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Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd, Sintesi del corso di Storia Culturale dell'Europa

riassunto del libro Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 16/04/2020

nicobrand
nicobrand 🇮🇹

4.4

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Scarica Wonderland, la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd e più Sintesi del corso in PDF di Storia Culturale dell'Europa solo su Docsity! Wonderland la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd Industria culturale e cultura di massa: l’industria culturale: La cultura di massa consiste in un sistema di produzione e circolazione di informazioni e narrazione trasmesse da una serie di media pensati come strumenti di informazione e di intrattenimento per persone colte. I progressi dell’alfabetizzazione hanno un ruolo. Ci sono ambiti della cultura di massa che non richiedono training formativo: la fotografia, la radio, il cinema, la musica si basano su sistemi uditivi e visivi seguiti da chiunque. I prodotti della cultura di massa sono anche di ottima qualità: è il loro potere attrattivo che trasforma queste produzioni in un fenomeno sociale di grande importanza. La produzione di queste forme comunicative ha un obiettivo commerciale dichiarato. L’orientamento verso il profitto fa di questo sistema produttivo una industria culturale. Nella cinematografia il sistema produttivo statunitense degli anni Venti e Trenta è dominato da 8 grandi società: Paramount Pictures, 20th Century Fox, Warner Bros., Metro Goldwin Mayer, Radio Heith Orpheum (producono pellicole di buona qualità tecnica e possiedono catene di sale cinematografiche); Universal, Columbia e United Artist invece producono e distribuiscono soltanto. Un altro settore è la radiofonia, che nasce all’inizio del XX secolo e viene impiegata per scopi militari durante la Grande Guerra. Dagli anni Venti iniziano le trasmissioni per il pubblico. Negli anni Trenta negli USA degli anni Trenta la struttura dell’emittenza ha una forma definita: ci sono 3 network nazionali, la NBC, la CBS e la MBS. Questi network, privati, acquistano le emittenti locali o stringono accordi con esse. Tutte le trasmissioni sono finanziate con le inserzioni pubblicitarie: dagli anni Trenta le aziende che producono beni di consumo finanziano e producono i programmi offerti ai network che incorporano la pubblicità dei prodotti in apertura dello show o durante il programma. Tra i Venti e Trenta il mercato discografico muta la sua forma ma acquista una struttura semplificata dopo il 1929. Nel 1938 l’intero mercato è controllato da 3 etichette: Rca Victor, la Decca e la Columbia/arc. Una forte concentrazione è presente nel campo produttivo del fumetto, forma nata alla fine del XIX secolo. A ridosso della Grande Guerra negli USA si crea il sistema dei Syndicates, un numero limitato di aziende con contratti esclusivi con disegnatori e allocano le strisce disegnate ai diversi quotidiani con cui hanno sottoscritto degli accordi. Nel 1938 il fumetto si emancipa da quotidiani e periodici, con il primo comic book. È una pubblicazione autonoma che contiene storie a fumetti i cui protagonisti sono i supereroi. Il primo comic book esce nel giugno 1938 e contiene le avventure di Superman. A lui fanno seguito Human Torch (1939), Sub-Mariner (1939), Captain Marvel (1940), Green Lantern (1940), Captain America (1941), Wonder Woman (1942). Si impongono grandi case editrici – DC National, Timely Comics/Marvel e Fawcett – che dominano. La Rca, fondata nel 1919, ha acquisito l’etichetta discografica Victor, ribattezzandola Rca Victor; nel 1926 ha creato il network radiofonico NBC; nel 1928 ha costituito la casa cinematografica RKO, che controlla fino al 1943. Nel 1938 il network radiofonico CBS, nato nel 1928, ha acquistato l’etichetta discografica Columbia/arc, ribattezzandola Columbia Recording Company. Sono strategie che costituiscono rapporti sinergici tra radio, discografia e cinema. A cavallo della Seconda guerra mondiale ci sono interventi dell’antitrust che pongono limiti: nel 1943 la NBC è costretta a vendere uno dei due network, che porta alla costituzione della ABC; nel 1948, una sentenza della Corte Suprema costringe le Majors hollywoodiane a disfarsi della loro rete di sale cinematografiche. Gran parte delle produzioni culturali lanciate dalle aziende appartiene allo spazio della cultura di massa mainstream le produzioni mainstream hanno, dagli anni Trenta al XXI secolo, il massimo successo presso il pubblico usa e poi quello occidentale Generi: l’esistenza e il numero dei generi narrativi sono oggetto di dibattito tra gli studiosi, che hanno sottolineato l’impossibilità di collocare opere letterarie e cinematografiche all’interno di un genere piuttosto che di un altro. Se si osserva la letteratura popolare, la produzione cinematografica Hollywoodiana, i fumetti o i radiogrammi, non si fatica a distinguere i gialli dalle storie d’avventura ecc. l’identificazione di un genere deriva da alcune caratteristiche principali di solito rispettate dalle narrative delle culture di massa. È tale strutturazione che modella le aspettative di pubblico che si orienta verso il genere che predilige. Si possono osservare altri effetti incorporati nella geografia dei generi. Coloro che apprezzano i prodotti della cultura di massa ne valutano la qualità in base ai legami intertestuali che l’opera intrattiene con altre dello stesso genere. Un appassionato di Superman paragona quel fumetto ad altri di Superman. Le narrazioni di genere hanno un impianto dualistico, cioè contrappongono valori culturali positivi e negativi, affidati a personaggi chiave. Le storie di genere sono ripetitive. La ripetitività rende le narrazioni prevedibili: la stessa organizzazione dello star system nel cinema Hollywoodiano, che associa un attore ad un certo genere, aumenta la prevedibilità dei generi. Il processo di standardizzazione prodotto dalla geografia dei generi crea nel pubblico orizzonti d’attesa limitati. Questa prevedibilità delle strutture narrative può essere accolta con piacere dai lettori, spettatori o ascoltatori. Il pubblico è invitato a divertirsi con questi materiali, affrontandoli in modo passivo. Horkheimer e Adorno scrivono che “lo spettatore non deve lavorare di testa propria; il prodotto gli prescrive ogni reazione”. Ciò che i due vogliono dire è che questo tipo di produzioni culturali incoraggia il pubblico ad accontentarsi di strutture cognitive povere, rigide e conformiste. Horkheimer e Adorno vedono all’opera macchine comunicative che annullano le capacità critiche di milioni di persone che sono attratte dallo scintillio e dalla seduzione dei prodotti dell’industria culturale. Corrispettiva della passività è la Narrazioni Mainstream There’s no place like home: the Wizard of Oz è un romance di formazione, centrato sul crescere, sul trovare una piena accoglienza nella famiglia d’adozione e sul culto della propria casa. Che la protagonista sia una bambina che oltrepassa la pubertà è essenziale, giacchè nella cultura mainstream dell’epoca il luogo deputato per l’esistenza di una donna è la casa. Il tono di volitiva speranza che accompagna Dorothy e i suoi compagni, rimarcato da una delle canzoni (Optimistic Voices), avrà contribuito a dare un po’ di conforto e una serenità a molti spettatori oppressi dalle durezze della vita. Ogni prospettiva aiuta a capire il significato di un’opera cardine nella cultura mainstream ma non ne esaurisce il lascito Terra di eroi: La storiella dei 3 porcellini contiene un altro modello narrativo fondamentale della cultura popolare americana che si struttura in questa sequenza: a) un’armoniosa comunità è minacciata da una forza maligna; b) le istituzioni vigenti non ci sono o non riescono a contrastare; c) un eroe altruista emerge e adempie al compito redentivo di liberare la comunità dal male; d) la comunità torna al suo stato di armonia. Punto cardine di questa sequenza è l’idea della tranquilla Home assalita da una minaccia che rischia di comprometterne l’armonia. L’origine di questa storia va fatta risalire all’idea secondo cui il nuovo continente è il nuovo Eden o terra promessa. Tra XVII e XIX secolo prosperano racconti, novelle, romanzi, che trattato il tema della piccola e tranquilla comunità accerchiata e attaccata dagli indiani brutali. Nella letteratura popolare della seconda metà dell’Ottocento o del primo Novecento, il tema della comunità accerchiata e minacciata è diffuso con la variante dell’eroina aggredita sessualmente dagli indiani o dai neri. Fuori dalla dimensione della storiella per bambini, nelle modalità narrative che esplorano il tema della minaccia, si profila la figura del virile eroe salvifico. L’eroe viene sviluppato un una doppia declinazione, una prevalente nel contesto culturale europeo, l’altra nella cultura di massa statunitense. Nel contesto dell’Europa di fine Settecento-Ottocento, quando nasce una nuova politica, è la costellazione nazionalistica a dare corpo e anima alla figura di eroi. Questi sono uomini che devono difendere la libertà e l’onore della nazione armi in mano. Le qualità principali sono il coraggio e lo sprezzo del dolore fisico, del pericolo, della paura, qualità circonfuse in un’aura di morte. Se sono vincitori, la morte aleggia intorno a loro nei corpi dei nemici uccisi ma anche nei rituali di sangue che sembrano suggellare la vittoria. Ancor più confusi con un’immagine cultuale della morte sono gli eroi sfortunati, uccisi in battaglia, destinati alla sconfitta, catturati dal nemico. Queste sono le figure più rappresentative dell’eroismo nazional-patriottico europeo, perché nel loro destino si può vedere trasparire la figura del martirio. L’esempio sacrificale è essenziale. La morte sacrificale viene letta sotto una luce sacrale-cristologica, il modello archetipico è il Cristo della Passione. Centrale per le varie declinazioni dell’ideologia nazionalista, questa rappresentazione della figura eroica è incorporata negli schemi concettuali dell’ideologia socialista, che celebra i propri eroi martiri. Nella tradizione narrativa statunitense l’eroe ha i tratti sacrificali che appartengono al contesto culturale europeo: il caso più famoso è il generale Custer morto a Little Big Horn il 25 giugno 1876. Nella cultura mainstream statunitense a questa figura si affianca il modello dell’eroe vittorioso. La sua figura precisa il suo profilo fino a fissarsi nell’immaginario collettivo statunitense con la pubblicazione del romanzo western “The Virginian. A Horseman of the plains” di Owen Wister. Diversamente dagli eroi sacrificali, questa nuova costellazione eroica è composta da personaggi che non muoiono mai e restano sempre in servizio. La struttura seriale dei formati che ospitano le loro storie incoraggia l’adozione di questa soluzione. Superman estremizza i caratteri dell’eroe vincente, perché il supereroe non muore mai ma è proprio immortale ed è dotato di superpoteri. È anche un eroe etico: non uccide nessuno e usa solo i pugni. Il ricorso alla forza per annullare la minaccia è essenziale nell’orizzonte morale della cultura popolare statunitense. Il punto debole di Superman è la Kryptonite, una roccia che indebolisce l’eroe. L’altro dispositivo narrativo inventato dai due creatori per attenuarne il connotato eroico è geniale: Superman si cela sotto l’identità di Clark Kent, imbranato e innamorato di Lois Lane, la quale è innamorata di Superman. Questo triangolo non compiuto consente di attribuire una qualità sacrificale al supereroe, rendendolo più credibile: deve rinunciare alla sua vita affettiva. I tratti strutturali di Superman sono replicati da altri supereroi, con alcune varianti: tutti uomini tranne Wonder Woman, personaggio lanciato nel 1942. Wonder Woman è una principessa amazzone, è tratteggiata in costume, ha la bellezza di Afrodite, la saggezza di Atena, la forza di Ercole e la velocità di Mercurio. Vive lo stesso triangolo di Superman: si innamora di Scott Trevor ma non può per via delle leggi delle Amazzoni; lui è innamorato di Wonder Woman ma non si interessa di Diana Prince. Sia Wonder Woman che Superman che gli altri supereroi combattono contro minacce rivolte contro la home a cui appartengono. Possono essere arruolati per opporsi ai nemici della home, intesa come madrepatria. Captain America (Joe Simon e Jack Kirby, 1941) nasce come derivazione di un progetto scientifico finanziato dall’esercito americano per creare un supersoldato capace di combattere più efficacemente le truppe naziste. Chi incontra queste storie è incoraggiato a confondere i confini tra finzione e realtà se le vuole apprezzare. Spesso ai fumetti, ai radiogrammi o ai film sono collegati gadget messi in commercio I confini tra immaginario e realtà sono permeabili al di là degli spazi delle fantasie adolescenziali. Alla vedova di John Wayne fu consegnata una medaglia al valore per i meriti del marito, che pur non avendo mai combattuto una battaglia, incarnò lo spirito americano nei film da lui interpretati. Le figure eroiche compaiono nei maggiori successi Hollywoodiani del periodo con varianti narrative che si muovono in direzione diversa rispetto ai racconti seriali. L’eroe è spronato dal coraggio di una bambina; interviene, sbaraglia i nemici e se ne va al tramonto; oppure oltre a salvare la sua comunità torna dal suo amore, nella sua home, o trova l’amore per cui ha combattuto. …e vissero (quasi sempre) felici e contenti: Narrazioni di questo tipo risolvono situazioni ansiogene con esiti rassicuranti. Nei film, nei fumetti, nei radiogrammi o nei romanzi eroici, più che una risata è un sospiro di sollievo ciò che, alla fine, scaccia le ansie. Nei sottogeneri della romantic comedy è l’ilarità che rallegra gli spettatori. Ancor più che sui generici effetti comici è sulla struttura narrativa di questi film e sulle sue implicazioni etiche che conviene soffermarsi. Il plot essenziale costituisce una delle modalità narrative più a lungo presenti nella tradizione letteraria dell’Occidente: un giovane vuole una ragazza (o viceversa), ma il compimento del loro desiderio è impedito da un ostacolo finché viene superato. Walt Disney dà un contributo determinante al consolidamento dello schema con Biancaneve e i 7 nani. Non meno importanti sono i musical di Fred Astaire e Ginger Rogers, tra cui Top Hat. Alle canzoni è affidato il compito di illustrare il senso etico della storia. Giacché le commedie romantiche o i cartoni animati hanno un andamento formalizzato, non è difficile individuarne 3 tratti: 1. L’amore romantico è l’ingrediente necessario: il testo di Cheek to Cheek di Fred Astaire spiega la magia dell’innamoramento e suggerisce quanto il sentimento d’amore possa aiutare a superare la vita quotidiana 2. L’obiettivo dell’innamoramento è solo uno: la fondazione di un nucleo matrimoniale ordinato e felice, è ciò che costituisce la sostanza etica del lieto fine di queste storie. In questo periodo la scena finale standard è quello della coppia riunita che danza. Importante è anche la commedia del rimatrimonio. 3. Al sesso si allude solo con qualche bacio; ogni allusione sessuale ha natura eterosessuale; si tratta di scelte a cui tutte le case cinematografiche soggiacciono dal 1934 quando si sottomettono a un Codice di autocensura che impedisce che nei film possano essere descritte la prostituzione, l’omosessualità, l’incrocio tra un bianco e nero ecc. Le commedie romantiche, quelle del rimatrimonio, i musical sentimentali, chiudono il racconto quando la coppia si è riunita. Però che succede dopo? Questo interrogativo è al centro delle storie raccontate dalla soap opera radiofonica. Concepita per attrarre il pubblico femminile di casalinghe, si concentra su vicende postmatrimoniali, osservate dall’interno della Home. Raramente si vedono personaggi svolgere il loro lavoro. Ciò che è essenziale è che le soap hanno uno sviluppo drammatico: c’è spazio per adulteri, stress da lavoro, stress da lavoro ecc. di solito le situazioni hanno esito positivo; i personaggi buoni trovano una soddisfazione, i personaggi cattivi sono puniti. Uno sviluppo melodrammatico insistito senza micro happy ending, risulta sgradito al pubblico. La tavola della moralità è stabilita da personaggi femminili di collocazione tradizionale. L’essenza della soap sta nel costruire storie che attribuiscono importanza alle donne che nella vita reale non avrebbero molti motivi di orgoglio per la loro condizione. The Romance of Helen Trent è una delle soap più longeve. Era il carattere ordinario del personaggio e le sue storie non concluse ad attrarre le ascoltatrici. Alla fine nel 1960, quando la serie finisce, Helen accetta una proposta di matrimonio. Fino all’avvento della tv le soap radiofoniche rappresentano un universo chiuso in sé stesso. C’è qualche eccezione, che riguarda il rapporto tra il mondo delle soap e la produzione cinematografica coeva. Il caso più diretto è quello di Stella Dallas. La storia esordisce il 6 agosto ha il valore di un saggio di interpretazione degli effetti di questo tipo di cinema: Cecilia, povera cameriera negli anni della Depressione è oppressa da un marito disoccupato e violento; va al cinema Jewel a vedere il film the Purple… fino a che il personaggio principale vede la tristezza di Cecilia, esce dal film e intreccia con lei una impossibile relazione. La storia non ha futuro. A Cecilia non resta che sprofondare nel cinema Jewel. Alcuni interpreti hanno rilevato origini e risonanze religiose in lati diversi di queste storie. Il tratto più marcato della cultura di massa mainstream sia il distacco da uno dei fondamenti centrali delle classiche tradizioni religiose. Geertz ha sostenuto che le religioni classiche non sono strumento per edulcorare le esperienze di vita; bisogna riconoscere che i modi di trattare queste esperienze sono finalizzati a includerle in un sistema di senso. Le storie imperniate sul lieto fine operano una rimozione della sofferenza e della morte. Se muore qualcuno è qualcuno che lo merita o comprimari. Le figure principali non muoiono mai né dal punto di vista affettivo né fisico. Il lieto fine si affianca ad altre formazioni etico-narrative: l’inclinazione al conformismo promossa dalla standardizzazione; i contenuti e la modalità di montaggio delle storie, che incoraggiano reazioni paranoidi di fronte a minacce; il culto della violenza giusta. Si possono vedere manifestazioni di una regressione permanente verso l’infantilismo emotivo ed etico Questa diagnosi della cultura di massa mainstream che si forma negli USA degli anni Trenta e Quaranta può apparire ingenerosa. Lo è quando si confronti la reazione della società statunitense alla crisi del 1929: la società americana risponde rinnovando 4 volte il mandato a Roosevelt. In Germania e Russia e Italia il crollo delle democrazie portano ai totalitarismi. La cultura americana non si esaurisce nelle produzioni di Hollywood, nelle pop songs, nei comic book o nelle soap. Le opere di qualità che affollano il campo letterario, teatrale o poetico americano negli anni Venti e Trenta disegnano un’epitome diversa e complessa. Si tratta non solo di opere che esplorano le nuove forme del modernismo narrativo, ma anche di lavori che attaccano gli aspetti essenziali della società di massa. Si ricordano le opere di Sinclair Lewis, Theodore Dreiser, William Faulkner, James Cain, Francis Scott Fitzgerald, Djuna Barnes, Hemingway, Eugene O’Neill ecc. la quantità di persone che si fanno conquistare dalle creazioni culturali più elaborate è minore di quella che cede alle produzioni mainstream. In ogni momento di crisi (come la Grande Depressione) le tirature delle opere impegnative crollano, i teatri di qualità chiudono, i film audaci non circolano mentre i lavori con meno ambizioni intellettuali riscuotono successo. Accanto alle forme mainstream circolano prodotti culturali di massa che possiedono aspetti strutturali diversi da quelli esaminati. Si tratta di produzioni che riscuotono successo solo presso specifici settori di pubblico e in aree geografiche definite. Contronarrazioni in musica: blues, hillbilly, folk La “Anthology of American Folk Music”: Nel 1952 la Folkways Records, casa discografica newyorchese fondata nel 1948, pubblica la Anthology of American Folk Music, un monumento discografico al folk americano in sei LP, per un totale di 84 brani. La raccolta contiene incisioni registrate tra il 1927 e il 1932. La Carter Family è una band composta da 3 musicisti bianchi che si sono conquistati il titolo di star della hillbilly music (musica country o western). La Anthology contiene brani di altri musicisti come Prince Albert Hunt o Eck Robertson. La raccolta contiene canzoni di Blind Lemon Jefferson, di Mississippi John Hurt e altri musicisti blues afroamericani (Charley Patton e Furry Lewis). Si trovano anche brani gospel. Un’operazione del genere è impensabile prima della seconda guerra. La musica Hillbilly è eseguita da bianchi per bianchi, viceversa il blues e il gospel. Ci sono molte influenze reciproche. La costellazione folk USA comprende il folk sindacale o di protesta. Il progetto originario di Harry Smith prevedeva 3 ulteriori raccolte, da aggiungere alla Anthology, che avrebbero documentato il folk americano dal 1890 agli anni Cinquanta. Questa parte non si è realizzata. Le connessioni tra questi stili disegnano un orizzonte che non ha nulla in comune con i valori della cultura di massa mainstream Da New Orleans a Chicago: Nel 1897 a New Orleans viene aperto il quartiere a luci rosse. Dentro i bordelli si può sentire una strana musica afroamericana. Nel 1917 questo quartiere viene chiuso, i musicisti afroamericani emigrano in aree dove erano presenti comunità di neri, come nella Harlem di New York. Il 1917 è anche l’anno della prima incisione discografica di un gruppo che nel suo nome esibisce il termine che finirà per designare quel genere musicale: la Original Dixieland Jass Band, un gruppo di musicisti bianchi, incide un disco a 78 giri (Dixieland Jass Band One-Step e Livery Stable Music) che riscuote un inaspettato successo tra gli afroamericani. Jass (diventato Jazz) è un verbo/nome originatosi a Chicago nel 1915 che significa scopare/scopata. Molta della musica Jazz mostra caratteristiche strutturali che la distanziano dalla tradizione della musica occidentale a cui appartengono sia la musica classica che la musica di Tin Pan Alley (canzoni pop). La musica occidentale è scritta; gli accenti ritmici e gli strumenti percussivi sono marginali o banditi; agli esecutori e ascoltatori è richiesta compostezza; le musiche da ballo incoraggiano figurazioni standard. Le musiche afroamericane, tra cui il jazz, seguono criteri diversi: nascono dall’improvvisazione, non hanno bisogno di notazioni, hanno scansioni e strumentazioni ritmiche che hanno un ruolo centrale nell’architettura complessiva del suono, si sviluppano tramite il dialogo tra gli strumenti, consentono libertà improvvisativa sia agli esecutori che agli ascoltatori La musica jazz nel primo dopoguerra si diffonde come musica da ballo, sia nelle comunità nere che bianche. Piccole jazz band, composte da musicisti afro attivi in varie città degli States, si accompagnano a cantanti nere, la più nota delle quali è Mamie Smith, che riscuote successo nel 1920 con Crazy blues. Da allora la moda delle cantanti si impone nei teatri del sud sia sul mercato discografico dove le loro musiche sono apprezzate solo da acquirenti neri. Tra tutte brilla Bessie Smith, che nel 1925 registra St. Louis Blues. La Smith vendette 10 milioni di dischi in tutto. Il jazz ha un rapporto diretto con il blues. Cosa sia il blues non è facile da dire. Una forma definita di blues si sviluppa nel primo Novecento in un circuito itinerante percorso da musicisti neri che si muovono di città in città. I bluesman si spostano solo su treni merci e usano una strumentazione facile da portare. L’area è racchiusa tra Texas, Louisiana, Mississippi, Alabama e Georgia. Lo spazio elettivo è il delta del Mississippi, area con il 90% di neri, impiegati come mezzadri dai bianchi. Alcuni bluesman sono menomati e quindi si sono dati alla musica. Sebbene eseguano musiche stilisticamente varie si caratterizzano per un modello fissato da Blind Lemon Jefferson, che nel 1926 incide 4 brani blues per la Paramount. Anche la Columbia e la Victor si lanciano in questo mercato, inaugurando l’etichetta “race records”. I blues di Jefferson hanno la stessa struttura: da 7 a 10 strofe, i primi due versi sono uguali (sia testualmente che melodicamente), il terzo sviluppa e varia la riflessione poetica e la linea melodica. Il ritmo è sostenuto e non prevede pause nei versi. La ragione di questa struttura sta nella natura improvvisata del blues. Questo modello si trasforma in una matrice estetica che persiste anche quando il blues viene registrato in studio. Possono intervenire varianti ma il paradigma è quello. Il blues è una delle musiche più standardizzate che incontrano nel panorama della popular culture. La semplicità della forma blues contribuisce al suo successo presso gli ascoltatori afroamericani che fino al 1929 acquistano i dischi dei bluesman o blueswomen. La crisi del 1929 dà un duro colpo, la produzione dei dischi crolla, la musica continua tramite le esibizioni dal vivo e alle radio che le trasmettono Canti dalle prigioni: Sul modello della ricerca folklorica anche gli USA assistono, nell’Ottocento e nel Novecento, ad un interesse per la musica folk. Autorevoli ricercatori nel campo della musica folk, come Cecil Sharp, si interessano solo ai canti delle comunità bianche. Negli anni Venti, intellettuali afroamericani come Arthur Schomburg, James Weldon Johnson ecc., legati alla Harlem Renaissance, cercano di documentare la tradizione folklorica nera. Tra tutti i ricercatori John Lomax e il figlio Alan hanno rilievo particolare per la sensibilità che li induce a interessarsi alle poetiche dei bianchi come a quelle dei neri. Nato nel 1888 in Louisiana, Huddie Ledbetter si è mostrato ribelle ad ogni disciplina che non fosse quella della sua chitarra. per anni viaggia per il Texas lavorando come raccoglitore di cotone e musicista nei juke points. Nel 1908 si sposa con Lethe Henderson, nel 1910 la coppia si trasferisce a Dallas, dove conosce Jefferson. I due cominciano a lavorare insieme. Successivamente viene imprigionato per aver sparato ad un suo amico. Nel 1924 il governatore del Texas va in visita alla prigione e Huddie lo accoglie suonando. Liberato, viene successivamente rimprigionato in Louisiana. Nel 1933 è qui che i Lomax lo scoprono e registrano alcuni suoi brani. Uscito di prigione, Ledbetter insiste affinché i Lomax lo assumano come musicista, Lomax accetta. Inizia un periodo di successo per Ledbetter, i due Lomax gli fanno da manager anche se i profitti sono divisi in modo squilibrato. John e Huddie hanno un contenzioso, mentre Alan mantiene un buon rapporto. Sul finire degli anni 30 il New Deal porta i primi benefici, comunità nere hanno le risorse per comprare una radio o qualche disco. Con l’abolizione del proibizionismo (1933) i locali tornano a riempirsi e si dotano di Jukebox. Il mercato dei race records riprende vita. Storie blues: Quando il blues comincia a girare sui 78 giri, venduta nei negozi ecc. perde l’aura di purezza che John Lomax tentava di preservare e entra nello spazio dell’industria culturale. Cambiano aspetti della forma-blues: la durata delle storie viene abbreviata ma non si perde l’universo narrativo quantità di brani hillbilly esplora un mondo particolare per gli standard mainstream: un underworld fatto di amori infelici, attraversato da vite senza speranza, accompagnato dall’incombere della morte. Le storie di amori infelici sono affidate ad una voce narrante esterna che racconta storie gotiche concluse con un finale gore. Storie così derivano dalla tradizione folk di origine anglo-scoto-irlandese, e dell’immaginario popolare europeo conservano l’atmosfera dark. Quando il punto di vista si sposta e diventa soggettivo l’influenza musicale e poetica del blues diventa evidente. In alcuni casi la storia vira verso un calcato melodramma, vissuto dalla prospettiva sia maschile che femminile. Come nel blues, questa costellazione di storie sentimentali infelici diventa una sublimata metafora per parlare di vite difficili, famiglie disfunzionali, disastri economici, sociali e ambientali che non danno tregua. In altri casi i temi vengono affrontati direttamente, le disaster songs sono tra i generi di maggior successo della prima ondata hillbilly. Anche i temi che hanno a che fare con lo sfruttamento economico e sociale sono esplorati. In nessun caso questa sensibilità si trasforma in una coscienza di classe. Si fa strada nelle canzoni hillbilly una parata di hoboes, spostati, ubriaconi, banditi ecc. che tentano senza successo una carta delinquenziale, non c’è mai una condanna moralistica. Non c’è nemmeno una reale partecipazione al dramma. L’underworld criminale hillbilly è solo maschile. Le donne assistono, piangono o sono lontane dai compagni imprigionati. Folk radicale: il jazz, il blues, la musica hillbilly non hanno valenza politica, sono lamenti individuali o descrizioni di eventi particolari che possono capitare in una comunità popolare bianca o afroamericana. Esprimono emozioni, lasciano agli spettatori il compito di attribuire un senso alle storie cantate. Nel panorama folklorico usa di questi anni cominciano a emergere canzoni che vogliono prendere una chiara posizione politica. In parte sono diffuse da organizzazioni sindacali radicali. Le musiche sono semplici e derivate dal patrimonio di canzoni hillbilly mentre i testi sono adattati alle situazioni Canzoni militanti: se si esamina l’insieme dei brani politicamente impegnati cantati dai musicisti appena evocati, ci troviamo di fronte a 3 tipi di narrazioni diverse. La meno frequente è quella straniata: una voce narrante esterna descrive eventi su cui non esprime alcun giudizio morale. È una modalità tipica della tradizione hillbilly, che Woody Guthrie conosce bene. In questo registro narrativo il vertice espressivo è raggiunto da Strange Fruit. Musicalmente le canzoni militanti sono di una povertà assoluta: strofe ripetute, al massimo intervallate da un ritornello, su linee melodiche semplici. Ma ancora più distante è l’atteggiamento narrativo/etico. Se Strange Fruit (Billie Holiday) non ha bisogno di imporre una morale all’ascoltatore, il folk militante non può trattenersi dal farlo. Chi canta ricorre a una voce narrante che si presuppone abbia una dignità morale superiore a chi ascolta. Quando si canta in soggettiva il pubblico militante si aspetta che il musicista sia uno di noi o che abbia fatto esperienza diretta delle sofferenze di cui parla. Autenticità non significa autobiografismo: con assoluta credibilità, Guthrie può interpretare personaggi che non coincidono con la sua esperienza di vita, come nel caso di Dust Can’t Kill me. Le canzoni più politicamente dense si affidano a una voce narrante esterna e per questo si colloca su un piano morale superiore a quello dei suoi ascoltatori. È una modalità narrativa tipica del sermone religioso, del testo politico o del comizio pubblico. Questa modalità narrativa costituisce uno scarto rispetto alla tradizione poetica blues o hillbilly, in cui la voce narrante è una voce della comunità che non si pone su un piano morale superiore. La verità di cui si parla si fonda su una visione semplice e dicotomica della struttura sociale. Le storie raccontate in queste canzoni devono essere passion plays, cioè racconti dotati di una loro verità etica, rimarcata in forma didattica, cosicché la libertà interpretativa viene ridotta all’alternativa secca tra accettare o rifiutare. Mappe dell’audience: i luoghi in cui si eseguono queste musiche, il pubblico dei concerti, gli acquirenti dei dischi ecc. sono razzialmente e politicamente separati. Musicisti neri eseguono gospel o blues per un pubblico nero; musicisti bianchi eseguono hillbilly per un pubblico bianco; il folk militante attira un pubblico di militanti fedele anche se quantitativamente ridotto; se ci sono dei crossover essi vengono negati. Proprio per il fatto di essere così separate, esse non sono in grado di minacciare la musica mainstream. Se la separatezza è la cifra essenziale di questi stili musicali, l’esatto contrario vale per la cultura di massa mainstream. Le sue produzioni sono pensate per rimuovere i conflitti di classe, di etnia, di orientamento politico, di età, offrendosi come una panacea per coloro che hanno bisogno di sollievo. Le produzioni mainstream non si rivolgono a gruppi specializzati, anche se cominciano ad apparire le prime differenziazioni, come ad esempio le soap operas (indirizzate maggiormente a un pubblico femminile). Adesso è importante la struttura intermediale delle produzioni mainstream Un mondo giovane ed inquieto Essere giovani negli States: i giovani e le giovani negli States oppure i Teenagers. Chi sono? Che fanno? Da che mentalità sono guidati? A queste domande si dà risposta con una indiscussa verità di senso comune. Ciò accade per l’intervento di autorità scientifiche riconosciute, come il sociologo Talcott Parsons, che in un saggio del 1942 descrive il mondo giovanile, specie quello delle high school come uno spazio sociale compatto al suo interno, dotato di rituali, pratiche e valori che li separano dagli adulti. I media sono pronti a sviluppare l’idea di un ideale mondo giovanile come un ambiente omogeneo e distinto dalle generazioni più anziane. Un miglior processo di scolarizzazione tende a mantenere più a lungo i ragazzi e le ragazze all’interno di circuiti di sociabilità composti da pari di età; a scuola, e fuori di essa i giovani stanno coi coetanei e gli adulti vengono visti come estranei. Tuttavia non tutti i giovani sono nelle high school, molti abbandonano la scuola: ciò comporta una più alta segmentazione nelle forme di aggregazione giovanile. Anche l’ambiente delle high school e dei college è segnato da separazioni e da fratture relazionali. Dall’Ottocento gran parte degli stati degli Usa ha portato l’obbligo scolastico a 14 anni. Dal XX secolo, sulla scorta di studiosi come Dewey, un movimento di riforma del sistema scolastico, guidato da imprenditori, giornalisti e politici locali, si è mosso per riorganizzare le high schools. C’è dietro sia la forza della retorica democratica sia il progetto di togliere dalle strade adolescenti privi di controllo; c’è la richiesta di personale qualificato per le industrie e per le amministrazioni pubbliche e private; c’è il culto dell’ascesa sociale, che spinge genitori a convincersi che una migliore educazione farà avere ai figli lavori più gratificanti. Dal 1870 al 1910 le high schools crescono da 500 a 10.000, vengono riorganizzate come istituti comprensivi. La crescita della frequenza delle high school aumenta anche in periodi gravi come la Grande depressione. È una scelta incoraggiata da Roosevelt che nel 1935 instituisce la National Youth Administration, agenzia che si occupa di sostenere economicamente i ragazzi/e disagiati/e con borse di studio. Il 50% dei ragazzi rimane comunque fuori dalla scuola. Più selettivi sono i college e le università. Dagli anni ’20 alla seconda guerra c’è una crescita modesta delle iscrizione, dal 3 al 13%. Il costo delle iscrizioni è alto e le organizzazioni statali non concedono aiuti. La maggior parte dei ragazzi che abbandonano la scuola cercano un impiego. Le famiglie di origine di questi ragazzi sono povere e disfunzionali. I ragazzi che vengono da questi contesti, quando la loro situazione è localmente riconosciuta, difficilmente trovano impieghi stabili. Anche quelli che provengono da famiglie più stabili, negli anni dopo il 1929 fanno fatica a trovare offerte di lavoro. Se sono disoccupati i ragazzi passano poco tempo a casa, andando a formare gruppi ai margini della strada. I gruppi amicali di strada sono numerosi e di varia dimensione: Thrasher, in uno studio sulle gang giovanili di Chicago, ne conta 1313, per un totale di 25.000 ragazzi. Le gang sono divise per appartenenza etnica, per quartiere, per fede religiosa. In alcuni casi i ragazzi adottano abitudini al confine tra atteggiamenti conformistici e gesti di ribellione antiestablishment. Le risse tra gang sono frequenti. La lealtà verso la propria gang è fondamentale, però quando uno frequenta una ragazza o si sposa deve abbandonare la gang. Appare chiaro che l’appartenenza ad una gang è solo temporanea. Raramente nelle gang ci sono ragazze, altrettanto rare le gang composte da sole ragazze. Talora nel tempo libero le ragazze di estrazione popolare si riuniscono in singoli gruppi e vanno l’una a casa delle altre, costruendo un sistema valoriale fondato sui popular media. La cultura delle ragazze celebra aspetti della femminilità che sono parte essenziale della moda mainstream. Ci sono comunque occasioni sociali dove anche loro escono nei luoghi di ritrovo maschili. Le gang sono un fenomeno urbano, rigidamente collocate nel quartiere di appartenenza; una connotazione territoriale diversa ce l’hanno gruppi di giovani che, essendo orfani o in fuga da famiglie disfunzionali, abbandonano la scuola e si uniscono alle comunità degli hoboes – lavoratori avventizi migranti – o entrano nelle giungle urbane degli homeless. La Hobohemia (comunità di lavoratori vaganti o degli homeless urbani) è variegata per età ed estrazione etnica ma secondo Neil Anderson è anche uno spazio in cui gruppi differenti di persone riescono a coabitare senza riprodurre le tensioni razziali e le gerarchie sociali che vivono nella società mainstream. Ciò non toglie che le traiettorie percorse da coloro che entrano nella Hobohemia possono essere varie. trasferirsi a Los Angeles; lì i pachucos e le pachuquitas si trovano sospesi tra due mondi: né ben integrati nella comunità di origine né da quella bianca. Creano delle gang giovanili proprie e adottano un abbigliamento particolare, lo zoot suit. È il primo gruppo che costruisce strategie della distinzione tramite scelte di consumo bizzarre e dotate di un senso simbolico chiaro: distinguersi dagli altri e esprimere un proprio universo di valori. L’abbigliamento è composto da pantaloni abbondanti in vita e stretti in fondo, con giacche lunghe e cappelli a tesa larga: il modello è il gangster o i musicisti jazz. Il tutto è corredato da scarpe bicolori e pettinatura in stile duck tail, cioè capelli imbrillantinati, portati indietro e pettinati sulla nuca in due onde convergenti al centro. Anche le pachuquitas hanno il loro abbigliamento: gonne al ginocchio e camicette, rossetto rosso scuro e mascara nero, atteggiamento sfrontato e aggressivo. La stampa locale accusa i pachucos di far parte di gang delinquenziali, di far uso di marijuana ecc. le tensioni che si accumulano tra fine anni Trenta e inizio anni Quaranta esplodono con l’entrata degli Usa in guerra. Una norma del 1942 proibisce la produzione di vestiti ampi, ma i pachucos riescono a procurarsi illegalmente i vestiti. Migliaia di soldati e marines a Los Angeles giudicano uno sberleffo gli abiti lunghi dei pachucos durante la guerra e inizia una caccia all’uomo per 10 giorni. Alla fine la polizia interviene e seda i tumulti ma in carcere ci finiscono soprattutto pachucos e non soldati 2) Pochi giorni più tardi, le tensioni che hanno investito i pachucos si scaricano contro i gruppi di giovani neri, segregati al sud e scarsamente integrati nel Nord. Alla fine di giungo 1943 a Detroit scoppiano duri scontri tra giovani bianchi e neri; ad agosto scoppia una rivolta ad Harlem, altri scontri a Filadelfia, Chicago e San Diego. Non si tratta di episodi nuovi. Le comunità afroamericane rispondo a questo stato di cose con creatività musicale e coreutica. Non è solo il blues ma soprattutto il jazz e le danze costruite intorno agli stili jazz che si susseguono nel primo dopoguerra. È in questa fase che si diffondono danze di derivazione afroamericana come il charleston. Tra gli anni Venti e Trenta l’interesse per il jazz cresce, anche se rimane limitato ad ambiti geosociali circoscritti, in particolare in città come New York o Chicago. Il pubblico bianco è selettivo, l’apprezzamento maggiore va a chi come Paul Whiteman esegue lo sweet jazz, jazz sinfonico connotato da arrangiamenti classici, uso di archi e minimalizzazione delle improvvisazioni e della componente ritmica. Nei quartieri e nei locali frequentati dai neri qualcosa sta cambiando, sono molti quelli che a New York, Chicago e San Francisco cominciano ad apprezzare l’hot jazz, stile suonato sia da bianchi che da neri, che vede un largo uso delle sezioni ritmiche. Balli come il jitterbug, lo shag, il lindy hop, il susie-q, il boogie-woogie si trasformano in un doppio simbolo identitario: diventano un segno di appartenenza comunitaria; sono balli fatti da giovani coppie e meno tra gli anziani, creando una frattura generazionale nella comunità. Permettono anche di vivere la musica con il corpo, incoraggiando i ballerini a costruire figure di una sensualità che colpisce l’immaginazione dei giornalisti bianchi. La critica razzista si trasforma in isteria quando si ha la sensazione che questi atteggiamenti barbarici stiano contagiando adolescenti bianchi delle grandi città 3) Tributare un culto al musicista (avveniva per Sinatra) che fa ballare danze che solo i giovani possono ballare, o al cantante giovane quanto te, significa rimarcare un processo di allontanamento e di estraneità rispetto al mondo dei grandi, degli adulti e dei vecchi. Per le ragazze c’è qualcosa di più, perdere il controllo è un modo per manifestare l’insofferenza nei confronti delle regole che condizionano l’espressione dell’identità femminile. Il fenomeno di esaltazione comincia tra gli anni Trenta a Quaranta. Le esperienze dei pachucos e delle pachuquitas, dei ballerini di jitterburg, delle fan di Sinatra, mostrano che gli universi giovanili stanno sperimentando percorsi identitari costruiti tramite il ricorso a pratiche cariche di imprevedibili significati simbolici; ognuno di questi gruppi riprende materiali già diffusi nella cultura di massa e li ricompone in una cornice di senso nuova: la distinzione dei giovani messicani; un senso di libertà per i giovani afroamericani; la negazione del comportamento da vera signora, e del sistema di valori connesso per le ragazze ululanti ai concerti dei loro musicisti preferiti. L’indeterminatezza sociale di questi sistemi simbolici o l’assenza di contenuti politici non li rende meno urticanti per gli osservatori mainstream. Entrambi questi aspetti suggeriscono che altri rituali divergenti possano essere costruiti. Se non ci si sente a proprio agio nella collocazione sociale in cui ci si trova si possono inventare forme espressive creative che possono attrarre chiunque. “Khaki-wackies”: l’arruolamento dei giovani per la guerra fa sì che le donne siano assunte in massa in ogni settore professionale per sostituirsi agli uomini. Nel ’45 le donne sono il 36,1% dei lavoratori. Questa cosa deve durare solo per la guerra, tuttavia i rapporti di genere cambiano. Molte donne vanno a lavorare in fabbrica o negli uffici. Vengono anche allestite sale da ballo provvisorie per i soldati che devono partire per la guerra. Molte donne si limitano a ballare, altre invece vanno oltre, sono le khaki-wackies o victory girls. Il fenomeno non è generalizzato ma comincia a diventare vistoso e attrae l’attenzione pubblica. Le autorità militari cercano di limitarlo. Quando il fenomeno diventa incontrollato, nelle reazioni delle autorità militari e degli organi di stampa mainstream come Life, Newsweek e Time, le preoccupazioni moralistiche si trasformano in ansie sanitarie, alimentate da una campagna ossessiva vòlta a proteggere i giovani dalle malattie veneree. 1) le donne sono più inclini alla sessualità, le nere più delle bianche; 2) le donne sono i principali vettori delle malattie veneree e per questo vanno represse. Le donne nere sono più recettive di queste malattie; 3) i soldati hanno diritto alle loro soddisfazioni sessuali, un tratto che li rende “veri uomini”; 4) il comportamento sessuale dei soldati non è causa di infezione, i militari infetti sono le vittime e per questo vanno curati. In tutta questa vicenda le donne sono considerate soggetti pericolosamente sensuali. Si tratta di un’idea diffusa, ma viene contrastata dal “doppio-positivo” attraverso le rappresentazioni femminili usate dall’Owi per spingere le donne a partecipare attivamente allo sforzo di guerra. Si tratta di immagini di donne rassicuranti e volitive, impegnate a occupare posti di lavoro lasciati dagli uomini, dedite alla famiglia e non dotate di attrattiva sessuale. Su questo aspetto si insiste molto. Il problema che si pone all’Owi è che dar sostegno all’immagine di donne serie e determinate, che si trovano un lavoro o si arruolano nei corpi femminili, risulta minaccioso per molti uomini. Si preferisce quindi una donna più seducente. In molte immagini pubblicitarie del periodo di guerra si vedono giovani donne attraenti. La nuova immagine viene accolta anche dalla propaganda militare ufficiale. Pin-up: immagini di ragazze da attaccare al muro: sono le pin-up che popolano i sogni di milioni di soldati e civili americani dagli anni della guerra. Le immagini sono di due tipi: foto di giovani attrici in voga; i disegni che dall’ottobre 1940 vengono realizzati da Alberto Vargas per Esquire, rivista orientata verso il pubblico maschile. Sin dal 1939 Esquire pubblica un’edizione gratuita per i soldati con retrocopertine realizzate per l’occasione. Al centro di ogni numero di Esquire c’è un manifesto a doppia pagina che riproduce le Varga Girl del mese, esplicitamente sessualizzate. Sebbene non siano esplicitamente pornografiche il messaggio è evidente. La retorica che circonda queste immagini tende a ricontestualizzare l’esplosività erotica che le caratterizza entro un quadro più rassicurante. Il disciplinamento morale delle pin up riesce perfettamente. Il modello diventa talmente popolare da essere proposto esplicitamente come standard di bellezza nelle pubblicità di prodotti cosmetici indirizzati alle ragazze. Non tutta l’opinione pubblica Usa è pronta ad accettare le Pin up. Frank Walker, avvocato cattolico del Montana, nel settembre 1943 inventa una causa contro Esquire. Prove di normalizzazione La casa dei nostri sogni: nel secondo dopoguerra molte famiglie bianche di varia estrazione sociale abbandonano i centri delle città e si spostano verso nuovi sobborghi residenziali extraurbani, dove si registra una grande espansione edilizia. La trasformazione demografica e urbanistica è favorita da politiche governative che la incoraggiano, con la costituzione della Federal Housing Authority, ente creato nel 1934, che assicura facilitazioni creditizie alle famiglie interessate a comprare casa nei sobborghi residenziali. I nuovi quartieri sono omogenei anche dal punto di vista razziale, i neri vengono esclusi dai sobborghi residenziali. Dal ’42 al ’70 più di 5 milioni di afroamericani si spostano dal Sud alle città del Nord e dell’Ovest. Non trovano ospitalità nei sobborghi. I bianchi poveri e i neri restano confinati nelle grandi città, in vecchi quartieri. I sobborghi diventano tuttavia un luogo dello spirito Allarme rosso: negli anni successivi alla seconda guerra, la “home” nel senso della casa come metafora della comunità di appartenenza, è vissuta con ottimismo e paranoia. La società Usa esce dalla guerra con i suoi problemi: 15 milioni di soldati tornano e devono ritrovare il loro posto nella società; le industrie devono riconvertirsi per il normale mercato dei consumi, il che comporta tagli ai salari, alla dirigenza dell’emittente. Fondamentale è la valutazione dell’audience. Simile al sistema radiofonico, anche quello televisivo si struttura tramite l’espansione dei network nazionali: ogni network può avere un numero limitato di stazioni, ma può sottoscrivere contratti con le emittenti autonome per la trasmissione di programmi concepiti dal network centrale. Le emittenti autonome sono collegate a uno dei grandi network e riservano più del 60% del tempo di trasmissione a programmi nazionali, forniti dal network centrale. La concorrenza della tv dà un duro colpo all’industria cinematografica. Dal 1946 al 50 gli spettatori nelle sale scendono a meno della metà. La gente preferisce stare a casa. L’eccezione è data dal pubblico giovanile, che predilige il drive in. L’industria cinematografica cerca di reagire adottando innovazioni tecnologiche, con l’uso del colore o il tentativo di introdurre il 3D (va aspettato il 2009). Ignorando le direttive antitrust continua il processo di concentrazione societaria sebbene in forme diverse rispetto agli anni Trenta, tuttavia la Rko deve chiudere i battenti (povero Randy Orton). Ciò che consente di superare la grave fase di crisi è una alleanza con i network televisivi. L’alleanza assume due forme: da un lato, le TV noleggiano o acquistano gli archivi filmici delle case cinematografiche hollywoodiane, potendo trasmettere in prima serata film di recente produzione; dall’altro i network televisivi e le majors cominciano a collaborare per la produzione di telefilm, ovvero film pensati per la tv. Questo sviluppo è significativo ed è avviato dalla ABC, la minore dei network televisivi, che viene acquistata nel 1953 dalla United Paramount Thetaters, cioè l’azienda che gestisce la catena di sale cinematografiche un tempo della Paramount. A capo della Upt c’è Leonard Goldenson, che nel 1954 sottoscrive un contratto con la Walt Disney Co. Secondo cui Disney si impegna a produrre un programma televisivo esclusivo per la Abc mentre la Abc si impegna a cofinanziare la costruzione di un parco a tema Disney, a Los Angeles. L’operazione è un successo. La Disney produce Disneyland, trasmissione settimanale di un’ora, articolata in 4 sezioni tematiche del parco. Nel 55 apre ad Anaheim apre Disneyland mentre la Abc trasmette Mickey Mouse Presents. L’iniziativa ha un impatto impressionante, con spin off transmediali, ri- trasmissioni delle puntate dei programmi trasmessi già e una infinita produzione di gadget collegati ai personaggi principali dei programmi. Da questo esperimento, i contratti con le altre majors hollywoodiane per la produzione di film o serie tv che si moltiplicano e spingono altri network oltre alla Abc a seguire questa linea. Inizialmente le trasmissioni tv sono dei riadattamenti dei programmi radiofonici, trasferiti in video. I produttori televisivi concepiscono programmi che evitano argomenti complessi. L’eccezione è costituita da pièce teatrali riprese dal vivo anche se poi vengono abbandonate dai media. Queste scelte sono il frutto di una strategia che vuole evitare di esporre i network a indagini come quella che la Huac ha avviato su Hollywood. Sino alla fine degli anni Sessanta, la programmazione è pensata per il pubblico bianco. Tra le produzioni televisive di maggior successo si impongono i varietà, i quiz e le serie televisive, tra cui le soap. Un impatto maggiore hanno le serie tv che ripercorrono i moduli delle narrazioni mainstream. È essenziale il riproporsi dello stesso protagonista, circondato da un numero limitato di comprimari, con una struttura narrativa che ripercorre la solita parabola. Ciascuna di queste componenti delle serie a puntate produce la fidelizzazione di sezioni significative del pubblico al serial prediletto. Tali programmi sono apprezzati dagli sponsor che sanno di poter contare su un pubblico di riferimento costante nel tempo. Gran parte di questa produzione aveva i suoi precedenti nelle programmazioni radiofoniche e cinematografiche. Accanto a questi format se ne impone uno che trova nella televisione la sua consacrazione, ovvero la sitcom: nella versione che si impone dalla metà degli anni Cinquanta si tratta di una commedia che ha al centro un nucleo familiare, collocato nei sobborghi residenziali. Le storie, di impianto comico, ironizzano sulle tensioni interne al matrimonio e alla famiglia. La conclusione positiva dei drammi comici vuole rimarcare la centralità della home Forme della libertà: in ognuno dei programmi tv citati la pubblicità entra dentro le storie. Le narrazioni pubblicitarie minimizzano valori come la frugalità o la semplicità, enfatizzando il valore positivo del consumo come acquisizione di simboli di status. Per farlo invocano il parere degli esperti, che vogliono apparire come dispensatori di consigli che aiutano i lettori, gli ascoltatori o i telespettatori a compiere scelte decisive per la salute e la felicità. In qualche caso è la stessa pubblicità che esagera la minaccia che normalissimi disturbi arrecano alla vita sociale di una persona, tutte minacce che si possono evitare comprando il prodotto giusto. Si pensa anche al pubblico femminile, sottolineando che le scelte di consumo compiute dalle donne danno loro importanza. La pubblicità vuole trasmettere l’idea che esista già qualcosa di simile a una società senza classi, in cui ognuno può comprare ciò che il mercato offre. L’ideologia di fondo suggerisce che non c’è bisogno di combattere per l’uguaglianza perché esiste già. La fase di grande espansione economica e la crescita dei redditi disponibili per le famiglie sembrano dare fondamento a questa visione che distorce la realtà usa. Se non c’è una divisione di classe, nelle narrazioni pubblicitarie c’è una divisione di razza e genere. Nelle trasmissioni televisive non ci sono pubblicità con o per neri, le distinzioni di genere sono marcate. La grande valorizzazione della domesticità come regno della donna che non lavora e che sopraintende agli acquisti domestici viene investita di un significato politico-istituzionale tramite il kitchen debate, cioè la discussione tra Nixon e Chruscev, che ha luogo a Mosca nel 1959. Film di successo come Cindarella e Sabrina illustrano l’ideale perfetto delle donne costruite sulla cultura mainstream. Che il principe azzurro sia ricco sfondato non rappresenta un problema, anzi. Da un lato propone una declinazione del sogno americano di ascesa, sebbene adattato all’immagine di donna che domina nel periodo: è il matrimonio di una donna povera con un uomo ricco che consente di passare da una condizione sociale all’altra. Dall’altro lato segnala una tendenza coerente con il clima politico dominante: il populismo che connotava una parte della produzione mainstream durante la Grande Depressione. La crescita economica, la casetta nei sobborghi, il reddito crescente, l’economia che funziona fanno pensare ai ricchi come ai leader naturali della comunità. Anche le storie che hanno a che fare con l’amore e il matrimonio comportano rilevanti implicazioni etiche. La valorizzazione della famiglia intesa come nucleo fondamentale è uno dei temi della propaganda di guerra, ciò non viene abbandonato nel dopoguerra. Cambia il nemico ma la ragione per combattere resta la stessa: contro le trame delle spie comuniste. Si tratta di libertà con confini precisi. Nel 1945 trenta Stati possiedono leggi che impediscono il matrimonio tra persone bianche e nere. Fino al 1961 in tutti gli stati Usa esistono leggi che trattano la sodomia come un reato penale; gay e lesbiche attirano disprezzo. La levander scare è la persecuzione contro i gay e lesbiche. Nel ’53 Eisenhower emana un ordine esecutivo che proibisce l’assunzione di gay e lesbiche nelle strutture federali. Si cerca di contrastare il fenomeno con matrimoni precoci che inducano a comportamenti moralmente più accettabili. Il processo è già in corso negli anni della guerra. Going steady: la crescita di iscrizioni negli anni Cinquanta rende le high schools più importanti nella formazione di una identità generazionale specifica. Tra il 1950 e il 60 la percentuale di ragazzi e ragazze che frequentano le scuole superiori passa dal 60 al 72%. Non meno significativi sono i mutamenti che riguardano la frequenza dei college e nelle università. Le università ammettono all’iscrizione i veterani che non hanno conseguito il diploma superiore. I risultati ottenuti da questi studenti sono buoni. Nel 1950 il Congresso approva il Selective Service Act, che autorizza gli studenti universitari a rinviare il servizio militare. Molti studenti sono incoraggiati dai genitori a continuare la carriera universitaria per avere una maggiore ascesa sociale. Le istituzioni universitarie private rispondono all’aumento della domanda facendo lievitare gli standard di ammissione. In tutti i livelli educativi universitari aumentano le studentesse, che nel 1950 sono il 32%, mentre il 37% nel 1960. Gran parte dei nuovi iscritti viene da famiglie a basso reddito delle comunità afro o latino - americane. Tuttavia gli studenti neri, i latinos e i bianchi di famiglia povera sono sottorappresentati tra gli studenti universitari rispetto al loro peso complessivo sulla fascia d’età. Negli stati del sud, continua a funzionare un sistema educativo segregato, con college riservati a studenti e studentesse afroamericane. Al di là di questi meccanismi istituzionali di selezione, sia nelle high schools che nei college o nelle università continua a vigere una segmentazione relazionale animata dall’esistenza di diverse fraternitas. Ora la selettività sociale e razziale in vigore nella costruzione della socialità non è minore di quel che fosse prima della Seconda Guerra Mondiale; adesso la distinzione tra leading crowds delle high schools e le gang amicali marginali si fa più netta di prima. All’interno delle high schools i criteri selettivi che determinano la popolarità di una ragazza non sono cambiati rispetto ai decenni precedenti alla seconda guerra. Per essere popolari con le ragazze i ragazzi devono essere atleti e avere la macchina; le ragazze devono essere cheerleader. Per le ragazze la cura dell’aspetto esteriore si inscrive in una concettualizzazione delle virtù femminili che prevede che sia il maschio a scegliere la femmina sulla base di un ideale di bellezza definito dai media. Già da prima della guerra nelle scuole c’era il sistema del dating system, il sistema di appuntamenti per le uscite in coppia in uso tra ragazzi e ragazze. Nel dopoguerra la pratica della rotazione del partner viene sostituita dal going steady, cioè dalla formazione della coppia fissa. Per i genitori di classe medio-alta questa del going steady è una novità. Sia le ragazze che i ragazzi apprezzano molto lo stare insieme. Non si rischia di dire di no né di sentirselo dire. Nelle high school ciò che determina la reputazione è la pratica del gossip. Lo stesso avviene nelle università: quando si formano nuove coppie può capitare che la rivista del campus ne dia notizia nel senso della comunità. Tutti questi aspetti mostrano che lo stare insieme è un sistema relazionale vòlto verso il gruppo dei pari e non verso i genitori o altri membri anziani delle famiglie; l’importante è al suono dello swing verso musiche romantiche è già in atto. Passano pochi anni e il mutamento è compiuto. Tra il 1950 e il 54 Billboard registra 65 canzoni che si collocano al numero 1 della hit parade. Il genere orchestra domina; pochi brani country e western, jazz o swing si impongono al vertice della classifica e gli arrangiamenti sono tali da avvicinare molte delle esecuzioni alla struttura delle pop songs orchestrali che si collocano all’interno della tradizione sinfonico- romantico europea. La strumentazione di queste canzoni orchestrali esclude la presenza di basso e batteria; ogni scansione ritmica è assente; il tempo è lento; la melodia diatonica. La struttura interna delle canzoni orchestrali prevede una varia articolazione in pochi elementi ricorrenti: una breve introduzione strumentale, una sequenza di strofe, intrecciate a dei ritornelli, un interludio orchestrale e una breve coda. La linea melodica fondamentale e il tema narrativo sono presentati nelle strofe collocate subito dopo l’introduzione e alternate ad un ritornello. L’interludio strumentale serve da sospensione lirica. Nella seconda parte delle canzoni orchestrali la strofa da un lato, e il ritornello dall’altro, sono intrecciati in combinazioni varie che riprendono la struttura melodica, sia i versi esposti nelle parti iniziali. All’interno di questa struttura possono variare la durata delle articolazioni e la disposizione. Il numero di soluzioni è limitato, un ascoltatore sa che la sezione iniziale seguirà una sequenza standard e che dopo l’interludio strumentale tornerà una o entrambe le strutture comparse nella prima parte. Le star del pop sono rassicuranti anche per come si presentano. Non sono giovanissime: le cantanti hanno circa 28 anni. I cantanti sono più anziani: l’età media è di 33 anni, con un range che va da 21 anni a 46. I cantanti sono quasi tutti bianchi e si vestono al solito modo: gli uomini giacca e cravatta (o fiocco); le donne vestiti a vita stretta, con una gonna ampia coperta di volant, tulle e decori. Storie pop: se dalla morfologia musicale si passa alle strutture narrative, ci si trova di fronte a una gamma limitata. Nel campione ci sono 4 brani strumentali; 6 novelty songs;, 7 situation songs. Di queste canzoni, 11 descrivono esperienze infelici; 9 parlano di due amanti che sono costretti a separarsi; 26 sono canzoni di corteggiamento o di positiva passione amorosa; 2 hanno un profilo più particolare. Nelle canzoni del primo sottogruppo (amori finiti o non corrisposti) l’infelicità amorosa non è mai presentata in toni drammatici, né dal punto di vista narrativo, né dalle soluzioni musicali adottate. 1. Quelle che accennano ai rapporti più articolati sono 3. In Cold, Cold heart del 1951, scritta da Hank Williams e cantata da Tony Bennett in una versione che non ha nulla a che fare con le radici country, si narra di lui che tenta di liberare lei da un’esperienza traumatica senza riuscirci. Le altre due hanno un focus femminile: in Half as Much, del 1952, cantata da Rosemary Clooney, lei si lamenta perché trascurata dal suo uomo. In The song from Moulin Rouge (Where is your heart) del 1953, cantata da Felicia Sanders, si narra di lei che bacia lui e ne è innamorata, ma teme che lui pensi ad un’altra 2. Altre due hit del gruppo, una del 1952 e una del 53, hanno una struttura narrativa identica, col mutamento della prospettiva di genere: un fidanzamento è stato rotto; l’ex amante ha deciso di sposarsi con un’altra persona; gli ex fidanzati abbandonati decidono di andare al matrimonio 3. In altre due canzoni prevale una sensibilità da vero macho. In Wanted, 1954, Perry Como racconta che lei l’ha mollato per un altro e lui sarebbe pronto a perdonarla se solo confessasse per iscritto di essersi pentita. In Cry of the Wild Goose, del 1950, Frankie Laine racconta che sebbene lei lo ami e gli sia fedele, lui deve lasciarla per il richiamo della vita libera 4. Nella 4 canzoni restanti il sogno o l’ottimismo aiutano a stemperare la delusione di una storia infelice Un altro gruppo di hit, composto da 9 canzoni, racconta di due amanti che sono costretti a separarsi: cinque sono cantate da una voce femminile; tre da una maschile; una da una coppia. Il senso delle canzoni è lo stesso: la tristezza dell’allontanamento; la forza persistente del desiderio; la speranza di rincontrarsi; l’eternità dell’amore. La distribuzione delle hit mostra il legame del genere con la guerra di Corea. Questo gruppo di canzoni ci dice che l’infelicità è contemplata, ma non è mai considerata così devastante da condurre a gesti drammatici o a depressioni che non possono essere superate. La sezione più ricca del campione (26 canzoni) è quella che descrive il corteggiamento. Le canzoni di corteggiamento o di desiderio cantate da uomini sono più ripetitive e convenzionali, quelle cantate da donne hanno una marcia in più. Il matrimonio è il coronamento del sogno d’amore e che, nell’universo all’universo delle pop songs, per una donna funziona come mezzo per disciplinarne la sensualità. Che nell’universo delle canzoni pop le cose non possano realmente andare male è testimoniato dall’interazione tra testo e musica in un successo del 1954 di This Ole House, cantata da Rosemary Clooney. La canzone è l’unica che in tutto il campione osi affrontare il tema della morte, sebbene solo imminente. Non è solo qualche dettaglio a rassicurare; è il tipo di musica scelta, apparentemente la più inadatta possibile: un country allegrissimo, che capovolge la tristezza della storia con un piano honky tonk. Nel mondo delle pop songs tutto è bene quel che finisce bene. Sin dalla nascita dell’industria culturale di massa è per questo che qualcuno scrive e canta le pop songs: divertire, nel senso di allontanare i turbamenti e le preoccupazioni. Hard country: la musica country si è imposta sin dagli anni Trenta a un pubblico specifico: ascoltatori delle classi medio-bassa, originari delle aree centro-sud-orientali degli States. All’interno del genere all’epoca potevano essere distinti due filoni narrativi, uno più drammatico e l’altro più vicino alle pop songs. Da un lato prosperano cantanti che propongono canzoni i cui testi affrontano temi classici del pop, tra questi Gene Autry è uno dei cantanti di maggior successo. Il lato soft della musica country viene vigorosamente rovesciato da un musicista come Hank Williams, che propone un panorama testuale più aspro, proiettato verso la descrizione di antieroi senza speranza di riscatto, annegati nell’alcool, incapaci di tenersi un lavoro, sopraffatti da amori andati male. Williams pubblica anche canzoni che hanno l’impianto di dolenti sermoni religiosi, sotto lo pseudonimo di Luke the Drifter. Una parte del pubblico che apprezza la musica country viene da ambienti economicamente e socialmente disagiati. L’hard country è uno stile che rifugge l’ottimismo e il candore della coeva musica mainstream. Dal 1947 al 52, quasi tutte le canzoni vanno ai primi posti della musica country, e di queste buona parte si piazza alla numero 1. Nonostante la caratteristica hard di gran parte della produzione di Williams, alcuni dei suoi brani sono coverizzati da artisti pop e hanno un buon successo. Le modalità dello spostamento sono interessanti: vengono scelte due canzoni tra le pochissime allegre e spigliate dell’intera produzione di Williams, come Hey Good Lookin e Jambalaya (on the Bayou). La prima, lanciata da Williams nel ’51, viene interpretata da Frankie Laine e Jo Stafford nello stesso anno. Jambalaya, del ’52, viene reinterpretata da Jo Stafford con un arrangiamento che ne fa una sorta di Mambo. Il successo di Williams nel 1952 raggiunge l’apice. Quello per lui è un annus horribilis: la prima moglie lo caccia di casa e chiede il divorzio; incontra un’altra e la sposa; una terza donna lo accusa di averla messa incinta e lui accetta di pagare per il figlio (non è lui il padre); Williams è più briao che sobrio. Per curare dolori di schiena abusa di morfina e altri farmaci. Muore il 31 dicembre del ’52 a soli 29 anni. La commistione di interessi commerciali e di cordoglio da parte dei fan è un aspetto tipico della cultura di massa. Le produzioni dell’industria culturale sono un business, tanto quanto un contributo alla vita dello spirito che le voglia apprezzare. C’è anche un’altra dinamica in atto, ossia si ha paura della morte, la si nega. A tale processo di rimozione contribuisce la nuvola di morte della guerra, vi contribuisce la ripresa economica, il materialismo estremo sollecitato dalla cultura di massa mainstream, il culto del lieto fine ecc. vi hanno contribuito anche il miglioramento della scienza medica che ha permesso l’abbattimento dei tassi di mortalità. Tutti questi processi hanno spinto a considerare le morti premature come qualcosa di insopportabile, poiché sono la testimonianza di queste fantasie. R’n’B: sia prima che dopo la guerra milioni di neri se ne sono andati dal sud e si sono trasferiti nelle grandi città dell’Ovest e del Nord. A Oakland, San Francisco, New York o a Chicago non è detto che le cose vadano meglio: i neri sono reclusi in quartieri ghetto; le condizioni educative, economiche e lavorative che li accolgono sono scadenti. Quelli sono luoghi diversi rispetto alle campagne e alle città del Sud. In California o negli stati del Nord non vigono le Jim Crow Laws. La ripresa economica del dopoguerra porta benefici alle famiglie afroamericane che vi si sono trasferite. Tra i beni di consumo ci sono i nuovi ritrovati tecnologici dell’industria culturale. I più ricchi tra i neri si comprano un apparecchio televisivo, anche se i programmi sembrano pensati solo per i bianchi. Altri afroamericani si comprano una radio; acquistano anche i dischi che passano nei programmo radio o vanno nei juke joints per ascoltare al jukebox le loro canzoni preferite. Negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale il mercato discografico resta socialmente e razzialmente separato. Musicisti neri suonano per neri. Qualcosa però sta cambiando, un mutamento segnalato anche da Billboard che dal 25 giugno 1949 fa cadere le rubriche “Best selling Retail Race Records” e “Most-Played juke box race records” per sostituirle con due rubriche che si chiamano “best selling retail Rhythm and Blues records” e “most-played juke box Rhythm and blues records” da allora “Rhythm and Blues” o R&B, che diventa il termine per indicare il sistema della musica pop afroamericana. La svolta terminologica è dettata dalla constatazione che la musica nera sembra in evoluzione. I blues acustici, i cui maestri furono Blind Sun per registrare un altro disco, con risultati più incerti di prima, e ancora il direttore non mostra interesse. Alla fine del giugno ’54 Phillips ritiene di avere un bel pezzo da incidere, ma non sa a chi farlo cantare. È allora che la segretaria chiama Presley. All’inizio prova da solo, poi Phillips gli affianca il chitarrista Scotty Moore e il contrabbassista Bill Black, ma ancora non ci siamo. Improvvisamente Elvis si mette a cantare un blues di qualche anno prima e a fare lo scemo nella stanza. Bill Black comincia a seguirlo, anche Moore si unisce. Alla fine la session decolla. Il pezzo è that’s all right, un blues di Arthur Crudup, inciso nel 1946. Sam decide di far sentire il pezzo a Dewey Phillips, DJ di Memphis. A luglio Memphis chiama Sam e gli chiede due copie poiché lo vuole lanciare. Tutti lo apprezzano. Dewey chiama a casa di Elvis perché lo vuole alla stazione radio, alla fine va. Sam ha bisogno di un altro pezzo per l’altro lato del disco, quindi i tre tornano in studio. Trovano Blue moon of Kentucky di Bill Monroe. Rispetto agli originali, that’s all right si differenzia dalla versione di Crudup per la chitarra e la voce piena di Presley; la struttura ritmica rimane la stessa; ciò che cambia è il fatto che un bianco canta musica che appartiene alla tradizione culturale nera e lo fa senza mutare gli stilemi blues. Più innovativo è il trattamento che Elvis fa dell’altra canzone: un brano country, della tradizione bianca, viene affrontato come se fosse r’n’b, rendendolo irriconoscibile sia per il ritmo, accelerato, sia per l’intensità espressiva, incontrollata. Per qualcuno è uno scandalo. Rock and roll e moral panic: dal 1955 al 1957 la nuova musica si afferma e acquisisce un nuovo nome: rock and roll. In questo nome ha una parte importante il dj Alan Freed. Nel ’52, prendendo spunto dal testo di sixty minute man, dove si usano i verbi rock and roll, Freed battezza il suo programma “Alan Freed’s Moondog rock and roll house party”. Nel ’54 Freed passa alla Wins di New York. Quando arriva nella Mela un musicista locale, Louis Hardin, con soprannome Moondog, lo cita per uso improprio del nome, Freed allora cambia il nome e lascia solo rock and roll party. Le espressioni rock, rocking, erano usate nella musica nera; nel 1922 Trixie Smith aveva inciso una canzone intitolata My daddy rocks me (with one steady roll); nel ’31 Duke Ellington aveva lanciato Rockin’ in rhythm ecc. La struttura musicale r’n’b si fonda su una accelerazione ritmica della forma blues; l’operazione è ripetuta da musicisti r’n’r, che imprimono alla struttura blues un ritmo ancora più sostenuto. Freed non inventa niente, anche se lancia il nuovo termine per designare il nuovo stile musicale. Il nuovo stile trascina il mercato discografico verso una crescita impressionante: dai 213 milioni di dollari di dischi venduti nel 1954 si passa ai 613 milioni del ’59. La spinta è data dai teenager bianchi che acquistano dischi, fondano fan club ecc. Inizialmente le major sembrano resistere al r’ n’ r, specie nel mercato dei singoli dove i maggiori successi sono indie. Presley passa dalla Sun alla Rca; Gene Vincent incide con la Capitol; Bill Haley e Buddy Holly con la Decca; the Big Bopper con la Mercury. Tuttavia gli altri musicisti rock n’ roll, tra cui autori di successo come Chuck Berry, Little Richard, Carl Perkins ecc. continuano ad incidere per piccole case discografiche. Solo poche voci autorevoli commentano con compostezza. La reazione più diffusa tra i media mainstream è negativa. I giornali danno risalto agli scontri fisici, ai tafferugli e alle risse durante i concerti rock n’roll, generalizzando e stringendo un’associazione del genere con la delinquenza giovanile. Sulla base di questo assunto, ad Atlanta un’ordinanza comunale proibisce ai ragazzi e alle ragazze minorenni di partecipare a danze pubbliche senza genitori. Anche a molti genitori il rock’n’roll non piace. Parabole di r’ n ’r: il r’ n’ r parla di esperienze che molti teenager americani conoscono bene: la noia per la scuola, le corse in macchina, l’amore adolescenziale. Lo specialista delle canzoni romantiche è Elvis che nel cantarle alterna stilemi r’ n’ r con soluzioni da cantante pop. Chuck Berry è geniale nell’ambientare le storie adolescenziali in un contesto narrativo che è quello proprio dei teenager americani degli anni Cinquanta. Come dice Chuck Berry, con il rock n’roll non si può fare a meno di muovere il corpo e ballare in danze che enfatizzano la distanza che separa i giovani dagli altri, cioè adulti. Nelle loro esibizioni dal vivo i musicisti rock n’roll fanno della corporeità una componente essenziale. La stessa cosa vale per Little Richard, noto per la sua Duck Walk. La cosa innovativa è che sono anche i musicisti bianchi a impiegare il corpo nella coreografia. Lo scatenamento del corpo richiede balli adeguati, lontani dalla soporifera pop music anni Cinquanta. Il rock n’roll è una musica che suggerisce che si può diventare famosi e ricchi anche se si viene da ambienti poveri; Chuck Berry in Johnny B. Goode narra della vita delle star rock n’roll. Il rock n’roll è una musica molto fisica, che invita al ballo e al divertimento, mentre le storie esaltano identità centrifughe rispetto alla scuola, al lavoro, al dovere, tipiche delle gang giovanili marginali. Proprio per questo acquista connotazione sociale, è accolto con entusiasmo nei juke joints. Per i ragazzi e ragazze delle gang marginali, bianchi e neri, investire nel rock n’roll significa rovesciare il senso di inferiorità che sentono nei confronti delle leading crowds e delle gerarchie sociali stabilite a scuola. Alla musica si uniscono abbigliamenti e acconciature che sembrano fatti a posta per capovolgere o negare gli stili prevalenti. I giovani rocker si vestono con giubbotti di pelle e maglie bianche, mentre per i capelli si imitano i pachucos, con un ciuffo imbrillantinato e portato sulla nuca. I benpensanti individuano in questo abbigliamento un indizio della deriva verso l’antisocialità e la delinquenza. A volte le liriche delle canzoni sono modificate, per evitare reazioni negative o di censura. Le allusioni nei testi r’ n’ r sono controllate ma sempre dirette da voci maschili verso femmine. L’unica rocker femminile è Wanda Jackson, ma non ha troppa popolarità. La preoccupazione principale viene dal superamento della linea del colore, dalla confusione razziale che il rock n’roll sembra provocare, con musicisti bianchi e neri che creano la stessa musica e la eseguono per un pubblico giovanile, bianco ma aperto alla presenza di giovani delle comunità afroamericane. Il rock n’roll risulta problematico per una parte dell’opinione pubblica conservatrice perché, superando la linea del colore, sembra negare l’etica della discriminazione razziale; e perché, circolando tra ragazzi e ragazze della gang di strada, sembra porre le premesse per la nascita di una controcultura, socialmente connotata. Ma non è così. Questa musica, e lo stile comportamentale, non contiene niente di eversivo. Le sue matrici sono il blues e il country, ma la prima musica è filtrata dall’r’ n’ b, di cui il rock n’roll è una variante, mentre l’hard country viene scartato. Se le architetture musicali di queste musiche sono rifuse e riorganizzate nel nuovo stile, dal punto di vista testuale passano solo le narrazioni più edonistiche e meno problematiche. Nel canzoniere rock n’roll non ci sono drammi veri; non c’è l’incombere della tragedia, né espressioni di protesta: tutto quello che c’è è una narrazione e una serie di pratiche sociali che rimandano all’universo giovanile dei gruppi più marginali, desiderosi solo di divertirsi, senza allusioni esplicite alla sessualità. Così si capisce perché non ci voglia molto prima che il rock n’ roll sia riassorbito nella cultura di massa mainstream. L’operazione è facilitata dal lancio di musicisti e programmi che danno un’immagine ripulita del rock n’roll. I protagonisti sono Pat Boone e Dick Clark. Boone, nato nel 1934, bianco e belloccio, cresciuto in una famiglia cristiana, segue l’università. Nel 1953 si sposa. Nel 1956 raccoglie subito successo con un canzoniere comprendente sia pop commerciale, sia cover di brani r’ n’ b che r’ n’ r, cantanti con energia gentile e contenuta. Parallela alla carriera di Boone è quella di Dick Clark: nato nel 1929, formatosi come Dj e come giornalista tv, nel 1956 riceve l’incarico di condurre un programma per una tv di Filadelfia, Bandstand; nel 57 il programma viene ritrasmesso dalla Abc col titolo American Bandstand. È una trasmissione riservata agli adolescenti che presenta i nuovi successi musicali, fa ballare i ragazzi e le ragazze. Leggere questi sviluppi come una sorta di complotto per mettere a tacere il rock n’roll non ha fondamento. Gli stessi rocker dei primordi non desiderano altro che essere abbracciati dal mercato e dalla cultura di massa mainstream. La migliore dimostrazione è data dai film musicali. Nella versione di Elvis, o in quella di Boone, è un rock n’roll in via di normalizzazione quello che entra nel circuito dei giovani di classe medio-alta che dominano la vita sociale delle high schools. L’integrazione del rock n’roll è totale: lo stesso Elvis comincia a registrare canzoni che si allontanano dall’energia post R&B dei primordi, per orientarsi verso il pop più ovvio. Tipi da spiaggia: la parabola tracciata dal rock n’roll testimonia la capacità attrattiva esercitata dalla cultura mainstream anche nei confronti di una subcultura che sembra irriducibilmente ribelle. La stessa dinamica si può verificare seguendo un’altra subcultura giovanile in parallelo: i surfisti californiani. Prima della seconda guerra nella California del Sud ci sono 500 surfisti, giovani di classe media. La metà di costoro sono organizzati i 7 o 8 club. Quando scoppia la guerra molti devono partire, lasciando sulle spiagge molti giovani adolescenti. Tra i leader della piccola comunità c’è Dale Velzy, un adolescente diventato bravissimo surfista. Attorno a lui si raccoglie un piccolo gruppo di giovani, ma li si nota per la mise caratteristica: pantaloni da marinaio tagliati corti, camice floreali, piedi scalzi. Dopo la guerra vi si aggiungono reduci o giovani sbandati. Il senso della comunità è di godere di una vita selvaggia, a contatto con la natura, distanti dalla rat race, che connota l’esistenza degli square. La comunità postbellica dei surfisti è conferita da molti elementi di attrattiva che dagli anni Cinquanta si fanno sentire anche oltre i confini delle spiagge da loro frequentate. Sono soprattutto gli outsiders delle high schools della California del sud che si Si forma questo circolo di intellettuali, definizione pertinente perché i membri elaborano una nuova visione della letteratura, elaborata tramite un ampliamento della sensibilità, tramite l’uso di droghe, l’impiego di visioni derivanti dagli stati allucinatori indotti dalle sostanze ecc. al momento tutto resta nei propositi. Nel 1944 Carr uccide Kammerer, disperatamente innamorato di lui, coinvolgendo nella vicenda anche Burroughs e Kerouac, che lo consigliano. Passa due anni in riformatorio. Burroughs comincia a sperimentare tutte le droghe, conosce Jean Vollmer, giovane bella e intelligente e divorziata; tra loro scoppia l’amore però entrambi vanno con altri uomini. Nel 1946 Burroughs viene arrestato per aver contraffatto licenze per la morfina; Vollmer, dipendente dalla benzedrina, viene ricoverata 10 giorni. Nel 47 entrambi decidono di andare in Texas, dove coltivano marijuana; nasce il loro figlio Bill. Da qui poi si spostano in Louisiana e nel 49 vanno a città del Messico. Burroughs è dipendente da eroina e alcool, frequenta gigolò locali, poi si mette con un ventunenne americano; Joan, devastata dalle anfetamine diventa dipendente anche dalla tequila. Per gioco, nel 51 lei si mette un bicchiere in testa, Burroughs spara ma prende lei alla tempia e l’ammazza. Sta in prigione 13 giorni; nel 52 scappa dal Messico. Nel 49 Ginsberg dopo un incidente su un’auto rubata, viene arrestato e costretto a 8 mesi di carcere psichiatrico. Intanto Kerouac e Cassady conducono vite alcoliche e caotiche. Nel 50 Kerouac riesce a pubblicare il suo primo libro ma passa inosservato. Sin dagli anni Quaranta tra i membri del gruppo ha preso a circolare una privata autodefinizione che qualche anno dopo li identificherà col termine Beat. La parola ha due accezioni: quella originaria di battuto, prostrato, distrutto; quella meno ovvia, che trasforma in uno stato di grazia (beat-beatitudine), la beatitudine del perdente. Nel 52 un articolo del New York Times fa sì che il termine esca dall’anonimato per indicare una generazione di giovani ribelli e emarginati. Un reading: tutto prende avvio nel 1955 a San Francisco, lì si sono trasferiti Neal Cassady e poi Ginsberg. Qui Ginsberg conosce Lawrence Ferlinghetti, proprietario della libreria City Lights e dell’omonima casa editrice; e Wally Hedrick, poeta locale. Ginsberg contatta Kenneth Rexroth, poeta californiano, poi Philip Lamantia, Micheal Mclure ecc. che si impegnano in letture pubbliche. La performance pubblica inizialmente ha una risonanza solo locale, però si nota Kerouac incitare le letture a ritmo quasi di Jazz; già Ruth Weiss aveva cominciato a leggere accompagnato da musicisti jazz. Lawrence Ferlinghetti è talmente colpito da Howl che il giorno dopo la lettura propone a Ginsberg di pubblicarlo. Il poema, rimaneggiato da Ginsberg a più riprese, esce col titolo Howl and other poems. Non è di certo semplice, né per la struttura del verso né per i temi affrontati. Nella prima parte, la descrizione di una generazione contro si accompagna ad una celebrazione della pazzia, di una sessualità priva di limiti, dell’uso della droga. È bene insistere sulla forza innovativa del molteplice coming out di cui Ginsberg si fa portavoce. Fin allora il tema della sessualità è stato rimosso dalla cultura mainstream, in particolare dalla sua declinazione omosessuale; se è vero che nelle grandi città americane esiste una subcultura gay e lesbica, organizzata in speciali centri di ritrovo, è vero anche che questa cultura ha vissuto nell’ombra. Le non molte opere letterarie che hanno ispirato la cultura gay lo hanno fato con un modo guidato da un senso di colpa. Non dissimile è l’atteggiamento di Ginsberg verso l’uso della droga. Anche in questo caso la questione era già stata analizzata in forme censorie e legittimamente preoccupate. Lo stesso Burroughs lo ha fatto in modo diverso da Ginsberg. Burroughs scrive in un periodo in cui è dipendente dalla eroina: questo aspetto dà alla sua narrazione un tono chirurgico, neutrale e anaffettivo, che non sarà privo di influenze su rivisitazioni letterarie e musicali che si incontreranno negli anni seguenti. Ginsberg sceglie un tono alto, enfatico, gridato e celebrativo. La litania cerimoniale di Ginsberg ha un tono tragico, che deriva dalla consapevolezza dello stato di marginalità in cui si trova chi sfida l’orizzonte etico dominante. Il testo di Ginsberg ha una sua complessità letteraria che non ne fa un prodotto del mercato di massa. A trasformarlo in oggetto mitico ci pensa Chester MacPhee, funzionario delle dogane dello Stato della California, che nel 1947 ordina il sequestro di 520 copie del libro per proteggere i bambini. Gli avvocati di Ferlinghetti contestano la legittimità dell’azione di Macphee. Alla fine si impone la restituzione delle copie. Il 29 maggio 1957 due poliziotti in borghese notificano un mandato d’arresto a Ferlinghetti per spaccio di materiale osceno. Ginsberg in quel momento si trova in Marocco con Burroughs e Orlovsky. Alla fine Ferlinghetti viene assolto. La vicenda ha creato clamore attorno al libro che vale a Ginsberg notorietà su scala nazionale e un lancio promozionale di 10.000 copie. Sulla strada: a ciò si aggiunge l’opera On the road di Jack Kerouac, nel 1957. Il romanzo narra di 3 ragazzi (rappresentati da Ginsberg, Kerouac e Cassady) che viaggiano negli States. I rapporti che si intrecciano sono intensi e superficiali, distorti dall’alcool e dalle droghe. Il tema principale è il viaggio senza meta. Tutti i viaggi descritti non sono una fuga perché si torna sempre al punto di partenza, sul modello della quest. Ciò che rende particolare on the road è il suo destrutturare il modello della quest. All’inizio il protagonista spera di essere l’eroe di una quest. Tuttavia ciò che resta è un disordinato e frenetico muoversi. La risonanza tipica del viaggio intreccia relazioni intertestuali non certo con un mito della frontiera quanto col viaggio liberatorio cantato dalle canzoni folk, blues o hard country. Una parte del fascino di on the road sta nello stile. La struttura formale non viene persa nella versione che viene data alle stampe. La segmentazione sincopata deriva dall’influenza del bebop; è lo stile dell’improvvisazione jazz che conduce lo scrittore alla wild form, bop prosody e spontaneous prose. La passione per il jazz si accompagna a un amore per le culture altre, afroamericana e messicana, contrapposte al disastro emotivo prodotto dalla cultura bianca. La scelta del bobop come modello estetico ed etico di riferimento ha un senso non perduto: da una delle manifestazioni più consapevolmente controculturali, emerse dagli artisti afroamericani, Kerouac manifesta verso neri e messicani rilievi critici ispirati al politically correct. Il romanzo successivo di Kerouac è The subterraneans, che ripercorre le matrici tipiche dell’uomo blues. A completare la triade di romanzi che accompagnano l’esplosione del fenomeno beat, nel 1958 Kerouac pubblica The Dharma Bums (i vagabondi di Dharma), un romanzo in cui descrive il lato californiano del fenomeno beat, in cui indica nel buddismo zen una possibile strada per difendersi dallo scioglimento del sé nel conformismo mainstream. Beatnik: il libro On the road, accompagnato da un articolo del Times, ha avuto grande successo, entrando nella classifica dei best sellers. L’apprezzamento per la produzione beat è limitato a poche recensioni e interventi critici. Le critiche letterarie negative si fanno più numerose e si trasformano in un altro degli attacchi isterici contro manifestazioni artistiche innovative che attirano il pubblico di massa. Uno dei protagonisti dell’offensiva antibeat è Norman Podhoretz, all’epoca di orientamento liberal. Nel 57 Podhoretz pubblica un recensione negativa di Howl e della nuova scena poetica californiana. È solo la premessa ad un attacco più radicale. L’attacco coglie punti fragili dell’elaborazione beat: nei romanzi di Kerouac il sesso è vissuto con ansia da performance; l’intellettualismo è fatto di frasi smozzicate, pensieri banali e trite ovvietà; il lessico è desolante e le frasi costruite con l’accumulo di aggettivi che hanno poche variazioni. Nella conclusione dell’articolo Podhoretz riassume quello che gli sembra il senso sociale complessivo di una produzione letteraria che a lui sembra priva di valore; questo senso consiste nei pericoli del primitivismo, dell’esaltazione dell’istintività, della celebrazione della criminalità. Anche lui alla fine riconduce la costellazione beat nello stesso spazio in cui viene ricondotta la costellazione rock n’roll da parte dei suoi critici, ossia la criminalità giovanile. Herb Caen non è meno duro quando ribattezza il gruppo beatnik, una parola che fonde beat e sputnik (primo satellite sovietico lanciato). L’attacco ha una sua declinazione semplificata che viene accolta dal cuore della cultura di massa mainstream, il cinema hollywoodiano, che si muove su due livelli: denigrazione parodistica e moralizzazione moralistica. Da un lato la Mgm nel 1959 distribuisce la beat generation, film diretto da Charles F. Haas, il cui protagonista è un beatnik- stupratore, alla fine catturato dal poliziotto, la cui moglie è stata stuprata dal beatnik e rimasta incinta; dall’altro lato la stessa Mgm lancia The subterraneans tratto dal romanzo di Kerouac. La sceneggiatura cambia aspetti essenziali della storia. Mardou non è nera ma bianca; la storia tra Mardou e Leo si conclude quando Mardou annuncia a Leo la gravidanza e lui si rende conto del suo amore verso di lei; i due abbandonano la comunità beat per vivere una vita normale. La Cbs lancia una sitcom intiitolata the many loves of Dobie Gillis, in cui tra i personaggi c’è Maynard Krebs, beatnik stereotipato. Il gioco della contrapposizione tra square e beatnik è adoperato da altri media. Nel ’59 la rivista Life pubblica un articolo intitolato Squareville USA vs. Beatsville. L’articolo prende spunto da una lettera che tre ragazzine hanno inviato a Lawrence Lipton, poeta, protagonista della scena culturale di Venice beach. Le tre ragazze lo invitano a Hutchinson e lui accetta: le ragazze annullano l’invito e scoppia il caso. L’articolo è costruito in modo efficace. Da un lato si descrive la vita square di Hutchinson, dall’altro le abitudini beatnik dei californiani. Il confronto è affidato alle impressioni date dalle foto e dal linguaggio lessicale usato. Due mesi dopo Life torna con un altro articolo più aggressivo. Il tentativo di criminalizzare o di normalizzare l’immagine della beat generation riesce solo a metà. Non riesce l’operazione di integrare i beat dentro l’orizzonte della cultura mainstream. I materiali concettuali risultano in controtendenza. L’esaltazione di una libera sessualità, dell’abbandono del sé nell’alcool e nella droga, sono temi che non trovano possibilità di integrazione dentro il quadro narrativo ed etico della cultura di massa mainstream. Il port Huron Statement, approvato dalla Lid, Sncc, Core e Naacp, enuncia i punti programmatici fondamentali che dovrebbero orientare l’azione Sds. Un processo di questo tipo deve muoversi dall’interno delle università, dove gli studenti sono educati al conformismo. Le università possono essere anche il luogo della discussione franca. Il movimento deve muovere al di fuori dell’università. Alla fine del 1963 i militanti di Sds si impegnano nell’Erap, un tentativo di mobilitare le comunità povere bianche e nere di città come Cleveland, Chicago, Boston, Newark; con scarsi risultati. Nel 64 la Sncc lancia il Mississippi Summer Project (Msp): iniziativa che vuole aiutare la popolazione nera di quello stato a iscriversi alle liste elettorali da cui è esclusa legalmente. L’iniziativa è ostacolata dalla reazione dei bianchi razzisti anche se alla fine ha un qualche successo. We shall overcome: in ognuna delle iniziative la musica svolge un ruolo importante. Nei primi anni del Movimento per i diritti civili è importante la musica religiosa di origine afroamericana, possiedono delle caratteristiche che le rendono funzionali alle esigenze dei militanti: i testi descrivono la speranza di raggiungere un mondo migliore, che nella forma originaria è un mondo al di là della vita, mentre nel contesto del Movimento è un mondo dentro a questa vita; la struttura corale e a call and response è adatta alle finalità del Movimento perché fa sentire uniti e dà coraggio contro gli attacchi. Al canzoniere del Movimento dà un contributo la gente che lavora in una situazione didattica particolare, la Highlander Folk School. Fondata nel 1932 a Monteagle, Tennessee, collabora con i sindacati e le organizzazioni antisegregazioniste e poi anche con il Movimento per i diritti civili. Guy Carawan conosce bene la produzione folk di musicisti come Pete Seeger, Leadbelly o Big Bill Broonzy, e attraverso la sua attività didattica alla Hfs trasmette al Movimento per i diritti civili una parte della tradizione della canzone folk di protesta che ha avuto una fioritura tra gli anni Trenta e la guerra. Proprio tramite il lavoro di Zilphia Horton e Guy Carawan il Movimento si impossessa di una canzone che diventerà il suo inno: we shall overcome. La canzone viene scritta nel 1900 da Charles Tindley con il titolo i’ll overcome someday; tra i primi anni Venti e Quaranta il titolo diventa we will overcome. Quando Horton la conosce ne rallenta il ritmo, vi aggiunge nuovi versi. Seeger ne cambia il titolo in we shall overcome. Nel 1960 Carawan la insegna agli studenti neri a Releigh per la costituzione della SNCC. La canzone ha un ruolo importante in Georgia dove un movimento locale decide di contrastare la segregazione razziale per favorire l’integrazione dei neri nelle liste elettorali. Questi fatti rendono popolare we shall overcome, il più cantato degli inni del movimento. Il primo Bob Dylan: del Minnesota, Dylan arriva a New York nel 1961 a 20 anni. Il percorso che lo conduce al folk è sperimentato da altri ragazzi, che dalla high school se ne vanno in alcune delle grandi università americane. Da ragazzino Dylan si appassiona alle musiche di Johnnie Ray e Hank Williams ma ascolta molto anche Muddy Waters, John Lee Hooker, Jimmy Reed e Howlin’ Wolf trasmessi da una radio specializzata in blues. Nel ’54-55 Elvis diventa il suo idolo anche se lo abbandona per Little Richards e Gene Vincent. Nel ’59 va a Minneapolis per frequentare l’università del Minnesota. Là scopre il folk di Seeger, Leadbelly, Odetta e Guthrie; la letteratura beat di Kerouac. Nel 1960 se ne va a Denver in autostop. A metà dicembre 1960 torna a casa e poi va a New York per fare il musicista. La prima cosa che fa è andare a visitare Guthrie. Nel ’61 comincia a farsi una fama locale, esibendosi col suo repertorio folk in diversi locali del Greenwich Village. Nel 1961 conosce Suze Rotolo, che diventa la sua ragazza. La sorella di Suze è la segretaria di Lomax, lo conosce e apprezza la produzione di Brecht e Weill. Le loro canzoni sono folk. Sul Times nel 1961 una recensione recensisce un suo concerto a New York. Nell’ottobre, Billie Holiday lo scrittura per la Cbs. Il primo disco esce nel ’62, si tratta di 11 cover e solo 2 brani originali, uno dei quali dedicato a Guthrie. L’LP non riscuote successo. Il discorso cambia con i due album successivi: the Freewheelin’ Bob Dylan (1963) e The times they are a-changin’ (1964). Su 23 canzoni sono solo 2 le cover. Musicalmente sono molto semplici, suonate con chitarra acustica e armonica e cantate con un timbro vocale graffiante e nasale. Si va da sermoni ricchi di pathos (the times they are a changin’) a bozzetti sentimentali, intensi e diretti (don’t think twice it’s all right; girl from the north country; boots of Spanish leather) alla denuncia di alcuni tra i più vergognosi atti del razzismo statunitense (Oxford Towns ecc.). tra tutte spicca Blowin’in the wind che vende più di un milione di copie. Ognuno di questi brani tocca corde profonde tra i giovani della Sds o della Sncc e si impone nei repertori del Movimento per i diritti civili o del nascente movimento studentesco. Ha modo di partecipare ad occasioni pubbliche di intenso significato. Si esibisce al discorso di Martin Luther King. Le canzoni mostrano sensibilità per i marginali, neri, poveri che gli deriva delle matrici beat, folk, blues, e hard country da cui trae ispirazione. Avverte che nuove possibilità si aprono. Per Dylan ciò che deve imporsi è una decostruzione di questa rete conformista. La liberazione non può essere il frutto di un altro e diverso conformismo. È la riconquista di una piena autonomia di pensiero che può condurre ad una vera e più giusta libertà. In questo modo Bob interpreta in forme diverse il suo ruolo di portavoce delle nuove generazioni. In realtà è un ruolo che non ha cercato e che gli sta stretto. Nel disco Another side of Bob Dylan del 1964 non contiene novità: i brani sono ancora suonati solo da Dylan con strumenti acustici, la svolta è nei testi. Su 11 canzoni, sette raccontano storie d’amore, non ci sono più momenti di attualità politica usa anche se c’è un’esortazione all’empatia verso i reietti. In My back pages, canzone-manifesto in cui Dylan è severo con sé stesso e dichiara di aver sbagliato ad assumere pose da profeta politico. In realtà nei due LP precedenti non lo ha mai fatto. Another side è il disco che vende di meno. Ci sono critiche durissime, l’accusa è di aver tradito ideali e militanza. Nel 64 in California conosce Ginsberg e Ferlinghetti. Mentre è in viaggio ascolta I want to hold your hand, brano di un gruppo inglese semisconosciuto, i Beatles. Dylan ne rimane impressionato. Dall’altra parte dell’Atlantico: l’Europa ha sùbito l’impatto delle forme di intrattenimento degli Usa, anche per il rapporto di dipendenza economica e politica creatosi dopo le due guerre. Tuttavia i prodotti artistici europei hanno il loro peso e la loro influenza. Se in una storia della cultura alta ognuna di queste correnti meriterebbe il suo spazio è inevitabile osservare che questa costellazione di autori europei colpisce solo un’area piccola e qualificata del pubblico usa: giovani beat, aspiranti scrittori, gruppi artistici d’avanguardia. Questo fino agli inizi degli anni ’60, perché poi qualcosa cambia, e cambia nello spazio della pop music in GB. Fino agli anni ’60 il mercato dell’intrattenimento inglese assorbe le produzioni statunitensi e in parte ne riproduce i modelli. Nel campo della musica succede qualcosa di simile. L’accoglienza che i media e gli opinion makers riservano a questo processo è ambigua. Da un lato le produzioni statunitensi sono apprezzate in blocco come manifestazioni del moderno: così nel 1957 il Daily mirror sponsorizza il tour di Bill Haley in Inghilterra. Dall’altro talune manifestazioni di entusiasmo che accolgono l’arrivo del rock ‘n roll scatenano le reazioni negative se non forme di moral panic: nel 1955 va nelle sale blackboard jungle; nel ’56 Heartbreak hotel di Elvis e viene lanciato rock around the clock. Ciò che colpisce è l’apertura di una vasta sezione del pubblico britannico a una grande varietà di musiche statunitensi che circolano tramite canali ufficiali come la Bbc, quanto grazie a reti di diffusione extraistituzionali con i jukebox dei nuovi coffee bar e attraverso tour concertistici organizzati da imprenditori locali e nazionali che portano in Gran Bretagna numerosi artisti americani (Buddy Holly, Bill Haley, Muddy Waters e Bo Diddley. Oltre al jazz, al rock n’roll e R&B anche un genere di nicchia in GB come il blues si fa strada, tramite la mediazione dello skiffle, uno strumento musicale diffuso solo quasi nel Regno Unito, basato su fusione di jazz, folk e blues e suonato con chitarra, asse per lavare usato come strumento ritmico e un basso ricavato da una scatola da tè. Questo genere ha un notevole rilievo tra il ’54 e il ’58, comincia a farsi strada nell’immaginario popular britannico. All’operazione contribuisce Lomax, che nota una strana incongruenza. Le ragioni del successo delle musiche che arrivano dagli States sono molteplici e rispecchiano la varietà e complessità del pubblico giovanile che caratterizza la scena britannica. Nel dare forma alla mappa del pubblico giovanile incidono la provenienza sociale quanto la struttura educativa britannica, più rigida di quella americana. Nel 1944 il Butler act riorganizza il sistema educativo scolastico. La prima subcultura giovanile che si forma in Britannia è quella dei Teddy boy che si forma nei primi anni ’50: sono ragazzi che provengono dalle classi più disagiate, tagliate fuori dalla prima ondata di sviluppo economico e desiderosi di uscire dal ghetto sociale in cui si trovano. Particolari scelte vestimentarie possono essere dotate di specifici significati simbolici: Tony Jefferson ha notato che l’adozione della cravatta a stringa può essere vista come un’allusione al personaggio cinematografico western del baro-fuorilegge. Il significato simbolico di quel particolare dell’abbigliamento dei teddy boy diventa comprensibile sia come espressione della loro realtà sociale sia delle loro aspirazioni sociali. Coerenti sono i consumi culturali che si orientano verso il culto di Marlon Brando, di James Dean e Elvis Presley. Dalla fine degli anni Cinquanta la subcultura dei Ted viene affiancata e sostituita da quella dei mod (modernist) che nasce a Londra. Anche per loro lo stile è fondamentale, hanno abiti eleganti italiani e francesi. Sono ragazzi e ragazze provenienti dalle fasce popolari. Una ricerca sociologica compiuta nel 1964 mostra che il mod-tipo è un giovane con un lavoro a bassa specializzazione o con un impiego da commesso in negozi, uffici, grandi magazzini, che ha nella cultura di massa le vie del crossover sono imprevedibili. I Beatles appartengono a una più vasta generazione di musicisti britannici loro coetanei. Grazie ai Beatles, questi musicisti sono protagonisti di un processo che è una delle più chiare testimonianze del conformismo che domina i circuiti comunicativi della cultura di massa. Il successo dei Beatles apre le porte del mercato usa alla coorte del pop britannico contemporaneo: gli ascoltatori comprano canzoni di altri gruppi purché abbiano l’accento britannico. Per descrivere questo fenomeno si parla di British invasion. Essa porta negli Usa musicisti che fanno musiche di natura diversa. Alcuni di essi, come i Dave Clark Five, Petula Clark ecc. fanno un pop semplice, dotato delle stesse caratteristiche dei Beatles: brani brevi, strofa-ritornello-bridge-strofa-ritornello, linee melodiche orecchiabili, testi elementari e sentimentali. Insieme a questi gruppi se ne impongono altri che rendono più duri gli arrangiamenti delle canzoni fino ad adombrare i futuri sviluppi dell’Hard rock o del punk; tra questi spiccano i the Kinks, che nel 1964 pubblicano You really got me, un brano eccezionale sia per la musica, distorta e aggressiva, sia per il testo che parla di una ossessione amorosa. C’è un terzo gruppo di band (i Bluesbreakers di John Mayall, gli Yardbirds, gli Animals o Rolling Stones) i cui componenti sono animati da una passione per il blues e il R&B. alcuni di questi hanno scoperto il blues con la moda britannica skiffle, altri ci arrivano per aver sentito colonne blues e R&B (Robert Johnson, Bo Diddley, Muddy Waters) alla radio, su disco o dal vivo. Alcune band britanniche, come i Bluesbreakers di John Mayall o la Blues Incorporated di Alexis Korner e Cyril Davies, hanno un approccio al blues filologico. Altre band come gli Yardbirds, gli Animals e Rolling Stones impiegano la matrice blues in un repertorio che comprende anche il folk, hard country, R&B e il rock n’roll, producendo cover o brani nuovi che dall’ibridazione di questi generi traggono linfa e vitalità. È ciò che accade con la prima produzione degli Animals che reinterpretano due brani che appartengono alla tradizione folk americana: Baby let me take your home (mondo afroamericano) e house of the rising sun (folk bianco). Entrambi i brani sono stati incisi anche da Bob Dylan nel suo primo disco, eseguite con chitarra acustica e armonica e impianto vocale esile e tremante che non hanno destato attenzione; quelle degli Animals, eseguite con chitarra elettrica, basso e organo elettrico, con una batteria che imprime il ritmo fanno un altro effetto. Baby… non ha successo in usa, mentre house of… è prima in entrambi i paesi. L’applicazione di uno stile R&B a un pezzo folk tradizionale dà vita ad un brano considerato come il primo esempio di folk-rock nella pop music, con un risultato notevole: mostra che le potenzialità comunicative e commerciali della strumentazione elettrica, usata dai musicisti della british invasion, sono maggiori di quelle possedute dagli arrangiamenti acustici; in secondo luogo brani di questo tipo, che ricavano le loro strutture testuali dalla tradizione blues-folk-hard country, si aprono a universi narrativi lontani dalle storielline di boy band che i Beatles e altri gruppi pop stanno producendo. Se gli Animals, Kinks e Yardbirds producono ottima musica nuova, nessuno di questi gruppi ha la forza e la presenza scenica dei Rolling Stones. La band ha origine nel 1961 quando Mick Jagger e Keith Richards si incontrano nella stazione di Dartford, nei sobborghi di Londra. Jagger ha in mano dei dischi acquistati negli Usa; Richards, appassionato di blues e R&B vede che Jagger ha dischi di Muddy Waters e Chuck Berry. I due si mettono a parlare della passione per il blues; Jagger invita Keith a suonare con lui. La band vera e propria si forma poco dopo quando i due si aggregano a Brian Jones, che sceglie il titolo adattandolo da una canzone di Muddy Waters (Rolling Stone); nel ’63 arrivano anche Bill Wyman e Charlie Watts. Gli Stones fanno amicizia con i Beatles e poi incontrano anche Andrew Loog Odham, diciannovenne che diventa il loro manager e convince la Decca ad offrire loro un contratto. Il loro esordio discografico si muove in una zona compresa tra tutte le componenti musicali che connotano la nuova musica britannica: blues, R&B, rock n’roll, soul e pop. Nel ’64 lanciano il primo LP, The Rolling Stones, che spodesta With the Beatles. Nel giugno ’64 anche gli Stones sono a New York per un tour negli Usa che non riscuote successo. Il nuovo singolo it’s all over now va in vetta ai singoli britannici; il 20 novembre va in testa Little red Rooster (cover di Willie Dixon). Da allora anche gli Stones fanno un successo dopo l’altro finché nel giugno 1965 si impongono anche negli Usa con i can’t get no satisfaction. A ottobre 1965 il nuovo album December’s Children (and Everybody’s) viene pubblicizzato a Times Square. L’insieme della musica suonata, dei testi, del modo di muoversi sul palco, del modo di comportarti risulta urticante per il pubblico. In parte questa enfasi sull’aggressività è una tattica di Odham per differenziarli dai Beatles. Fino al 1965 il loro repertorio musicale dipende dalle cover (38 su 66 brani). La svolta arriva nel ’66 quando i brani originali, scritti da Jagger e Richards, diventano la maggioranza. Se da un confronto delle cover fatte da Beatles e RS si passa a una comparazione testuale, appare chiaro che la differenza tra i due gruppi non è dettata solo dall’atteggiamento, dall’abbigliamento, dal modo di stare sul palco, col pubblico e la stampa. La differenza è frutto di chiare scelte stilistiche: i Beatles preferiscono scrivere brani originali sentimentali; i Rolling Stones si affidano al canone più ruvido della musica afroamericana. Il che consente loro di rilanciare sul mercato di massa storie, figure, scelte linguistiche che circolano in spazi comunicativi più marginali, riservati solo o prevalentemente al pubblico afroamericano. C’è anche un lato oscuro in questa storia: il blues riesce a conquistarsi le luci del palcoscenico negli Usa solo quando dei musicisti bianchi, anche se un po’esotici lo rendono razzialmente accettabile. È vero che il successo dei nuovi giovani musicisti che suonano il blues riapre spazi di mercato e di pubblico anche per musicisti neri come Muddy Waters o B.B King o Howlin’ Wolf. Resta che comunque la musica sia eseguita dai bianchi per la sua diffusione. Bisogna aggiungere che i Rolling Stones sanno fare tesoro di questo training centrato sull’arrangiamento dei brani che appartengono a generi musicali afroamericani più borderline perché sono capaci di scrivere brani propri che rivisitano le atmosfere musicali e narrative dei generi-matrice da cui hanno trovato ispirazione. Gli elementi di novità sono due: sono i primi ad usare i riff; dal punto di vista narrativo sono tra i primi ad articolare il disagio di molti giovani. Due brani meritano attenzione: i can’t get no satisfaction, il riff di chitarra che è uno dei più famosi della pop music globale; paint it black, con questo brano affrontano un tema tabù nella cultura di massa mainstream ma presente nel blues, nel folk e nell’hard country, ossia la morte. Richards e Jagger danno voce ad una struttura emotiva che può essere considerata blues; dal punto di vista musicale invece entrambi i brani abbandonano la rigida forma-blues, irriconoscibile in Paint it Black: il riff è affidato al sitar, suonato da Brian Jones, che introduce una linea melodica e cupa. Dylan Goes electric: nel febbraio 1964 Bob Dylan ascolta i want to hold your hand dei Beatles e ne rimane impressionato. Dylan e i Beatles si incontrano il 28 agosto 1964 a New York. È un incrocio di geni creativi, si prendono spunto a vicenda. Dylan matura un suo cambiamento anche ascoltando gli Animals e i Rolling Stones. La chiave della svolta è nella strumentazione elettrica e nella sezione ritmica. Nel 1965 Dylan abbandona la strumentazione acustica, il 22 marzo esce Bringing it all back home, in cui suona una chitarra elettrica. Nel luglio il mutamento ha scala nazionale. Dylan deve esibirsi al Newport Folk festival. All’apertura esegue alla chitarra acustica all i really want to do, tratta da another side of Bob Dylan. Nello stesso pomeriggio l’esibizione della band di Paul Butterfield, che impiega strumentazione elettrica, crea un alterco tra Alan Lomax, difensore della purezza del folk e del blues e Albert Grossman, produttore di Dylan. Il giorno dopo Dylan decide di esibirsi con una band elettrica, si veste con pantaloni attillati, stivali a punta, camicia a pois, un giubbotto di pelle nera e occhiali scuri. Inizia un’esecuzione di Maggie’s farm molto rumorosa e con il mixer sballato, tanto che il gruppo va fuori tempo, il pubblico fischia. Seeger chiede di regolamentare la musica ma il gruppo non lo fa. Dopodiché Dylan e il gruppo suonano due nuove canzoni, Like a Rolling Stone e it takes a lot to laugh, it takes a train to cry; la qualità del suono è pessima. Dopo questi 3 brani la band lascia il palco. Dylan torna sul palco con la chitarra acustica e chiude l’epica giornata. Il 30 agosto 1965 pubblica l’album dal titolo highway 61 revisited. I nuovi album tracciano le linee fondamentali degli sviluppi della nuova pop music: non solo Dylan amplia la sua gamma espressiva in direzione r n’r, del R&B, del blues elettrico e del country ma lo fa adottando una poetica neomodernista, derivata dall’esperienza beat di Ginsberg e co. Dylan mostra che la popular music non è condannata a sostenere testi semplici, metriche piane e rime baciate amore-cuore, ma può dialogare con forme poetiche complesse. La forma blues si apre a descrizioni di percorsi di un io narrante. Outlaw Blues, tratto da bringing it all back home, è un brano in cui la struttura della strofa segue la morfologia della poetica blues. La struttura della musica è quella di un blues elettrico che si trasforma in un r’ n’ r. in testi come questi dice che nessuno ha con sé una chiave per decifrare alcunché attraverso un semplice schema interpretativo. Nel passaggio dalle canzoni di protesta a canzoni più surreali Dylan non smette di guardare con empatia all’underworld contronarrativo che ama da quando è ragazzino. Adesso lo fa con una poetica più ricca ed evocativa, senza l’atteggiamento populista o paternalista del folk tra le due guerre. Dylan costruisce una galleria di antieroi, inaugurata dalla protagonista di like a rolling stone: una ragazza di buona famiglia che abusa di alcool e frequenta persone sbagliate tra cui il diplomatico in moto che le ha tolto tutto e l’ha costretta a vivere per strada. La metamorfosi dei Beatles: se Dylan prende nuove strade anche i Beatles lo fanno: l’incontro con Bob si è rivelato fruttuoso anche per loro. Dylan li ha rimproverati per aver fatto brani brillanti ma banali testualmente. Nel corso del secondo tour in Usa, nel 1964, l’assedio della folla si è fatto asfissiante e i musicisti non ce la fanno neanche a farsi sentire dal pubblico. Nel 1966 i Beatles decidono che non devono più esibirsi dal vivo per dedicarsi di più alla loro musica. In questa fase è Paul McCartney a interessarsi a varietà artistiche. Ha una ragazza upper class, l’attrice Jane Asher, che gli fa ascoltare Vivaldi e Bach; è aperto anche all’avanguardia. Lennon lo segue, mentre Harrison si avvicina alla cultura indiana. La traiettoria seguita da Dylan li ha colpiti. Dal 1965 al 67 i Beatles pubblicano 5 album (Help!, Rubber Soul; Revover; Sgt. Pepper’s Lonely hearts club band; Magical mistery tour) che rivoluzionano la pop music. La loro creatività è incoraggiata dalla cannabis e l’Lsd. Ciò che cambia il si stabilisce Ken Kesey. A formare le nuove comunità sono nuove leve di giovani di varia estrazione sociale, prevalentemente di classe media. La derivazione di questa nuova comunità dalla preesistente costellazione beat è testimoniata anche dal nome, hippie, che è una deformazione di Hip, Hipster, termini chiave del lessico beat. Anche per questi l’elaborazione identitaria di codici vestimentari, stili di vitae consumi culturali, è tra gli aspetti chiave della vicenda. L’abbigliamento è vario: vestiti colorati, giacche da cowboy con lunghe frange, scarpe con abbottonatura alta, occhialini tondi, fasce da indiani. Scelgono un’immagine androgina, con i ragazzi che portano capelli lunghi e le ragazze con pantaloni di fogge varie. C’è apertura ad ogni forma di sessualità, purché non comporti violenza e coercizione; c’è il rifiuto del matrimonio. L’omosessualità è accettata. Anche la comunità hippie accoglie gli ideali antibellicisti; non manifestano interessi verso la politica. I giovani hippie si avvicinano ad una o all’altra religione orientale (buddismo e induismo): l’interazione con la spiritualità orientale è confusa e sincretica, ma funziona come l’espressione di un desiderio di disaffiliazione dal cuore della società usa mainstream. Fondamentale è l’uso di sostanza allucinogene. I beat erano abituati all’uso di marijuana e alcool; la nuova comunità sperimenta altre droghe, come la mescalina, droga ricavata dal peyote. La diffusione dell’LSD avviene nel 1965. La cultura hippie della droga si basa su una distinzione non rigida ma chiara tra droghe che ampliano i confini della percezione e droghe che producono l’effetto di obnubilamento. Sono considerate buone droghe la marijuana, l’hashish, l’LSD, la psilocibina, la mescalina, il peyote e i semi di ipomea violacea; cattive droghe sono le amfetamine, la metedrina, il DMT, le metilamfetamine, i barbiturici, gli oppiacei, l’eroina e la cocaina. Le droghe sono impiegate in gruppo, rafforzando i vincoli comunitari. Parte della concezione comunitaria si esprime in happening multimediali che hanno un asse tematico e che rivestono grande importanza nel modellare la nuova sociabilità giovanile. L’idea del raduno video-musicale viene raccolta da un piccolo gruppo hippie di San Francisco, il family Dog, composto da Luria Castell, Ellen Harmon e Alton Kelley, che organizza una serata in cui danza, grafica e fumetti e nuova musica vengono vissuti insieme: l’evento viene presentato come tributo a Doctor Strange. Suonano i Marbles, i Great Society con Grace Slick, i Charlatans e i Jefferson Airplane. Tra la fine del ’65 e il 66 sulla scena di San Francisco emergono due manager che organizzano decine di eventi: l’uno, Bill Graham, ha una visione imprenditoriale dell’attività concertistica; l’altro, Chet Helms, più interno alla comunità e all’etica Hippie e più attento ai risvolti socioculturali delle sue iniziative. All’epoca l’attenzione per la musica non è altissima. I Grateful Dead si lanciano in lunghissimi brani strumentali. I musicisti in generale condividono gli ideali anti consumistici propri della comunità hippie. Non meno importanti sono gli happening all’aperto. Il 16-18 giugno 1967 fu organizzato un grande festival musicale, il Monterey International Pop Music Festival, con una grande varietà di musicisti, distanti dal pop commerciale, ma dediti a musiche, stile e pratiche diversi. Il successo di pubblico è clamoroso. Da allora i festival si moltiplicano, fino a Woodstock (15-18 agosto 1969), a cui parteciparono 500.000 persone. L’insieme delle iniziative a San Francisco attira l’attenzione della stampa, che trasforma il fenomeno hippie in argomento di rilevanza nazionale. Nell’estate 1967 ha luogo la cosiddetta Summer of love, che ottiene successo ma anche un disastro. Il quartiere diventa invivibile, non ci sono strutture per ospitare gli arrivati; arrivano delinquenti, spacciatori, violenti, agenti dell’FBI. Alla fine dell’estate la comunità hippie si disperde. Diversi hippie fedeli all’etica originaria cercano nuove strade aderendo a gruppi religiosi eccentrici, altri fondano delle comunità in altre città ma è un’esperienza fallimentare. Straniamento rituale: la musica rock è uno dei fenomeni più significativi che hanno luogo nell’universo della pop culture del XX secolo, questo per 3 ragioni: 1. Perché le nuove musiche e i nuovi movimenti condividono alcune tematiche comuni, eticamente rilevanti 2. Perché i vari generi del rock si strutturano nella forma di un palinsesto su cui si intersecano dei ricorrenti stili-matrice 3. Perché si creano spazi rituali all’interno dei quali fruire tutti i diversi generi che convergono nel campo culturale del rock. È da questi processi che prende forma una nuova cultura convergente che attira anche produzioni destinate ad altri media. Il principale luogo che dà omogeneità alla cultura rock è lo spazio del concerto, in particolare il concerto di massa, del grande festival, che allinea una varietà di musicisti di diversa estrazione, stile e provenienza. Il modello viene sperimentato nel contesto delle comunità hippie della California per estendersi agli interi States, al Canada e all’Europa. In genere l’attenzione si concentra sulla contrapposizione tra due iniziative: Woodstock e l’Altamont Speedway Free Festival (6 dicembre 1969). Woodstock è considerato l’apogeo della cultura hippie rock: nonostante il potenziale disastro organizzativo, acuito dalla pioggia e dalla droga, il concerto si svolge senza intoppi (ci sono anche due morti). Il pubblico ascolta performance di altissimo livello (Santana, Ten Years After, Joan Baez, Joe Cocker, Jimi Hendrix). Il concerto di Altamont è organizzato dai Rolling Stones ed è concepito come concerto gratuito. Arrivano 300.000 spettatori che vogliono ascoltare i musicisti in programma (Jefferson Airplane, Santana, Crosby Stills Nash e Young, Grateful Dead e Flying Burrito Brothers). Il concerto è organizzato malissimo: gli Stones affidano il servizio d’ordine agli Hells Angels ed è un disastro: sono una banda di criminali ubriachi e violenti, minacciano e picchiano gli spettatori fino a che un ragazzo nero viene ucciso a coltellate. Abbandonando il palco dei concerti, e passiamo tra la folla degli spettatori, va osservato che alla fine degli anni Sessanta si delineano due diverse modalità di comportamento. Da un lato c’è il modello rock n’roll, in parecchi concerti ci sono scontri con la polizia, schierata sul palco o tra la folla. Col diffondersi dell’etica hippie e delle droghe psichedeliche, l’atteggiamento è più contemplativo: gli spettatori assistono al concerto con attenzione, persino in trance estatica, immobili e tranquilli. Questo secondo modello è importante: molti spettatori preferiscono seguire con attenzione il concerto. Nell’uno e nell’altro caso, il pubblico è composto di ragazzi e ragazze giovani, un dato che rispecchia le scelte in materia di consumi culturali, ma anche il notevole impegno fisico che è richiesto dalla partecipazione a un concerto rock. I grandi concerti sono esperienze disagevoli anche per persone giovani e si impongono in un momento in cui la tecnologia riproduttiva fa passi da gigante. La qualità del suono attraverso un album in vinile riprodotto anche con un impianto di media qualità è superiore a quella dei concerti dal vivo dove le condizioni acustiche sono sfavorevoli. Allora perché si impongono i concerti? Probabilmente per la relazione che si instaura tra musicisti e pubblico, che è sempre di carattere rituale. Con il termine rito si intende ogni atto, o insieme di atti che viene eseguito secondo un’interazione codificata, sebbene non formalizzata. L’interazione serve a fare in modo che il rito conferisca un significato speciale, in certi casi trascendente. I concerti rock hanno strutture morfologiche tali da farli considerare dei riti di separazione. Sono riti di separazione perché tramite l’esperienza del concerto ci si libera dell’appartenenza al sistema. Sono riti di ricollocazione del sé in uno spazio liminale, perché per il concerto si adottando un abbigliamento, un’acconciatura, una pratica corporea, una gestualità che sono specifici di gruppi pensati come estranei, marginali, liminali rispetto al sistema. Sono riti di aggregazione perché si entra in un nuovo corpo sociale, si fanno amicizie, si vivono esperienze sessuali, si condivide la droga o il piacere di ascoltare musica nuova e insolita. Il frontman è l’officiante del rito. La natura rituale del concerto rock provoca una sospensione dell’appartenenza. Da un lato chi partecipa a un concerto e appartiene a un circuito relazionale subculturale (hippie, biker, mod, rocker, Sds), trasferisce nel concerto la sua liminalità originaria; dall’altro lato si trova immerso all’interno di modalità di comunicazione culturale che rinnovano l’esperienza di separazione rispetto alla società circostante. I confini dell’appartenenza a un gruppo subculturale vengono superati. Lo straniamento rituale indotto dalla partecipazione ai grandi concerti entra in corto circuito con un sentimento diffuso da decenni ossia la distanza e l’assenza di comunicazione tra giovani e adulti. Negli anni Sessanta la sensazione che gli oggetti e le persone del passato devono essere lasciati da parte. Hey Joe!: la liminalità rituale che dà un senso simbolico al sentimento di disaffiliazione e di distacco nei confronti delle vecchie generazioni fa sì che i gruppi che propongono soluzioni stilistiche diverse sono accettati da una comunità interpretativa convergente. Ciò avviene perché nei vari stili musicali rock sono compresenti le misure profonde che appartengono ai generi matrice di riferimento (blues, R&B, hard country, folk, rock n’roll, jazz, poesia beat) che danno vita a palinsesti musicali e testuali che creano una struttura emotiva insolita per la pop music mainstream. Il complessivo reticolo testuale, fatto di rimandi, citazioni, ibridazioni, sovrapposizioni tra generi come il blues elettrico, il R&B, hard country, folk, rock n’roll, jazz e poesia beat, emerge con chiarezza in alcuni brani palinsesto. Tra i vari esempi, Hey Joe offre un esempio chiaro di come funzioni il processo generativo che struttura questa nuova musica. Il 16 dicembre 1966 la Polydor lancia nel Regno Unito Hey Joe, il primo 45 giri della Jimi Hendrix Experience. Il disco ha un’ottima accoglienza: nel gennaio 1967 entra nella top 10 britannica. A maggio il singolo viene pubblicato negli Usa dove però non entra. Dopo due mesi viene eseguito al Monterey pop Festival; poi il brano è inserito nella versione americana di Are You Experienced? Il primo LP del trio. Hey Joe diventa uno dei brani simbolo del chitarrista, che due anni dopo esegue a Woodstock. 1. Il rock è una musica che nasce dall’ibridazione di stili di nicchia, e dalla loro contaminazione 2. Il rock prende forma tramite il recupero di tradizioni musicali che hanno un impianto controculturale, mostrano la parlabilità delle esperienze di un sottomondo di antieroi, amanti disperati, tossici, ignorati dalle narrazioni mainstream 3. Queste storie sono narrate con un atteggiamento privo di ogni intento moralistico; domina un sentimento di empatia per gente che si trova in una condizione di liminalità che può essere assunta come propria; brani come Hey Joe spingono verso un’aperta sensibilità cognitiva e delegano agli ascoltatori ogni decisione etica sul senso della storia e sul destino riservato a vari personaggi 4. C’è un lato della pratica combinatoria che ha a che fare con le strutture musicali e in genere con l’etica della scena rock di fine anni Sessanta: il pubblico e i musicisti sono guidati dall’imperativo che spinge all’innovazione senza compromessi che conduce a una complessità strutturale dei brani che si fa densa. È un codice etico comune alle più diverse subculture (musicali, giovanili) ciascuna alla ricerca di una cifra che la distingua dalle altre e dalla società circostante: i musicisti sono incoraggiati a moltiplicare le dimensioni della rete intertestuale, che non si ferma al blues, R&B, rock n’roll e jazz, ma si muove verso la musica classica, di quella contemporanea, con l’impiego di questi riferimenti dentro all’album o alla stessa canzone. Gli ascoltatori sono proiettati nelle più diverse direzioni narrative e musicali, dando un senso etico ed estetico compiuto alla struttura emozionale trasmessa dal rituale del concerto. Suoni e parole del rock Nuovi suoni: ciò che colpisce nei migliori musicisti rock è l’audacia creativa che si traduce nell’esplorazione di nuovi universi sonori. È una mentalità che deriva dal culto dell’autenticità, proprio di subculture artistiche o sociali pregresse, come la beat, la mod, la Hippie. L’importante è che il singolo musicista non sia un falso, una parodia, ma una persona che apprezza quella musica. Sin dagli anni Trenta, negli ambienti Jazz questa mentalità acquista una declinazione particolare: la differenza tra le Swing band e le sweet band consiste nella superiorità delle prime sulla base della complessità e innovatività della loro proposta estetica. Questo tipo di sensibilità si acuisce nei beboppers come Charlie Parker, Thelonious Monk ecc. I musicisti rock vogliono sperimentare forme nuove che certifichino la loro consapevole superiorità etica nei confronti dei musicisti che creano, suonano, cantano, animati solo dal desiderio di fare soldi. Nello spazio delle sperimentazioni musicali, due sono i percorsi innovativi: da un lato ci sono i musicisti che modificano le strutture e le sonorità blues, fino a costruire un ambiente sonoro spettacolare e drammatico, su cui proiettare le storie dell’archivio blues; dall’altro musicisti che radicalizzano la sintassi combinatoria che appartiene al rock. Il fatto che negli anni ’50 e 60, musicisti britannici si siano avvicinati al blues o al R&B senza rigore filologico, scoprendo Muddy Waters, Robert Johnson, Fats Domino, ascoltando contemporaneamente Chuck Berry o Lonnie Donegan, si trasforma in vantaggio. Musicisti come Eric Clapton, Jimmy Page o Tony Iommi ampliano le strutture del blues grazie ad un nuovo uso della chitarra elettrica. L’impiego del riff è fondamentale: singole cellule di chitarra distorta ripetute per tutto il brano (Whole Lotta Love, Sunshine of Your Love dei Cream). La scelta di dare più spazio all’improvvisazione chitarristica dipende dalla consapevolezza del carattere limitativo del blues. Ian Anderson, flautista e leader dei Jethro Tull chiarisce il punto con lucidità. Nasce il desiderio di allontanarsi dalla gabbia blues o di espanderla, tramite accelerazioni ritmiche, un cantato melodrammatico e l’uso della distorsione e dell’assolo. I musicisti che lo fanno fondano l’hard rock, genere che ha la sua coerenza interna. Come capita a gruppi rock del periodo, Led, Black, Deep, si aprono ad altre influenze musicali inserendo rivisitazioni di brani folk, affrontati con mood oscuro e drammatico. Per quanto suggestive siano le creazioni hard rock, niente può eguagliare la vastità e la ricchezza dei tessuti sonori costruiti da Frank Zappa. Nel suo caso la lucidità di una ricerca musicale che spazia dal Doowop, rock n’roll, dodecafonia, Stravinsky, Jazz, Carl Stalling, si affianca alla costruzione di paesaggi narrativi urticanti e polemici. L’assunto fondamentale che guida anche Zappa è la polemica serrata contro la commercializzazione della musica, esposta in Flower Punk in cui interpreta il ruolo di un musicista ipocrita che dice quanto sia bello stare in una band rock n’roll e fare musica che fa stare bene i kids, per poi confessare che gli interessano solo i soldi; da qui il titolo sarcastico del disco, we’re only in it for the Money. La polemica contro il consumismo ricorre nei lavori di Zappa. In molti suoi brani la musica è strutturata per collage musicali che mettono insieme gli stili più disparati: inizia il brano con uno stile riconoscibile e poi lo fa esplodere con parti vocali o linee melodiche aliene rispetto allo stile inizialmente scelto. In concentration moon, in cui si denuncia l’intenzione governativa di costituire campi di concentramento per una possibile emergenza nazionale. La fantasia concentrazionaria è cantata con stile country. Poi la musica cambia direzione, e la filastrocca diventa una melodia cromatica. Il meccanismo è quello dello straniamento. La musica di Zappa ha un respiro autonomo e si muove in molte direzioni: Hard rock, jazz, classica atonale. Ognuna delle esperienze amplia gli orizzonti e supera i confini. Spiccano le opere per orchestra. Raggiunge il suo vertice creativo nel 1992 quando l’Ensemble Modern registra dal vivo brani orchestrali inediti o arrangiamenti per orchestra di brani eseguiti con altri combo. La musica, atonale, riesce a colorare una varietà di paesaggi con un’intensità espressiva che difficilmente altri musicisti classici toccano. La curiosità nei confronti dei generi musicali più diversi e l’interesse per la loro combinazione e ibridazione, tipica di Zappa, appartengono a un sottogenere rock che prende forma dal 1969, cioè il progressive rock. I gruppi che eseguono questa musica (Jethro Tull, Gentle Giant) condividono con Zappa il disprezzo per la commercializzazione dell’arte, come per l’ottundimento procurato dall’etica del consumismo. Il punto essenziale della traiettoria progressive, sta nell’ibridazione a 360 gradi della matrice rock in un dialogo con la musica classica sette-ottocentesca, con la classica contemporanea, il jazz, il folk, con la musica etnica e le nuove forme dell’hard rock. Ogni tanto il risultato è deludente ma nella maggior parte dei casi la musica risulta innovativa, ricca, espressiva, profonda. I brani suonati da gruppi come King Crimson, Genesis, Pink Floyd, gli Yes, Soft machine, Robert Wyatt, si allungano, fino a costruire delle suite che occupano intere facciate di un LP (Atom Heart Mother del 1970, Thick as a brick del 1972, tales from topographic Oceans degli Yes 1973). I brani strumentali diventano più lunghi e più ricchi e costringono gli ascoltatori a un atteggiamento più concentrato e riflessivo. Le sequenze musicali si fanno multiformi, con mutamenti di ritmo, tempo, linea melodica, tanto che non si sa mai cosa aspettarsi. La struttura interna dei brani si complica, come si può vedere in The House, The street, The room, che i Gentle Giant registrano per Acquiring the taste. La nascita della canzone è composita ed elaborata, comporta l’uso di strumenti insoliti. La linea melodica è scandita da cambi di atmosfera che conducono gli spettatori ad un dialogo con la musica classica, jazz per tornare al rock. Narrazioni rock: il 28 giugno 1968 Life esce con i Jefferson Airplane in copertina e con una cover story sul nuovo rock, che si concentra su Janis Joplin and The Holding company, J.A., Zappa and the mothers of invention, The doors, Cream, The Who. George Hunt, caporedattore di Life, riconosce che i musicisti rock non rendono le cose semplici, né testualmente nè musicalmente, ma riescono a toccare il cuore di una gran parte del pubblico giovanile, perché mostrano empatia con la gente, per tutti e per tutte le loro storie. Alti, bassi: puoi essere figlio di un ricco o venire da una famiglia modesta, non è importante perché la strada te la scegli te. La storia di Jim e Caroline raccontata da Lou Reed fa capire che l’ideale romantico può valere per Cenerentola ma non nella vita quotidiana. Reed non ci vuole fare la lezione; non ci vuole spiegare chi ha ragione o chi torto; non parteggia né per Caroline, né per Jim; chi ascolta ha il compito di decidere, se vuole farlo. In Heroin, contenuta in Velvet Underground e Nico, racconta l’esperienza di un eroinomane, ed è strutturata in strofe all’interno delle quali la musica accelera progressivamente man mano che l’eroina viene iniettata ed entra in circolo: la voce narrante, il drogato raccontato da Reed non vuole compassione, non cerca di giustificarsi ma è consapevole del sollievo che ricava dalla droga. Tornando a Berlin e Hey Joe, le canzoni potrebbero essere viste sotto la luce maschilista. In effetti è una delle critiche che viene rivolto al rock. Così facendo si perdono di vista le radici blues e hard country. Il modo in cui funzionano le relazioni amorose in questi due generi, consiste nel dichiarare un’aggressività di genere, per sovvertirla dall’interno e sbriciolarne la sostanza nel suo inverso, cioè nella sostanziale debolezza. Funziona così anche per i Rolling Stones. Tra le prove addotte per mostrare l’inclinazione misogina di Jagger e Co. Si cita Under My thumb o Brown Sugar o nella copertina di Black and blue. Il testo di Brown sugar è attraversato da un’onda selvaggia di desiderio, che sembra deragliare verso fantasie di puro dominio sessuale di un uomo su una donna; c’è un’evidente coloritura autoironica in questa costruzione. Questa declinazione autosarcastica si colora di una luce tragica quando le immagini di brown sugar sono proiettate sulla galleria degli altri personaggi maschili che dominano Sticky Fingers. La figura del macho si trasforma nell’incubo del tossicomane che è diventato un rottame per l’abuso di droghe o alcool; è un uomo debole che dipende integralmente da una donna sia sul piano psicologico che quello affettivo, che su quello erotico. Alla fine si impone il tema blues dell’uomo abbandonato dalla donna e pieno di rimpianti. Il caso di Hendrix è particolare. I suoi brani sono interpretati come critiche al militarismo americano nonostante le sue intenzioni creative siano opposte. Dal 1965 in poi la protesta giovanile contro la guerra in Vietnam è andata crescendo e negli usa ha finito per spostare un buon numero di militanti di Sds verso un apprezzamento positivo dell’esperienza comunista. Il deterioramento del clima pubblico statunitense e le dure iniziative repressive della polizia inducono una parte dei militanti Sds a rivalutare l’uso della violenza. Nel 1969 Sds si spezza in due gruppi diversi uno dei quali accoglie l’idea del ricorso alla violenza come strumento di lotta politica, mettendola in pratica l’8, 9 e 11 ottobre 1969 quando furono fatte guerriglie urbane a Chicago. In parallelo, nell’Europa continentale, in particolare tra Francia e Italia, tra l’autunno del 1967 e il 1968 si forma un movimento studentesco che passa dalle proteste dentro università e scuole a scontri di piazza. Alcune militanti della Sncc fanno trapelare un documento in cui sostengono che le donne, come i neri, siano una casta oppressa. La reazione dei leader e dei militanti maschi non è positiva. Di fronte a questi scenari, la maggior parte dei musicisti rock ignora le questioni più direttamente politiche e sceglie di non esprimersi. I casi più rilevanti sono 3: 1. Il 17 marzo 1968 Mick Jagger partecipa a Londra a una manifestazione contro la guerra nel Vietnam: ne deriva una giornata di scontri con la polizia. Jagger non prende le distanze dal movimento ma nemmeno sostiene una rivolta sociale. Questa ambigua posizione è rispecchiata in Street fighting man (1968). Il testo ha la forma di un dialogo: da un lato la voce di un militante dice che si sentono piedi di gente che marcia, perché è arrivata l’estate, ed è il momento giusto per combattere, la voce del leader della band dice che lui può solo suonare nella sua band senza fare altro. Il testo non sconfessa la posizione di Jagger, anche se il brano è considerato un contributo militante degli Stones alla radicalizzazione politica in atto, ma questo è un fraintendimento. 2. Non meno ambigua è la posizione di Lennon. Il 30 agosto 1968 i Beatles pubblicano un singolo con Hey Jude sul lato A e Revolution di Lennon sul lato B; in Revolution Lennon sembra prendere le distanze dalla radicalizzazione politica. Pochi mesi dopo la canzone viene pubblicata sul White album, col titolo Revolution 1 e con un leggerissimo cambiamento nel testo. Il count me out, in, mostra un’insicurezza di Lennon. Da allora, grazie anche alla collaborazione con Yoko Ono, il suo orientamento si chiarisce verso un pacifismo rivoluzionario che dà uno spazio significativo ai temi del femminismo. Nel 1969 per il loro matrimonio organizzano una forma di protesta contro la guerra in Vietnam, incoraggiando all’amore universale (frase famosa Give peace a chance). L’11 ottobre 1971 pubblicano un singolo con Imagine sul lato A e Working Class Hero sul lato B. 3. I Jeffersone Airplane prendono una posizione netta. Il 30 aprile 1968 registrano a New York una puntata di The tonight show condotto da Johnny Carson. I Jefferson eseguono Today e Somebody to love, ma non c’è feeling tra band e conduttore. Pochi mesi più tardi Grace Slick dà più sostanza al suo atto irriverente. Il 10 novembre va in onda la puntata della Smothers Brothers comedy hour, in cui eseguono Crown of creation dal vivo e lather in playback. Grace è vestita di bianco, si è dipinta la faccia di nero, indossa dei guanti neri, alla fine dell’esecuzione ripete il gesto compiuto qualche mese prima alle Olimpiadi dai velocisti neri Tommie Smith e John Carlos, alza il pugno chiuso in alto, nel saluto del Black power. Un anno più tardi, due membri del gruppo, danno ulteriore espressione a queste posizioni con We can be together e Volunteers. Ciò che allontana la narrazione politicamente militante dei Jefferson dalla più banale propaganda rivoluzionaria è la descrizione dell’esito di questa rivoluzione. La catastrofe può essere causata da una guerra atomica (crown of creation, the house at Pooneil Corners, Wooden Ships). Ma può essere causata dal fallimento della rivoluzione e dall’incapacità di cambiare una società repressiva e totalitaria, come in Star Track. L’esito è sempre il solito: la fuga come unica possibilità, specie verso mondi altri, altre terre, altri pianeti. Tutte queste storie descrivono la partenza ma mai l’arrivo. Si fondono due temi importanti della tradizione controculturale: da un lato il tema del viaggio come straniamento sociale e dall’altro l’assenza di happy ending. Per i Jefferson ribellarsi è giusto. Un-happy ending: la stragrande maggioranza delle narrazioni rock sovverte uno dei capisaldi etico-narrativi della cultura mainstream, cioè l’happy ending. Tre esempi meritano di essere osservati, perché la negazione del lieto fine giunge al termine di complessi concept album 1. In the court of the Crimson King (1969), primo disco dei King, non è considerato un concept, sebbene i testi traccino un discorso dotato di senso. Ogni scenario trova il suo sviluppo nel brano successivo. Prova a guardare nel futuro (21st century schizoid man) e quello che vedi è il panorama della distruzione futura del 21° secolo: sangue, tortura, filo spinato, innocenti violentati dal napalm, il più sfrenato consumismo. C’è modo di liberarsene, un luogo in cui salvarsi? Al termine dell’orizzonte desolato del primo brano, una musica arcaizzante, guidata da un flauto traverso, introduce I Talk to the wind, un passato che si rivela inospitale come il XXI secolo. Un uomo normale si rivolge ad un viandante chiedendogli ragione del suo comportamento e il viandante risponde in modo evasivo. Quando ne sentiamo la voce capiamo che il viandante è condannato all’incomprensione, nonostante sia in grado di vedere la degradazione delle relazioni sociali che lo circondano. La coscienza della sconfitta non lo piega, è guidato dalla consapevolezza che nessuno potrà cancellare le sue convinzioni. Alla nuova domanda dell’uomo normale risponde di nuovo in modo evasivo. Cosa è che ha visto? Un mondo desolato dalla violenza, in cui la conoscenza è al servizio della follia. Vale comunque cercare un sentiero per la salvezza anche se la sensazione è che questo domani sereno non arriverà mai. Un momento di sollievo si può trovare incontrando una figlia della luna (moonchild). Si tratta solo di un momento. Quando il saggio viandante riprende la sua via sprofonda in un incubo dark (the court of the Crimson King): arriva alla corte di un re rosso in un regno strano ma non desolato. Il luogo si mostra per quello che è, un luogo di soprusi. L’idea di scappare non è attuabile mentre figure minacciose (regina nera, Strega di fuoco) annunciano la loro presenza. I segni dell’arbitrio non possono essere cancellati. Le vedove piangono, il viandante non sa reagire. 2. Futuro e passato si saldano: non c’è salvezza possibile, nessuna via di fuga. Un altro disco in questa situazione è Animals dei Pink Floyd del 1977. Waters ne racconta la storia con varianti rispetto alla fattoria degli animali di Orwell. Descrive una società in cui si incontrano 3 profili umani in sembianze animali: i cani, il braccio armato del potere, destinati a un qualche successo, ma anche a morire da soli in una vita desolata e priva di affetti; i maiali – di 3 tipi – l’uomo d’affari, duro e spietato; la leader politica fredda e aggressiva; la moralista, priva di sentimenti. Questi 3 soggetti meritano il disgusto e la derisione. Infine ci sono le pecore: sottomesse, destinate al macello, prive di reazione, e invece si stanno preparando a una ribellione che poi scatenano. Qual è il destino dei maiali? Ce lo dice l’ultimo brano, che è una ripresa del primo: si capisce che la storia è raccontata da due umani-cani che si sono salvati dal massacro dei nuovi padroni (le pecore), stando attenti ai maiali volanti. 3. The Wall (1979) narra una storia che si svolge nella testa di una rockstar, Pink. Il successo che ha non lo solleva dal disagio, provocato da una serie di traumi che l’hanno indotto a erigere una sorta di muro che lo protegge. Quali traumi? La morte del padre nella seconda guerra e il senso di vuoto; gli effetti dell’educazione data dalla madre iperprotettiva e a un sistema scolastico rigido e conformista; la rovina del rapporto con la moglie, la disumana attività dello show business. Tutto ciò lo porta a mettersi dietro un muro e a immaginare una sola via d’uscita: trasformare il suo carisma di rockstar fino a farne la base per la costituzione di un movimento neonazista. Alla fine immagina di essere sottoposto a processo. La sentenza è che questo muro deve essere distrutto, che avviene con una grossa esplosione. Il finale è a doppio taglio: da un lato c’è il contenuto manifesto che suggerisce che se chiunque si apre alle persone che lo amano, tutto può andare per il meglio, dall’altro lato c’è un contenuto latente, che suggerisce che non c’è salvezza. Il must narrativo ed epico del lieto fine viene destrutturato in modo irrimediabile. A questo mood non resistono nemmeno le canzoni più ottimistiche dei Beatles, sottoposte a riletture che ne cambiano il senso. l’allineamento dei pianeti Hollywood renaissance: la formazione di una controcultura rock è un’esperienza che riguarda un segmento importante di pubblico, composto da varie comunità giovanili: non tutti i giovani ne sono attratti; la musica rock non vuol dire nulla per le persone più anziane. Ciò significa che la controcultura rock non è un fenomeno così potente da mettere in discussione l’egemonia della cultura di massa mainstream. In questi anni una fitta rete di relazioni intertestuali collega la controcultura rock ad altre forme espressive. Ciò comporta che la medesima sensibilità connoti narrazioni che si muovono tramite media diversi (il cinema, il teatro musicale, l’arte visiva, la radio e la tv). Una simile irradiazione della controcultura rock coinvolge persone generazionalmente più ampie della originaria mappa dell’audience. È questo processo a condurre alla creazione di una costellazione controculturale di massa in grado di competere l’egemonia dell’intrattenimento mainstream. La Hollywood renaissance ha uno speciale rilievo. Geoff King ha mostrato che la nascita di un nuovo stile filmico hollywoodiano deriva dal tentativo di dare risposte economicamente soddisfacenti a uno stato di crisi che nel secondo dopoguerra ha colpito l’industria cinematografica americana. Nel 1968 il processo di vendita degli archivi cinematografici alle TV si è esaurito. Per contrastare il declino, le majors hanno messo in atto una revisione del codice di autocensura: nel Julian Beck. Tra le caratteristiche di questo collettivo teatrale c’è l’idea di una fusione tra l’elaborazione artistica e la vita quotidiana che trova la sua massima espressione in the connection, storia di un gruppo di drogati; dall’altro lato c’è il teatro della crudeltà, teorizzato negli anni Trenta da Antonin Artaud, secondo cui una rappresentazione teatrale deve aggredire lo spettatore con scene violente. Il lavoro di questo collettivo resta ai margini dei circuiti teatrali di maggior successo. Diversa è la parabola percorsa da altri spettacoli che si impongono ad un pubblico di massa. La prima rappresentazione importante è Hair: the American Tribal Love-Rock musical. Il musical debutta in una prima versione a New York in un teatro del circuito Off-Broadway il 17 ottobre 1967; alla fine visto il successo esso viene introdotto nei principali teatri. Nel passaggio a Broadway cambia sia la regia che alcuni aspetti della trama. Claude Hooper Bukowski è un ragazzo di classe media che abbandona la casa dei suoi nel Queens, per unirsi alla comunità hippie del Greenwich village, dove conosce berger. I rapporti dentro la comunità sono complessi. Questi fanno uso di droghe e criticano la violenza imperialista che attraversa la storia degli Usa. Claude, reclutato per il Vietnam parte ma vi muore. I suoi amici e le sue amiche celebrano la sua morte con The Flesh Failures, in un finale di grande impatto emotivo. Molte canzoni di Hair hanno grande impatto presso il pubblico. Nel complesso Hair ha diverse caratteristiche che lo rendono fondamentale nella storia della cultura di massa: è il primo musical che affronta in modo diretto il dramma della guerra in Vietnam e il primo ad usare forme musicali rock. Altre messe in scena sono organizzate in Europa, Sud America, Australia, Giappone. Nel 1979 ne viene tratto anche un film. Tra i vari aspetti del successo di Hair ci sono anche le polemiche provocate da ciò che succede alla fine del primo atto quando i membri si spogliano restando nudi sul palco. Sin dall’Ottocento in Europa e negli usa, rappresentazioni di questo genere sono commerciate sul mercato pornografico clandestino. In qualche caso l’idea chiave che orienta diversi registi dell’avanguardia artistica verso la rappresentazione della sessualità consiste nel dare dignità a banali atti di vita quotidiana sulla base di Duchamp e Cage. In questi lavori la presentazione dei gesti quotidiani è filtrata da una peculiare rappresentazione visiva che invita chi guarda a una sorta di straniamento radicale. È di nuovo un musical a rompere la marginalizzazione e a portare a un pubblico più vasto la rappresentazione della sessualità: Oh! Calcutta! Viene creato da Kenneth Tynan che celebra i tempi nuovi con uno spettacolo “intelligentemente erotico”. Il lavoro esordisce off-Broadway, all’Eden Theatre, il 21 giugno 1969, poi vista la buona riuscita viene trasferito a Broadway nel 1971. Alla sua uscita suscita reazioni forti o polemiche o apprezzamento per la franchezza con cui a teatro si può affrontare la sessualità. L’esempio di questo musical apre la strada ad altre produzioni che affrontano il tema della sessualità. Più impegnativo e diretto è Let my people Come: a Sexual musical, realizzato da Earl Wilson Jr come risposta a Oh! Calcutta! che è stato trovato poco coraggioso. Si vuole descrivere il sesso in ogni sua forma. Il musical esordisce Off-Broadway al Morosco Theater. Tre scene sono dedicate all’illustrazione di amori omosessuali: in una, in un gay bar, un uomo chiede al suo occasionale partner di portarlo con sé; in un’altra due giovani ragazzi cantano un canzoniere il cui testo corrisponde a quello della lettera che pensano di scrivere ai loro genitori per il coming out; la terza descrive una coppia lesbica. Diversa la storia commerciale delle produzioni cinematografiche per il grande pubblico che puntano in un’altra direzione, cioè la rappresentazione del sesso etero. Il primo film è blue Movie di Andy Warhol. Di impatto commerciale maggiore è Ultimo tango a Parigi che narra dell’incontro tra un americano disilluso e una giovane borghese annoiata. Il finale è tragico: lui prima la rifiuta, poi si accorge di amarla ma quando va da lei per dirglielo lei gli spara. Pop art: nella sua essenza più minimale, sia in Inghilterra che negli Usa, la pop art si propone come una reazione al modernismo antifigurativo, che in America viene identificato col termine espressionismo astratto: è una corrente animata da artisti come Jackson Pollock, Robert Motherwell o Mark Rothko. Clement Greenberg, Harold Rosenberg o Meyer Schapiro suggeriscono che nelle opere di questi artisti si possa vedere un’arte che non vuole accettare gli orrori del proprio mondo contemporaneo e quindi rifugge da ogni rappresentazione realistica. Si tratta di una lettura che enfatizza l’aggressività polemica che si può trovare nelle tele di questi pittori. Negli anni ’50 a questo tipo di lettura si aggiungono le interpretazioni che legano l’action painting di Pollock all’improvvisazione bebop in musica o alla spontaneus prose di Kerouac in letteratura. Questi aspetti suscitano una reazione critica. Alcuni mecenati come la famiglia Rockefeller cominciano ad acquistare i quadri di questi artisti, seguiti poi dal MOMA di New York. Questo imprevedibile successo commerciale incoraggia una revisione del discorso critico relativo a questa corrente, giacché Pollock e gli altri sono presentati come esempio della libertà espressiva che c’è negli Usa, a differenza dei paesi comunisti. Il fatto che questi artisti siano bianchi e che le loro opere siano connotate da una irrilevanza narrativa fa sì che la loro proposta estetica appaia inoffensiva e quindi socialmente e politicamente accettabile; ciò è l’esatto contrario di quello che accade al jazz d’avanguardia. Da un lato la proposta artistica pop nasce proprio come reazione al dominio antifigurativo dell’espressionismo astratto; dall’altro nasce anche da una sorta di attrazione/repulsione nei confronti della cultura di massa, dei suoi oggetti, dei suoi divi. Peter Blake, capofila del pop britannico, è un cultore di jazz e rock n’roll, è un fan di Elvis tanto che nel 1961 si ritrae in un self Portrait with badges, vestito di jeans, col giubbotto a spille. Blake vuole un’arte che possa dialogare con la cultura di massa. Altri artisti come Andy Warhol o Roy Lichtenstein lavorano usando i fumetti come oggetto principale della loro elaborazione artistica. Da qui il senso dell’etichetta che raccoglie le opere di questi artisti: pop art, arte che non ha paura di prendere come riferimento la banale quotidianità delle masse, delle loro scelte di consumo, delle loro preferenze culturali. Inizialmente la reazione di alcuni critici non è positiva. Interessanti sono le argomentazioni usate per sbarrare la strada al movimento. Nel 1962 il critico Max Kozloff definisce gli artisti pop i “new vulgarians”. Che questo critico senta di dover coniugare la pop art ai ragazzi giovani è significativo: sembra che il suo intento abbia sortito qualche effetto. Se inizialmente la ricezione critica è negativa poi anche la pop art si impone sul mercato, sulle riviste di tendenza, nelle istituzioni museali e nella grafica pubblicitaria. Se la traiettoria di questa proposta artistica è interessante in sé, ciò che sono importanti sono i nessi con il rock. Alcuni artisti cardine del movimento pop sono autori delle copertine di alcuni degli album rock più influenti: Stg. Pepper’s Lonely heart club band e il white album dei Beatles; Velvet Underground & Nico, di Sticky Fingers e Love you live dei Rolling Stones. Il rapporto di Warhol col rock è più profondo e strutturato, realizza il film The Velvet Underground & Nico: a symphony of sound. Nel febbraio 1966 i Velvet suonano live durante Andy Warhol tight- up. Nel ’67 realizza la copertina di Velvet Underground e Nico, poi le loro strade si separano. Rosalyn Drexler è un’artista di New York particolare: nel ’51 abbandona marito e figli per fare la wrestler, però vedendo il razzismo nel sud decide di smettere e torna a New York dal marito e si trasferiscono a Berkeley e inizia la sua attività di scultrice. Nel 1960 espone le sue sculture astratte alla Reuben Gallery di New York. Non trovando alcuna collocazione commerciale alle sue sculture decide di passare alla pittura e lavora su scatti di cronaca tratti dai giornali. La caratteristica di queste opere fa sì che questi quadri intrattengano un rapporto potenziale con opere influenti a cui abbiamo già accennato. Quale è il rapporto di questa variegata produzione con l’universo della controcultura rock? Da un lato va rimarcata una convergenza nell’atteggiamento: porre agli occhi dello spettatore materiali più o meno scioccanti, lasciando a chi guarda il peso di decidere cosa dirne in merito, è una soluzione che accomuna pop art e rock. Bisogna aggiungere che non tutta la grafica che accompagna la prima traiettoria del rock può essere circoscritta entro le sole coordinate della pop art. una parte significativa della produzione grafica per i manifesti dei concerti insegue un’estetica più eclettica: reiterazione della linea curva, monocroma o policroma, che avvolge personaggi femminili. Nel contesto britannico si impongono lavori più segnati da una vena surreale, esplorata da un gruppo di artisti di grande originalità che collaborano con gruppi progressive. Molti dei lavori tradiscono un rapporto con la grafica dei comic books; i fumetti sono anche uno degli oggetti di maggior interesse per molti artisti pop, oltre ad uno strumento di comunicazione ovvio per le comunità interpretative giovanili che si interessano al rock. Radio, news e intrattenimento tv: il successo della Tv come medium per le famiglie ha mutato la natura della programmazione radiofonica. La pluralità delle comunità interpretative esistenti si rispecchia nella molteplicità di programmi radiofonici che negli Usa soddisfano i gusti musicali delle audience più diverse, dal pop al soul, al jazz al rock. Nel Regno Unito la produzione radiofonica della BBC è messa in questione da emittenti radiofoniche particolari come American Forces Network o Radio Luxembourg; più tardi alcune radio pirata come Radio Caroline e radio London trasmettono musica pop e rock inducendo la BBC a introdurre nella sua programmazione trasmissioni simili. Anche le TV ospitano programmi di musica per giovani, che alternano successi pop a produzioni rock. Molte emittenti Usa hanno un orientamento filogovernativo e conservatore. Tuttavia ci sono eccezioni: sulle emittenti della Cbs dal 1951 al 1958 viene trasmesso il programma See it now: presenta servizi volti a screditare la campagna di McCarthy, fino ad allora protagonista della crociata anticomunista. La sua uscita di scena viene determinata da un’indagine svolta da una commissione senatoriale che impone a McCarthy un’audizione pubblica per verificare la Una questione riguarda l’evoluzione dei gusti del pubblico. La cosa ha a che fare con la radicalizzazione dei movimenti alternativi, diversi tra loro, che negli Usa e in Europa, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, scelgono di ricorrere alla violenza come strumento per combattere il sistema. Una per una tutte le iniziative che immaginano azioni terroristiche o violente vengono represse dagli apparati militari e polizieschi dei singoli stati. Anche le comunità Hippie non reggono né negli Usa né in Europa, sconfitte dalle tensioni organizzative interne e dall’impraticabilità economica e sociale della vita comunitaria. Restano ampie comunità interpretative che non hanno né militato con i gruppi politici radicali né tentato la via dell’alternativa hippie e che nonostante ciò hanno apprezzato e sostenuto la costellazione controculturale. Su queste aree hanno un impatto forte gli effetti della crisi economica provocata dall’Opec che alza i prezzi del petrolio. La stagflazione che ne deriva mette in ginocchio le economie dell’Occidente. Il trauma è forte per i baby boomers: giovani vissuti nel mondo dell’abbondanza che si ritrovano a dover fare i conti in un contesto economico sfavorevole. Molti iniziano a non avere più desiderio di immergersi in narrazioni tragiche, in storie di antieroi; mutare i gusti e abbracciare di nuovo il mainstream oppure oscillare tra le due cose. Bisogna considerare che anche nel momento di maggiore successo della controcultura alternativa, una parte del pubblico usa e europeo ha continuato a prediligere le produzioni mainstream. Questa geografia del pubblico spiega un processo di fondamentale importanza nella destrutturazione della costellazione controculturale, cioè la chiusura completa della breve stagione della Hollywood Renaissance, che ha luogo dalla metà degli anni Settanta. All’epoca i manager delle case di produzioni ripuntano di nuovo sull’intrattenimento puro: i film d’azione, di fantascienza e fantasy, le commedie romantiche e i cartoni dominano di nuovo il campo. L’inferno di Cristallo, Lo Squalo e Star Wars aprono la strada; poi segue un’infinita scia di successi che rispettano nuovamente le regole della narrativa cinematografica classica: lieto fine, messaggi rassicuranti, eroi muscolosi che salvano la comunità. Molti dei film sono costosissimi sia per la produzione che per la promozione e il marketing. I processi che si delineano dagli anni Ottanta si connotano per due caratteristiche: si creano megacorps omogenee (quindi la razionalizzazione), e le dimensioni delle corporations diventano spropositate (quindi gigantismo). Queste nuove formazioni proprietarie possiedono case di produzione cinematografica, emittenti tv, giornali, radio e diversi sistemi comunicativi. La maggior parte delle magacorps ha sede negli Usa mentre altre hanno un impianto multinazionale, cioè possiedono mezzi di comunicazione situati nelle più svariate parti del mondo. Tra le più importanti megacorps ci sono: Comcast Corporation, il più grande operatore Usa nel settore della Tv via cavo e possiede la Nbc universal, azienda nata dalla fusione della Nbc con la Universal; Microsoft, fondata negli anni Settanta da Bill Gates, si è imposta come l’azienda dominante nel campo dei software per i computer, attiva anche nei videogiochi con la produzione della Xbox, nel 2007 ha acquisito quote di FB e nel 2011 Skype; Time Warner, nata dalla fusione tra il Time (giornale) e la Warner bros.; News corporation di Rupert Murdoch; nel 1954 Murdoch eredita dal padre un giornale australiano, l’Adelaide News; poi entra nel campo delle emittenti televisive americane; nel 1985 acquisisce il 50% della 20th Century Fox e lancia il Fox Broadcasting News; nel 1989 lancia nel regno Unito Sky Television; nel 1996 nasce Fox News; acquista emittenti in Asia e Turchia; nel 2005 acquisisce Intermix Media che controlla Myspace; nel 2007 acquisisce Dow Jones & Company, proprietaria del Wall Street Journal; nel 2013 ha diviso il suo impero in due megacorps: 21st Century Fox, che possiede il gruppo Fox, che a sua volta controlla Star Tv (una Pay tv asiatica) e Sky plc; e News Corp, che si occupa di giornali ed editoria. La Walt Dinsey e la Sony, la Vivendi e la Thomson Corporation e altri ancora. Il pubblico le apprezza anche perché la programmazione dei canali tv, inclusi nelle megacorps mediatiche, si allontana dalle timide aperture a temi nuovi che caratterizzano gli anni ’70, per tornare ai format e alle narrazioni classiche. Sia al cinema che alla tv le storie tendono a farsi standardizzate; le differenze tra l’una e l’altra sono minime; il dovere del lieto fine o della positività morale dei personaggi trasmette un messaggio rassicurante. I media controllati dalle megacorps tendono a modellare le notizie sulla base degli interessi economici e politici dei gruppi di direzione. Tendono a costruirle in un modo che è condizionato dalle modalità di raccolta delle notizie. Per questo i giornalisti si concentrano nei pressi dei luoghi del potere. localmente le notizie vengono invece dall’amministrazione cittadina o dalle stazioni centrali della polizia. Nel processo di concentrazione sono coinvolte anche le case discografiche che sin dagli anni Settanta puntano investimenti produttivi e promozionali in direzione della musica pop. Enorme successo ha la nascita di Mtv (1981)
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