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Wonderland la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Riassunto del libro Wonderland di Alberto Mario Banti, si tratta di un lavoro basato su altri appunti e sul libro originale (io ho l'audiolibro).

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 12/02/2023

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Scarica Wonderland la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! WONDERLAND – La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd INTRODUZIONE Il mondo di Wonderland (terra di racconti meravigliosi, romanzi, cinema, radio, televisione, hit del momento, che offrivano consolazione, divertimento, brivido, serenità) nasce nell’Europa dell’Ottocento e si sviluppa negli Stati Uniti del XX secolo. Siamo in un’epoca dove l’industria culturale e la cultura di massa si sono trasformate in uno dei più efficaci strumenti del “soft power” americano, termine che indica la forza egemonica che la “popular culture” statunitense è riuscita a esercitare sull’Europa e sul mondo. Wonderland c’è ancora oggi. Ovviamente tutto è cambiato dagli anni Trenta ma nonostante tutte le trasformazioni, molte figure, storie e media hanno mantenuto la loro impostazione “antica”. Pensiamo solo al fatto che nel 2016 i primi cinque film per incassi negli USA sono stati distribuiti tutti dalla Disney (Captain America, Star Wars: Rogue One, Alla ricerca di Dory, Zootropolis, Il libro della giungla). Questo per dire che la cultura di massa contiene dei meccanismi catturanti, che hanno un impatto che ha funzionato prima e che funziona tutt’oggi. Wonderland però è tutt’altro che omogeneo. Si può parlare infatti sia di un sistema narrativo dominante, cioè di cultura di massa mainstream, ma anche di controtendenze, rappresentate dalla parte di pubblico che manifesta inquietudini; che soffre per questioni razziali, per inferiorità sociale; dai giovani adolescenti; da chi lotta e si ribella. Tutti loro prediligono forme di espressione, storie, musiche in controtendenza con la cultura di massa mainstream, disegnando una vera “altra” Wonderland. Il volume è diviso in due parti: • la prima, titolata Over the Rainbow, ripercorre la formazione delle narrazioni “mainstream” nel primo Dopoguerra (in particolar modo la letteratura, la radio e il cinema), spostandosi poi verso le contro narrazioni musicali (blues, hillbilly e folk), declinate in termini generazionali nel secondo Dopoguerra; • la seconda sezione parte dalla reazione inferta dal rock and roll alla pop music per spostarsi negli anni Sessanta e Settanta, cercando di cogliere i nessi fra generi musicali, generazioni e minoranze etniche. La parte finale si conclude con gli anni Ottanta, che segnano l’allineamento dei pianeti, cioè il mutamento delle strategie commerciali da parte delle grandi case produttrici cinematografiche e la ridefinizione degli spazi discorsivi all’interno della cultura di massa. I. Industria culturale e cultura di massa I.I L’industria culturale Il 27 maggio del 1933 negli USA, in uno dei periodi più drammatici del paese, esce “I tre porcellini” della Walt Disney. Fifer Pig costruisce una casa di paglia. Fiddler Pig di legno. Pratical Pig di mattoni. Quando arriva il lupo, questo sradica le case più deboli e i porcellini si riparano dal fratello più grande. Non riuscendo a buttare giù la terza casa, il lupo cerca di entrare dal camino; ma Pratical Pig mette a bollire un pentolone con della trementina. Il lupo si brucia e schizza via dolorante ed ustionato. I tre fratelli possono festeggiare suonando. Il più grande suona il pianoforte, anch’esso fatto di cemento e mattoni. Storia per bambini? No. Le apparenze ingannano: tecnicamente questo è un pezzo di eccezionale bravura, raffinatezza compositiva e densità narrativa, ed è la prima forma di quella che, proprio a partire dagli anni Trenta, sarà descritta come cultura di massa. La cultura di massa è un sistema di produzione e circolazione di informazioni e narrazioni trasmesse attraverso dei media (giornali, libri, immagini, film…) con lo scopo di informare e intrattenere persone mediamente colte e con disponibilità di reddito mediamente contenute. Queste produzioni si basano sul principio della semplificazione narrativa e vengono offerte a prezzi contenuti: per questo sono in grado di raggiungere un pubblico vastissimo. 1 La produzione di queste risorse ha l’obiettivo dichiarato di guadagnare QUINDI possiamo definire il sistema produttivo una vera e propria industria culturale. In tutti i settori, inoltre, la produzione è nelle mani di un numero ristretto di imprenditori o aziende: • Nel cinema, il sistema produttivo statunitense degli anni 20 e 30 è dominato da otto grandi società. Le prime cinque (Paramount Pictures, 20th Century Fox, Warner Bros, MGM, RKO) possiedono intere catene di sale cinematografiche in cui possono proiettare i propri film. Le tre minori, che si occupano solamente della produzione e della distribuzione, invece sono la Universal, la Columbia, e la United Artists. • La radiofonia nasce all’inizio del 900 ed è inizialmente usata a scopi militari nella Grande Guerra. Poi dai primi anni Venti, negli USA e in Europa hanno inizio le trasmissioni per il pubblico. In America, negli anni Trenta, l’emittenza è già strutturalmente definita: esistono moltissime stazioni radio locali e tre grandi network nazionali (NBC, CBS, MBS). Questi ultimi sono network privati che acquistano le emittenti locali o stringono accordi commerciali con esse. Tutte le trasmissioni, regionali o nazionali, sono finanziate dalla pubblicità. • Il mercato discografico cambia molto tra gli anni Venti e Trenta, e acquista una sua struttura per effetto della crisi del ‘29, quando molte piccole etichette vengono acquistate da aziende più grandi. Nel 1938 quasi tutto il mercato discografico americano è in mano a sole tre etichette: RCA Victor, Decca e Columbia\ARC. • Il fumetto - negli anni a ridosso della Grande Guerra, si crea negli Stati Uniti il sistema dei Syndacates, un numero limitato di aziende che hanno contratti esclusivi con disegnatori e aggiungono le loro strisce ai diversi quotidiani con cui sono accordati. Nel 1938 però il fumetto comincia a emanciparsi dai periodici con il lancio del primo “comic book”. Si tratta di una pubblicazione autonoma che contiene una o più storie a fumetti i cui protagonisti sono supereroi: le figure nuove dell’immaginario di massa. Nel giugno dello stesso anno esce il primo numero della rivista Action Comics che contiene le avventure di Superman. Il suo successo fa sì che ne nascano altri simili: Green Lantern (1940), Capitan America (1941), Wonder Woman (1942) e molti altri. Spesso i più grandi colossi discografici, cinematografici, radiofonici, ecc… tendono a formare grandi concentrazioni intermediali (es. la RCA nasce nel 1919 e acquista l’etichetta discografica VICTOR. Nel ‘26 crea il suo network radiofonico NBC e nel ‘28 la sua casa cinematografica, l’RKO) anche se negli anni tale processo è stato ostacolato da autorità antitrust. I.II Generi L’industria mainstream, attraverso un processo di standardizzazione della geografia dei generi, è riuscita a limitare gli orizzonti d’attesa degli spettatori. È diventato sempre più semplice riuscire a definire il genere di un’opera letteraria o cinematografica (es. James Bond – è sempre immischiato in storie d’amore, ma nonostante questo associamo il personaggio alla spy story), questo perché la definizione del genere è data da pochi semplici elementi che nella maggior parte dei casi vengono rispettati dai produttori delle narrazioni mainstream: ambientazione della storia nel tempo e nello spazio e natura del protagonista e compiti che gli sono assegnati. In questo modo gli spettatori divengono passivi, si lasciano guidare senza dover impiegare troppa concentrazione sul prodotto che è spesso ripetitivo e prevedibile, ma che permette allo spettatore di godersi il film senza preoccuparsi di altro. Tale passività è accompagnata da una regressione intellettuale, ovvero un’infantilizzazione psicologica del fruitore dei prodotti di massa, che si accontenta di strutture rigide, povere e conformiste. I.III Serialità Le diverse produzioni della cultura di massa sono accomunate dalla serialità (racconto intervallato e sequenziale). Questo dispositivo presenta tre diverse modalità: • singola storia a puntate – viene narrata una vicenda sequenziale nell’arco di un numero limitato di episodi. Frequente l’uso del cliffhanger, ovvero del taglio della storia in un momento di suspense. Questa modalità si afferma dall’inizio dell’800 quando i racconti a puntate vengono proposti settimanalmente in fascicoli autonomi, oppure presentati su riviste che si specializzano nella pubblicazione di romanzi a 2 II.IV Drammi morali In diverse tipologie di racconti, è solito introdurre una dimensione drammatica, che può essere il dramma familiare delle soap, o un dramma con un più esplicito intento morale, tanto che spesso si ricorre alla definizione di “modern morality plays” per descriverle. Nella storia si tratta, quindi, di un vizio che viene poi punito per permettere la restaurazione dell’ordine morale originario, anche attraverso l’individuazione ed eliminazione di un capro espiatorio. Questo genere di narrazione ha un ruolo etico rassicurante, e spesso viene rappresentata con il genere del poliziesco: investigatore che individua un capo espiatorio e che lo elimina, riportando l’equilibrio. Spesso questo lato investigativo si fonde con il giallo in una forma di melodramma (trionfo della virtù morale sulla malvagità e l'idealizzazione delle concezioni morali del pubblico). Il giallo, in generale, consiste nella descrizione di un’indagine condotta da un investigatore e dalla sua spalla, con lo scopo di trovare il responsabile del crimine. Questo modello nasce nell’800 (Poe e Doyle) e verrà utilizzato anche nel ‘900 da autori come Agatha Christie. Negli anni 20/30 la crime story muta, in quanto avviene una virilizzazione del genere: detective con fascino, uomo vissuto; mentre la donna è spesso rappresentata come pericolosa e seducente. Altri crimini trovano la loro punizione in storie diverse, dove le figure femminili ricoprono il ruolo di portatrici di minacciose devianze che verranno punite. Succede nel film “Jezebel”(1938): Julie Marsden, una giovane gentildonna, è fidanzata con Preston, un ricco banchiere. Pur essendo perdutamente innamorata, Julie vuole a tutti i costi affermare la sua personalità su quella di lui, e fa cose che la società locale e lo stesso fidanzato giudicano disdicevoli (tipo mettere un abitino rosso al principale ballo della stagione, quando invece le donne da marito dovevano vestire di bianco). L’anticonformismo e l’indipendenza di Julie stancano Preston, che la lascia e si fidanza con un’altra. La ragazza ha il cuore spezzato ma capisce che la colpa è solo sua. Quando l’uomo si ammala di colera, decide di sostituirsi alla sua giovane moglie per accompagnarlo nell’isola della quarantena, nella quale moriranno entrambi. Così Julie si infligge la giusta punizione per la sua condotta inammissibilmente trasgressiva. II.V Genere, razza, classe 1. L’accanimento morale nei confronti di donne pericolose trova contestualizzazione in una visione fondata sul riconoscimento di una gerarchia di generi. Gli uomini hanno compiti attivi mentre le donne sono passive. In “Boom Town” ci sono scene di un maschilismo incredibile: Nella prima scena John dichiara il suo amore alla tenera Betsy: lei è appena arrivata in città ed è disorientata, e lui le fa da cavaliere portandola a cena e in giro. Quando è chiaro che lui è innamorato, lei va in confusione alludendo ad un precedente impegno e cerca di scappare. Ma John, da “vero uomo” con fare deciso, le dice “Vieni qui”. Lei scende e lui le dice di aver preso la sua decisione. E che lei non se ne andrà mai più. Poi la bacia appassionatamente. Il mattino dopo i due risultano già sposati. Passa un po’ di tempo e i due sono nel corso di una crisi familiare. John (Clark Gable) pensa che la donna lo possa lasciare, allora si precipita furiosamente a casa. La afferra per le braccia e le dice che è sua e che lo sarà per sempre, a costo di picchiarla. Lei sorridendo risponde: “Sono tua, picchiami se ti fa piacere”. Lui allora afferma che lo farà se ce ne sarà bisogno, ed infine la bacia. In “Via col vento” abbiamo la scena di un vero e proprio stupro coniugale, ma la mattina dopo il fatto, vediamo Scarlett che, nonostante sia una donna forte e indipendente, ha un sorriso di appagamento e soddisfazione sul viso. 2. Per non parlare del razzismo presente nei film: i neri sono sempre confinati a ruoli di schiavi, umili domestici - tipico ruolo della Mammy, presente anche in “Via col vento”, personaggio importante ed anche premiato con un Oscar. D’altronde la stessa autrice del romanzo ha più volte affermato di aver tratto ispirazione per il suo lavoro da un caposaldo del razzismo americano: “Nascita di una nazione” di Griffith, e di essere simpatizzante per il Ku Klux Klan. 3. Un’altra caratterizzazione in molte produzioni dell’epoca è che gli eroi provengono da classi popolari, di ceto medio, mentre le figure negative sono per lo più avidi banchieri, imprenditori, donne ricchissime, viziate. La 5 prospettiva populista non intende alludere a radicali trasformazioni sociali nell’ordine democratico della società statunitense; ma invita ad essere contenti di posizioni sociali medie, che sono quelle che più caratterizzano la home. II.VI Lieto fine Nel passaggio da un media all’altro le storie possono cambiare le loro caratteristiche. Tali cambiamenti vengono effettuati perché possono essere necessari (necessità di adattamento), oppure possono essere mutamenti con un significato di tipo ideologico. Prendiamo tre esempi esplicativi (dallo scritto al cinema): 1. La pièce teatrale “The Children's hour” (1934), diviene film della MGM “La calunnia” nel 1936 (Lillian Hellman, scrittrice e sceneggiatrice del film). Nella rappresentazione teatrale un’alunna insinua che due sue giovani insegnanti abbiano una relazione omosessuale. L’accusa le travolge nonostante non siano davvero colpevoli. Però, una delle due prova davvero una forte attrazione nei confronti dell’altra, e per il senso di colpa si uccide. Il film PERÒ elimina ogni accenno all’omosessualità. L’allieva maligna in questo caso sostiene che una delle due insegnanti abbia avuto una storia con il dottor Joe, fidanzato dell’altra insegnante. La calunnia scredita le due e rovina la storia d’amore. Alla fine però lo scandalo cade e la coppia si riunisce. 2. Il romanzo The Grapes of Wrath (“Furore” - 1939) di Steinbeck diviene film nel 1940, con la regia di John Ford. Il libro denuncia il disastro che si è abbattuto sulle famiglie di agricoltori delle pianure nel centro sud degli USA a causa della Depressione. Si racconta il tentativo di emigrazione in California della famiglia Joad, in cerca di una nuova vita, che si conclude con la disgregazione della famiglia, in quanto ogni cosa finisce in tragedia MA nel film non si ha lo stesso finale. I Joad sono diminuiti di numero ma non ancora piegati, vanno al lavoro nei campi di cotone e non hanno ancora perso la speranza per un futuro migliore. 3. Il romanzo The Big Sleep (“Il grande sonno” - 1939) di Chandler diviene film nel 1946 con regia di Hawks. Nel libro una coppia di giovani sorelle ricchissime, sono al centro di intricati eventi criminali, sui quali indaga il detective privato Philip Marlowe. La più giovane delle due Carmen è mentalmente squilibrata e ha ucciso il marito di Vivian che l’aveva rifiutata. In questo si fa aiutare dal proprietario di un casinò che poi la ricatta. Il detective scopre tutto ma invece di assicurarle alla giustizia le salva e le lascia libere. Nel film PERÒ i riferimenti sessuali scompaiono. Nel finale il detective scopre che il marito di Vivian non è stato ucciso da Carmen, ma dal suo ricattatore. Inoltre Marlowe in questa versione è attratto da Vivian e si allude ad una loro relazione. Tutti e tre gli esempi ci fanno comprendere l’”obbligo” del lieto fine nel cinema hollywoodiano, considerato necessario per la sua funzione “consolatoria”. Il messaggio di ottimismo dell’happy ending riscuote maggiore successo negli anni bui che seguono la crisi del ’29, in quanto queste storie operano una rimozione quasi integrale della sofferenza e della morte INFATTI se muore qualcuno, si tratti di personaggi che lo meritano, mentre le figure principali rischiano ma non muoiono mai. Sono proprio questo genere di film dalla struttura mainstream più leggera a riscuotere maggior successo nei periodi di crisi, in quanto permettono per un momento di distogliere l’attenzione dalle problematiche della vita vera. Per lo stesso motivo, le creazioni culturali più elaborate, con trame impegnative e maggiori ambizioni intellettuali non hanno molto successo e crollano davanti a questi periodi bui. III. Contronarrazioni in musica: blues, hillbilly, folk III.I La “Anthology of American Folk Music” Nel 1952 la Folkways Records, una piccola casa discografica newyorkese, pubblica un’antologia intitolata “Anthology of American Folk Music”, una specie di monumento discografico al folk americano. La raccolta, curata 6 da Harry Smith, contiene musica hillbilly (termine inizialmente dispregiativo che indica quella che dagli anni 40 è conosciuta come country, o country-western music), canzoni blues, e fa spazio anche a brani gospel. Questa antologia sarebbe stata impensabile prima della Seconda guerra mondiale, visto che in quel periodo i limiti del mercato musicale erano rigorosamente marcati. La musica hillbilly era eseguita da bianchi per bianchi. Viceversa la musica blues e gospel era eseguita da neri per neri. Non c’erano interscambi MA in realtà tutte queste diverse musiche sono legate tra loro da scambi che riguardano la forma musicale, la poetica, e i contenuti narrativi. Tali connessioni sono importanti perché disegnano un orizzonte di valori diametralmente opposti a quelli della cultura di massa mainstream. Per esplorare il reticolo contro narrativo, è necessario però tornare ai decenni precedenti alla Seconda guerra mondiale. III.II Da New Orleans a Chicago Nel 1897 nasce a New Orleans il quartiere a luci rosse “Storyville”, che ben presto diviene una vera e propria attrazione cittadina. Nonostante ciò nel 1917 ne viene imposta la chiusura da una sorta di ministro della Marina, che riteneva che il quartiere avesse effetti negativi sulle proprie truppe. Da allora in avanti molti musicisti che lavoravano nei locali a luci rosse della zona cercarono lavoro altrove: si dirigono verso città che hanno grosse comunità afroamericane, o seguono i flussi migratori che stanno portano le loro genti verso New York, Detroit, Chicago, Filadelfia. Il 1917 è anche l’anno in cui un gruppo di musicisti bianchi, i “Dixieland Jass Band”, incide il suo primo disco che riscuote un grande successo tra il pubblico afroamericano. “Jass” (ben presto Jazz) è un verbo diffuso a Chicago che significava volgarmente “scopare”. Il termine diventa una bandiera del nuovo stile musicale ma anche dell’atmosfera socioculturale degli anni successivi alla Grande Guerra. La musica jazz ha caratteristiche strutturali opposte alla musica occidentale che andava per la maggiore tra il pubblico bianco statunitense: - le musiche delle comunità afroamericane nascono dall’improvvisazione e si sviluppano spesso attraverso una dialettica affidata al dialogo tra gli strumenti o tra le voci (call e response); - contengono un maggiore movimento corporeo sia per gli esecutori che per gli ascoltatori; - anche le danze sono improvvisate; Questa musica si diffuse nel primo dopoguerra soprattutto come musica strumentale da ballo. Tuttavia cominciano ad avere successo anche piccole jazz band accompagnate da cantanti nere. Tra tutte brilla per il suo successo Bessie Smith, che nel 1925 registra, con l’accompagnamento di Louis Armstrong alla tromba il brano “St. Louis Blues”. La musica jazz ha un rapporto diretto anche con un’altra forma musicale afroamericana: il blues. Esso si sviluppa in modo definito in un circuito parallelo più nascosto rispetto a quello del jazz. È un circuito itinerante, percorso da musicisti neri che si muovono di città in città per suonare a feste, fiere, juke joint (pub dove si può anche ballare frequentati da uomini e donne di comunità afroamericane). Sebbene le musiche blues siano stilisticamente varie, si caratterizzano soprattutto per un modello di canzone semplice. Il primo cantante ad uscire dall’anonimato rurale e ad ottenere successo è Blind Lemon Jefferson, che incide il suo primo disco per la Paramount. La struttura delle sue canzoni è sempre la stessa: i primi due versi sono uguali sia a livello di testo che di melodia, mentre il terzo varia. La ragione della ripetizione dei primi due versi sta nella natura originariamente improvvisata del blues. La ripetizione dei primi due dava al cantante il tempo per pensare al terzo. Questo modulo, nato per ovviare ad un limite, si trasforma poi nella caratteristica del genere: semplicità che contribuirà al successo. La crisi del ’29 PERÒ da un colpo durissimo al mercato, e le famiglie afroamericane, spesso povere, in queste situazioni drammatiche sono costrette a tagliare le spese superflue. Per 7 le vere stelle fondanti del genere musicale. Si tratta di Jimmie Rodgers e della Carter Family. Questi giovani vengono da un ambiente rurale isolato e privo di comunicazioni. Sono di estrazione sociale medio-bassa e scrivono la loro musica, attingendo largamente ad un patrimonio folclorico ascoltato qua e là lavorando come musicisti girovaghi. Fanno musica suonata con strumenti a corda (violino, chitarra, banjo) dalla struttura semplice e in genere organizzata con un ritmo elementare, per questo si sostiene che una musica così semplice rappresenti a pieno la “vera” anima rurale e genuina dell’America bianca. Paradossalmente, la forza comunicativa di questa musica esce consolidata dalla crisi del ’29, perché sebbene anche il mercato discografico hillbilly sia duramente colpito dalla crisi, la musica continua a circolare in tutta America grazie ad una serie di programmi radiofonici e di produzioni cinematografiche. L’immagine rustica della musica hillbilly viene presto soppiantata, quando si inizia ad accostare il genere al western. Questa svolta avviene con la nascita di film in cui compare la figura del singing cowboy, cioè dove il protagonista compie imprese tipiche delle narrazioni western ed in certi momenti canta una canzone hillbilly che ha un collegamento con le azioni stesse. Il genere decolla grazie alla Republic Pictures, una casa cinematografica creata da Yates, che aveva come obiettivo quello di far concorrenza alle grandi produzioni di musical attraverso i suoi film western prodotti con un budget ben più basso (no ballerini o grandi scene di gruppo). Inoltre, se la scommessa avesse funzionato, si sarebbe potuto lucrare anche sulle canzoni della colonna sonora tradotte in dischi. Come cantante protagonista viene scelto Gene Autry, un apprezzato musicista hillbilly. Inizialmente svolge il ruolo in una parte minore, ma l’esordio è così positivo che Autry viene promosso protagonista di un serial cinematografico in 12 puntate. La sua carriera prosegue negli anni con un gran numero di film e diventa un vero e proprio divo. Alla fine degli anni Trenta, la scena hillbilly verrà chiamata anche country e western, e qualunque tipo di canzoni cantino, i musicisti adottano la divisa da cowboy. III.VI Costellazioni hillbilly Prendendo in esame il vasto canzoniere hillbilly degli anni 20, troviamo canzoni che sembrano appartenere a mondi diversi, e ci rendiamo conto che le canzoni hillbilly che si diffondono con i mezzi di comunicazione mainstream (radio e cinema) non rispecchiano a pieno l’intero repertorio hillbilly. Tra le varie canzoni troviamo inni positivi e ottimistici, canzoni con toni molto biblici ma anche brani che narrano storie di amori infelici, appartenenti ad una sorta di underworld. Queste ultime sono spesso affidate ad una voce narrante esterna che racconta storie gotiche che finiscono spesso in modo molto negativo. Quando il punto di vista si sposta e diventa soggettivo, negli anni 30 e 40, l’influenza del blues diventa evidente. Come nel blues, infatti, tutte queste storie infelici diventano una sublimata metafora per parlare in via indiretta di vite difficili, famiglie disfunzionali, disastri economici e sociali. Ma in altri casi, i temi vengono affrontati anche direttamente INFATTI le “disaster songs” (incidenti ferroviari, stradali, sul lavoro) sono uno dei generi di maggior successo della prima onda hillbilly. Anche temi che hanno a che fare con lo sfruttamento sono intensamente esplorati, in nessun caso però questa sensibilità sociale si trasforma in coscienza di classe. Ovviamente le situazioni provocano disagio e rabbia, ma tutto viene affrontato con fatalismo, che porta ad accogliere la sconfitta come rassegnazione. Sono frequenti anche personaggi delinquenti, ubriaconi, banditi e galeotti che operano furti, rapine ed aggressioni, anche se quasi mai c’è una condanna moralistica al gesto violento. In queste narrazioni il protagonismo maschile è prorompente, gli uomini sono descritti come veri montanari e duri cowboy. Le donne INVECE spesso assistono passivamente, piangendo. Questa etica è stata oggetto di contestazione femminile 10 continua, anche nelle musiche hillbilly, ma nemmeno in questo caso si tratta di una presa di coscienza “femminista”. Piuttosto possiamo definirla come una delle caratteristiche che confermano la complessità dell’immaginario variegato di questo genere, che accoglie brani “strani” e particolari, appartenenti all’underworld, ma anche brani più vicini al mondo delle pop songs. Per questo motivo dal 1943 diverse canzoni che nascono hillbilly vengono riarrangiate e rilanciate come canzoni pop, e ottengono un discreto successo. III.VII Folk radicale Inizialmente jazz, blues, hillbilly non hanno una dichiarata valenza politica PERÒ nel panorama folclorico statunitense degli anni Venti/Trenta cominciano ad emergere canzoni politiche. Una parte di esse viene diffusa da organizzazioni sindacali radicali; un’altra parte nasce “in campo”, per esempio durante scioperi o riunioni di lavoratori e famiglie. In queste occasioni vengono cantate canzoni (semplici ed hillbilly) che parlano dei fatti che stanno avvenendo o del perché si sta combattendo. Negli scioperi di Gastonia e della Harlan County un ruolo cruciale è svolto dalle organizzazioni sindacali costituite dal Communist Party. La dirigenza del partito, fondato nel ‘19, ha deciso di incoraggiare le lotte sindacali più radicali e attaccare duramente la segregazione razziale MA a dispetto di questi orientamenti, fino ai primi anni ‘30 il CP-USA non sembra incline a sostenere musica del genere. Le organizzazioni musicali create dal CP o quelle fondate da musicologi vicini al partito, criticano il carattere semplice e ripetitivo della musica blues o hillbilly, e le giudicano poco adatte a trasmettere contenuti rivoluzionari. PERÒ dal 1933, intellettuali e critici musicali importanti, sulle pagine di editoriali comunisti, iniziano ad avere un’opinione diversa e pensano che le canzoni di protesta dei neri possano essere giuste per trasmettere il messaggio comunista. Da allora fioriscono iniziative per lanciare musicisti in grado di scrivere canzoni con contenuto politico: Woody Guthrie, un giovane dell’Oklahoma che si è fatto il nome in California grazie ad una trasmissione radiofonica radicale, e che aveva il dono di saper scrivere testi di critica sociale e politica con stile hillbilly tradizionale. Quando nel 1940 si trasferisce a New York, incontra personaggi come Lomax e Hammond, giovane produttore discografico, che si fanno promotori di iniziative politiche e culturali, e organizzano due concerti: “From Spirituals to Swings”, che vogliono dare testimonianza dell'evoluzione e della varietà della produzione musicale afroamericana. • Hammond scopre anche nel 1933 Billie Holiday MA nel 1938 sono in lite e il manager la esclude dal concerto “From Spirituals to Swings”. Le procura però un ingaggio in un locale che sta per aprire a New York: il "Café Society” di proprietà di un commerciante di famiglia ebraica e di idee radicali. Il locale accetta clientela mista e fa esibire artisti bianchi e neri, ed ha da subito grande successo. Allo stesso tempo Lewis Allan, poeta, scrittore e musicista scrive una canzone che vorrebbe fosse cantata proprio dalla Holiday: si tratta di “Strange Fruit” un brano che descrive un linciaggio avvenuto in Indiana, le cui vittime sono due giovani neri. La canzone ha molto successo e Billie Holiday vorrebbe inciderla MA la Columbia (sua casa discografica) si oppone, timorosa di offendere il pubblico bianco meridionale. Ad ogni modo il disco verrà lanciato sul mercato più avanti, e le recensioni vanno dall’insulto del “Time” all’entusiasmo del “New York Post”. Il disco comunque commercialmente va bene, e rende la cantante una delle star dei race records dell’epoca. • Sul finire del 1940, un gruppo di giovani cantanti radicali fonda gli Almanac Singers, una band alla quale collabora anche Woody Guthrie. La band suona musiche militanti in polemica col music business ed anche apertamente pacifiste contro la guerra, che riceveranno diverse critiche, positive e non, e saranno persino oggetto di una commissione d’inchiesta parlamentare. Pochi mesi dopo, soprattutto dopo Pearl Harbor (7 dicembre 1941) il gruppo si converte alla guerra patriottica e questo cambio di rotta sembra funzionare; gli frutta la partecipazione a trasmissioni radiofoniche ed una proposta di contratto con a Decca. PERÒ a più lungo termine gli Almanac vanno in crisi perché non sanno più bene che tipo di rapporto mantenere col CP-Usa e con il loro passato comunista. INOLTRE buona parte dei commentatori mainstream li giudica per la loro incoerenza (prima comunisti e pacifisti, poi patriottici). 11 Queste sono le prime avvisaglie di difficoltà politiche che negli anni dopo si faranno sempre più incalzanti. III.VIII Canzoni militant I brani politicamente impegnati hanno tre diversi tipi di narrazione: • la meno frequente è quella straniata: una voce narrante esterna che descrive in tono neutro eventi sui quali non esprime giudizio morale. E’ una modalità tipica della tradizione hillbilly. In questo caso il vertice espressivo raggiunto è sicuramente “Strange Fruit” (che però è un caso a parte rispetto al resto della produzione militante). Il minimalismo elegante proprio del testo, della musica e dell’interpretazione vocale di Billie Holiday è distante dalla produzione degli altri musicisti militanti. Musicalmente le canzoni militanti sono poverissime: strofe ripetute al massimo intervallate da un ritornello, melodie semplici, strumenti essenziali. Ancor più distante è l’atteggiamento narrativo\etico; nel folk militante, chi canta si presuppone abbia sempre una dignità morale superiore a chi ascolta, e deve svolgere una specie di funzione didattica; • questa caratteristica didattica si trova soprattutto nel metodo narrativo della voce narrante esterna, che però sa come sono andati i fatti, e per questo si colloca su un piano morale superiore a quello dei suoi ascoltatori, che devono essere istruiti verso la verità (modalità tipica del sermone religioso o dei comizi pubblici che prendono forma nella “nuova politica” di inizio Ottocento). Per questo le canzoni narrano spesso di passion plays, ovvero racconti dove esiste un’evidente verità etica che limita la libertà interpretativa di chi ascolta, che viene quasi obbligato da una struttura dicotomica a scegliere da che parte stare: buoni o cattivi? Con noi o contro di noi? La struttura appare ancora più evidente nel caso delle agiografie degli eroi, che vengono idolatrati e resi martiri politici; • un’altra modalità è quella di quando si canta in soggettiva, quindi il pubblico militante si aspetta che il musicista sia uno di loro e abbia sperimentato sulla propria pelle le sofferenze di cui parla. Questo ovviamente è un valore aggiuntivo, in quanto le canzoni sono più autentiche, anche autenticità non significa necessariamente autobiografismo (in alcuni casi si può parlare di esperienze autentiche di altre persone). In alcuni casi la struttura delle canzoni mainstream si insinua nella prospettiva militante, e diventa un modo per esprimere dei concetti che però sono diversi da quelli espressi solitamente nel mainstream, in questi brani si parla di abbattimento della società capitalista, edificazione di una società più giusta, ecc… III.IX Mappe dell’audience Nel 1940 Guthrie, stanco del solito inno “God Bless America”, decide di scrivere un contro inno: This Land Is Your Land, che nel tempo diventerà da una parte un vero e proprio inno patriottico (senza le due strofe centrali), ma con le strofe verrà anche visto come una bandiera della sinistra radicale. Ora, la cosa interessante è che Guthrie per scrivere il suo contro inno prende ispirazione dalla linea melodica di due canzoni della Carter Family. Questo è uno dei moltissimi esempi di scambi musicali fittissimi che avvengono tra la comunità bianca e quella afroamericana. MA nonostante questi numerosi scambi, fino agli anni della Seconda guerra mondiale questi due universi vengono visti come due circuiti nettamente distinti INFATTI gli acquirenti sono razzialmente e politicamente separati: musica gospel e blues per gli afroamericani, e musica hillbilly per i bianchi. Ciò conferma la geografia razziale e sociale che vige negli Usa alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Proprio per questa profonda divisione al momento questi generi non vengono considerati delle minacce alle musiche e narrazioni mainstream, che invece si rivolgono al pubblico indifferenziato e non a pubblici specializzati, tranne per rarissimi (casi come le soap opera che vengono trasmesse il pomeriggio per le casalinghe). La narrazione mainstream, per la sua struttura intermediale e trasversale, riesce a rendere i suoi prodotti adattabili a diversi segmenti di pubblico, che forse poi non sono così diversi tra loro. Analizzando un segmento importante per le produzioni mainstream, quello dei giovani, potremo comprendere meglio le capacità conformistiche della comunicazione di massa, ma anche gli spazi autonomi che essa consente di creare. 12 IV.III Identità controcorrente In questo universo, emergono comportamenti divergenti che si esprimono attraverso scelte culturali che vogliono costruire uno stile distintivo. Un caso a parte sono gli hoboes, giovani o adulti che siano, che non hanno interesse a distinguersi dagli altri; la vita che hanno scelto anzi tende a sottrarli alla vista degli altri, diciamo che sono essi stessi oggetto di una distinzione culturale e sociale da parte della massa. Coloro che invece si conquistano una visibilità particolare sono tre gruppi: 1. La comunità messicana, addensata soprattutto in California del sud, emigrata dal Messico per lavorare in miniere e campagne. I “pachucos” e le "pachu quitas" cioè ragazzi e ragazze della comunità messicana, si trovano sospesi tra due mondi: non si trovano integrati nella comunità di origine, ma non vengono accettati neanche tra i bianchi. La loro risposta a questo è creare delle gang proprie e di marcare i confini con la società attraverso un abbigliamento particolare, lo zoot suit. Composto da pantaloni larghi ma stretti in fondo, giacca lunga e cappelli con visiera. Un abbigliamento da gangster molto estremizzato, anche nei colori; spesso le scarpe sono di due colori diversi e i capelli sono imbrillantinati e portati indietro. Anche le pachu quitas si vestono in modo caratteristico: gonne corte, camicette, atteggiamento aggressivo e sfrontato. Tutto questo non aiuta a creare un’immagine positiva in una società razzista INFATTI la stampa locale accusa in blocco la società messicana di delinquenza, spaccio e criminalità. Le tensioni infatti si accumulano ed esplodono quando gli USA entrano in guerra: una norma del 1942 proibisce la produzione di vestiti ampi per poter risparmiare sui tessuti. I giovani pachucos continuano lo stesso a procurarseli clandestinamente ed esibirli, e ciò viene visto come uno scempio sfrontato, uno spreco antipatriottico. Ne derivano aggressioni da parte di gruppi di soldati bianchi insieme a civili locali contro i giovani messicani incontrati per le strade. La polizia non fa niente e l’opinione pubblica applaude; l’intervento delle forze dell’ordine infine avviene MA in carcere o sotto processo, paradossalmente, finiscono più pachucos. 2. Pochi giorni dopo i pachucos, le aggressioni si scagliano contro gruppi di giovani neri segregati al Sud e per niente integrati. Alla fine di giugno 1943 a Detroit scoppiano scontri tra migliaia di bianchi e neri, e ad agosto a Harlem scoppia una rivolta a causa della notizia falsa dell’uccisione di un soldato nero da parte di un poliziotto bianco. Oltre a questi avvengono altri numerosi scontri occasionali. Le comunità afroamericane rispondono spesso alla segregazione con la creatività musicale. Non solo blues, ma anche e soprattutto jazz e danze costruite intorno agli stili jazz di moda nel primo dopoguerra. Dopo la Prima guerra mondiale infatti il jazz è sempre più in crescita, anche nel pubblico bianco che inizia a frequentare locali jazz esclusivi per bianchi. Intanto però nei locali frequentati dagli afroamericani si inizia ad apprezzare sempre di più l’hot jazz, ovvero uno stile suonato da musicisti sia bianchi che neri, che usano ritmi veloci e fanno spazio a sezioni ritmiche e ballabili QUINDI balli come il jitterbug, lo shag, il boogie-woogie si trasformano in un doppio simbolo identitario: sono balli derivati dalle tradizioni coreutiche afroamericane, ma sono anche solo per giovani perché presuppongono movimenti fisici che limitano persone di una certa età. È un ballo animato, un ballo di corpo, sensuale e quindi estraneo alla cultura bianca europea. Le critiche, alimentate dal razzismo, sono esasperanti. “In quei locali” - da Life - “le giovani coppie nere si abbandonano a incontrollate e sconvenienti intimità”. Il razzismo aumenta quando questi atteggiamenti “barbarici” e “perversi” neri iniziano a contagiare anche un numero imprecisato, ma giornalisticamente rilevante, di adolescenti bianchi. 3. Il 30 dicembre 1942, il Paramount Theater di New York diviene un luogo simbolo degli anni a venire. Frank Sinatra inizia da lì la sua stagione di concerti. All’epoca ha 27 anni ed è l’idolo di ragazzini e soprattutto ragazzine, canta canzoni su amori romantici con una voce calda e sensuale. I giovani fan sono talmente presi che perdono totalmente il controllo, battono i piedi, si agitano sui sedili, si alzano e applaudono senza senso. Ma soprattutto sono le femmine che gridano a squarciagola e fare sensazione. Da allora il teatro diventa una 15 specie di tempio di questo nuovo culto di massa. In generale, questi comportamenti sono forme rituali che manifestano una distinta identità generazionale. Fare del musicista un culto realizzabile attraverso lo scatenamento che solo il giovane può affrontare (e anche il cantante che è giovane quanto il giovane) significa rimarcare l’allontanamento rispetto all’adulto. Per le ragazze, ancora di più: perdere il controllo, gridare, svenire, muoversi è un modo di manifestare in forma esplosiva l’insofferenza nei confronti delle regole che condizionano la sessualità femminile. Come se si liberassero da un sistema di norme, valori, segni falsi messi in atto per trasmettere un’immagine di ragazze per bene, autocontrollate. Al concerto le ragazze possono per qualche ora vivere senza limiti, senza esser giudicate. Questi gruppi mostrano che gli universi giovanili stanno sperimentando autonomi percorsi di identità. Ciascuno dei gruppi riprende materiali già diffusi nella cultura di massa (abiti da mafiosi, balli alla moda, grida isteriche dei film horror) e li ricompone con un nuovo senso di sfida, distinzione. L’indeterminatezza delle forme espressive create fa si che possano attrarre chiunque (il caso dei balli tra i bianchi). Questa è la forza, ma anche la fragilità di queste nuove strategie della distinzione. IV.IV “Khaki-wackies” L’arruolamento degli uomini per la guerra nel dicembre 1941, comporta che le donne siano assunte in massa per sostituirsi alla manodopera maschile. Da allora le donne che lavorano aumentano e nel 1945 sono quasi la metà dei lavoratori totali, anche se la campagna governativa dichiarava che questa situazione fosse valida “only for the duration”. Dopo l’ingresso in guerra, però, cambia anche il “morale” nei confronti della nazione. Molte giovani sono incoraggiate a compiere il loro dovere patriottico partecipando a iniziative di solidarietà per i soldati. Nei campi di addestramento dei militari, le autorità allestiscono luoghi di svago che comprendono anche locali da ballo, ed è necessario che le donne partecipino per rallegrare i giovani che stanno per andare in guerra. Ci sono ragazze che si limitano a ballare come richiesto, ma ce ne sono altre che sfruttano la situazione per mettere in pratica una più sfrontata sessualità intrecciando rapporti occasionali con giovani soldati. Sono le khaki-wackies (pazze per il grigioverde). È chiaro che il fenomeno non è generalizzato, e riguarda soprattutto le giovani che vengono da famiglie disgregate con un’educazione labile, o che sono rimaste sole con fratelli e padre arruolati. Questo fenomeno non tarda ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica e degli organi di stampa, che esaltano le preoccupazioni moraliste e le ansie sanitarie. Inizialmente le autorità cercano di arginare il problema selezionando ragazze rispettabili da quelle considerate prostitute o simili MA è comunque difficile dare un senso a questa divisione, infatti il tutto diviene incontrollato. L’intera questione viene allora affrontata impiegando uno schema concettuale semplice ma contraddittorio: - le donne sono considerate naturalmente più inclini alla sensualità, e le donne nere più di quelle bianche; - le donne, prostitute o no, sono considerate i principali vettori di malattie veneree QUINDI devono essere controllate e represse perché potrebbero diffondere infezioni. Le donne nere sono ritenute più ricettive di infezioni; - i soldati hanno diritto alle loro soddisfazioni sessuali, un tratto del comportamento che li rende veri uomini; - il comportamento sessuale dei soldati non è considerato causa di infezione; anzi i militari infettati sono vittime, per questo vanno curati. Quest’ultima si basa sul fatto che i soldati prima dell’addestramento vengono controllati da medici e coloro che sono affetti da malattie veneree vengono scartati e curati MA un soldato infettato dopo l’arruolamento potrebbe diventare egli stesso vettore di infezione. Questa opzione viene esclusa e mostra il sessismo di fondo, che porta addirittura a compiere missioni d’arresto di tutte le ragazze sospette che si aggirano intorno ai campi militari o che 16 hanno atteggiamenti “promiscui” in locali pubblici o in strada. Se risultano infette, vengono forzatamente tenute in campi di prigionia e quarantena fino alla cura. Migliaia di donne anche giovani, vennero sottoposte a questo trattamento. Nelle rappresentazioni femminili usate dall’OWI (Office of War Information) per spingere le donne a partecipare allo sforzo di guerra, le donne sono rassicuranti e volitive, dedite alla famiglia, impegnate nel lavoro e non dotate di attrattiva sessuale (una donna che lavora tra gli uomini non deve essere troppo provocante). “Rosie the Riveter” di Norman Rockwell è una delle più note. Una massiccia operaia dall’espressione decisa e non molto seducente, con ai piedi il “Mein Kampf”. MA l’immagine femminile generale che ne esce è talmente forte che l’OWI stessa si preoccupa per l’esito post-guerra: è una minaccia per molti uomini che temono che a guerra finita le donne non se ne tornino a casa. Così si prediligono figure femminili più graziose e seducenti, con corpi più slanciati e attraenti, impiegate a promuovere le merci più varie; oppure si vedono ragazze abbracciare il proprio soldato che torna dal fronte portando in regalo una scatola di cioccolatini. Questo tipo di immagine viene accolta anche dalla propaganda militare ufficiale per il reclutamento nel WAVES (Women Accepted for Volunteer Emergency Service), ovvero un corpo di volontarie. È in questo contesto storico che fanno irruzione le pin-up. IV.V Pin-up Le pin-up sono il sogno di milioni si soldati e civili americani durante gli anni della guerra e rappresentano la “vera donna americana”. Le immagini da attaccare al muro sono di due tipi: foto di giovani attrici in voga prodotte delle case cinematografiche come quella di Betty Grable per la 20th Century Fox, richiestissima tra i soldati (5 milioni di copie). Oppure disegni che vengono realizzati da Alberto Vargas per “Esquire”, rivista maschile (9 milioni di copie). Per i soldati il periodico pubblica un’edizione gratuita senza pubblicità, e in ogni numero c’è la Varga Girl del mese. Molto più delle foto di attrici, le Varga Girls sono esplicitamente sessualizzate: corpo attraente dalle proporzioni impossibili. Sebbene non esplicitamente pornografiche, il messaggio esplicito è evidente, e anche i titoli sono unidirezionali: “Something for the boys” ad esempio. L’intento delle immagini, oltre a quello erotico, è un intento rassicurante INFATTI tutte le Varga Girls, e anche le foto di attrici, sono concepite in modo da suggerire che la loro attrattiva erotica è solo per te che stai guardando, sono un po’ come le ragazze della porta accanto, belle giovani e ingenue. Infatti, le pin-up portano nei soldati non solo un desiderio sessuale, ma la visione del matrimonio, della famiglia e di un comfort domestico. Il modello delle pin-up diviene un vero e proprio standard di bellezza, impiegato in immagini pubblicitarie di prodotti cosmetici, tanto che anche le ragazze che hanno il fidanzato in guerra, tendono ad assumere nelle foto spedite, pose da pin-up. Non tutta l’opinione pubblica americana accetta questo modello: un avvocato cattolico, Frank Walker, nominato da Roosevelt ministro delle poste, nel settembre 1942 fece causa a Esquire per la sua scarsa moralità. Ciò non fermò comunque la diffusione della rivista e perlopiù alla fine le accuse vennero dichiarate infondate. Da quel punto in poi, ancor di più, la pin-up si impone definitivamente nelle riviste e nelle pubblicità come standard femminile di riferimento, e le star del cinema del dopoguerra (Marilyn Monroe, Lana Turner, ecc.) tradurranno in realtà corporea l’ideale disegnato delle Varga Girls. Tutto ciò si traduce nella retorica che le donne devono essere seducenti, ma allo stesso tempo capaci di conservare la propria rispettabilità QUINDI sposarsi, far figli e stare a casa. La propaganda bellica stessa rilancia la centralità valoriale del matrimonio, con lo scopo di disilludere tutte le donne che tra la fine degli anni Trenta e la guerra si immaginarono di poter avere una propria indipendenza ed autonomia. Ci si aspetta quindi che le donne ritornino a casa e una volta finita la guerra lascino spazio agli uomini, ai vertici della gerarchia. 17 Il cinema QUINDI cerca di calibrare la produzione sui gusti giovanili, e di rinnovarsi tecnologicamente (proiezione su grande schermo…) MA queste soluzioni non portano al rilancio definitivo del settore cinematografico. L’unica opzione è l’alleanza strategica con i network televisivi. L’alleanza assume due forme: • le tv noleggiano o acquistano gli archivi filmici delle case cinematografiche hollywoodiane, potendo quindi trasmettere in prima serata i loro film; • i network televisivi e le majors hollywoodiane iniziano a collaborare per la produzione di telefilm o film pensati espressamente per la tv. Questo modulo è particolarmente significativo, e viene avviato dal minore, all’epoca, dei network tv, la ABC, che sottoscrive un contratto con la Disney, la quale si impegna a produrre un programma televisivo esclusivo per la ABC MENTRE la ABC si impegna a finanziare la costruzione di un parco a tema Disney nella periferia di Los Angeles. La Disney allora produce “Disneyland”, una trasmissione settimanale articolata in quattro parti corrispondenti alle quattro sezioni tematiche del parco. Quindi entrambe le cose sono strettamente collegate e il tutto ha un successo straordinario. Dopo questo esperimento, anche gli altri network seguono la stessa strada, tanto che alla fine del 1956, Hollywood produce più del 70% della programmazione tv in prima serata. Le trasmissioni tv sono inizialmente riadattamenti di programmi radiofonici, trasferiti in video in modo semplice, quindi programmi che non trattino argomenti troppo complessi (varietà e serie tv). L’unica eccezione è costituita dalle pièce teatrali riprese dal vivo, che verranno però abbandonate presto. Inoltre fino alla fine degli anni ’60, l’intera programmazione è pensata per un pubblico bianco e gli afroamericani non compaiono quasi mai nei programmi, se non in ruoli di secondo piano. Hanno grande successo i varietà, i quiz e soprattutto le serie televisive, in particolare le soap, ma anche le serie che ripercorrono i moduli delle narrazioni mainstream: gialli, western, thriller. Gran parte di questa produzione aveva già i suoi precedenti, come si è visto, nelle programmazioni radiofoniche o cinematografiche, ma tra queste si impone una produzione che ha il suo esordio in radio ma predilige particolarmente la tv, ovvero la sitcom: una commedia comica, sempre con conclusione positiva (ritorna il tema della rassicurante home), che ha al centro un nucleo familiare collocato nei sobborghi residenziali. Si sviluppa in singoli episodi autoconclusivi che hanno sempre un messaggio rassicurante da offrire. V.IV Forme della libertà In ciascuno dei programmi tv citati e soprattutto nelle sitcom, la pubblicità è preponderante. Nel sistema di comunicazione mainstream (che siano giornali, trasmissioni radio o programmi televisivi) gli spazi pubblicitari non sono mai chiaramente destini dalla programmazione ordinaria. In questo modo la pubblicità entra a far parte del sistema narrativo integrandosi naturalmente con le pagine dei quotidiani e con le storie raccontate. Caratteristiche della pubblicità: • enfatizzazione del valore positivo del consumo come acquisizione di simboli di status; • spesso viene invocato il parere di un esperto per convincere il consumatore che quell’acquisto possa migliorare la sua vita; • esagerazione della minaccia di normalissimi disturbi, per convincere che l’unica soluzione è acquistare il prodotto; • nessuna divisione di classe QUINDI ognuno con un po’ di fortuna e di iniziativa può fare tutto e soprattutto può comprare tutto ciò che offre il mercato (in realtà negli anni 50 ci sono molte famiglie in condizioni di povertà); • evidente divisione di razza – non ci sono narrazioni pubblicitarie con o per neri, se non per annunci pubblicitari esclusivamente destinati ad un pubblico nero; 20 • divisione di genere – pubblicità esplicitamente per un pubblico maschile (auto, sport, pesca e cose da uomini) o femminile (prodotti per la casa, pulizie) Come al solito le donne sono simbolicamente i soggetti che presiedono alla cura della casa. Film di successo come “Cenerentola” e “Sabrina” (1954) di Wilder, illustrano l’ideale perfetto delle donne costruite dalla cultura di massa: chiuse in casa e capaci di fare ogni tipo di lavoro domestico. Ma al tempo stesso sono romanticamente perse dietro al sogno del principe azzurro, spesso molto benestante. Il che si collega alla perenne ricerca di stabilità economica tipica di questo periodo di grande sviluppo (lasciando da parte le narrazioni populiste degli anni della Grande Depressione) per potersi costruire una propria famiglia, una home. Infatti, se la valorizzazione simbolica della famiglia divenne fondamentale nella propaganda di guerra, essa si dimostrò altrettanto importante nel dopoguerra. Ovviamente si tratta di una famiglia con dei limiti ben delineati QUINDI una famiglia razzialmente segregata (nel 1945 negli USA esistono ancora diverse leggi che proibiscono i matrimoni interraziali), e prettamente eterosessuale (fino al 1961 negli USA la sodomia viene trattata come un reato penale). È proprio in questo periodo che, in parallelo alla crociata anticomunista, se ne avvia anche una omofoba (lavander scare) QUINDI gay e lesbiche venivano sottoposti a ricatti e pressioni per cercare di espugnarli dall’apparato federale e statale. Il dilagare di pratiche sessuali come omosessualità, masturbazione o sessualità pre/extramatrimoniale, provocò un forte scandalo nell’opinione pubblica, soprattutto quella più conservatrice, che definì la situazione come un vero e proprio crollo morale. Si cercarono quindi delle modalità per condurre gli americani a dei comportamenti moralmente più accettabili, e tra queste spiccò l’ipotesi di incoraggiare i matrimoni precoci. V.V “Going steady” Tra il 1950 e il 1960 i ragazzi che frequentano le scuole superiori passano dal 60% al 72%. Aumenta anche la frequenza in college e università: da una parte grazie all’approvazione del G. I. Bill viene permesso a tutti i “veterani” di poter accedere a college e università anche senza un diploma, e dall’altra i genitori di ragazzi\e delle scuole superiori incoraggiano sempre di più i figli a proseguire gli studi (sembra la strada migliore per un’ascesa sociale, inoltre i posti di lavoro che necessitano del solo diploma cominciano a scarseggiare). Gran parte degli iscritti si orientano verso le università pubbliche, dove l’accesso è garantito a tutti. Però solo i diplomati con un curriculum buono vengono ammessi ai corsi quadriennali offerti dai senior colleges, mentre gli altri vengono dirottati verso i corsi biennali dei community colleges. Però, sia nelle high schools che nelle università, continua ad essere presente una forte segmentazione relazionale, animata dalla presenza di fraternities e sororities, distinte per genere, etnia, religione, ricchezza ecc. Forse la selettività è ancora maggiore di quel che fosse prima della II guerra mondiale, perché l’aumento della frequenza scolastica richiede la messa in atto di più efficaci strategie di distinzione. La principale frattura sociale corre tra gruppi centrati sulla scuola e sulle attività scolastiche, e tra i gruppi che rifiutano l’inserimento, e che spesso si trovano in strada e si organizzano in gang. Nel dopoguerra c’è un cambiamento del concetto del dating system, poiché non esiste più la pratica della rapida e frequente rotazione del partner, che viene sostituita dal going steady: la formazione di una coppia fissa (che nell’anteguerra era una pratica diffusa quasi solo tra ragazzi non frequentanti le high schools). Per i genitori di classe medio-alta non è una modalità totalmente approvata perché ammette un’intimità sessuale inaccettabile all’epoca. Ma per i giovani è diverso, è sicuramente una situazione meno ansiogena rispetto a quella del dating system e inoltre è strettamente legata all’idea dell’amore romantico, quindi più generalmente all’idea del matrimonio e della home, influenzata dal clima culturale dell’epoca (forte pressione anche data dal gossip). Molte ragazze bianche dichiarano che il loro ideale è un matrimonio con un buon numero di figli a cui dedicarsi, per questo spesso interrompono gli studi sia superiori che universitari a favore di un matrimonio precoce e di una vita da casalinga. Molte giovani donne con un buon curriculum formativo sono quindi costrette ad abbandonare gli 21 studi per la vita da casalinga, mentre altre si ritrovano a lavorare per ragioni economiche, peraltro interrompendo degli studi che avrebbero permesso loro di trovare un’occupazione migliore. Si tratta quindi di un quadro sconfortante per la figura della donna, pressato fortemente sia dalla cultura mainstream (cinema, pubblicità…) che da pubblicazioni “scientifiche” di successo all’epoca, duramente colpevolizzanti nei confronti delle donne che lavorano (negli anni 50 molte donne lavorano per esigenze economiche) e che, addirittura, sostengono che le donne che si sono arruolate nei servizi ausiliari durante la guerra, soffrono di deviazioni mentali e sessuali. V.VI Gli uomini preferiscono le bionde I personaggi interpretati da Marilyn Monroe sono complessi. L’anno 1953 per lei è cruciale: escono tre film in cui lei è protagonista o co-protagonista e a dicembre esce anche il primo numero di una nuova rivista, “Playboy”, che dedica all’attrice sia la copertina che la foto nella pagina centrale. Le narrazioni cinematografiche di Marilyn sdoppiano la sua immagine. In “Niagara”, il personaggio di Rose Loomis è la tipica femme fatale hollywoodiana sexy e perversa. Rose ha un amante, e lo convince ad uccidere il marito George, ma il piano va storto. Sarà George a uccidere l’amante e poi la moglie, suicidandosi infine facendosi cadere con un motoscafo dalle cascate del Niagara. Così i peccatori, come da formula, trovano la loro punizione. In “How to Marry a Millionaire” il personaggio è molto diverso. Pola Debevoise è la tipica incarnazione della dumb blonde: sessualmente attraente ma resa innocua dalla sua stupidità, e tentata dal mondo del successo e della ricchezza. Fa parte di un terzetto di cacciatrici di dote, composto dalle altre due sue amiche. Diverse ma tutte e tre molto simpatiche, condividono un materialismo senza nessuna critica. Il film ha comunque una sua morale, perché tutte e tre decidono di sposarsi con un uomo del quale si sono innamorate, rinunciando ai soldi. Una di loro ad esempio proprio al momento del sì con un uomo molto ricco e molto più vecchio di lei, cambia idea e preferisce dire addio ai soldi per sposarsi con il suo giovane amore. In “Gli uomini preferiscono le bionde” Marilyn interpreta Lorelei, grande amica di Dorothy (interpretata da Jane Russell) e sono entrambe ballerine e cantanti, entrambe alla ricerca di un uomo. Lorelei è una cacciatrice di dote che è riuscita a incastrare un giovane milionario un po’ tonto; l’altra è meno interessata ai soldi e più alla bellezza dell’uomo. Alla fine le ragazze si sposano con una doppia cerimonia. Il finale matrimoniale nobilita il materialismo di entrambe. L’ultimo film si mantiene in bilico tra l’essere favorevole alla morale matrimoniale e l’abbracciare un’ideologia materialistica spregiudicata. Entrambi aspetti accolti positivamente dall’etica mainstream. Queste sono caratteristiche anche di “A qualcuno piace caldo” del 1959 di Wilder. Il film racconta di due musicisti jazz, Joe e Jerry che, per sfuggire ai sicari della mafia che li vogliono far fuori perché hanno assistito a un’esecuzione, si travestono da donne e si fanno assumere in un’orchestra femminile, nella quale si esibisce Sugar Kane (Marilyn) cantante e suonatrice di ukulele. Il gioco del travestimento mette in ridicolo il maschilismo eroico dell’etica mainstream. Ma c’è di più. Joe, innamorato di Sugar, architetta un marchingegno al fine di sedurla, e per realizzarlo si traverse ulteriormente da milionario impotente bisognoso delle cure di Sugar per sbloccarsi. Intanto Jerry fa innamorare di sé un ricchissimo milionario. La conclusione è un paradossale lieto fine: Joe e Sugar si innamorano e lei supera il fatto che lui si sia finto ricco per sedurla (quindi l’oca bionda materialista che ha un cuore di Cenerentola in cerca del Principe Azzurro); e Joe\Josephine si chiarisce con il suo ricco innamorato in un dialogo simbolo del film in cui rivela di essere un uomo, e l’amante ingannato conclude il dialogo con “Beh, nessuno è perfetto.”. Il film di Wilder manifesta un intelligente disagio per i valori di massa comuni, soprattutto riguardanti il machismo e la repressione dell’omosessualità MA non li esamina a fondo e non prova nemmeno a decostruirli. La chiave comica, invece di produrre una presa di coscienza, serve da premessa per un’archiviazione immediatamente 22 al primo posto delle classifiche country, e proprio nel 1952 raggiunge l’apice del successo. Il 1952 è anche, però, un anno infelice per il cantante: la moglie chiede il divorzio, lui incontra un’altra e la sposa, una terza donna lo accusa di averla messa incinta e lui accetta di pagare per il figlio (anche se poi si scoprirà che il padre non è lui). In tutto ciò Williams si alcolizza, e abusa di morfina e farmaci. Williams morirà proprio nel 1952 a 29 anni, e dopo la morte il cantante godrà di un successo ancor maggiore rispetto a quando era in vita. Vengono richieste foto su foto alla sua casa discografica, dischi, le radio mandano i suoi singoli ininterrottamente, e la sua figura verrà pian piano “divinizzata”, soprattutto per mano della madre e della sua prima moglie che pubblicano molte interviste. Il 13 marzo 1953, per un accordo tra le varie radio, viene proclamato lo “Hank Williams Day” e vengono pubblicate più di 16 canzoni tributo. È un esempio di quanto un tributo alla vita di qualcuno sia in realtà, per la cultura di massa mainstream, solo un business. Ma è simbolo anche di un’altra dinamica: la negazione della morte, specie dopo la fine della guerra: si ha paura della morte, la si nega o non se ne parla. A tale processo di rimozione contribuisce anche la straordinaria ripresa economica che induce a un ottimismo quasi isterico; contribuisce il materialismo estremo sollecitato dalla cultura di massa, il culto del lieto fine, le fantasticherie eroiche immortali. E contribuisce anche il miglioramento in ambito medico-scientifico che ha permesso l’abbattimento dei tassi di mortalità, soprattutto quella infantile. Così la morte viene associata unilateralmente alla vecchiaia QUINDI le morti premature divengono qualcosa di straziante ed insopportabile. Per questo una giovane star morta diventa qualcosa di simile ad una divinità, morta per ingiustizia, e pensare che Williams, che non era nemmeno incline a vedere la vita dalla prospettiva etica della cultura mainstream, venga coinvolto in questo processo, permette di comprendere la forza della cultura di massa. VI.V R&B Lomax e John Work, un professore di colore, nell’agosto 1941 arrivano in una piantagione del Mississippi alla ricerca di qualcuno che suoni vecchi blues. Trovano McKinley Morganfield, contadino di 28 anni. Lui suona la sua chitarra e loro lo registrano con il loro apparecchio: il giovane non aveva mai visto niente di simile. Così, Muddy Waters, (come è soprannominato), se ne va dal Mississippi per fare della musica il suo lavoro. Nel 1945, arrivato a Chicago, ma Muddy non è il solo a muoversi. Fin da dopo la guerra milioni di neri se ne vanno dal Sud e si trasferiscono nelle grandi città in cerca di fortuna, e anche se in quegli anni il mercato discografico resta razzialmente separato e musicisti neri suonano per un pubblico nero, si intuiva che qualcosa stava cambiando. Nel 1949 Billboard fa cadere le rubriche che incorporavano il termine “race record” in esse, e sostituisce il nome con “Rhythm and Blues" (R&B). Questo diventa il termine standard per indicare l’insieme della musica pop afroamericana e questo mutamento di etichetta viene considerato il simbolo di un nuovo rispetto per la comunità afroamericana. Muddy Waters diventa un vero e proprio innovatore di questo genere quando nel 1945, poco dopo essere arrivato a Chicago, cambia la sua chitarra acustica in una elettrica: i bluesman sono tra i primi a fare di questo tipo di chitarra il loro strumento d’elezione. Con essa, lo stile, la poetica e il modello delle strofe articolate in tre versi vengono mantenuti, ma cambia il ritmo che viene accelerato e più marcato. Il blues elettrico ha un enorme influenza sulla successiva evoluzione della popular music e della cultura di massa, ma inizialmente non piace al pubblico nero, che preferisce invece l’R&B. Questo genere mischia essenzialmente tutti i generi della musica popolare afroamericana (blues, jazz, gospel, e in qualche caso traggono spunti anche dal pop e dal country). L’obiettivo dei cantanti R&B è quello di costruire una musica da ballo. Oltre a questo, l’R&B è differente dal blues anche sul terreno lirico: il blues elettronico riprende il tema dell’ossessivo sconforto personale che sembra non poter avere sollievo, che si traduce nella constatazione di essere stato abbandonato, deluso dalla società o dalla persona amata. La depressione blues può essere vinta muovendosi (viaggio) o affondando nell’alcol. C’è anche il tema della guerra dei sessi. L’R&B, invece, riprende in parte questi temi, ma si focalizza maggiormente sull’esaltazione del piacere del ballo, del trovarsi insieme, del fare sesso e persino dell’abbandonarsi a qualche 25 sensazione “proibita”. Anche in queste canzoni non manca il tema del confronto dei sessi, ma viene presentato anche in questo caso in tono più scherzoso che drammatico. Il successo di queste musiche è reso possibile dall’esistenza di un’articolata rete di case discografiche e di radio indipendenti. Fin dal 1929 le majors discografiche hanno giudicato il mercato della musica nera come economicamente irrilevante e trascurabile, concentrandosi quindi sulla musica pop e country. Ciò ha permesso a una serie di imprenditori di fondare molte piccole etichette che si dedicano a stili musicali di nicchia, primo tra tutti il R&B. Inoltre anche le stazioni radiofoniche indipendenti sono in rapido aumento in questo periodo, a causa dei network radiofonici che nel secondo dopoguerra si concentrano maggiormente sul settore televisivo. Queste stazioni iniziano ad orientarsi verso un pubblico che per l’una o l’altra ragione non sono attratti dalle trasmissioni pop televisive, e quindi abbracciano soprattutto il R&B. È soprattutto un pubblico giovanile quello che si orienta verso questo stile: i ragazzi neri in tv trovano solo pop songs eseguite da bianchi, un genere che tra le comunità afroamericane non va molto. Per questo motivo preferiscono la radio (che è anche più economica e maneggevole) per ascoltare musiche che sentono più di loro appartenenza. Come successe in passato per lo swing, anche adesso una piccola parte di giovani bianchi si lascia trasportare da questi ritmi, e ne è testimone il passaggio di classifica di molti brani originariamente pensati per il mercato R&B, che riescono però a sfondare nel mercato pop. Il resto dell’opinione pubblica bianca rimane più conservatrice, e ha un’opinione del R&B più negativa, arrivando a fare critiche dal tono iperbolico, che sono solamente la prima avvisaglia di un nuovo e ben più esteso moral panic che sta per attraversare l’opinione pubblica bianca in relazione all’uso che i giovani fanno dei prodotti della cultura di massa. SECONDA PARTE: THE TIMES THEY ARE A-CHANGIN’ VII. Rock and roll VII.I Giovani delinquenti Nonostante tutte le rassicurazioni provenienti dalla cultura di massa mainstream, la componente paranoica continua ad alimentarsi incessantemente, non solo per paura del “nemico esterno” (il comunista) ma anche del “nemico interno”: il giovane delinquente. Si ha l'impressione che gli atteggiamenti devianti, che nei decenni precedenti sono stati riconosciuti come tipici di classi basse o delle minoranze etniche, stiano contagiando anche i giovani bianchi di classe media. In realtà i dati non giustificano queste preoccupazioni: i reati commessi da adolescenti non sono in crescita, anzi addirittura in diminuzione. Il motivo però per il quale si instaura questa visione dei giovani è la tendenza a considerare reati gravi anche pratiche innocue, come disubbidire ai genitori, fare rissa, tornare tardi la sera o bere birra pur essendo minorenne. Inoltre c'è un cambiamento nella composizione scolastica, soprattutto superiore: si mettono fianco a fianco ragazzi di ambienti sociali ed etnie diverse e ciò basta a scatenare la paura di un contagio degenerativo. Ecco allora che un pregiudizio riesce ad essere così forzato da trovare conferma anche se la realtà smentisce. Fredric Wertham, psichiatra e critico di comics books, considera i fumetti come un medium che popolarizza e “glamourizza” stili di vita e comportamenti delinquenziali. In parte è un ragionamento fondato perché in essi non c'è autocensura, e quindi circolano crime stories che cercano di attrarre giovani con immagini violente ed erotiche. Nel 1954 lo studioso pubblica “Seduction of the Innocent”, un saggio di polemica che ha un grossissimo impatto, tanto da portare ad un'inchiesta che conduce all’autoregolazione dei maggiori editori di fumetti. Vengono eliminate tutte le scene di violenza, e accenni alla droga e al sesso; non possono nemmeno essere nominate parole relative a questi argomenti. Un bollo particolare su ogni comic book certifica che esso è stato approvato e controllato da una commissione apposita. 26 Ovvio che le majors di Hollywood non potevano non seguire la linea, così, insieme a film anticomunisti, arrivano anche film che mettono in guardia da generazioni teppistiche e violente, dove alla fine chi se la merita riceve un'adeguata punizione (soluzione moraleggiante). Tuttavia, per uno strano meccanismo, questi film contro certi costumi e usi di giovani di nicchia, finiscono per renderli popolari. Questo è anche dato dal fatto che forse le case produttrici dei film sono costrette a non essere troppo dure nella descrizione dei giovani, in quanto in questi ultimi anni il pubblico sta diventando prevalentemente giovanile. Il bomber da aviatore e lo stile da biker di Marlon Brando (The Wild One) o la t-shirt a pelle di James Dean (Rebel Without a Cause) diventano simboli dei gruppi di ragazzi\e che vogliono fare gli alternativi. VII.II Nascita di una nuova musica C’è una musica che si carica di significati simbolici ancora più coinvolgenti, ed è proprio un film a lanciarla: “Blackboard Jungle”. Il film racconta di un professore che inizia ad insegnare in una high school maschile, e deve scontrarsi con i comportamenti aggressivi di una gang delinquente, che alla fine riesce a riportare all'ordine grazie all’appoggio di uno studente afroamericano. L’intenzione del film era quella di rappresentare la superiorità etica degli adulti che sanno guidare i giovani; tuttavia, sui titoli di apertura e di coda, suona un brano uscito da qualche mese: “Rock Around the Clock” di Bill Haley. La canzone trasmette il desiderio di divertirsi abbandonandosi a un ballo scatenato, ma l'idea del regista in realtà era quella di associare questa nuova musica alla violenza e dissolutezza giovanile. Il film però diventa uno straordinario trampolino di lancio per questa canzone, che diventa un successo da milioni di copie vendute: alla fine del decennio ha raggiunto White Christmas come singolo più venduto di sempre, e ad oggi è ancora il quarto più venduto con 25 milioni di copie. Memphis, Tennessee, fine estate del 1953. Un giovane diciottenne si presenta negli uffici di una piccola etichetta discografica indipendente (Sun Records) dove si possono registrare dischi per uso proprio. Appassionato di musica pop, il giovane vorrebbe incidere un disco, quindi paga quattro dollari e registra i suoi pezzi. Il direttore della casa non ne resta impressionato, nemmeno quando ritorna ad incidere per una seconda volta MA la segretaria registra il suo nome: Elvis Presley. Un anno dopo il direttore ha un bel pezzo da incidere ma non un cantante. La segretaria però si ricorda del ragazzo, e lo chiama. Dopo iniziali tentativi disastrosi, il direttore gli affianca due esperti di session: Scotty Moore e Bill Black. In un primo momento di registrazione, il cantante non sembra niente di speciale MA durante la pausa, Elvis si mette a cantare un blues saltando per la stanza e facendo anche un po’ lo scemo. I due musicisti si uniscono a lui, e il pezzo viene registrato. E’ “That’s All Right” (pezzo già esistente), e viene passato a un DJ molto celebre nella località. Il pezzo viene mandato in heavy rotation e riscuote un successo incredibile, tanto che il discografico vuole un altro pezzo: è così che viene registrato un altro pezzo già esistente ma questa volta country, Blue Moon of Kentucky. Il disco con That’s All Right da un lato e Blue Moon of Kentucky dall’altro riscuote moltissimo successo, e soprattutto stupisce molto gli ascoltatori: Presley, bianco, canta una musica che appartiene alla tradizione afroamericana e lo fa senza mutare nulla del blues. E ancora più innovativa è la performance del secondo brano, che viene trasformato da un disco country a un pezzo quasi R&B. In entrambi i casi vengono attraversati confini etno culturali fino allora rigidissimi, tanto che per molti questi nuovi pezzi sono uno scandalo. Nel 1955 con “Blackboard Jungle” si impone definitivamente questa nuova musica. 27 La spettacolarità dello sport, la bellezza dei luoghi, la rischiosa competizione con le onde, l’abbigliamento, conferiscono alla comunità postbellica dei surfisti notevoli elementi di attrattività e ribellione. Molti giovani facenti parte di gruppi marginali delle high schools iniziano ad avvicinarsi a queste comunità, anche per opporsi alle leading crowds e le loro attività scolastiche, e provare quel senso di ribellione. In realtà questo è un mood ribelle dal contenuto incerto: la filosofia di fondo della comunità sta nel fuggire dalla scuola, dal lavoro, dal dovere, espandendo il tempo libero che sostanzialmente diviene l’unico universo esistente. Questo ovviamente può portare a problematiche economiche, che in alcuni casi si risolvono con lavoretti non troppo impegnativi e possibilmente inerenti al mondo sportivo, mentre in altri casi si ricorre a piccoli furti nei negozi locali. Queste connotazioni bastano a suscitare sdegnati attacchi critici dei media locali, e anche la netta opposizione dei giovani dell’élite delle high schools, che si contrappongono a questo nuovo stile di vita, apprezzato invece dagli studenti marginali. Ma poi il mondo del surf trova la via della cultura di massa mainstream, attraverso la pubblicazione di riviste specializzate, il cinema e la musica pop. Al cinema esce nel 1959 “Gidget”, che presenta la storia dell’ingresso di una ragazza di buona famiglia in una comunità di surfisti, e delle loro avventure ribelli e pericolose. Alla fine il leader abbandona la vita selvaggia e trova lavoro. Nell’ambito musicale sfondano i Beach Boys, giovanissimi californiani che esordiscono nel 1961 con canzoni su ritmi R&B e r’n’r che narrano la vita da surfista. A questo punto la moda del surf (abbigliamento e sport) non ci mette molto ad essere adottata anche dalle élite delle high schools, e le originarie peculiarità controcorrente (amore per il selvaggio, volontà di isolarsi nella natura…) della comunità vanno perdute. Gli esempi del r’n’r e del surf mostrano la fragilità di queste controtendenze di fronte al sistema della cultura di massa mainstream, che riesce a trasformarle in semplici mode passeggere. E questa impressione sembra essere confermata anche dalla nuova mappa della popular music statunitense che si forma dopo la perdita d’impatto del r’n’r. Per la prima volta, infatti, sembrava si stesse costruendo una scena musicale nella quale artisti bianchi e neri si esibivano l’uno di fianco all’altro. Questa esperienza però dura poco: agli inizi degli anni ’60 le nuove mode pop (tra cui quella dei surfisti Beach Boys) tendono a riportare in vita la “linea di colore”. Anche Billboard, che nel 1963 elimina la classifica R&B (come a sottolineare la commistione di generi della comunità bianca e della comunità nera), due anni dopo la reintroduce, perché si rende conto che i gusti del pubblico nero sono nuovamente cambiati: i generi che attraggono le comunità afroamericane sono principalmente la soul music e lo stile Motown. Il soul ha una vastissima gamma di talenti, tutti afroamericani, come Aretha Franklin. Questa musica, rispetto al R&B dal quale deriva, accentua maggiormente i bassi e dà più spazio ai fiati. Inoltre ha anche diverse influenze gospel, e lo si comprende dal suo impianto basato sul call and response (soprattutto tra performer e pubblico). L’altro genere viene prodotto dalla Motown, una casa discografica dall’organigramma interamente afroamericano di Detroit fondata da Berry Gordy Jr. Una delle soluzioni vincenti applicata da Gordy è quella di prendere in considerazione che la maggioranza del suo pubblico è giovane e ascolta la musica dalla radio QUINDI la produzione deve essere limitata in quanto le radio non sostengono arrangiamenti complessi. SI preferisce una ritmica più delicata, che porta in primo piano la voce (melodia) e il basso e la batteria (ritmo) mentre tutto il resto viene lasciato sullo sfondo. Tra gli artisti principali lanciati dalla Motown troviamo The Supremes, Marvin Gaye e Stevie Wonder, artisti che cantano canzoni dai testi riguardanti il classico tema pop dell’amore in diverse forme. VIII. Beat Generation VIII.I “Hipster testadangelo” In “Urlo” (1956), Ginsberg legittima in forma definitiva le ambizioni culturali di una nuova costellazione intellettuale: la Beat Generation. Soprattutto nell’incipit: “Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte da pazzia, morir di fame isteriche nude strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia”. 30 È un urlo di rabbia, una celebrazione dell’autodistruzione bohémien che l’autore condivide con altri giovani intellettuali, tra alcol e droghe. Le esperienze trattate vengono collegate al romanticismo che attraversa anche le controculture dell’hard country o del blues: si cerca disperatamente un’identità che consenta di sfuggire alla normalizzazione imposta dall’etica mainstream. Ginsberg aveva effettivamente conosciuto un gruppo di studenti e ex-studenti della Columbia con i quali aveva condiviso il suo inferno, scambiato progetti, ambizioni letterarie e affetti. Tra questi troviamo: • William Burroughs, nato nel 1914. Suo nonno ha inventato la prima macchina calcolatrice, quindi ha una certa stabilità economica. La famiglia però è piena di problemi di altro genere e William ne porta i segni. La sua personalità è complessa; è un po’ strano. Crescendo scoprirà di essere omosessuale. Si laurea in letteratura a Harvard. A 25 anni è fidanzato con un ragazzo che lo fa soffrire e questo lo porta ad automutilarsi un mignolo. Viene per questo ricoverato, ed una volta uscito va a New York, dove per amici in comune entra in contatto proprio con Ginsberg. • Allen Ginsberg, 1926. Entrambi i genitori sono ebraici, la madre soffre di schizofrenia ed il padre fa di tutto per crescere lui e suo fratello. Allen soffre molto per la sua omosessualità; dopo la maturità entra alla Columbia dove conosce il suo gruppo e anche Kerouac, di cui si innamora, ma non è ricambiato. • Jack Kerouac, 1922. Genitori operai. A 4 anni perde il fratello più grande; il lutto segna lui e tutta la famiglia. Riesce comunque ad emergere come uno dei migliori giocatori di football della scuola, e questo gli fa ottenere una borsa di studia per la Columbia. Dopo un anno abbandona l’università e torna a casa, in un tira e molla che si interrompe solo quando conoscerà il gruppo di amici. • Neal Cassidy, 1926, ha genitori separati, da piccolissimo vive con il padre, un barbiere alcolizzato che lo fa crescere in condizioni di povertà e abbandono. Torna con la madre (psicologicamente assente), la sorellina e il fratellastro, un sadico che lo tormenta. Neal deve crescere troppo in fretta, fin da nove anni ha rapporti con femmine e maschi, lo avrà anche con Ginsberg. Trascorre un periodo in prigione dove decide di darsi una cultura. Nel 1945 sposa una quindicenne e si trasferiscono a New York con una macchina rubata e soldi rubati. Lì conosce Kerouac e Ginsberg, suoi amici inseparabili. • Gregory Corso, il più giovane, 1930 ha origini italiane. Passa la giovinezza tra una famiglia affidataria e l’altra, poi torna dal padre ma viene rinchiuso in riformatorio per aver presumibilmente rubato una radio. Lì viene picchiato in continuazione QUINDI si riferisce da solo alla mano per uscire. Comincia però a vivere per strada, rubando cibo per sopravvivere. A 16 anni dopo una rapina viene messo in prigione, dove passa il tempo a leggere e studiare. Dopo tre anni esce e va a New York, dove incontra Ginsberg. Questi personaggi passano insieme diversi anni ed elaborano un’ambiziosa new vision della letteratura che vorrebbero produrre, guidata dall’idea secondo la quale l’espressione priva di censure dovrebbe essere la base dell’attività creativa. Essa dovrebbe essere alimentata attraverso un sistematico ampliamento della sensibilità attraverso l’uso di droghe e altre sostanze, insomma qualunque cosa permetta di liberarsi dall’oppressione di quella che loro giudicano l’ottusa moralità dominante. Già dagli anni ‘40, i membri del gruppo cominciano ad autodefinirsi “beat”. Il termine ha due accezioni: quella originaria di “battuto, “distrutto” e quella meno ovvia, lanciata da Kerouac qualche tempo dopo, che trasforma questo stato in una condizione di grazia, o meglio “beatitudine”, la beatitudine del perdente. Cominciano però vicende negativamente travolgenti: tra alcool, droghe, omicidi e vite caotiche questi giovani non hanno visibilità se non in senso negativo. 31 VIII.II Un reading L’etichetta “beat” prenderà avvio nel 1955 a San Francisco. Lì si sono trasferiti Ginsberg e Cassidy, occasionalmente raggiunti anche da Kerouac. A San Francisco Ginsberg conosce Lawrence Ferlinghetti, un intellettuale proprietario della libreria City Lights e dell’omonima casa editrice. Inoltre incontra anche un poeta locale che gli propone di organizzare una serata di lettura pubblica nella quale si possono ascoltare le produzioni di questa generazione di nuovi artisti. La performance pubblica in cui per la prima volta viene letta la prima parte di Howl (Urlo) ha una risonanza inizialmente solo locale. L’aspetto particolare della performance è la corporeità, la fisicità della lettura, quasi come in un’improvvisazione jazz, nonostante il testo non fosse per nulla improvvisato, bensì lungamente lavorato. Ferlinghetti è così colpito da “Urlo” che propone a Ginsberg di pubblicarlo il giorno dopo la lettura pubblica e di aggiungerci ulteriori sezioni. Il poema non è semplice: il verso è guidato da associazioni visionarie. I temi affrontati sono la descrizione di una generazione controcorrente, la celebrazione della pazzia, della sessualità priva di limiti (etero e omosessuale), della creatività derivata dall’uso di droghe. È bene insistere sulla forza innovativa del coming out di Ginsberg, che si fa portatore per conto della comunità a cui appartiene. Fino a quel momento la sessualità è un tema che è stato sistematicamente rimosso dalla cultura mainstream, specie nella sua accezione omosessuale. Lo stesso trattamento veniva riservato alle droghe, che puntualmente venivano censurate. L’autore affronta tutto questo in un tono enfatico, gridato, celebrativo. Non ha niente da nascondere, niente di cui vergognarsi. Tuttavia il tono assume anche delle sfumature tragiche che derivano dalla consapevolezza dello stato di marginalità di chi si ritrova a combattere l’orizzonte etico dominante. Il testo di Ginsberg, quindi, non è certamente un prodotto adatto al mercato di massa, però la pubblicazione del libro ha delle ripercussioni nel contesto culturale dell’epoca. Oltre alle varie critiche, nel maggio 1957, nella libreria di Ferlinghetti arrivano due poliziotti in borghese con un mandato d’arresto per il commesso e per Ferlinghetti stesso, con l’accusa di vendita di materiale osceno (il libro di Ginsberg). L’autore invece scampa all’arresto perché in quel momento si trova in Marocco. Alla fine il giudice assolve gli imputati e gli riconosce libertà di espressione. L’intera vicenda, se non altro, ha portato clamore e notorietà al libro che nelle settimane seguenti fa delle vendite pazzesche (10.000 copie) considerata l’audacia tematica ed estetica della poesia di Ginsberg. VIII.III Sulla strada Tutto ciò non basterebbe a fare del fenomeno beat qualcosa di veramente nazionale, se non fosse che nel 1957 Jack Kerouac pubblica il suo romanzo “On The Road”, che riceve enorme successo. Narra di Sal Paradise (l’autore stesso), dell’amicizia con Carlo Marx (Ginsberg) e soprattutto con Dean Moriarty (Cassidy) e dei viaggi che Sal compie attraverso gli States. I rapporti che si intrecciano sono intensi ma anche distorti dall’alcol e dalle droghe, nel contesto di feste che sembrano essere dei pre-rave party. Il tema principale però è il viaggio senza meta in contrapposizione all’idea di entrare definitivamente nell’ingranaggio distruttivo della società di massa. E’ un viaggio che torna sempre da dove è partito. Non c’è fine, c’è solo movimento instancabile perché non c’è fiducia nella società scandita dalle norme del conformismo post-bellico. Il fascino del libro sta anche nello stile: Kerouac scrisse a macchina su un rotolo da telescrivente così da non dover mai fermarsi, come una sorta di flusso di coscienza. Questa “improvvisazione” gli è data anche dalla passione per il jazz, che in generale è accompagnata da un amore dichiarato per le culture straniere (afroamericana o messicana) e la loro marginalità, che in molti casi viene estetizzata dallo stesso Kerouac. Oltre al jazz, anche il blues è un genere che lascia un’impronta sulla narrativa beat di Kerouac. Questa influenza si evince soprattutto dal romanzo pubblicato l’anno dopo, “The Subterraneans”, che ripercorre una delle matrici 32 Nell’università di Ann Arbor (Michigan) alcuni studenti prendono l’iniziativa di far rinascere una preesistente associazione giovanile socialista anticomunista: nasce così Students for a Democratic Society (SDS). Si tratta di un modo di affrontare il disagio percepito di fronte al conformismo imposto in quegli anni, che, come abbiamo visto, altri decidevano di affrontare aderendo altri gruppi subculturali (surfisti, beat…). E’ una nuova esperienza della Old Left socialista e comunista: l’organizzazione comincia a diffondersi in altre università del paese e i militanti si uniscono per definire meglio il programma. Nel giugno 1962 c’è un importante incontro a cui partecipano anche rappresentanti della CORE, SNCC, NAACP e altre organizzazioni giovanili. In questa circostanza viene approvato il Port Huron Statement. Il Manifesto era fortemente influenzato dal movimento per i diritti civili, e criticava il sistema, la discriminazione razziale, la diseguaglianza economica, e si poneva su posizioni pacifiste. Era attento anche ai temi del disagio esistenziale e generazionale. Il movimento studentesco cresce, ed inizia a porre attenzione anche a ciò che succede al di fuori delle università, cercando di sostenere qualsiasi lotta contro l’ingiustizia: • impegno nella ERAP (Economic Research and Action Project) – tentativo di mobilitare le comunità povere di grandi città per la richiesta di servizi di assistenza; • partecipazione al Mississippi Summer Project (MSP) – iniziativa che vuole aiutare la popolazione nera del Mississippi a iscriversi nelle liste elettorali dalle quali fino ad ora è stata esclusa; • formazione del movimento Free Speech Movement – chiede che sia riconosciuto il diritto agli studenti di discutere liberamente di questioni politiche e di attualità all’interno del campus. Il movimento cresce sempre di più e attira studenti anche fino ad allora non interessati alla politica. La diffusione è spinta anche dalla decisione del nuovo presidente Johnson, nel 1964, di inviare truppe americane in Vietnam, e dalla conseguente diffusione di un grande movimento pacifista, di cui SDS è un importante rappresentante. Molti giovani sostengono il movimento, anche perché i soldati che partono per il Vietnam sono coscritti, e il rischio di essere arruolati riguardava quindi i giovani maschi. IX.II We Shall Overcome In queste iniziative di proteste e manifestazioni pacifiste, la musica svolge un ruolo essenziale. Nei primi anni del Movimento per i diritti civili è importante la musica religiosa di origine afroamericana, gli spiritual, gospel: sia perché parte è integrante delle chiese protestanti afroamericane (che assicurano la struttura organizzativa del Movimento), sia perché è un genere funzionale alle esigenze militanti. I testi infatti descrivono la speranza di raggiungere un mondo migliore (che nei testi originali si riferisce al paradiso, mentre in quelli impiegati dai manifestanti al mondo attuale), e la struttura a “call e response” fa sentire uniti e dà coraggio. Ma soprattutto la “Highlander Folk School” dà un contributo essenziale; fondata nel 1932 nel Tennessee da due giovani educatori e teologi, la scuola collabora con sindacati e organizzazioni come la NAACP e anche con il Movimento stesso. La scuola si offre per formare gli aspiranti attivisti di queste formazioni, e nelle attività didattiche della scuola, la musica ha sin da subito un ruolo rilevante, anche grazie a studiosi e ricercatori del genere folk come Guy Carawan. Questo studioso trasmette al Movimento una parte della tradizione della canzone folk di protesta, fiorito tra gli anni ‘30 e la Seconda Guerra. In particolare, il Movimento si impossessa di una canzone che finisce per diventare il suo inno: We Shall Overcome. La canzone venne scritta nel 1900, e per il Movimento ne viene arrangiato il titolo, il ritmo e qualche verso. La canzone verrà eseguita anche alla grande marcia di Washington, alla quale partecipano noti musicisti come Mahalia Jackson, Josh White, e il giovane Bob Dylan. 35 IX.III Il primo Bob Dylan Dylan, originario del Minnesota, arriva a 20 anni a New York con l’obiettivo di inserirsi nel circuito della musica folk. Da ragazzino, quando frequenta il liceo, si appassiona alle musiche di Johnnie Ray e Hank Williams, ma anche al blues. Ama il cinema (tra i suoi preferiti “Blackboard Jungle” e “Rebel Without a Cause”) e ama Elvis, il suo idolo, anche se presto scoprirà che il r’n’r non rappresenta in modo realistico lui e la realtà. Nel 1959 va a Minneapolis per frequentare l’università e scopre il folk (Odetta e soprattutto Woody Guthrie), la letteratura beat e in particolare “On The Road” di Kerouac. Tutto questo lo colpisce profondamente e si avvicina musicalmente al mondo del folk. Legge anche “Bound for Glory”, una specie di autobiografia di Woody Guthrie: inizia l’infatuazione per lui, che all’epoca è ricoverato in un ospedale del New Jersey. Nel gennaio 1961 va a visitarlo. Intanto, Bob comincia a costruirsi una fama locale, esibendosi spesso col suo nuovo repertorio folk in diversi locali del Greenwich Village. Qualcuno si sta accorgendo di lui: sul New York Times del settembre del 1961, una sua esibizione viene recensita con toni entusiastici. Un mese più tardi, firma un contratto con una delle più importanti majors discografiche: la CBS. Il suo primo album “Bob Dylan” è del 1962 e contiene 11 cover e solo 2 originali, uno dei quali è dedicato a Guthrie. Il disco si perde nella miriade di lavori folk promossi nell’intensa ondata di revival di quel periodo e non riscuote molto successo. Il discorso cambia con il secondo “The Freewheelin’ Bob Dylan” (1963) e il terzo album “The Times They Are a-Changin’” (1964), che contengono tutte, o quasi, canzoni originali. Come nel primo disco le canzoni sono musicalmente molto semplici, suonate con la chitarra acustica e l’armonica; rispetto a “Bob Dylan” però i testi affrontano una più grande varietà di tematiche. Tra tutte le musiche, spicca “Blowin' in the Wind”, che nel 63 raggiunge il secondo posto nella classifica Billboard, vendendo più di un milione di copie. Le sue canzoni mostrano sensibilità per i marginali, neri, poveri, che gli deriva dalle matrici beat, folk e blues. Mostrano un modo nuovo di guardare la società, e toccano corde profonde tra i giovani della SDS o SNCC. L’autore si impone nel repertorio di raduni del Movimento per i diritti civili o del nascente movimento studentesco e sembra così candidarsi al ruolo di portavoce dei movimenti di protesta, e in effetti vi partecipa anche. Nonostante, però, la politicità dei suoi testi, Dylan non vuole farsi portavoce di nessuno, né le sue parole sono di propaganda. Infatti i suoi testi non si traducono in una militanza diretta a favore di un preciso programma partitico. La sua posizione è polemica ma aperta, non ha risposte ai problemi del suo tempo: la risposta, come canta nella sua canzone, soffia nel vento, e spetta a ciascuno afferrarla autonomamente. Questa posizione viene spiegata in diversi testi del disco “The Times They Are a-Changin’”, dove si affrontano temi come: - sistemi di corruzione del consenso che passano attraverso i fondamentali istituti di socializzazione come la scuola, - la violenza segregazionista dalla prospettiva del razzista bianco del Sud, povero e ignorante, vittima di una manipolazione che non gli consente di comprendere che è solo una pedina, - il processo di nazionalizzazione delle masse. 36 Dylan vuole che si imponga una decostruzione di questa rete conformista, ma la liberazione non può essere frutto di un altro e diverso conformismo, dell’accettazione di una nuova verità. Lui crede che solo la riconquista di una piena autonomia di pensiero possa condurre davvero alla libertà. Insomma Dylan diviene in modo assai anticonformista un vero e proprio portavoce della nuova generazione, ma questo ruolo non gli piace, tanto che nel suo nuovo album “Another Side of Bob Dylan” (1964) dichiara di voler andare in un’altra direzione: non vuole più commentare direttamente le vicende “scottanti” della contemporaneità. Questo cambio di direzione non viene apprezzato da una parte di pubblico, infatti tra tutti i suoi dischi questo sarà uno di quelli che venderà di meno, ma Dylan ha in serbo delle sorprese per tutti i suoi vecchi fan. Dylan subirà nuove influenze: conoscerà alcuni dei più importanti esponenti della Beat Generation (tra cui Ginsberg), e rimarrà impressionato da “I Want To Hold Your Hand” dei Beatles, un gruppo emergente. IX.IV Dall’altra parte dell'Atlantico Fino ad ora, l’Europa ha solamente subito l'impatto delle varie forme che l’intrattenimento culturale ha assunto negli USA. L’ha subito sia per la loro forza seduttiva, sia per il rapporto di dipendenza economica e politica derivante dalla fine delle due guerre (Piano Marshall). Ovviamente anche gli intellettuali americani sono affascinati da diverse produzioni artistiche europee, ma questa costellazione di autori, anche se innovativa, colpisce solo un’area piccola e d’avanguardia del pubblico statunitense. Così lo scambio culturale resta ineguale: prodotti di massa economicamente e socialmente di grande impatto dagli USA all’Europa; prodotti di nicchia e colti dall’Europa agli USA. Questo avviene fino all’inizio degli anni ’60, perché allora qualcosa nello spazio della popular music inglese cambia. Negli anni ‘60, in Gran Bretagna, le produzioni statunitensi sono apprezzate in blocco come il moderno che finalmente irrompe in una società molto tradizionale, anche se non mancano reazioni negative di stampa conservatrice che si trasformano in delle vere e proprie manifestazioni di moral panic. Il pubblico britannico si apre sorprendentemente al jazz, al r’n’r, al R&B ed anche a un genere di nicchia come il blues. All’operazione contribuisce anche Lomax, che è emigrato in Gran Bretagna per sfuggire alla “caccia alle streghe” in USA, e che dal 1951 ha curato due trasmissioni su folk e blues afroamericano per la BBC. In particolare Lomax nota che a eseguire il doloroso repertorio blues, tra cui anche le prison songs, sono: “dei giovani bianchi che hanno sofferto poco rispetto alle comunità afroamericane del sud degli States. Ma poi mi sono reso conto che questi giovani devono essersi sentiti davvero in prigione, intrappolati nel sistema di classe e casta dell’impero britannico”. I giovani britannici infatti hanno una struttura educativa più rigida di quella statunitense: è previsto un ciclo inferiore (5-11 anni) con un esame selettivo finale. Sulla base dei risultati, i ragazzi (11-15 anni), vengono indirizzati in istituti professionalizzanti o nelle “grammar schools”, che consentono l’accesso al ciclo superiore e quindi anche all’università. Chi viene da famiglie di classe medio-alta solitamente riesce ad arrivare alle grammar, e chi riesce a fare questo percorso mostra tratti spiccatamente conservatori, anche in giovane età. Gli universitari conservatori dal punto di vista culturale mostrano una certa resistenza nei confronti della cultura di massa, sia per orgoglio nazionale, sia perché questa viene considerata artisticamente scadente e offuscante. Nei contesti di classe operaia, invece, spicca il teddy boy, che nasce nei primi anni ‘50. Si tratta di ragazzi che provengono da ambienti più disagiati, tagliati fuori perché privi di educazione scolastica, ma desiderosi di uscire dal loro ghetto sociale perché insofferenti per il sistema valoriale degli ambienti operai dai quali provengono. Per farlo adottano un abbigliamento derivante dalla cultura di massa statunitense (es. zoot suiters) e lo combinano con lo stile in voga nel periodo edoardiano (1901-1910; da qui il nome: Edward = Ted) e con quello dell’iconografia del gangster dei film hollywoodiani. Il gangster o il fuorilegge è simbolico perché capace di costruirsi uno status sociale solo attraverso sé stesso, senza valori morali seri e onesti. E’ l’espressione della loro realtà di outsiders, ma con aspirazioni di elevazioni sociali. Spesso i componenti di queste comunità hanno inclinazioni razziste e maschiliste. 37 classifiche (“It’s All Over Now”, “Little Red Rooster”). La svolta sulla scena statunitense arriva con “(I Can’t Get No) Satisfaction” e soprattutto con il nuovo album “December’s Children (And Everybody)” che viene pubblicizzato su un cartellone gigantesco a Times Square. Gli Stones sono strafottenti, arroganti, trasandati, cantano versi aggressivi e forti, e per l’epoca sono decisamente insoliti nell’universo pop. In parte la scelta di abbracciare questi atteggiamenti è una strategia pianificata dal loro manager per differenziarli il più possibile dai Beatles, d’altra parte si tratta anche di una loro sensibilità culturale che deriva dalla loro preferenza per R&B e blues. E grazie al loro successo, il blues (l’inquietudine profonda, l’amore andato male, la forza del desiderio sessuale ecc.) che sempre è rimasto in territori marginali, viene lanciato per la prima volta sul mercato di massa (il che riconferma la triste necessità di artisti banchi per lanciare sul mercato di massa la musica nera). Questo atteggiamento è una delle tante differenze che separano i Beatles dai Rolling Stones: abbigliamento, modo di porsi, ma soprattutto le scelte stilistiche che per i primi virano su brani sentimentali, mentre per i secondi su brani più ruvidi provenienti dalla musica afroamericana. Gli elementi di novità degli Stones sono due: l’uso del riff (breve frase musicale che introduce un brano e ricorre poi nel corso di esso come accompagnamento), e il saper interpretare in modo nuovo il disagio dei giovani. Proprio perché possiedono entrambe queste due caratteristiche, citiamo “I Can’t Get No Satisfaction) del 1965, con il riff iniziale forse più famoso della storia della popular music, e con il testo che fa riferimento al consumismo contemporaneo; e “Paint It Black” del 1966 che affronta il tema della morte (tema tabù nella cultura di massa e invece largamente trattato nel blues) o meglio, dell’elaborazione del lutto di fronte alla morte della ragazza amata. X.II Dylan goes electric Dylan matura il suo cambiamento negli anni, sia entrando in contatto con i Beatles (agosto 1964) sia ascoltando gli Animals e i Rolling Stones. La chiave della svolta sembra stare nell’uso della strumentazione elettrica e nel cambio di ritmo, strumenti che fino ad allora Dylan non aveva mai utilizzato. In un concerto del luglio 1965, Bob sale sul palco vestito in modo inconsueto e con una band elettrica, ma il mixer sballa. La gente comincia a fischiare sia per la pessima qualità del suono sia perché quello del cantante sembrava un tradimento, una resa al music business. Dopo tre brani il gruppo esce di scena e Dylan riprende la sua chitarra acustica e l’armonica. È l’inizio del mutamento stilistico, che non è solamente il capriccio di un musicista folk che vuole sfondare nel mondo r’n’r o pop, è una vera e propria trasformazione integrale nello stile poetico, oltre che musicale. Questa trasformazione connota i tre album “elettrici” (Bringing It All Back Home; Highway 61 Revisited; Blonde on Blonde) segnano una svolta fondamentale per l’intera storia della popular music. Dylan gira in direzione del r’n’r, del R&B e del blues elettrico, adottando una poetica derivata dall’esperienza beat. Dimostra che la musica popolare non è solo fatta di testi e musiche semplici, e ne sono esempio quattro dei suoi brani: • “Outlaw Blues”, per esempio, ci fa capire la sua svolta blues: infatti segue la struttura tipica della poetica blues. Nel testo il cantante difende la sua libertà e indipendenza e fa diversi riferimenti alla sua traiettoria artistica e quindi all’allontanamento dalle scene folk. In questi testi Dylan intende sfidare chi ascolta, come aveva fatto nei suoi testi precedenti: lui non ha la verità in tasca; • “Like a Rolling Stone”, dimostra che nonostante il cambiamento stilistico, Dylan guarda ancora con empatia all’underworld contronarrativo. Il testo infatti parla di una ragazza di buona famiglia che comincia ad abusare di alcol e a frequentare persone sbagliate. Il peggiore di loro le ha rubato tutto quello che aveva e adesso vive come una homeless. Quindi questo brano inaugura la figura dell’antieroe nel repertorio di Dylan; 40 • “Visions of Johanna” mostra la sperimentazione lessicale e poetica. Si tratta di un testo molto onirico e surreale che tratta di frammenti di immagini, conversazioni rubate e dialoghi vissuti; • “Sad-Eyed Lady of the Lowlands” è altrettanto straordinaria, è un’ode intensa a una donna amata (quasi certamente la moglie dell’epoca), piena di immagini suggestive. X.III La metamorfosi dei Beatles L’incontro dei Beatles con Dylan serve a qualcosa pure a loro: l’autore li rimprovera di essersi adagiati in brani accattivanti ma testualmente banali. Oltre a questo, il gruppo durante i suoi concerti si rende conto che le grida delle fan sono talmente forti da coprire la loro stessa musica. Per questi motivi nel 1966 il gruppo decide di non esibirsi più dal vivo e dedicarsi alla sua musica. Con la nuova sensibilità derivata da questa pausa, gli album successivi dei Beatles si rivoluzionano. In parte forse, la loro nuova creatività è incoraggiata dall’uso di cannabis e LSD, ma ciò che cambia davvero il quadro è soprattutto la consapevolezza di poter affrontare temi estranei alla popular music: solitudine, sofferenza, morte. Lo fanno in molti dei loro nuovi brani: • “Yesterday”, una canzone molto elegante che sembra essere un qualcosa a sé nel campo della popular music; sembra essere la storia di un amore che sta finendo, ma il vero soggetto è l’atteggiamento di un giovane che sta crescendo e l’ansia che deriva dalla crescita. • “Eleanor Rigby” parla di gente sola: la prima figura della solitudine è proprio Eleanor, una donna che passa le giornate raccogliendo riso nella chiesa dove si è appena celebrato un matrimonio, e ne sogna anche uno per lei che non arriverà mai. Sta in casa, allora, sola a fare i conti con sé stessa. Poi c’è il parroco della chiesa nella quale si è celebrato il matrimonio: padre McKenzie, che scrive sermoni che nessuno ascolta, non è in contatto con nessuno e non ha più passioni, nemmeno per il suo ruolo. Alla fine i due si incontrano, perché Eleanor muore e al funerale non verrà nessuno, solo il parroco, che per altro sembra non interessarsi a lei o alla sua anima; • “She’s Leaving Home” ha un arrangiamento classico. Il tema è quello del conflitto generazionale. Una ragazzina fugge da casa sua perché non si è sentita amata, e vuole costruire una nuova vita con il suo uomo. La vicenda è raccontata sia dal punto di vista della giovane ribelle, sia di quello dei genitori preoccupati. Non c’è rabbia nel suo gesto, anzi c’è anche commozione. Poi, come in un film, la prospettiva cambia: il padre dorme ancora e la madre scopre il biglietto lasciato dalla figlia. C’è sconcerto, rammarico, dolore per non essere riusciti a stringere un vero rapporto con lei, nonostante non le abbiano fatto mancare mai nulla. • “A Day in the Life” è, appunto, un giorno qualcuno della vita in cui accadono le cose più svariate, dalle più tragiche alle più normali. Un uomo muore in un incidente, un altro tizio va al cinema, un altro va al lavoro anche se non ne ha voglia, e su un quotidiano si legge quante buche ci siano in una strada di Blackburn. Quest’ultima notizia funziona da commento ironico su come la vita possa essere senza senso e inaspettata. Man mano che sperimentano nuovi testi, i Beatles rendono anche più complessa la struttura delle canzoni. Nel loro canzoniere, infatti, coesistono brani dalla struttura semplice, come Yesterday, anche se ciò non compromette la qualità del brano; e brani dalla struttura più complessa. Generalmente i Beatles tendevano a adottare prevalentemente due soluzioni: - mantenere una struttura semplice ma rendere complesso l’arrangiamento, come in “Tomorrow Never Knows”, che parla dell’illuminazione indotta dall’uso delle droghe. La forma complessiva della canzone è piuttosto semplice, ma in ciascuna delle sessioni vengono presentati una serie di effetti sonori particolari, come la risata di McCartney che viene distorta per farla sembrare il verso di un gabbiano e che si presenta sin dall’inizio della canzone. 41 - unire un arrangiamento sofisticato a una struttura più articolata, come quella di “A Day in the Life”. Il brano sostanzialmente si divide in due gruppi compositivi legati da un bridge strumentale. Esperimenti di questo genere scuotono tutto il mondo della popular music, tanto che da quel momento in poi moltissimi musicisti si sentiranno liberati dalla gabbia della canzone pop, e andranno in direzione di quella che verrà ribattezzata “musica rock”. X.IV Sulla West Coast Sulla West Coast, da North Beach (San Francisco) a Venice Beach (Los Angeles), i giovani restano colpiti dalle soluzioni stilistiche dei colleghi britannici, e cominciano a cambiare suonando blues con strumenti elettrici e nuove combinazioni. In alcuni casi questo mutamento stilistico ha un grande successo, come per i Byrds, che giocano sul meccanismo della commistione di diversi stili per affermare la loro autenticità, il loro distacco dal pop commerciale. Anche i Grateful Dead sperimentano con lunghe performance improvvisate simili all’improvvisazione che contraddistingueva il jazz. Un altro gruppo importante del periodo sono i Jefferson Airplane, che creano testi efficaci e suggestivi come quello di “White Rabbit” (descrive gli effetti delle droghe su una moderna Alice nel paese delle meraviglie). Tutti questi musicisti rischierebbero di cadere nel vuoto se non ci fosse un pubblico disposto ad accoglierli, e il nuovo pubblico infatti si sta trasformando. Oltre ai reduci dell’esperienza beat, si tratta di nuove leve di giovani di varia estrazione sociale, prevalentemente di classe media, che cercano una via di fuga dalla high school, da college, dalla rat race. Il nome con il quale i membri di questa comunità vengono identificati è hippie, che è una deformazione di “hip”, “hipster”. Anche in questo caso il vestiario e lo stile sono fondamentali, vari e stravaganti: giacche da cowboy con lunghe frange, occhialini tondi, fasce da indiani, vestiti molto colorati e capelli lunghi. Gli ideali si contraddistinguono per un’apertura assoluta ad ogni forma di sessualità, e in genere gli hippie sono contrari alla guerra (soprattutto ora che la guerra in Vietnam è in corso e si rischia di essere arruolati), agnostici per quanto riguarda la politica, e “orientali” per quanto riguarda la religione (buddismo e induismo). Fondamentale è l’uso di sostanze allucinogene, distinguendo in modo chiaro tra “droghe buone” che ampliano i confini della percezione (marijuana, hashish, LSD…) e “droghe cattive” che producono solamente annebbiamento (anfetamine, oppiacei, eroina e talvolta cocaina). L’uso delle sostanze è di gruppo, anche se la diffusione dell’eroina fa spesso breccia in personalità più fragili portandoli all’autodistruzione. Spesso si organizzano raduni video-musicali a base di droghe. Uno di questi, tenutosi in un piccolo gruppo hippie di San Francisco, è una festa “Tributo a Dr. Strange” personaggio dei fumetti Marvel, dove suonano anche i Jefferson Airplane, e si radunano più mille persone. Così si apre la strada ad altre manifestazioni del genere, alcune delle quali vengono organizzate da Bill Graham, di approccio prettamente imprenditoriale e Chet Helms, più interno alla comunità ed etica hippie. Insieme preparano sia concerti nei locali ma anche all’aperto, tra cui significativo è lo Human Be-In, nel 1967. Qui si uniscono poeti beat come Ginsberg e band come i Jefferson, i Grateful Dead e molti altri, attirando una folla di circa 20.000 persone. Gli eventi hippierock si moltiplicano, fino ad arrivare a Woodstock nel 1969 al quale partecipano 400-500.000 persone. La stampa trasforma il fenomeno hippie in un argomento di rilevanza nazionale, e il modello comportamentale ed etico della comunità si diffonde negli USA come in Europa. L’esperienza hippie però si trasforma ben presto solamente in un pretesto per guadagnare, soprattutto dopo la cosiddetta “Summer of Love” del 67, alla quale però iniziano a partecipare delinquenti, spacciatori e violenti, con conseguente diffusione di furti, stupri, malattie veneree e droga pesante e di pessima qualità. Dopo questa estate la comunità hippie si disperde, e restano solo alcuni fedeli che cercano altre strade. 42 radicalizzano la combinazione del rock con altri generi musicali, dall’altro si modificano le strutture e le sonorità del blues, ampliandole attraverso l’utilizzo della chitarra elettrica e del riff. Nasce infatti un desiderio di allontanarsi, o meglio espandere la gabbia del blues. I musicisti che scelgono questa soluzione fondano l’hard rock, un genere che drammatizza ulteriormente l’universo narrativo del blues. In questo contesto, nel 1966, emerge Frank Zappa. La polemica contro il consumismo e il conformismo (delle vecchie generazioni, delle élite al potere, del sistema delle high schools…) ricorre costantemente nei suoi lavori, ma l’assunto fondamentale che lo guida è la polemica contro la commercializzazione della musica, esposta per esempio in “Flower Punk” (1968). Qui Zappa interpreta il ruolo di un musicista ipocrita, che dice con tono retorico quanto sia bello stare in una band di r’n’r e fare musica che fa stare bene i ragazzi, per poi confessare senza ritegno che quel che gli interessa davvero sono i soldi e le ragazze. In molti suoi brani la musica è strutturata per collage musicali che mettono insieme gli stili più disparati; normalmente Zappa procede per giustapposizione o per sovrapposizione: per esempio si inizia con un brano in stile riconoscibile (country, pop…) e poi lo fa esplodere con l’inserimento di parti vocali o melodie aliene rispetto alla parte iniziale. L’effetto voluto è di scuotere sempre l’ascoltatore, richiamando la sua attenzione, utilizzando il meccanismo dello straniamento. Zappa è tra i maggiori geni musicali del ‘900; la sua musica si muove nelle più diverse direzioni: hard rock, jazz, classica, country. E tra le varie vesti musicali indossate, da chitarrista a direttore di orchestra, forse quella che gli si addice di più è la veste di compositore classico. La curiosità nei confronti di generi musicali diversi e della loro combinazione, tipica di Zappa, appartiene anche a un sottogenere rock che prende forma dal 1969 soprattutto in Europa: il “prog” o progressive rock. I gruppi che eseguono questa musica (tra cui anche i Gentle Giant) condividono con Zappa il disprezzo per la commercializzazione dell’arte e del consumismo. La loro caratteristica sta nell’ibridazione totale del rock in un dialogo con musica classica del 700-800, con classica contemporanea, jazz, folk, musica etnica e il nuovo hard rock. Il risultato è spesso una musica innovativa, ricca ed espressiva. I brani strumentali diventano più lunghi e costringono gli ascoltatori alla concentrazione. Le sequenze musicali si fanno multiformi, con improvvisi mutamenti di ritmo, di tempo, di linea melodica e quant’altro. Non si sa mai cosa aspettarsi. Naturalmente anche la struttura interna dei brani si complica enormemente: prendiamo il caso di “The House, The Street, The Room” dei Gentle Giant (1971). Suonata con strumenti insoliti (clavicembalo, violino, celeste, flauto dolce e altri), ha dei cambiamenti repentini di atmosfera e sonorità. Il testo parla del senso di disagio profondo della voce narrante, che riesce a uscirne solo attraverso un cambio a uno stato di liminalità comunitaria. In questo modo la complessità della musica si collega alla narrazione. XI.II Narrazioni rock Nel giugno 1968, “Life” esce con i Jefferson Airplane in copertina e con un servizio di apprezzamento sul nuovo rock in particolare “Il rock è sovversivo non perché sembri autorizzare sesso, droga e brividi facili, ma perché incoraggia il suo pubblico a farsi un’idea propria intorno ai tabù sociali”. La sensibilità che guida questi artisti è tutta blues e hard country. “Chimes of Freedom” (1964), di Bob Dylan esprime la filosofia dell’antieroismo, essenza delle narrazioni di questi due generi. Strofa dopo strofa, si infittisce l’elenco dei marginali per i quali suonano le campane della libertà: ribelle, sfortunato, abbandonato, poeta, pittore, cieco, muto, sordo, condannato e molti altri. Il suo elenco è un invito all’empatia. L’atteggiamento di Dylan però non è di denuncia: è di sospensione del giudizio, è di chi vuole con uno sguardo mostrarci qualcosa di insolito. È proprio per l’empatia nei confronti dei marginali che questo genere tocca il cuore di molti. Tra i numerosi esempi che si possono portare, “Berlin” di Lou Reed (1973) è sicuramente il più chiaro: due americani, Jim e Caroline, sono a Berlino, uniti da un amore romantico, ma poi ciascuno si fa prendere dalle sue fragilità. Lei vorrebbe cantare ma può farlo solo in posti malfamati, quindi i due sono costretti a vivere in albergacci. Jim non gli basta più, e lui reagisce dandosi alla droga e con violenza nei suoi confronti. Lei è forte e piena di lividi resiste; ma le vengono portati via i figli. Alla fine non regge e si suicida. Jim descrive la scena con stracciamento robotico, con un minuscolo cenno di rimorso, che alla 45 fine si trasforma in un ghigno satanico. La forza della storia sta nella scelta musicale che la accompagna. È semplice e delicata, gentile, crea un contrasto forte che invita alla riflessione. L'ideale di amore romantico, imposto dalla cultura di massa, come Cenerentola, non appartiene alla realtà. La verità invece è che le famiglie possono essere felici ma a volte anche tragicamente infelici. E chi è infelice merita più attenzione degli altri. Anche qui non c’è giudizio, Reed non vuole fare nessuna lezione. Si potrebbe considerare questa (e anche “Hey Joe”) una canzone maschilista, ma il modo in cui funzionano le relazioni amorose nel blues e nel country, generi fondatori della musica rock, consiste nel dichiarare l’adesione ad un’aggressività di genere, per poi sovvertirla dall’interno e sbriciolarne la sostanza. Questa matrice funziona anche da una prospettiva femminile: i Jefferson Airplane in un loro brano, con la voce della loro cantante, raccontano di una lei che vuole che lui sia il suo autista, e che la porti in giro per il mondo: ma se provasse a portare altre ragazze, lei sarebbe pronta a sparargli. È il tipico brano da “guerra dei sessi blues”. Legata al blues e alla musica afroamericana è anche Janis Joplin, che oscilla tra i due poli classici blues: l’autodenigrazione e l’aggressività affettiva. Da un lato lei, la voce narrante, ha un terribile tormento interiore, vorrebbe conformarsi al modello normativo e incontrare il suo principe azzurro, ma non trova un lieto fine: l’amore si trasforma in un incubo e non c’è alcun lieto fine salvifico. Dall’altro, sebbene devastata la donna è capace di reazioni di rivalsa. Si polverizza quindi l’immagine normativa della brava ragazza controllata e dolce. Janis è un antistar, non bella ma attraente, passionale, sessualmente disinibita, estrema, aggressiva ma anche tenera, vestita da hippie. Ragazzi e ragazze la adorano, “è una di noi”, dicono. È autentica. La struttura emotiva promossa dalle matrici testuali del rock incoraggia i musicisti ad avvicinarsi a quella lunga sequela di emarginati elencati da Dylan in Chimes of Freedom. Anche incoraggiato dalla produzione letteraria beat, Lou Reed aggiungerà a questa lunga lista omosessuali e transessuali. In “Lady Godiva’s Operation” si parla di un transessuale che si sottopone all’operazione chirurgica per cambiare sesso, ma che muore sotto ai ferri, mentre in “Sister Ray” si narra di un gruppo di travestiti che porta a casa dei marinai, e tutti insieme si fanno di eroina e comincia un’orgia, durante la quale per altro viene ucciso un uomo senza che nessuno se ne accorga. Nel mezzo di tutto ciò irrompe la polizia. Queste due canzoni escono un anno prima del caso “Stonewall Inn”, ovvero un locale frequentato da gay, lesbiche e drag queen nel Greenwich Village a New York. Puntualmente la polizia fa irruzione, arresta, e chiude il locale, che poi viene riaperto pagando mazzette. Nel giugno 1969, dopo l’ennesima incursione e arresto da parte della polizia, ha inizio una rivolta a cui partecipano anche persone comuni e che ha un forte impatto mediatico. Sulla scia dell’episodio, nasce il Fronte di liberazione gay, un’organizzazione che difende l’amore. Un amore naturale che si scontra con la società grigia e artificiale. Questa ambiguità sessuale verrà abbracciata negli anni immediatamente successivi da artisti come David Bowie che si presenta sul palco acconciato in maniera tipicamente femminile. Altri esempi importanti sono quelli di Suzi Quatro col brano “I Wanna Be Your Man” (non cambia il genere) e di Gloria di Patti Smith che rovescia il significato della canzone. La natura trasgressiva e provocatoria di queste canzoni è resa possibile dal fatto che il rock riconosca queste esperienze, fino ad allora considerate oscene, come considerabili. Inizialmente, ad essere in grado di affrontare il tema dell’erotismo sono soprattutto i gruppi blues, ma la passione erotica viene espressa anche sotto altre forme, come Jimi Hendrix o Jim Morrison che usano la chitarra o l’asta del microfono come un’estensione sostitutiva del fallo, mimando e provocando; azioni che costano anche a Morrison un’incriminazione per atti osceni in luogo pubblico. Anche la grafica degli album è usata per esprimere la nuova libertà dei corpi. Si pensi al primo album di Lennon e Yoko Ono. La copertina all’epoca suscita scandalo perché raffigurante i due completamente nudi. Ciò che la coppia vuole dire è in linea con un concetto più ampio, appartenente alla comunità hippie: un corpo nudo è parte della natura, non c’è motivo per nasconderlo. L’immagine si lega con altri due lavori del periodo. Uno è un balletto, “Word Words” (1963) in cui due ballerini danzano all’unisono indossando solo il perizoma, e sovvertendo i ruoli stereotipati di maschio e femmina. L’altro è “It’s a Man’s World I” (1964) e “It’s a Man’s World II” (1965) di Pauline Boty: un collage di autorevoli figure maschili di varia epoca ed età (Lenin, Fellini, Einstein, Kennedy, Mastroianni), e 46 una sequenza di nudi femminili, a sottolineare la pesante asimmetria nella rappresentazione visiva dei generi, propria della cultura contemporanea. Nel contesto di questa nuova libertà dei corpi, fin dalla fine degli anni ’60, intorno ai concerti e alle band si addensano le groupies. Grazie alla gestione della propria sessualità con anticoncezionali, intraprendono rapporti con i musicisti dei più diversi gruppi rock. Questo fenomeno ha ricevuto valutazioni negative, sicuramente animate dal senso di disagio di uomini che si trovano di fronte a modelli di femminilità inediti e trasgressivi; ma può anche essere considerato come un gesto gioioso e trasgressivo di ragazze che vanno in direzione diversa rispetto al sistema che le vorrebbe docili e angeliche. Il rock quindi, con le sue produzioni artistiche e pratiche sociali apre orizzonti inediti per quanto riguarda la dimensione privata dell’amore, del sesso e dell’identità di genere, ma la sfera privata non è certamente l’unica affrontata nel contesto di questo genere. XI.III Rock e moviment La preoccupazione di una guerra e l’auspicio ad una pace universale anima i testi di molti musicisti rock, come per il testo di “Hard Rain’s a-Gonna Fall”, nel quale Bob Dylan descrive la paura per una possibile distruzione atomica. Alcuni testi vedono ancora un briciolo di speranza nel futuro, ma altri sono del tutto pessimisti. Non tutti gli artisti rock però hanno una posizione chiara di fronte alla questione della guerra, o in generale di fronte alla politica. Di fronte alle proteste giovanili contro la guerra in Vietnam; formazioni di movimenti che accolgono il ricorso alla violenza come strumento politico (alcuni militanti SDS); nascita delle voci delle donne e del movimento femminista; di fronte a questi scenari, la maggior parte dei musicisti rock o ignorano le questioni o non si esprimono. • Hendrix, che sembra aderire agli ideali pacifisti. Questo suo approccio fa sì che alcuni suoi brani siano interpretati come testimonianze della sua critica alla società statunitense dell’epoca e al bellicismo che la pervade. In altre occasioni però rilascia dichiarazioni in cui sembra essere un buon patriota statunitense. Sulla guerra in Vietnam dichiara: “Gli americani stanno combattendo in guerra per un mondo completamente libero. Ovviamente la guerra è una cosa orribile ma al momento è l’unico modo sicuro di mantenere la pace”. • Mick Jagger, nel marzo ‘68 partecipa a Londra ad una manifestazione contro la guerra in Vietnam: dal corteo deriva una giornata di duri scontri con la polizia. In un’intervista successiva il musicista non prende le distanze dal movimento, ma nemmeno lo sostiene con convinzione, soprattutto nelle sue declinazioni radicali. Questa posizione ambigua è rispecchiata in “Street Fighting Man”, brano dell’agosto dello stesso anno: il testo ha la forma di un dialogo con, da un lato la voce di un militante che dice che è il momento della rivoluzione; dall’altro lo stesso Jagger che risponde ogni volta dicendo: che posso fare io che sono un povero ragazzo, se non cantare, visto che nella sonnolenta Londra non c’è spazio per combattere in strada? • John Lennon; nell’agosto ’68 pubblica “Revolution” sul lato B di “Hey Jude” dei Beatles. Nella canzone Lennon sembra prendere le distanze dalla radicalizzazione politica: “We all want to change the world / But when you talk about destruction / Don’t you know that you can count me out. Anche se nello stesso brano pubblicato pochi mesi dopo, “Revolution 1”, un leggero cambiamento ci permette di comprendere la confusione di Lennon sul tema: “Don’t you know that you can count me out, in”. Avvicinandosi poi a Ono, il suo orientamento si chiarisce in direzione di un pacifismo rivoluzionario, che dà spazio significativo anche ai temi del femminismo. Per celebrare il loro matrimonio, nel marzo 1969, i due organizzano un’originale forma di protesta contro la guerra in Vietnam: il bed-in, in cui ricevono la stampa a letto rilasciando dichiarazioni pacifiste e incoraggiando all’amore universale. Nel dicembre ’69 la coppia finanzia l’affissione in varie città del mondo di grandi cartelloni con la scritta: “La guerra è finita! Se lo volete - Buon 47 degli anni ’70, film insoliti o marginali, conquisteranno i vertici dei box office e riceveranno apprezzamenti. Per citarne alcuni: Odissea nello spazio, La notte dei morti viventi, Easy Rider e molti altri. Sono film apprezzati da un pubblico giovane (70% dei telespettatori dell’epoca), ma evidentemente coinvolgono anche altri gruppi generazionali, attirati dalla spinta conformistica che li induce a curiosare nella nuova moda cinematografica. Questi film, anche se vari, si legano tutti alla controcultura rock: a) hanno come protagonisti antieroi, ovvero personaggi che generalmente sono negativi, ma che in queste storie svolgono un ruolo positivo. es. Easy Rider – i tre protagonisti non sono certo i tipi eroi positivi: sono una gang di hippie spacciatori e ubriaconi. Es. Bonnie & Clyde: i due protagonisti sono due giovani disadattati. Inizialmente la struttura del film sembra essere classica: i cattivi vengono puniti e la giustizia trionfa ma colui che permette il ristabilimento dell’ordine è un personaggio che nell’intreccio del film viene presentato sotto un profilo negativo; b) non c’è un happy ending, anzi solitamente c’è un finale drammatico, come per Bonnie & Clyde che vengono entrambi uccisi brutalmente. Il genere che maggiormente resiste a questo ribaltamento delle norme fondamentali è la commedia romantica, ma nonostante questo “Il Laureato” non offre un finale felice. O meglio, i due amati alla fine del film se ne vanno su un pullman ridendo felici, e vengono seguiti dalla cinepresa che si sofferma sui loro sguardi che diventano sempre più perplessi, tristi (cosa ne sarà di loro? sarà veramente un happy ending?); in sottofondo comincia “The Sound of Silence”. “Io e Annie” (1977) ha un finale brillante: l’happy ending è solo all’interno della sceneggiatura che il protagonista sta scrivendo, mentre nella realtà i due amanti non si rimettono insieme. Tra tutti i film di questo periodo forse quello che colpisce maggiormente al cuore uno dei fondamentali modelli narrativi della cultura mainstream è “La notte dei morti viventi” di George Romero, dove ciò che viene assediato è la “home”. Una ragazza, suo fratello e un afroamericano (Ben), riescono a sottrarsi dall’attacco degli zombie rifugiandosi in una casa abbandonata. Dentro si sono rifugiati una coppia e una famiglia di padre, madre e figlia ferita dal morso di uno zombie. La casa intanto viene assediata, moriranno tutti tranne Ben, che si rifugia in cantina. Ma alla fine arrivano i salvatori, ovvero la polizia che uccide gli zombie. Ben sente di essere al sicuro, esce ma un poliziotto lo scambia per uno zombie e gli spara alla testa. Il riferimento alle tensioni razziali che scuotono gli USA alla fine degli anni ’60 è evidente, ma del tutto incidentale. Il tema del resto è sistematicamente assente nelle produzioni della Hollywood Renaissance, come sono assenti riferimenti alla guerra del Vietnam, alle rivolte studentesche o all’erotismo e alla sessualità (solo pochi frammenti). Tutto sommato quindi Hollywood non si sbilancia particolarmente nell'ambito politico nelle sue produzioni. XII.II Broadway e dintorni Alcuni dei temi che Hollywood non affronta volentieri sono messi in scena a Broadway, quasi sempre nella forma del musical, un altro genere che subisce una radicale decostruzione causata dall’influenza della controcultura rock. Tra le varie compagnie, c’è il Living Theatre di Judith Malina e Julian Beck. È caratterizzata dalla fusione tra elaborazione artistica e vita quotidiana, che trova la sua massima espressione in “The Connection” (1959), storia di un gruppo di drogati, dove recitano persone davvero tossicodipendenti. Un’altra caratteristica del loro teatro è che è un “teatro della crudeltà”: ovvero una rappresentazione teatrale che deve aggredire emotivamente lo spettatore con scene intensamente violente, come succede in “The Bring” (1963) che descrive la giornata tipo di un marine recluso in una prigione militare. Il lavoro di questa compagnia resta comunque abbastanza marginale. Chi invece riesce ad imporsi al pubblico di massa è “Hair”, che debutta a New York nell’ottobre 1967, ma visto il grande successo, viene accolto in uno dei teatri maggiori di Broadway: il Baltimore Theatre. La storia narra di Claude, un ragazzo di classe media che abbandona la casa per unirsi a una comunità hippie del Greenwich Village, dove conosce altri ragazzi con cui si creano rapporti affettivi anche sentimentalmente complessi. Questi ragazzi 50 sperimentano insieme la libertà sessuale, l’uso di droghe, marcando la distanza che li separa dalla società “normale”. Alla fine Claude decide però di partire per il Vietnam, dove rimane ucciso. Nel finale i suoi amici e le sue amiche celebrano la sua morte in uno dei brani di maggiore successo: “Let the Sunshine In”. “Hair” ha delle caratteristiche che lo rendono fondamentale nella storia della cultura di massa: è il primo musical dedicato alla descrizione di una comunità hippie, ad affrontare in modo diretto il dramma della guerra in Vietnam, ad usare intensamente le forme musicali rock. Ciascuno di questi motivi spiega perché il musical attiri molti spettatori giovani, cosa piuttosto insolita per la tradizione di Broadway. Inoltre ha successo anche in Europa, Sudamerica, Australia, Giappone, e la colonna sonora esce sotto forma di disco. Non mancano le polemiche, provocate da ciò che succede alla fine del primo atto, quando i membri della comunità hippie si spogliano, nel corso di una manifestazione, rimanendo completamente nudi. Sin dall’800 diverse foto, foto narrazioni e più tardi anche brevi filmati, sono commercializzati nel mercato pornografico clandestino. La questione della sessualità viene affrontata anche in altre occasioni: da Andy Warhol a Barbara Rubi a Carolee Schneemann. In questi lavori la sessualità è ben diversificata dalla pornografia: sono produzioni assolutamente artistiche che vogliono rendere l’esibizione della nudità e dell’erotismo come qualcosa di quotidiano e naturale. Il musical offre un esempio piuttosto clamoroso: “Oh! Calcutta!” di Kenneth Tynan (il cui titolo è la deformazione del titolo di un dipinto francese “Oh, quel cul t’as!” che rappresenta un sensuale deretano di una donna sdraiata) offre scene in cui attori e attrici bianchi si trovano in varie situazioni erotiche. Il lavoro verrà criticato più avanti per la sua poca inclusività, ma riceve soprattutto un enorme apprezzamento. L’esempio apre la strada ad altre produzioni sul tema, come “The Rocky Horror Show” (1973) che ha una trama fantascientifica che illustra la legittimità dell’erotismo plurimo, eterosessuale, omo e bisessuale. Anche questo lavoro ha così tanto successo da essere riprodotto in un film della Fox, e diventa un fenomeno di culto. Più impegnativo e più diretto, infine è “Let My People Come: A Sexual Musical” che descrive il sesso in tutte le sue dimensioni come cosa positiva, e i titoli di alcune canzoni dello spettacolo possono dare un’idea del contenuto di varie scene (I’m Gay; Come in My Mouth; Give It To Me). Come si intuisce, quindi, si parla di relazioni omosessuali. Le produzioni cinematografiche puntano in un’altra direzione, ovvero quella dell’esplicita rappresentazione del sesso etero. In questo campo il primo film con scene esplicite che circola nelle sale USA è “Blue Monday” di Andy Warhol, che descrive una coppia che all’interno della propria casa compie gesti quotidiani: parla di politica, discute e fa anche l’amore. Di impatto commerciale maggiore è “Ultimo tango a Parigi” di Bertolucci (1972), che narra di un’intensa relazione solamente sessuale tra un americano e una ragazza parigina, con un finale tragico in cui lui si rende conto di essersi innamorato, e si dichiara. Lei non ne vuole sapere e gli spara uccidendolo. Per descrivere questi film si potrebbe utilizzare il termine “porno chic” coniato da Blumenthal in un articolo del New York Times. In realtà Blumenthal non si riferisce affatto a “Ultimo tango a Parigi”, ma a un film uscito qualche mese prima: Deep Throat, un film con scene esplicite di sesso. Il successo di questo film è seguito da una miriade di altri film simili. XII.III Pop art La pop art è una proposta artistica che riesce ad imporsi nel pubblico di massa. Nasce in Inghilterra e arriva in USA come reazione all’espressionismo astratto: una corrente animata da artisti come Pollock che sperimenta uno stile pittorico estremamente astratto. Alcuni critici come Schapiro o Rosenberg suggeriscono che si tratti di una forma d’arte che si compone di opere che non vogliono accettare gli orrori del mondo contemporaneo, e per questo si fugge da ogni rappresentazione realistica, rifugiandosi in un mondo visivo a parte. Questi aspetti suscitano un’iniziale reazione critica nei confronti di questa proposta artistica, tuttavia diversi mecenati e collezionisti di 51 grande influenza come Peggy Guggenheim cominciano ad acquistare questi quadri, e presto saranno seguiti da importanti musei americani come il MOMA di New York. Questo successo commerciale incoraggia una revisione del discorso critico relativo a questa corrente. L’assoluta irrilevanza narrativa di queste opere le rende socialmente e politicamente accettate, e da un lato la pop art nasce proprio come reazione al dominio anti figurativo di questa corrente. Nasce anche come un’attrazione\repulsione nei confronti della cultura di massa, dei suoi oggetti, divi, forme espressive, che diventano altrettanti temi cruciali dello stile. Peter Blake, capofila del pop britannico, è un appassionato cultore di jazz e r’n’r, e fan di Elvis, tanto che nel ’61 si ritrae in un autoritratto vestito di jeans, col giacchetto pieno di spille e con in mano una rivista dedicata al suo mito Elvis. Il messaggio è chiaro: è un’arte che dialoga con la cultura di massa. Altri, come Andy Warhol e Roy Lichtenstein, lavorano usando fumetti e oggetti quotidiani come oggetti artistico principale: ad esempio lattine della zuppa Campbell o le scatole del sapone brillo. Da qui il senso dell’etichetta di pop art: è una popular art, che non ha paura di prendere come punto di riferimento fondamentale la quotidianità delle masse e dei loro consumi. Le critiche non mancano, ma intanto, alcuni artisti-cardine del movimento, sono autori delle copertine di alcuni degli album più influenti nella storia del rock. Peter Blake e Jann Haworth realizzano la copertina di un disco dei Beatles; Warhol lavora per i Rolling Stone e per i Velvet Underground. Il rapporto di Warhol con i Velvet era già consolidato: è grazie a lui che il gruppo viene lanciato. Nel 1965, l’artista li ascolta in un bar e li invita a diventare la band del gruppo di artisti che si radunano nel suo studio, la Factory. Warhol impone però ai Velvet di accogliere Nico come vocalist. Warhol realizza un film su di loro, e organizza diversi eventi e spettacoli in cui i Velvet saranno il sottofondo musicale. Nel 1967 disegna la copertina del loro album “The Velvet Underground & Nico”. Nello stesso anno però, i rapporti di Warhol e Nico da un lato, e dei Velvet dall’altro, si dividono. Il debito dichiarato che i lavori pop hanno nei confronti del consumismo e della cultura di massa, esprime un atteggiamento di accettazione o di distacco critico? Spesso le opere degli artisti pop sottopongono le icone della contemporaneità ad una operazione di straniamento che sradica fumetti, lattine, scatole di detersivo, star, dallo scenario abituale e li ricolloca in uno spazio assoluto, privo di contesto. Questa operazione è ambivalente, perché affida allo spettatore il compito di decidere se quegli oggetti meritino rispetto o disprezzo. In effetti si può considerare l’opera pop sia come una manifestazione di sentimenti anti sistema, che come una produzione conformista. Se ci sono opere ambivalenti, ce ne sono poi altre che non fanno sorgere dubbi: la serie “Death and Disaster” (1962-1965) di Warhol è una di queste. Ci viene mostrata l’America non tanto come celebrata terra promessa, ma come un inferno. La morte qui non conosce volti, si susseguono incidenti automobilistici, sedie elettriche, scontri, cibi avariati, incendi. Alla stessa costellazione appartengono lavori come “Love” di Marisol Escobar (1962) è una metafora della ferocia del desiderio maschile e dell’impari battaglia tra i sessi. Un’altra interpretazione di quest’opera potrebbe essere la violazione del nostro spazio personale da parte del capitalismo, ma il sottotetto inerente alla sessualità è ciò che conferisce alla scultura un senso femminista. È una versione più incisiva dell’idea espressa l’anno seguente dalla Strider con le opere “Girl with Radish” e “Green Triptych” (1963). Quest’ultima illustra una giovane bellezza americana ritratta in tre pose diverse, con seni e deretano che materialmente fuoriescono dal quadro, a rimarcare polemicamente ciò che può interessare davvero ad uno sguardo maschile. In “Love and Violence” Rosalyn Drexler esprime il tema della violenza fisica contro le donne. La caratteristica di queste opere è la loro capacità di dialogare con la cultura artistica ma anche con la cultura di massa. Questa nuova proposta è quindi strettamente collegata alla controcultura rock: da un lato va rimarcata una convergenza nell’atteggiamento nel porre agli spettatori materiali particolarmente provocatori lasciando a chi guarda il peso di decidere cosa ci sia da dire in merito. D’altro canto questa arte dialoga anche con gli aspetti più folcloristici della cultura di massa, proprio come i musicisti rock fanno. Per fare un esempio, “Death and Disaster” costituisce la migliore interpretazione visiva della grafica costellazione di murder, prison e disaster songs che appartengono alla tradizione blues e hard country. 52 Si capisce allora come mai, dalla metà degli anni Settanta, si chiude la stagione della Hollywood Renaissance e la costellazione controculturale viene destrutturata. All’epoca si sceglie di puntare di nuovo sull’intrattenimento puro, che sembra attrarre maggiormente il pubblico; complice il desiderio di trovare un sollievo alla dolorosa crisi economica. Dominano i film d’azione, fantasy, commedie romantiche, cartoni animati con lieto fine, messaggi rassicuranti, eroi muscolosi che salvano la comunità, amori felici. Film da ricordare: Star Wars, Lo squalo, Superman, E.T., Ritorno al futuro, La febbre del sabato sera, Dirty Dancing, Jurassic Park, Pearl Harbor, Harry Potter, Il signore degli anelli, Spider Man, Pirati dei Caraibi, Il codice da Vinci. Molti di questi film sono costosissimi, ma le case di produzione accettano di rischiare perché ci si trova al centro di un processo di ristrutturazione proprietaria, che prende forma dagli anni ’80, quando le politiche neoliberiste tolgono i residui ostacoli ai processi di concentrazione: diversamente da ciò che era successo negli anni ‘60/’70, negli anni Ottanta si iniziano a creare delle megacorps, ovvero delle corporations dalle dimensioni spropositate. Queste formazioni possiedono simultaneamente case di produzione cinematografica, emittenti tv, giornali, radio. La maggior parte delle più potenti megacorps ha sede negli USA. Tra di esse c’è: Comcast Corporation, che possiede anche NBC Universal (azienda nata dalla fusione tra il network tv NBC e la casa cinematografica Universal); la Microsoft creata da Bill Gates, azienda dominante nel campo dei software; la Time Warner; la Walt Disney Corp; la Sony e altre ancora. L’impero mediatico di Silvio Berlusconi, nonostante la prevalenza nazionale, ha una struttura paragonabile alle megacorps che operano su spazi internazionali. • Queste megacorps fungono spesso da rete di protezione per le produzioni cinematografiche che ospitano, in quanto consente loro di avere a disposizione finanziamenti ingenti per il lancio di film. • Le megacorps rilanciano modalità di intrattenimento che ripropongono in blocco le strutture narrative della cultura di massa degli anni Trenta. Sia al cinema che alla tv, le storie tornano standardizzate e agli spettatori si chiede solo che si divertano, cioè alla lettera, che si voltino e smettano di guardare i problemi che li circondano. • Dentro le megacorps, anche i sistemi informativi di stampa e tv cambiano. I media modellano le notizie sulla base degli interessi economici e politici dei gruppi di direzione. Le informazioni devono essere a flusso continuo; per questo i giornalisti si concentrano soprattutto nei pressi dei luoghi di potere (Washington, Casa Bianca, Pentagono). Localmente invece le notizie vengono dalle amministrazioni cittadine o dalle stazioni di polizia. Le fonti ufficiali appaiono credibili e legittimate. In questo modo, poggiando su queste fonti di informazione, molti giornali o servizi tv tendono a replicare gli orientamenti dominanti nei centri di potere, invece di sorvegliarli e criticarli. • Le megacorps dipendono dalla pubblicità. Gli inserzionisti non vogliono che i prodotti pubblicizzati siano associati a programmi tv che suscitino critiche nei confronti del mercato e del consumo; né vogliono che siano associati a programmi di intrattenimento che risultino problematici o troppo innovativi per i gusti degli spettatori. Così preferiscono piazzare la pubblicità a ridosso di innocui programmi di intrattenimento (quiz, eventi sportivi, commedie romantiche) condizionando in tal modo la programmazione dei palinsesti. In questi palinsesti, peraltro, si stanno sempre più imponendo i format che sviluppano il modello originario dei quiz televisivi costruendo diverse trasmissioni che si basano su competizioni di ogni tipo che abbiano un compenso monetario. • Le megacorps attuano un vero e proprio processo di restyling delle storie cinematografiche e televisive. Vengono incorporate figure che, in origine, erano escluse come inaccettabili: omosessuali, afroamericani o altre minoranze; presenze femminili che si fanno più complesse. Al tempo stesso anche i supereroi, da sempre presenti, vengono modificati: sono spesso orfani, sofferenti, con un’infanzia difficile, disadattati. Così le storie diventano meno banali, visto che poi la struttura narrativa rimane la stessa di sempre. 55 • Nel processo di concentrazione partecipano anche le case discografiche, che a partire dagli anni Settanta puntano investimenti in direzione della musica pop. Enorme rilevanza ha anche la nascita di MTV (1981) lanciata originariamente dalla Warner Communications. Nello spazio della pop music vengono rinnovate le figure, come succede per i protagonisti del cinema e della tv: figure sessualmente ambigue e figure femminili (Beyoncé, Britney Spears, Shakira). L’esperienza di Madonna costituisce una rilettura in controtendenza dei profili di femminilità dominanti. Dal suo primo album “Like a Virgin” (1984) gli elementi di novità stanno nella copertina ipersessualizzata, nel testo della canzone, nel gioco di rimandi e nello stesso nome della cantante. La differenza con le altre cantanti pop è che l’attrattiva di Madonna si basa sul fatto di presentarsi non tanto come un oggetto del desiderio, ma come un soggetto femminile desiderante. Anche nel resto della sua carriera Madonna continuerà a giocare con la trasgressione alle regole (sfidando le identità razziali, baciando sensualmente Britney Spears e Christina Aguilera agli MTV Video Music Awards del 2003…). Con tutto ciò, le stesse major si preoccupano di non desertificare l’intero campo delle narrazioni alternative, che comunque continuano a circolare, soprattutto sugli schermi cinematografici. In questo caso il sistema è quello dell’appalto a sezioni specializzate delle majors, oppure a case di produzione indipendenti che finanziano lavori di complessità narrativa e psicologica maggiore. Ad ogni questi lavori hanno risultati commerciali dall’impatto non troppo significativo. Questa implosione del reticolo controculturale è assicurata dalla crisi profonda della musica rock. ● Alla lunga i costi di produzioni di dischi con musiche ricche e varie, e di concerti con scenografie imponenti, portano i produttori a incoraggiare altri generi di canzoni brevi e semplici, tipo la pop music, o una musica antisistema come il punk. Quest’ultimo genere avrà una forte importanza socioculturale, ma rimarrà un’esperienza culturalmente molto isolata, come del resto anche la musica soul, funk, hip-hop, o rap. Questo evidenzia la difficoltà di stili così espressivi e alternativi nel creare reti intermediali di ampiezza almeno paragonabile a quelle proprie della controcultura di massa degli anni Sessanta. ● La stretta relazione tra stili musicali distinti viene meno, e viene sostituita da una grande segmentazione delle scene musicali. Il sistema dei generi, principio d’ordine tipico della cultura di massa mainstream, si impone anche nel campo del rock. I musicisti, dischi, programmi radio, cominciano a distinguersi a seconda del sottogenere (hard rock, country rock, glam rock) e poi più avanti anche in altre etichette (heavy metal, punk, grunge, indie ecc). ● Inoltre, nei primi anni ’70, quando i movimenti giovanili più politicizzati si radicalizzano, la natura non immediatamente politica della maggior parte della musica rock non viene apprezzata. Le persone si aspettano che gli artisti controculturali diventino dei portabandiera, e la ripetuta constatazione della distanza che separa i nuovi musicisti da gruppi come i Doors, Zappa, Santana o i Genesis viene vissuta come fosse un tradimento. ● I nuovi gruppi rock (Nirvana, U2, Radiohead, REM, ecc) e le classifiche di vendita che ne celebrano i trionfi anche commerciali, non vanno letti come manifestazione di un pubblico globale, ma di singole e specifiche comunità interpretative, molto nettamente connotate da un punto di vista generazionale. Gli stessi concerti cambiano di significato, visto che da rituali di aggregazione o comunità alternative, com’erano i raduni di fine anni ’60, si trasformano in semplici e temporanee esperienze della vita adolescenziale. Così le produzioni rock cambiano natura, non sono più parte di un complessivo panorama controculturale ma tornano ad essere delle manifestazioni generazionalmente e culturalmente circoscritte. Questo accade per via del carattere temporaneo che caratterizza queste produzioni, e anche per la mancanza di stili e narrazioni che passano attraverso altri media. 56 A causa della decostruzione delle controculture, una buona parte dell’opinione pubblica giovanile aderisce a modelli culturali mainstream. Le espressioni di disagio che prima si manifestavano nelle comunità alternative si fanno individuali, chiuse in famiglia o tra amici. Ma nonostante l’assenza di una controcultura integrata, materiali resistenti continuano ad esistere. Intanto la musica rock non è scomparsa, e nemmeno le diverse produzioni cinematografiche indipendenti, seppure con un pubblico meno ampio. Lo stesso vale anche per i comic books, o le serie tv odierne (Breaking Bad, Game of Thrones, House of Cards) dove troviamo personaggi complessi, figure ambigue che non sono unilateralmente buone né cattive, l’happy ending spesso viene meno, assenza di soluzioni stereotipate ai drammi morali e molto altro. Inoltre internet offre opportunità potenziali per sottrarsi alla presa delle narrazioni egemoni. Un esempio sono siti come Youtube o Spotify, che permettono di tenersi aggiornati sulle sperimentazioni musicali che certamente non passano dai canali primari come la TV o il cinema. L’evoluzione delle tecnologie informatiche e mediatiche sembra da una parte consentire a chi naviga di partecipare attivamente ad una rete convergente, interattiva e aperta alle spinte dal basso che provengono dagli utenti o dalle microcomunità interpretative. D’altra parte sembra anche incoraggiare la moltiplicazione dei segmenti comunitari alternativi e scollegati gli uni dagli altri. Si tratta comunque di spazi talmente segmentati e specializzati da non minacciare l’egemonia delle megacorps e delle loro strategie, che intanto si stanno espandendo oltre l’Occidente, come in India. All’opinione pubblica indiana viene offerto ciò che l’industria culturale ha offerto per decenni alle opinioni pubbliche occidentali: anche gli indiani vogliono fuggire dalla realtà dominata da povertà e analfabetismo. Sta prendendo forma quindi la durevole egemonia della cultura di massa mainstream. 57
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