrum significat”. Similitudine biblica uomo-grano non trova riscontro in campo artistico prima della Controriforma. Prima ricorrenza si manifesta nelle Devises heroiques di Claude Paradin (Lione 1557) > immagine delle spighe che nascono dalle ossa con motto “Spes altera vitae”. Il commento spiega: I semi del grano e di altri frumenti macerati nella terra rinverdiscono, conoscono nuova vita; così il corpo umano rinascerà glorioso per la resurrezione di tutti i morti. Emblema e iscrizione sono adottati nel 1590 da Joachim Camerarius per la sua Symbolorum et Emblematum ex re herbaria desumtorum centuria. Il suo commento è ancor più esplicito: sicuro muore chi sa di rinascere nella morte. Non è morte, ma nuova vita > rimando alla Bibbia e alle interpretazioni di Ambrogio e Crisostomo. Camerarius è amico del Melantone. Il nostro pittore, che vuole associare il putto col teschio all’equazione uomo-grano, si trova ad affrontare un problema: se riesce a conservare intatto il motivo del putto col teschio, non può agire diversamente nel colloca il teschio sulle spighe di grano, capovolgendo l’ordine logico della composizione. Sceglie però una struttura credibile. L’immagine simbolica delle spighe in primo piano si completa e trova una spiegazione precisa grazie alle scene sullo sfondo > dietro al putto morto un agricoltore taglia il grano maturo (Tertulliano: certe semina non misi corrupta et dissoluta fecundis surgunt), dietro al campo, sopra al simbolo teschio-grano, abbiamo la Resurrezione di Cristo. Il teschio non è solo un memento mori, ma incarna la speranza nella resurrezione. Il riferimento a Gesù è presente anche nell’altra metà del dipinto: melograno dai frutti maturi è simbolo vulgato di Cristo (Cantico di Salomone: così come il pomarancio tra le piante del bosco, così il mio diletto tra i giovani). Il putto che gonfia la bolla è allegro; l’idea dell’homo bulla non può evocare pensieri melanconici perché la bolla (= la vita) si espande all’ombra del melograno (= benevolenza di Cristo) in attesa di risorgere. Esiste anche un’incisione esemplata sul dipinto recante un componimento in distici (Gillis Sadeler, British Museum) che ci aiuta anche a datare e attribuire il dipinto (Martin de Vos, 1600 ca.) I distici in latino rimandano a reminiscenze relative a testi classici e biblici, raccoglie elementi legati all’immagine sotto il comun denominatore della speranza nella resurrezione. Il componimento convalida l’analisi sul quadro: il memento mori rinascimentale è sostituito dalla serena attesa della vita eterna (tipica rielaborazione controriformistica). I primi versi rivelano il motivo della fragilità della vita per mezzo di metafore (la bolla, il vento, l’ombra e la vegetazione). Il confronto con l’ombra è una ripresa del Libro di Giobbe (et fugit velut umbra), le immagini del vento e della vegetazione sono una parafrasi di Isaia (secca l’erba, il fiore appassisce quando il soffio del Signorespira su di essi. Il Popolo è come l’erba). I versi successivi sono relativi alla complementarietà vita\morte, riprendono Manilio (Nascentes morimur, finisque ab oginine pendet). Riferimento alla necessità della speranza. Poi si parla di resurrezione, e infine è elaborata la metafora del grano contenuto nella prima epistola ai Corinzi. La similitudine di S. Paolo ha un’origine che ci permette di valutare l’intenzione dell’artista. Cicerone, nelle Tuscolanae Disputationes cita un passo dell’Hipsipyle, tragedia euripidea perduta: Reddenda terra est terra; tum vita omnibus metenda, ut fruges. Sic iubet Necessitas > primitivi riti agresti associano il grano alle idee di morte e resurrezione, la filosofia stoica si appropria poi delle stesse concezioni, e in Marco Aurelio 31 troviamo “mieter la vita qual matura messe e l’uno vivere, morire l’altro”. Fortissima influenza delle dottrine storiche su S. Paolo. Il quadro è concepito in un periodo in cui lo sfruttamento delle concezioni stoiche da parte di Paolo gode di una certa fama. Chi compone i versi latini del distico è forse Franz van Est, che scrive molti testi per le incisioni di Goltzius. Il suo stile segue procedimenti affini (confronto con la leggenda in calce all’incisione vista prima Quis Evadet) > stessi concetti, stesse immagini. Franz van Est è fratello di un famoso teologo, facente parte di una scuola stoica dei Paesi Bassi, che riprende tra gli altri Seneca. Nelle Epistulae di Seneca troviamo gli stessi temi: quotidiana disponibilità ala morte, meditare mortem, infinita velocitas temporis. Idea che la morte sia eterno complemento della vita. Hunc ipsum, quem agimos, diem cum morte dividimus. Con serenità si congedi chi sa di ritornare (Epistola XXXVI). Ecco perché spesso si guarda a Seneca come spirito cristiano. Lipsio, nella sua Vita di Seneca, ricorda l’intimità tra il suo pensiero e quello di S. Paolo. Il simbolismo della resurrezione riscontrato nel quadro rispecchia questo nuovo interesse per S. Paolo in quanto stoico. Lo spirito della Controriforma si trova d’accordo con Lipsio. 13) GRAMMATICA: DA MARZIANO CAPELLA A HOGARTH Il catalogo dell’esposizione di pittura negli Spring Gardens del 1761 va subito esaurito per via dell’attrazione esercitata dalle illustrazioni del frontespizio disegnate da Hogarth > speranza nel mecenatismo di Giorgio III, salito al trono l’anno prima. L’incisione mostra una fontana nella roccia, ornata da una tenda araldica di leone e da un busto del re; il getto d’acqua è raccolto nell’annaffiatoio di cui si serve Britannia per irrorare tre alberi in fiore che le iscrizioni definiscono Pittura, Scultura e Architettura. Nel colophon invece tre fusti secchi inutilmente annaffiati da una scimmia intenta ad osservare la sua operazione con una lente d’ingrandimento. Le etichette obit 1502, obit 1600, obit 1604 illustrano la vanità del gesto > satira rivolta agli esperti patiti dell’esotismo legato alle vecchie immagini che diventano di culto solo per la loro antichità. Nella ristampa un brano di Marziale (che cosa è quell’esistenza che la fama nega ai vivi?) Hogarth si ispira proprio all’arte antica. Tradizione figurativa che risale a M. Raimondi > vediamo un’incisione con una fanciulla nuda di stampo giorgionesco, colta nell’atto di innaffiare un fiore. Motivo enigmatico. Ci viene incontro la tradizione letteraria: siamo davanti all’immagine simbolica della Grammatica. Se la pianta cresce grazie all’acqua, allo stesso modo il giovane ingegno trova nutrimento nello studio. In età tardo-antica la grammatica è il fondamento delle arti liberali, secondo una prospettiva dottrinale che va da Marziano Capella e Cassiodoro, Isidoro e Rabano Mauro fino ai tardo-medievali. v. Brano dal Metalogicon di Giovanni di Salisbury, 1159, dedicato ai problemi dell’educazione. Plutarco confronta l’educazione del giovane con la crescita della pianta. Teodolfo d’Orleans, morto nell’821, descrive la Grammatica seduca ai piedi di un albero con Retorica e Dialettica, mentre il Quadrivio sta sui rami della pianta. E’ proprio la Grammatica a presiedere alla crescita della pianta. Melantone ci ricorda l’importanza della Grammatica all’interno del pensiero rinascimentale. Liberata dalla Scolastica essa a una funzione determinante nel contesto di un sistema educativo basato su basi realistiche. Riacquista la veste metaforica di radice senza la quale l’albero non cresce. Celio Calcagnini, contemporaneo di Raimondi, parla proprio di questa similitudine. 32 Abbiamo prove sufficienti per concludere che l’affresco celebra la vittoria degli eserciti papali a Novara (1513) sui francesi: non solo celebrazione dell’evento contemporaneo nei termini di quello antico, ma avvenimento sotto le spoglie di un altro. Li evoca entrambi, fa del dipinto un simbolo di un mistero (= potere miracoloso della chiesa sempre uguale nei secoli). Ancor più difficile determinare il significato sovrapposto quando l’artista allude a questioni personali (qui l’interpretazione dipende dalla conservazione di tracce biografiche). Il caso classico: I disegni di Michelangelo per Tommaso Cavalieri. Potremo considerarli semplici rappresentazioni di soggetti mitologici, ma è quasi sicuro che egli li intendo come allegorie dell’amore platonico (Ganimede simbolo dell’amore ispirato dalla divinità, Tizio simbolo dell’amore sensuale). Adombrano anche le profonde emozioni che caratterizzano il rapporto dell’artista con l’amico Cavalieri. L’interpretazione allegorica di Ganimede e Tizio in termini platonici è diffusa, ma gli accenti personali di questi simboli non sono concepibili prima dell’emancipazione rinascimentale di Michelangelo (grande individualista che esprime per la prima volta così delle immagini simboliche private). Proietta quei contenuti all’interno di modelli tematici convenzionali intelligibili a livello letterario e accessibili sul piano allegorico agli iniziati di quell’epoca. COME gli artisti esprimono l’oggetto della rappresentazione > primo problema della storia dell’arte. In questo caso: si può interpretare razionalmente e obiettivamente questo COME (la visione personale dell’artista)? Dal COME dipende il modo in cui rispondiamo al CHE COSA. Possiamo descrivere il COME, ma è più difficile interpretarlo. La osservazioni stilistiche ci portano a creare macro-categorie di artisti e movimenti e a riconoscere idiomi espressivi. Ma dobbiamo tener presente che ogni descrizione implica giudizi di valore, e non sarebbe difficile citare descrizioni contraddittorie, ma comunque corrette della presunta struttura di un’unica opera. L’analisi descrittiva, per quanto precisa, non riesce a spiegare perché proprio QUESTA e SOLO QUESTA combinazione, modificazione, reinterpretazione di simboli convenzionali trova accesso attraverso il filtro della personalità dell’artista. Se ciò fosse possibile, si potrebbero sostituire all’arte visiva una serie di espressioni discorsive. Gli sforzi volti a realizzare interpretazioni valide di simboli espressivi non hanno fine. I Gestaltisti e gli psicanalisti sanno diagnosticare sintomi, ma non possono dirci perché sintomi similari sono reperibili in opere altissime come in abominevoli volgarizzazioni. La psicologia moderna comunque ci dice che ogni opera è simbolo di pulsioni subconsce o inconsce, la loro manifestazione è quella che chiamiamo STILE. A livello di significato di rappresentazione molti sono in grado di interpretare oggettivamente. In meno riescono ad interpretare il tema. La cerchia si restringe ulteriormente quando giungiamo alla pluralità di significati. Quando ci spostiamo dal significato rappresentativo a quello tematico, fino al plurimo e all’espressivo, diventa difficile controllare l’oggettività delle acquisizioni critiche. La differenziazione tra i livelli di significato è di limitato valore euristico. Nella situazione attuale il CHE COSA è percepibile attraverso il COME e l’impenetrabile COME diventa fattore dominante. L’arte non può fare a meno della forma, ma può fare a meno di un tema oggettivo! Né un tema oggettivo è necessario per esprimere un significato plurimo. Questo è aperto ad interpretazioni errate quanto un intenzionale simbolismo soggettivo si intreccia ad un simbolismo intrinsecamente subconscio > chi può indicare il limite 35 in cui cessa il simbolismo intenzionale inizia quello subconscio? Questo problema diventa centrale con l’arte astratta. Un’interpretazione razionale stimola spesso una risposta emotiva e viceversa. La partecipazione emotiva è una forma intuitiva di interpretazione. Questa è sovente meno privata di quanto appaia alla coscienza del ricevente. Riti e consuetudini determinano partecipazione emozionale in tutti i nuclei socialmente compatti. Tabù morali, gusto e moda guidano la risposta emozionale. Dal XVIII secolo influenza del critico e dello storico. Oggi chi parla di arte agisce da mediatore tra chi produce e chi consuma, canalizza le emozioni della tribù moderna e crea simboli. In Inghilterra un’intera generazione ha visto il post-Impressionismo con gli occhi di Fry. Le reazioni emotive dello scrittore d’arte professionista dipendono da convinzioni teoriche che hanno una loro storia (pensiamo a Diderot, Ruskin, Bell); si sono compiuti diversi tentativi per fissare l’autonomia delle arti e il carattere dell’esperienza estetica da quando l’estetica si configura come vera disciplina > si arriva a considerare come unico modo di approccio legittimo all’arte Passat e contemporanea la valutazione emozionale di ciò che si può definire superficie estetica dell’opera. Da qui Bergson predica la simpatia che si autocancella, e Croce l’intuizione pura come mezzo di assimilazione dell’opera. L’arte espressionista è pendant della loro filosofia. Potrebbe succedere che “l’intensità disinteressata di contemplazione” (Fry) riesca a rendere meno superficiale la comprensione intuitiva, ma di regola l’abbandono emozionale ci dice solo che cosa l’opera significhi per colui che si abbandona. Quindi Croce non applica l’intuizione pura all’arte medievale o barocca (c’è qualcosa che non va in quei periodi, la sua formazione classica non gli permette di considerare di poter essere in difetto). Tuttavia la partecipazione emotiva fa delle arti un patrimonio vivo ed efficace. Ed è quindi compito del critico indagare sui motivi di tale simpatia emozionale prendere chiaro il processo di generazione, degenerazione, rigenerazione dei simboli visivi. Ogni generazione interpreta il significato dei propri valori attraverso i simboli antichi a cui è legata da vincoli di affinità. Ma viene creando una nuova serie di simboli in base all’impiego, alla correzione o ala trasformazione del bagaglio di simboli tramandato da età passate. I simboli tradizionali sopravvivono al contempo svuotati del loro contenuto originario. Alcuni artisti moderni inventano simboli nuovi e ne riciclano di antichi, altri si limitano ad indebolire la pregnanza delle forme simboliche del passato. > Nel sistema architettonico greco-romano, il portico sormontato da frontone è caratteristica del tempio. Serve a far riconoscere nell’edificio un luogo sacro. Il Palladio, nel XVI sec., inserisce nel motivo un contenuto nuovo, trasferendo il portico all’architettura privata e allegandovi un riferimento simbolico alla posizione eminente del proprietario. Nell’era del liberalismo si guarda all’arte a alla cultura come a riserve sacre di cui è tempo di aprire i confini ad un vasto pubblico, e i nuovi templi sono innalzati all’arte e alla scienza. Il simbolo trova spazio nelle stazioni ferroviarie, nelle banche, nei mercati. Risulta efficace quanto più forte è la memoria della sua ordine sacra. In antitesi a questa forma simbolica, che va recuperando vitalità sempre crescente, pensiamo ad un caso di simbolo privato della sua forza originaria. > tra i reparti del tesoro di Mildenhall, al British Museum, sono alcune coppe con fregi a sequenza di teste umane a animali alternate. Qual è il loro significato? Possiamo analizzare manufatti analoghi più antichi, come un piatto del II sec. D.C: le teste rappresentano delle maschere bacchiche, e dietro ogni maschera la pigna del tirso che accompagna Dioniso durante le orge. 36 Con la combinazione maschera\tirso l’artista rappresenta i simboli del cerimoniale bacchico, e forse piatti del genere vengono impiegati in antico nelle celebrazioni primaverili in onore di Dioniso. L’artista della coppa del tesoro di Mildenhall non è più al corrente di questi simboli > le maschere diventano teste, il tirso freccia. Il simbolo è ricondotto a elemento decorativo totalmente svuotato di contenuto. La coppa viene fusa intorno al 350 d.C: l’universo classico si sta disintegrando. Se certe opere del passato subiscono processo di risignificazione, dobbiamo parlare di fraintendimento. Il rinascimento è responsabile di una serie di interpretazioni falsate relative al significato dei monumenti antichi. Elementi dell’arte musulmana, cinese, africana, egiziana e giapponese toccano le terre occidentali a più riprese, vengono estratti dal proprio contesto naturale e interpretati erroneamente dando vita a nuovi simboli. Determinate immagini si imprimono nella mente perché vi troviamo idee che ci sono vicine. > Goethe, per la prima edizione del Faust, adotta l’incisione dal Dottor Faust di Rembrandt. A partire da questo momento l’immagine del dottor Faust rimane legata all’acquaforte in questione. Ma Rembrandt non intendeva assolutamente ritrarre Faust. Il simbolo visivo è saldamente legato alla parola, il fascino secolare dei capolavori è speso inscindibile dal titolo inesatto con cui sono tramandati. Esempio per antonomasia: come simbolo della stagione primaverile, la Primavera di Botticelli non ha eguali; basterebbe però darle un titolo più coerente (tipo “Humanitas felice sotto l’egida del platonismo”, Gombrich) per infrangere l’incantesimo, ponendo l’osservatore di fronte ad un oscuro enigma. Si può talvolta assistere alla riscoperta o alla memorizzazione involontaria del significato originario dei simboli visivi. Il fenomeno sembra essere privilegio di artisti e poeti, ma chiunque può riscoprire la forza di certi simboli rimasti a lungo inerti nel subcosciente. La nostra esperienza è piena di riti degradati a livello di convenzioni. Quando paghiamo con una moneta, non ci rendiamo conto che ci priviamo di un amuleto dotato di una funzione apotropaica, ecc. Al di sotto del registro comunicativo o della considerazione del valore estetico dell’oggetto vive l’antica idea della sovranità divina con le sue connotazioni magiche. La funzione del segno\simbolo muta in rapporto ai modi della nostra fruizione. Qual è lo scopo dei simboli visivi? Dovremmo liberarci della distinzione semantica per cui l’arte, essendo rappresentativa e non discorsiva, non comunica ma rivela. E’ questa la conclusione a cui perviene Susanne Langer nel suo Sentimento e forma, 1953. Ma la sua affermazione è inesatta al pari di quella di alcuni filosofi per cui il fine delle arti è la comunicazione. L’impasse della problematica filosofica va riconosciuta nell’intento di rispondere ad una domanda posta nel modo sbagliato. Invece di perderci dietro alla funzione di tutte le arti, dovremmo chiederci qual è lo scopo di questa particolare opera. Solo allora si scopre che molti simboli visti non sono creati a fine comunicativo. Si pensi agli utensili creati appositamente per le camere sepolcrali, alle invisibile sculture chiuse nei templi indiani e nelle cattedrali gotiche. Altre opere sono create con l’intendo evidente di comunicare idee. Se la funzione risulta magica o eminentemente estetica (rientra cioè nei casi limite della scala dei valori) ci sentiamo sicuri. Ma esiste un’ampia zona intermedia. Forse la Gorgone dipinta su un 37
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