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World history riassunto, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

world History

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 10/03/2016

alessandro.mariani
alessandro.mariani 🇮🇹

4.2

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Scarica World history riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! World History. Le nuove rotte della storia PREMESSA Il 1492 segna l'inizio di quella che la nostra tradizione storiografica definisce era moderna e che interpreta per lo più come epoca dell'ascesa dell'occidente o del miracolo europeo. Tuttavia il pianeta è rimasto a lungo non solo sostanzialmente policentrico, ma anche soggetto all'impatto di intensi flussi di scambio materiale e di ibridazione culturale. Quella di matrice occidentale fu, in altre parole, solo una delle modernità del globo, non la solo e forse non la prevalente. In accordo con ciò, oggi nuove correnti interpretative, simultaneamente all'opera nei vari continenti, hanno cercato di restituire alla narrazione storica quella polifonia di accenti e scenari che la tradizione occidentale ha in genere sminuito, nel presupposto di ricavarne una dimostrazione della superiorità occidentale. Si parlerà sia di eventi che di interpretazioni, sia di storia che di storiografia. CAPITOLO I La volontà di scrivere una storia che racconti le vicende dell’umanità attraverso coordinate spazio- temporali il più estese possibile, si riscontra fin dall’antichità. Erodoto, lontano dall’ottica greco- centrica del contemporaneo Tucidide, riservò spazio alle vicende dei barbari, dotando il proprio lavoro di un’ampiezza di scala, di un’attitudine cosmopolita, pressoché assenti in Europa fino all’età di Voltaire. Stessa cosa fecero gli iniziatori della tradizione storico dinastica cinese, che descrivendo principalmente la storia della dinastia Han, inclusero anche le vicende riguardanti i popoli nomadi dell’asia centrale con cui i cinesi vennero in contatto. Sempre all’epoca antica risale la rivoluzione della Storiografia cristiana, che introdusse nell’Impero Romano una nuova concezione della storia (sviluppo lineare dotato di un unico inizio, la Creazione, un evento centrale, ossia la vicenda mondana di Dio incarnatosi in Cristo, e un fine ultimo, ossia la Parusia, seconda venuta di Gesù sulla terra). La Storiografia medioevale, forniva interpretazione del passato secondo una visione giudaico cristiana scandita dal tempo lineare, le cronache si aprivano con una ripresa della storia biblica e ne perpetuavano anche la vocazione universalistica. Il respiro ecumenico della storia fu perpetrato anche dalla storiografia mussulmana medievale, in base all’eccezionale espansione territoriale della summa, cioè la comunità dei credenti. La storia universale cristiana dopo il ‘500 fu costretta a confrontarsi con diversi eventi che ne minarono le basi: in primo luogo la scoperta del nuovo mondo, che poneva in crisi la storia universale tradizionale, e in secondo luogo la sezione biblica delle storie universali progressivamente ridimensionata nelle cronache- tardo medioevali, era scomparsa nel lavoro degli umanisti. Tra il XVI e il XVII secolo mentre si faceva strada l’idea di un sistema secolare (laico) attraverso cui leggere il passato occidentale suddiviso nelle tre fasi: antica, medioevale, moderna, apparvero i primi tentativi di ricerca di un’unità della storia che prescindesse dalla genesi. Il più interessante fu Jean Bodin, che individuò forze unificatrici nella vicenda umana in una dimensione mondana e non sacra all’interno delle crescenti interconnessioni frutto dei rapporti commerciali tra le differenti parti del mondo. Tuttavia il genere della storia universale tradizionale sopravvisse cercando di riappropriarsi in una forma aggiornata. Voltaire, legato al movimento culturale dell’illuminismo di cui fu uno degli animatori e degli esponenti principali, fu il maggior ispiratore della scuola laica illuminata, nella sua opera Essai sur les moeurs et l’esprit des nation (Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni,1756) mise appunto un modello innovativo di storia universale in aperto contrasto con la storia clericale provvidenzialistica e al tempo stesso con la narrativa degli storici di corte La sua opera di respiro universale trova espressione sia nel largo spazio accordato alla altre civiltà (cinese, indiana e islamica o nel racconto della storia da Carlo Magno (742-814) a Luigi XIII (1601-1643), che, e soprattutto, nell’assunto alla base della concezione illuministica della storia. Le filosofie illuministe avevano dei limiti: conservarono l’impianto teologico, tradotto in termini secolari nonostante rifiutassero l’idea di un’intrinseca superiorità occidentale, mostravano la propria incapacità di apprezzare le differenze culturali e di concepirle in termini diversi da scarto dalla norma o arretratezza. Nonostante ciò la filosofia illuminista ebbe il merito di ampliare gli orizzonti della storia, infondendole una connotazione cosmopolita, utilizzando la ricchezza delle fonti disponibili all’epoca. Un gruppo d’intellettuali dell’università di Göttingen si fecero promotori di un nuovo genere di storia universale, incline a privilegiare gli aspetti culturali, antropologici e sociali del divenire storico a scapito di quelli puramente diplomatici e militari, caratterizzato dunque da un notevole interesse nei confronti di popoli e culture extraeuropee. Questo gruppo però, non condivideva la concezione dei philosophes della storia intesa come la progressiva ascesa della razionalità umana. Questa concezione emerse ancora di più nello storicismo delle origini, in particolare nella categoria di individualità storica, messa appunto da Herder. Johann Gottfried Herder (Mohrungen 1744-Weimar 1803 filosofo, teologo e letterato tedesco) pur sottoscrivendo l’idea illuminista di matrice francese di una natura umana unica e universale, concepiva questa come multiforme e dinamica, ammettendo quindi la possibilità di differenti tipi, tutti ugualmente degni. Riconobbe pari dignità a tutti i sistemi di valore e a tutte le epoche storiche, in un reale apprezzamento della diversità culturale. La filosofia della storia universale di Hegel può essere considerata esemplificativa in tal senso, in quanto identificava il fine ultimo della storia il conseguimento della libertà dello spirito costruendo un paradigma evolutivo della civiltà umana con al centro la civiltà cristiano-germanica e per estensione quella europea occidentale. Corollario di questa interpretazione del divenire storico fu la tendenza a partire dal secondo quarto dell’Ottocento, ad aspellere dai territori della storiografia occidentale i popoli non europei, che venivano fatti oggetto di banali generalizzazioni in luogo di analisi approfondite e semplicisticamente liquidati come “stagnanti” o “senza storia”. Nel primo Novecento alcuni storici e soprattutto filosofi della storia, si fecero portavoce delle nuove richieste di analisi di popoli e culture extraeuropei. Entrano in crisi le entusiastiche certezze che avevano dominato l’Europa del lungo ottocento. Il contributo di questi filosofi della storia nella prima metà del ‘900 allo sviluppo della World History va individuato nella loro tendenza a trascendere la cornice concettuale dello stato nazione e ad elaborare un concetto di società complessa su larga scala e di istituirla come categoria adeguata per l’analisi storica globale. Oswald Spengler (1880-1936 filosofo, storico, scrittore tedesco) scrisse, tra il 1918 e il 1922 scrisse “ Il Tramonto dell’Occidente” (Der Untergang des Abendlandes) polemizzò apertamente con lo schema eurocentrico e unilaterale della storia universale tradizionale; a lui va il merito di essere stato tra i primi a sancire il passaggio da una storia della “Civiltà”, declinata al singolare dalle filosofie della storia sette-ottocentesche, a una storia plurale di molteplici civiltà. Queste ultime erano immaginate come autonome e indipendenti (non c’era un dialogo tra culture diverse). Arnold Joseph Toynbee (Londra 1889 – York 1975 Storico inglese) appartenne alla corrente britannica dello storicismo diffusasi nella seconda metà dell’800 e che vide in lui uno dei suoi massimi esponenti; autore di “A Study of History,” una storia universale di dodici volumi, riconosciuto come uno dei padri spirituali dell’odierna World History, egli sottolineò la portata storica delle interazioni tra civiltà differenti. Il maggior contributo di Toynbee e alla nuova World history va individuato proprio nel rilievo accordato ai contatti di civiltà quale dinamica fondamentale della storia umana. CAPITOLO II-La new World History Con questo nome si è imposta negli ultimi decenni del Novecento una corrente della storiografia, praticata essenzialmente nei paesi di lingua anglosassone; il suo esponente più noto è il canadese W.H. Mc Neill, animatore del "Journal of World History" (pubblicato dal 1990) e autore dell'opera canonica The Rise of the West. A History of the Human Community (1964). La world history sfida le concezioni consolidate della storiografia, ponendo l’accento sull’interdipendenza dei fenomeni globali, rigettando l’idea di una storia locale che non tenga conto dei processi internazionali. William Hardy McNeill è un autore di world historian, professore emerito di Storia presso l'Università di Chicago, dove insegna dal 1947.L’unità di analisi sono le civilità, lo studio è sui processi storici con effetti su vasta scala spazio temporale. Il fattore chiave del divenire storico sono i contatti tra le società ed in particolare lo scambio di idee, conoscenze e tecnologie. Introduce in questo modo un modello innovativo di BROKEN individuo poliglotta in grado di muoversi agilmente in contesti culturali diversi e per questo con funzione di mediazione nei momenti di conflitto tra individui di differenti culture di appartenenza. entangled history : L’idea di contaminazione è stata tematizzata in modo più radicale dall’entangled history tesa a valorizzare nell’ambito dell’espressione storica atlantica la dimensione delle concorrenti aspirazioni, nonché delle dominazioni, imperiali Europee configuratesi in termini di entangle empires , ovvero imperi aggrovigliati caratterizzati da interconnessione da giungere a costruire un unico sistema o comunità emisferiche. La prospettiva trans-nazionale della world history si rivela funzionale ad un’analisi incentrata sui fenomeni migratori in quanto consente di seguire le persone che si spostano all’interno di una spazialità non convenzionale identificabile con lo spazio stesso del movimento, costruito modellato dall’esperienza stessa dei migranti. Liberandosi dall’analisi dei limiti indotti dal focus esclusivo sull’impatto dei movimenti migratori sul luogo d’origine e o su quello di destinazione, privilegiando il concetto di “rete” al fine di recuperare le interazioni tra i diversi spazi e le varie dimensioni dell’esperienza storica implicate nei fenomeni migratori e diasporici. Campo di analisi relativo al movimento delle persone è stato precocemente esplorato nell’ambito della world history ad opera di uno dei suoi fondatori Philip Curtin (1922-2009)che rilanciò il dibattito sul numero effettivo degli africani che attraversarono in catene l’Atlantico, tra il XVI e il XIX, (1969 The tratta atlantica degli schiavi) sottolineò la funzione svolta dal commercio transatlantico di schiavi in relazione al processo di integrazione del nuovo mondo e oceanico. The Black Atlantic è un’articolata e complessa riflessione di Paul Gillory sul dibattuto tema dell’identità nera. Il suo obiettivo principale è quello di delineare i contorni storici di una cultura nera transatlantica e delocalizzata prodotta e riprodotta dalla circolazione intercontinentale di migranti, merci, idee, immagini e oggetti artistici iniziata con la schiavitù. Una (contro)cultura diasporica intesa come forma transnazionale di creatività e quindi irriducibile alle singole fonti – Africa, Americhe, Caraibi, Europa – da cui trae origine. L world history non manca di ricostruire i movimenti di chi si è spostato dal luogo d’origine, non in un contesto schiavistico. Le diaspore commerciali ovvero Comunità di mercanti organizzati su base famigliare, etnica o religiosa per sostenere gli scambi sulla lunga distanza. Sono costituiti da reti commerciali su base fiduciaria. Che si trattasse di mercanti disseminati tra l’Impero Ottomano, l’India e l’Iran, a caratterizzare queste comunità commerciali, era la capacità dei loro membri di muoversi agevolmente tra almeno due culture data la funzione di intermediazione culturale che essi erano chiamati a svolgere. La world history è interessata al tema delle migrazioni perché esso fa emergere l’interazione tra il livello locale e quello globale consentendo l’analisi dei processi di integrazione dei migranti all’interno della società di approdo a loro volta modificate dal loro arrivo e dall’impatto del loro ritorno ai luoghi d’origine, e al tempo stesso di cogliere le dinamiche di portata globale messe in moto dal movimento delle persone nello spazio. “Cross comunity migration” attribuendo alla mobilità che oltrepassa confini di uno spazio culturale un potenziale innovativo. Oggi lo studio della globalizzazione la colloca come un processo dinamico caratterizzato da una serie di fasi e da vari livelli di interconnessione globale, dominate da diversi protagonisti in cui anche nel periodo segnato dall’egemonia Europea, altri soggetti continuarono a svolgere una funzione che non può essere ridotta a quella della passiva ricezione di modelli e pratiche occidentali, al contrario si connota di tratti di spiccata autonomia: essi vanno individuati sia in tentativi di inserimento all’interno delle nuove logiche dominanti sia nella rielaborazione di paradigmi caratteristici della globalizzazione e leadership europea. La dimensione liminare tra globale e locale è quella più appropriata ad una storia della globalizzazione. (INTEGRA LIBRO CAPUZZO) Altra prospettiva della World History è la relazione tra storia umana e storia naturale. Questa relazione rappresenta l’oggetto di analisi privilegiato della environmental history e della big history che, costituiscono due prospettive di ricerca con lo stesso focus tematico. ….. Environmental history si definisce come analisi dell’interelazione tra mondo umano e mondo naturale, in una prospettiva in cui la natura, intesa come physis, perde il ruolo passivo di mero contesto del divenire storico per assurgere a quello di soggetto di una relazione dinamica con la comunità umana. C’è una forte consapevolezza dell’impossibilità di analizzare le vicende storiche dell’essere umano come qualche cosa di indipendente e separato dall’ambiente fisico.Questa Dialoga con altre discipline genetica, biologia molecolare, geologia, archeologia, paleontologia ecc,. Il processo di istituzionalizzazione della environmental history fu avviato sul suolo statunitese con la fondazione nel 1976 della American Society for Environmental History e della relativa rivista “Environment Review . Pioniere della environmental history fu Alfred Crosby che lesse l’incontro tra il Vecchio e il Nuovo Mondo in termini di movimento bidirezionale di specie vegetali e animali, nonché di malattie. Una prima direzione è quella intrapresa da Jared Mason Diamond (1937 – biologo e fisiologo statunitense): Determinismo ambientale: interpretazione di matrice geografica e biologica dei motivi alla base della supremazia occidentale a livello planetario. Enric Jones invece si confronta con l’interrogativo chiave sulle origini dello straordinario “sorpasso” europeo in età moderna su un’Asia che appariva per molti versi ad un livello più progredito di sviluppo economico e tecnologico, riconosce che la struttura topografica del continente europeo ha favorito la nascita di una pluralità di stati –nazione, per un altro con la sua peculiare e complementare distribuzione di risorse, ha assicurato lo sviluppo di un commercio su lunga distanza di beni di uso comune. Egli individua un altro fattore per comprendere il diverso destino dell’Europa e delle grandi società asiatiche dalla prima età moderna (Cina dei Ming e dei Manciù, l’India moghul e il Medio Oriente dell’Impero ottomano, nelle differenti forme di governo da cui esse erano rette. Una seconda direzione della Environmental History pone Al centro dei suoi interessi i cambiamenti indotti dall’azione umana sull’ambiente naturale e il modo in cui gli effetti di tali mutamenti si ripercuotono sulle stesse società umane. Altra strada della seconda direzione è la storia evoluzionistica centralità riconosciuta al “ruolo dell’evoluzione nella storia umana”. È una visione dinamica degli esseri umani, della natura e della loro evoluzione, rifiuta la dicotomia tra una natura “eterna” e una società storica, la storia evoluzionistica indaga i processi che coinvolgono simultaneamente gli esseri umani e organismi naturali. Ultimo campo d’indagine in cui si è sviluppato il rapporto tra l’uomo e la natura concerne la storia del pensiero umano un relazione all’ambiente, la storia delle politiche ambientali. Da ricordare il carattere politico inerente problematiche di natura ambientale poiché, data la centralità delle risorse naturali in ambito economico, il confronto sulle questioni ecologiche sottende molto spesso un conflitto tra interessi in gioco. La Big history : si configura come una storia totale dell’esistenza umana a partire dalle origini dell’universo, laddove il rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale in una prospettiva storica viene declinato in maniera diversa rispetto alla environmental history, o storia ambientale. David Christian sollecitava nel 1991 i world historians a compiere una scelta radicale a livello temporale riconoscendo la scala cronologica adeguata allo studio della storia nel Tempo considerato nella sua totalità, dalla nascita dell’universo a oggi, ovvero lungo una pluralità di scale temporali. A differenza della environmental history, la big history dilata il tempo storico fino al massimo consentito e, soprattutto, si ammanta di una pretesa olistica estranea alla storia ambientale. Big ed environmental history sollecitano dunque un notevole ampliamento della prospettiva storica che muove verso la direzione di un tentativo di superamento di una visione eurocentrica della storia. La definizione di spazi regionali, da un tipo di spazialità nuova e non convenzionale, che oltrepassa i confini delle tradizionali costruzioni geopolitiche. Inoltre l’idea di rapportarsi all’uomo come entità biologica immersa nella natura contiene un notevole potere relativizzante e lascia intravedere la possibilità di concepire la storia al di là di ogni etnocentrismo. Le isitituzioni storiografiche hanno una nuova geografia, fino a pochi anni fa erano l’Europa e la east coast americana ad avere un ruolo preminente. Il discorso storico è “per noi” per parlare degli “altri” delle società che non fanno parte dell’occidente si è sempre utilizzata un’altra disciplina, l’etnografia l’antropologia etc. discipline dei popoli senza storia che da un certo punto in poi hanno perso il passo con l’occidente mentre l’Europa continuava il proprio sviluppo storico. Questi sono i retropensieri che la civiltà ottocentesca imperialista durante la quale si è sviluppata e specializzata la storia come disciplina scientifica. oggi invece l’orizzonte geografico è mutato, si scrive di storia in ogni parte del mondo, e le stesse istituzioni culturali si trovano in zone del mondo che prima avremmo considerato marginali, come il Journal of World History venga stampato a d Honululu. I popoli senza storia prendono dunque parola e scrivono la propria storia, adoperando le stesse categoria usate dalla storiografia occidentale. Proprio negli usa, la società più multiculturale dell’occidente, sono presenti le migliori condizioni per l’addensamento di un pubblico interessato e il reclutamento di una leva di studiosi e studiose dotati di strumenti linguistici e culturali necessari per lo studio delle culture extraeuropee. Anche nelle nazioni ex-coloniali europee, come Francia Olanda e Gran Bretagna, c’è interesse a studiare il Rest oltre che il West. Emerge quindi la volontà di studiare la storia tout curt, o meglio di una nuova storia riscattata dal suo passato coloniale. Erano già esistenti storici dediti allo studio delle civiltà africane o orientali, ma venivano considerati come un’articolazione della storia occidentale, come contributo alla narrazione di una diversità da considerare come asimmetrica o inferiore. La cultura accademica, sociale, economica sono tutte produzioni europee che, come sottolineato da Weber, la società occidentale si è data nur im Okzident, e che a partire dal suo centro si è irradiata nel resto del mondo. Se esistono voci non occidentali, all’interno delle istituzioni culturali occidentali, è perché esse si sono conquistate uno spazio nei rispettivi paesi d’origine. Il bisogno di storia, in questi paesi, nasce dalla necessità di affrancarsi dallo sguardo etno-antropologico riversato su di essi dagli occidentali in epoca coloniale. Ma a questo punto risulta difficile, scrivendo di Asia o Africa, utilizzare quelle categorie di riferimento, come lo stato nazione, che in quelle zone non esistevano. L’europa ha inventato lo Stato, ma lo stato non è una necessità antropologica, non è originario, esistono molte società senza stato che e l’esportazione dello stato europeo nel resto del mondo, avvenuta col colonialismo, ha dato risultati problematici, che lo stato stesso non ha più valore di regola ma eccezione. Reinhard lo stato moderno8 territorio, popolo, potere sovrano) è esistito fino ai due terzi del XX sec, l’epoca della colonizzazione. Lo stato dunque non è un’entità senza tempo, ma è un’epifania di una particolare epoca storica Lo stato dunque si configura come una possibilità non una costruzione mentale formatasi attraverso processi di potere dell’agire umano. CAPITOLO III Le sorprese della prospettiva globale Per noi STORIA = vicende e problematiche europee e occidentali Storia Antica (per noi): inizia con il racconto del mondo greco, ritenuto la matrice di una serie di eventi che riguardano solo l’Occidente. Le altre civiltà del Mediterraneo e della Mezzaluna fertile sono viste come archeologiche, mitologiche o etnologiche. L’Asia, l’Africa, l’America e l’Oceania non vivono di vita propria, ma entrano a far parte del disegno solo in quanto toccate (quindi rese visibili) dall’espansione europea. Ne deriva che la storia dei manuali è la storia dell’espansione europea, in cui ciò che non appartiene all’Europa acquisisce valore storico solo nel momento in cui entra in rapporto di osservazione (prima) e di subordinazione (poi) con essa. Il ruolo da protagonista spetta sempre agli europei, gli altri sono ritenuti solo patner passivi. 2 conseguenze: 1. La storia, come genere letterario europeo, chiama in scena “l’altro” o come nemico attivo, o come nemico sconfitto e soggiogato. (es: amerindi, africani) 2. Senso della storia con al centro l’assunzione di una genetica superiorità dell’Europa (poi dell’Occidente) sul resto del mondo. Ciò sarebbe comprovato dalla sua prevalenza militare, ma anche da una serie di fattori culturali e di valori, in cui risiederebbe il “segreto del successo”, dei quali sarebbe auspicabile l’universalizzazione (ad es: cristianesimo, razionalismo, centralità delle scienze, capitalismo, individualismo). J. Goody: “Idea che gli europei fossero “quasi un’altra specie” […] si fondava sulle conquiste del Rinascimento, della Rivoluzione francese e dell’Illuminismo. Da qui l’enfasi sul sapere, sulla ragione, sul potere, sullo scambio. Benchè tali conquiste fossero recenti, le loro radici vennero spesso fatte affondare ben più indietro nel tempo, […] nell’eredità lasciata dei greci e nella benevolenza dell’Onnipotente. In altre parole, uno specifico vantaggio storico venne generalizzato in una superiorità di lunga durata, quasi biologica”. della connessione, che per entrambi si configura come elemento qualificante della prospettiva metodologica. Anche in questo cosa lo spazio preso in considerazione e trans-continentale, va dal Portogallo all’India, ma le sovranità che vi si esercitano appartengono a imperi diversi, molto spesso in contrasto o in aperto conflitto. A rappresentare un tratto di connessione è l’utilizzo sincronico da parte di questi imperi di un’ideologia paragonabile al millenarismo di stato, che annuncia l’avvento della monarchia universale di un’istituzione capace di ridurre ad una le sovranità multiple che si esercitano su quegli spazi sterminati. La conclusione a cui arriva l’autore, è che se una caratteristica cui giunge il mondo dopo il 1942 è l’intensificazione delle connessioni culturali tra le sue varie parti, raggiunta attraverso non solo l’avanzamento tecnologico della navigazione ma anche da una visione del mondo imbarazzatamente medievale. La leggerezza istituzionale degli imperi antichi Tra la fine del 700 e prima metà del 900 epoca in cui si è assistito alla “statalizzazione” degli imperi fluidi e all’estensione di quelli di matrice europea fino alla prima guerra mondiale. ▲ Svolta di fine 700: grande divergenza tra Nord e Sud del mondo. Edward Said (1935-2003): “orientalizzare” le civiltà extraeuropee significa svalutarle e consegnarle alla dimensione della stagnazione e del passato, equiparando il modello occidentale di modernità (capitalismo industriale, scienza e tecnologia, secolarizzazione, razionalità burocratica e secolare, liberalismo politica (in casa) e supremazia militare con esercizio coercitivo del potere (fuori casa))a canone esclusivo dell’idea di progresso. ▲ Le filosofie della storia dell’800 enfatizzavano l’idea di progresso e ne identificavano l’Europa come unico testimone. ▲ Hegel: fine ultimo della storia è il conseguimento della libertà dello spirito, l’Occidente ha raggiunto lo stadio ultimo del processo di realizzazione dell’ideale del genere umano. ▲ Weber riteneva che solo in Occidente si fossero dati i presupposti di ordine culturale per l’affermazione del modello di razionalità e del progresso il resto del mondo è rimasto ad uno stadio “infantile” “missione civilizzatrice/colonizzatrice” dell’uomo bianco, considerando il presente che veniva percepito come il naturale punto di approdo nel percorso della storia europea. In realtà questo è un quadro a forte connotazione ideologica: ▲ K. Pomeranz: Weber e Marx non avevano un’adeguata conoscenza delle società extraeuropee. In realtà ci sono varie categorie oltre alle vecchie contrapposizioni tra “libertà” e “dispotismo orientale”. ▲ C. Bayly e J. Osterhammel (studiosi rispettivamente dell’India e della Cina) hanno come idea centrale quella di dinamismo, differenziazione, movimento. Il mondo è inteso come macroregione, a denso tasso di intreccio e di collegamento tra le sue parti. ▲ Già durante l’800 emigrazioni e diaspore mostrarono che i confini degli stati nazione fossero permeabili e che non vi fosse unità etnolinguistica e culturale. ▲ Nel 900 queste tendenze si sono accentuate. ▲ Oggi il locale convive con il globale, la compattezza della nazione è messa alla prova dalla multiculturalità indotta dalle diaspore, vengono riconsiderate nuove religioni e filosofie orientali come adatte ai valori dell’economia moderna. Tutto ciò provoca la crisi degli orientamenti culturali che hanno guidato l’Europa (e l’Occidente) fino ad ora. CAPITOLOIV Incontri, ambivalenze, conflitti. Le storie ribelli Storie ribelli Il pensiero moderno ha sfiducia nella storia, mentre privilegia il frammento, la dimensione micro, la non linearità, la decentralizzazione, le prospettive multiple. Subaltern Studies: ▲ rivista indiana in cui alcuni studiosi hanno proposto di non accettare l’idea di tempo lineare e continuo caratteristica della narrazione storica occidentale, in cui il passato è inteso come diffusione del progresso dal West al Rest. > valorizzare i temi come i vuoti, le discontinuità, la natura ritmica del tempo. La storia come la conosciamo è solo UNA delle possibili modalità di attivare un confronto con il passato Area Studies rispondono all’esigenza di diffondere le conoscenze storiche delle culture non occidentali. Caratteristiche: • Focus su spazi non occidentali • Prospettiva sovranazionale • Enfasi sull’agency extraeuropea • Centralità riservata al metodo comparativo e all’approccio interdisciplinare, caratterizzato da un orientamento antropologico Resistenza a collaborare con la World Hisotry: ▲ potrebbe costituire una minaccia all’autonomia dello spazio accademico faticosamente conquistato dagli studiosi di aree non occidentali. (già accusati, dopo l’11 settembre, di tradimento e antipatriottismo dal governo degli USA). ▲ Timore che le proprie differenze, le specificità regionali, le prospettive di analisi alternative, vengano stemperate e dissolte una volta inglobate all’interno di un nuovo racconto storico di respiro mondiale. il meccanismo distintivo alla base dell’etnocentrismo non consiste nell’esclusione, ma nell’incorporazione, nella scomparsa di qualsiasi alternativa. ▲ World History critica l’incapacità degli Areas Studies di trascendere la prospettiva regionale e il rilievo accordato al livello micro. Storiografia sociale luogo di raccordo per tutti coloro che mostravano insoddisfazione per la limitatezza degli orizzonti della storia politica tradizionale (la storia dei vertici del potere politico e militare) ▲ In Francia: dare forma, attraverso la collaborazione con le scienze sociali, di una “storia più ampia e più umana”, che desse fiato alle voci lontane dalle stanze del potere. ▲ In Germania: ripudio della separazione e tra stato e società trennungsdenken, legge la politica e il sociale come un intreccio organico. Gli oggetti della ricerca sono stati i contesti di socializzazione dei poteri locali, quindi vicini alla vita quotidiana. ▲ In Gran Bretagna: storia from below, storia dal basso, storia delle classi popolari, delle loro pratiche e del loro immaginario. ▲ In Italia: microstoria: attenzione alle periferie estreme, in termini sia geografici che gerarchici. Sono tutte storie ribelli, insofferenti al paradigma narrativo incentrato sullo Stato e sulla nazione. ▲ Diffidenza degli storici sociali verso la World History: • Temono che lo sguardo globale riproponga una nuova versione della storia “dall’alto” • Temono che l’accentuazione della dimensione macro possa diventare un trampolino di rilancio della storia di vertice. ▲ La scala macro finirebbe per tacitare il below, il subalterno, il ribelle ▲ Problema: trovare una sintesi che inglobi tanto la profondità analitica del micro quanto la larghezza ecumenica del macro Storia di genere viene messa in discussione la “his-story”, la “storia al maschile” che aveva detenuto il monopolio del racconto, all’interno del quale le donne erano o invisibili o avevano un ruolo subordinato. La nuova “her-story” si propone di riabilitare le donne come soggetti attivi dell’esperienza storica, restituendo loro voce. • S’incontra poi con la categoria di “genere” (gender history), che privilegia la dimensione relazionale. • Viene messa in discussione la presunta unicità del concetto di donna (donna bianca eterosessuale di classe media) in relazione ad altri fattori, quali la razza, l’etnicità, la classe, l’orientamento sessuale. Gender History e World History: rischio per la storia di genere di vendere smantellate le 2 categorie fondanti: la soggettività in termini di agency e la differenza, che tende a scomparire dietro la ricerca di convergenze e uniformità. ♦ la W.H., concentrandosi sull’imperialismo, sul commercio, le scoperte geografiche, “rende le donne invisibili”, poiché i protagonisti sono quasi solo uomini. ♦ la W.H. ha un’attenzione marginale ai temi propri dello studio di genere, come quello della famiglia e della sessualità. ♦ rischio della dissoluzione delle diversità all’interno di una prospettiva che privilegia la dimensione della convergenza punto d’intersezione tra Gender e World History è il corpo, attraverso cui “calare il contatto trans- culturale in un contesto sessualmente connotato”. Il corpo è inteso infatti come zona di contatto, come luogo privilegiato di incontro, di ibridazione. Il dilemma: in che modo è possibile conciliare le storiografie critiche europee e non occidentali che hanno fatto della soggettività un tratto irrinunciabile con la proposta della world history?
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